GPII 1982 Insegnamenti - Nella Cappella Matilde - Città del Vaticano (Roma)

Nella Cappella Matilde - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La concelebrazione con un gruppo di Vescovi francesi

Testo:

Cari fratelli.

Prima di celebrare insieme questa Eucaristia, vorrei esprimervi la mia gioia di trovarmi, questa mattina, intorno all'altare insieme a voi. Vescovi o Vicari generali delle diocesi della regione dell'Est della Francia, voi siete venuti a Roma, alle tombe di Pietro e Paolo, accompagnati dalla preghiera di molti vostri fedeli. Essi attendono frutti spirituali dal vostro incontro con il Vescovo di Roma e i suoi collaboratori per il servizio alla Chiesa universale. Il primo di questi frutti è la carità che unisce i membri della Chiesa e che deve essere esemplare in coloro che compongono il Collegio episcopale. Più che mai essa deve essere ricercata con ardore, a pochi giorni dalla celebrazione del Giovedi Santo, tanto sconvolgente per noi, Vescovi e sacerdoti.

Il mio pensiero va a tutti i vostri sacerdoti, religiosi o secolari: possano essi, uniti fraternamente con voi e tra di loro, gustare la grazia di un rinnovamento continuo del sacerdozio di Cristo, nella Chiesa. Possa questa grazia di unità e di rinnovamento attirare tanti giovani delle vostre diocesi, colmi di generosità, affinché essi si lascino penetrare nel più profondo di se stessi dalla chiamata del Signore. E' per questo che la mia riconoscenza va anche ai vostri seminaristi che si preparano con serietà a divenire vostri collaboratori.

Siamo in comunione con il Popolo di Dio delle vostre province, con le loro virtù di operosità, di perseveranza, con le loro delusioni ed anche con le loro debolezze. Dite ai vostri fedeli, come a coloro che hanno abbandonato il cammino della Chiesa, che il Papa ha raccolto tutte le loro intenzioni durante una Messa che egli offre insieme con voi per ciascuno di loro, affinché ad imitazione di Gesù Cristo, essi siano ricchi di azioni sante e buone, che rendano testimonianza per loro, come ricorda il Vangelo che sentiremo tra poco.




1982-04-02 Data estesa: Venerdi 2 Aprile 1982




Nella Sala del Trono - Il saluto a marinai scozzesi


Cari amici in Cristo, Sono felice di dare il benvenuto in Vaticano ai membri dell'equipaggio della nave ammiraglia P&O "Camberra".

Mi è stato detto che la vostra visita a Roma durerà molto poco. Avete solo un giorno per visitare questa città che è così ricca di tradizione e carica di storia. E' stato vostro desiderio includere nella vostra giornata una visita alla Basilica di San Pietro e un'udienza con il Papa. Questo mi fa molto piacere perché dimostra che non venite solo come turisti, ma anche come pellegrini della fede. Volete venerare i grandi Santi che sono vissuti e morti a Roma, e volete rinforzare la vostra fede in Gesù Cristo Salvatore.

La mia preghiera è che il vostro pellegrinaggio possa arricchire le vostre vite e rendere più profondo il vostro amore per il Signore. A voi tutti e ai vostri cari impartisco la mia Benedizione Apostolica.


[Traduzione dall'inglese]




1982-04-02 Data estesa: Venerdi 2 Aprile 1982




Alla sessione inaugurale del simposio internazionale: "Dalla "Rerum Novarum" alla "Laborem Exercens": verso l'anno 2000" - Città del Vaticano (Roma)

Il rispetto dell'uomo e della sua dignità al centro della soluzione dei problemi sociali

Illustri Signori e Signore, carissimi fratelli e sorelle.


1. E' per me motivo d'onore e di gioia prendere parte alla solenne inaugurazione di questo Simposio Internazionale che, per iniziativa della Pontificia Commissione "Iustitia et Pax", ha raccolto da ogni parte del mondo studiosi della dottrina sociale della Chiesa, professori di scienze sociali e rappresentanti qualificati dei vari settori del mondo del lavoro.

Nel rivolgere a tutti i convenuti il mio deferente e cordiale saluto, sento il dovere di esprimere innanzitutto la mia viva riconoscenza sia a chi ha promosso questo incontro ad alto livello, sia a quanti hanno accettato di recare il contributo della propria competenza all'approfondimento dei vari aspetti del Magistero ecclesiale sui complessi e gravi problemi, che sogliono comprendersi sotto il termine di "questione sociale".

Una speciale parola di apprezzamento e di gratitudine desidero altresi rivolgere agli oratori che ci hanno fatto dono, or ora, di alcune preziose riflessioni sul tema del Simposio, introducendoci nel vivo della problematica: siano pertanto rese grazie al Signor Javier Perez de Cuellar, Segretario Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, al Signor Francis Blanchard, Direttore Generale dell'Ufficio Internazionale del Lavoro, ed infine a Monsignor Roger Heckel, Vescovo coadiutore di Strasburgo, già Segretario della Pontificia Commissione "Iustitia et Pax". Le considerazioni, che essi hanno esposto con linguaggio profondo ed avvincente, costituiscono un eccellente avvio ai successivi lavori, che vi vedranno impegnati, illustri e cari Signori, nel corso dei prossimi giorni.

2. Il 13 maggio 1981, due giorni prima del 90° anniversario dell'enciclica "Rerum Novarum", in un discorso che non ebbi la possibilità di pronunciare, illustravo il significato di tale ricorrenza con queste parole: "La "Rerum Novarum" riveste per la Chiesa una particolare importanza perché costituisce un punto di riferimento dinamico della sua dottrina e della sua azione sociale nel mondo contemporaneo".

Ed aggiungevo: "Dinamica e vitale, la Dottrina Sociale, come ogni realtà vivente, si compone di elementi duraturi e supremi, e di elementi contingenti che ne permettono l'evoluzione e lo sviluppo in sintonia con le urgenze dei problemi impellenti, senza diminuirne la stabilità e la certezza nei principi e nelle norme fondamentali" ("Insegnamenti", IV, 1 [1981] 1174s).

Ripeto oggi tali parole perché indicano chiaramente il significato e lo spirito di ogni celebrazione organizzata per sottolineare questo anniversario, e quindi anche della presente. In sintonia con tale spirito, voi rifletterete sull'insegnamento sociale da me offerto nell'enciclica "Laborem Exercens", scambiandovi i vostri punti di vista alla luce dell'esperienza vissuta nella pastorale, nella ricerca accademica, nelle organizzazioni internazionali, nelle iniziative e nelle organizzazioni sindacali.

Ed è evidente che il vostro impegno, in questi giorni, non mirerà soltanto all'approfondimento della dottrina sociale della Chiesa, ma anche ad una sua sempre migliore comprensione, in vista dell'azione necessaria per tradurla in atto nei vari settori, che sono alla portata dell'uomo e che costituiscono il campo delle sue responsabilità sociali.


3. Mi compiaccio poi per il tema generale del Simposio: "Dalla "Rerum Novarum" alla "Laborem Exercens": verso l'anno 2000". Alla vigilia del terzo millennio, il mondo si trova infatti dinanzi a problemi nuovi. La fase storica che si annuncia è segnata da interrogativi, da incertezze e spesso anche da impotenze. Ideologie che, a prima vista e in ragione della stessa loro diffusione, sembravano dover dominare gli spiriti in maniera duratura, non sono riuscite in definitiva che a dare la prova dei loro limiti. Esse si succedono le une alle altre e si esauriscono, e fanno nascere continuamente il desiderio di trovare un più stabile ordinamento delle relazioni tra gli uomini e le nazioni.

Nuove possibilità si intravvedono all'orizzonte, che ormai non possono più concepirsi in termini ristretti, unicamente nazionali. Se i problemi, con cui l'uomo moderno deve confrontarsi, non possono essere compresi che tenendo conto della loro dimensione mondiale, sarà pure su scala internazionale che, in molti casi, dovranno essere cercate le soluzioni. Giustamente, pertanto, oggi sempre più frequentemente si auspica un nuovo ordine economico internazionale, che, superando i modelli insufficienti e inadeguati del passato, assicuri all'umanità una giusta partecipazione ai beni della creazione, con particolare sensibilità per i popoli in via di sviluppo.

La presenza a questo Simposio del Segretario Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e del Direttore Generale dell'Ufficio Internazionale del Lavoro pone molto bene in evidenza le componenti mondiali, che si inseriscono inevitabilmente nel dibattito sociale. E mi sia consentito ricordare, in questo contesto, un Documento tuttora validissimo ed attuale, per l'interesse che ha riservato alla dimensione mondiale dei problemi etici e sociali contemporanei: l'enciclica "Populorum Progressio", che il mio predecessore di venerabile memoria, il Papa Paolo VI, ci ha donato esattamente quindici anni fa, il 26 marzo 1967.

4. La questione sociale è e resterà sempre "globale", per così dire, dal momento che essa tocca ciascuna persona umana in particolare e tutti gli uomini insieme: essa tocca l'uomo nella sua natura profonda e nella sua esistenza. L'uomo stesso, la dignità della sua umanità, deve costituire l'ispirazione profonda e la forza dinamica per ogni ricerca di soluzioni adeguate ai problemi della società. L'uomo resta il criterio decisivo per un mondo che si voglia costruire nella giustizia e nella pace. Da tale visione globale della persona umana debbono svilupparsi i principi di riflessione, le norme di giudizio circa situazioni e strutture, le direttive per un'azione rispettosa della verità.

Voi lo sapete: la Chiesa non ha competenza diretta per proporre soluzioni tecniche di natura economico-politica; essa tuttavia invita ad una costante revisione di tutti i sistemi secondo il criterio della dignità della persona umana. A questo essa invita le Chiese locali, le comunità cristiane ai diversi livelli, i movimenti di azione apostolica e sociale, Pastori, insegnanti, ricercatori e, in definitiva, ogni battezzato secondo la propria responsabilità e secondo il posto che egli occupa nella società.

Lasciandosi guidare da questo criterio fondamentale si possono superare i sistemi falsi o parziali, le ideologie materialistiche o economistiche. E' così che ci si rende liberi per un esame oggettivo della realtà sociale e per le decisioni operative volte all'attuazione di soluzioni giuste. E' così soprattutto che ci si mette al servizio della vera libertà radicata in Dio, per cooperare alla sua opera creatrice e redentrice e per realizzare la salvezza dell'umanità sulla via tracciata dal Cristo, vero Dio e vero uomo.

Nel proporre questa sua dottrina e nell'affidarla all'impegno fattivo dei suoi figli, la Chiesa intende servire il bene dell'umanità, in sincera e positiva collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà e con tutti i responsabili e le Istituzioni della vita internazionale.

Fratelli e sorelle, nel porgervi i miei auguri di fecondo lavoro, invoco su di voi la costante assistenza del Dio della giustizia e dell'amore, mentre con sincero affetto a tutti imparto di cuore la propiziatrice benedizione apostolica, che estendo volentieri ai vostri familiari ed a quanti con voi si adoperano per l'avvento di un mondo sempre più umano.




1982-04-03 Data estesa: Sabato 3 Aprile 1982




Ai docenti alunni ed ex alunni dei collegi romani "San Gabriele" e "Nazareno" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Abbiate sempre fiducia nel valore delle vostre istituzioni

Testo:

Egregi Signori! Carissimi giovani!


1. Nella lieta circostanza commemorativa della fondazione dei vostri ben noti Collegi romani, avete voluto esprimere la vostra gioia e la vostra riconoscenza al Signore anche mediante un affettuoso incontro col Papa. Programmato per il maggio scorso, purtroppo non potè avvenire, a motivo della drammatica vicenda dell'attentato. Voi avete continuato ad attendere con ansia questa Udienza ed avete anche pregato per me: ed io vi ringrazio di cuore.

Oggi finalmente ci è concesso di incontrarci, carissimi alunni, insegnanti e familiari, sia del Collegio "Nazareno", fondato nel 1630 da san Giuseppe Calasanzio, sia del Collegio "San Gabriele" dei Fratelli dell'Istruzione Cristiana, che ha festeggiato il cinquantesimo anniversario di vita.

Desidero pertanto esprimervi la letizia che colma il mio animo nel vedervi in questa grandiosa assemblea di persone, guidate tutte dalla stessa fede cristiana e dal medesimo ideale educativo. Porgo a ciascuno di voi, e specialmente ai Direttori e ai Membri responsabili, il mio più cordiale saluto, grato per il vostro gesto di fedeltà e di filiale ossequio, in una occasione così importante e significativa.


2. La vostra presenza indica chiaramente le finalità che, fin dalle origini, perseguono i vostri Collegi: la formazione del giovane alla luce del messaggio di Cristo, per il bene della Chiesa e della società. Molto interessante e utile è riandare con la memoria alla vostra storia passata per costatare il tanto lavoro compiuto a vantaggio di innumerevoli generazioni di giovani e per gioire insieme a motivo delle opere realizzate.

Veramente consolante e gloriosa si può dire la cronologia del Collegio "Nazareno", che, dai primi otto studenti dell'anno della fondazione, si sviluppo in modo portentoso attraverso i secoli, accogliendo migliaia di alunni, molti dei quali occuparono posti di prestigio e di responsabilità nella Chiesa e nello Stato, e impegnando validi docenti, tra i quali alcuni divennero famosi per dottrina e santità. Tra gioie e dolori, attraverso ore serene e anche momenti oscuri e burrascosi, il Collegio "Nazareno", retto dagli esperti Padri Scolopi, è giunto fino ad oggi, carico di meriti e di esperienza, e la storia passata deve essere di stimolo e di ispirazione a perseverare nelle direttive pedagogiche date dal santo Fondatore, per formare sempre più e sempre meglio il "cristiano" in questa nostra epoca, così bisognosa di verità e di salvezza.

Anche la storia del Collegio "San Gabriele", pur ancora così breve in confronto dell'altra, ha la sua buona messe di ricordi e di avvenimenti, essendo vissuto in questo cinquantennio, caratterizzato da mutamenti sociali e politici, da difficoltà specialmente nel campo religioso ed educativo, da fenomeni sociologici determinanti. In questo cinquantennio il Collegio "San Gabriele" ha affermato piena fedeltà ai suoi ideali cristiani, la sua opera pedagogica ha avuto sempre come scopo e come stimolo la formazione del cristiano e vuole coraggiosamente proseguire per questa strada. Prova di questo costante impegno è anche l'offerta che gli alunni annualmente raccolgono per i bisognosi, e che l'anno scorso hanno desiderato devolvere ai profughi cambogiani.

Mentre vi esprimo sincero apprezzamento per l'intensa ed accurata attività finora svolta, tutti esorto a continuare con amore e con coraggio il cammino intrapreso, nonostante le difficoltà dei tempi. Infatti, il collegio cattolico deve distinguersi proprio per questo primario e singolare intento di formazione naturale e soprannaturale, alla luce del Vangelo e del magistero autentico e perenne della Chiesa, dietro l'esempio dei santi, che sono di guida e di intercessione. Il buon seme, che viene gettato a piene mani per tanti anni, nei periodi più delicati ed importanti della formazione giovanile porta certamente frutto.

L'augurio che di cuore formulo per i vostri Collegi è di aver sempre fiducia nel valore della vostra istituzione, e di lavorare con animo intrepido e fervoroso nel campo esigente e promettente dell'educazione.


3. Mi rivolgo ora in particolare a voi, ragazzi e giovani, alunni ed ex alunni, per lasciarvi un pensiero che vi sia di ricordo per questa solenne commemorazione e nello stesso tempo di incentivo per una vita sempre più impegnata nella scuola del Vangelo.

Abbiate una coscienza profondamente cristiana! Questa è la mia esortazione; questo è il mio auspicio! Ed è anche ciò che esige la nostra epoca così radicalmente inquieta, in cui deve vivere il cristiano, in cui dovete vivere voi, con la vostra giovinezza, e prepararvi all'avvenire, inteso come una missione e un ideale.

Come è importante oggi possedere una coscienza cristiana! Infatti, il mondo attuale esige essenzialmente "coerenza": ha bisogno certo di dottrina e di spiegazione, ma anche e soprattutto di esempi, di modelli, di autentici seguaci di Cristo. Formatevi perciò una coscienza cristiana! Questa è la consegna che vi lascio! Questo è l'augurio più bello che posso fare a voi tutti, alunni e docenti!


4. Carissimi! Mi piace concludere questo incontro, richiamandomi alla figura austera ma amabile di san Giuseppe Calasanzio, che si potrebbe giustamente affermare un "genio della pedagogia cristiana", che egli volle fondata sulla mirabile sintesi della pietà e della sapienza. Come centro propulsore della vita scolastica e collegiale egli pose la santa Messa e la devozione alla Vergine Maria. Ebbene, ciò che fu valido nel suo secolo, tanto travagliato sia nel campo politico come in quello religioso, rimane valido per sempre.

Stringetevi anche voi intorno a Gesù, vivo e presente per noi e con noi nell'Eucaristia! Amate ed imitate la nostra celeste Madre, Maria! In questo modo i vostri Collegi saranno scuola di autentica formazione umana e cristiana, a vantaggio non solo della Chiesa, ma anche della Patria.

Vi accompagni la propiziatrice benedizione apostolica, che con grande affetto vi imparto, invocando l'abbondanza dei celesti favori.




1982-04-03 Data estesa: Sabato 3 Aprile 1982




L'omelia per la celebrazione delle Palme - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'esaltazione di Cristo si racchiude nello spogliamento di Cristo stesso

Testo:


1. "Osanna! / Benedetto colui che viene nel nome del Signore! / Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! / Osanna nel più alto dei cieli!" (Mc 11,9s).

Il giorno dell'esaltazione di Gesù di Nazaret.

C'è stato un giorno in cui Gesù di Nazaret è stato esaltato davanti agli occhi del popolo. E ha permesso questo. Anzi, in un certo senso egli stesso ha creato le condizioni perché questo accadesse, entrando in Gerusalemme su di un asinello, attorniato dai suoi discepoli, proprio quando da varie parti della Terra Santa si recava là una folla innumerevole.


Quando i farisei dissero: "Maestro, rimprovera i tuoi discepoli", egli rispose loro: "Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre" (Lc


19,39s).

Ci fu un giorno in cui Gesù di Nazaret, adempiendo la volontà del Padre, consenti che si manifestasse in lui la gloria terrena del Messia: che si manifestasse al cospetto di Gerusalemme e dalle labbra dei suoi conterranei.

In questo modo, infatti, doveva compiersi la Scrittura, la quale esprime in modo regale la gloria del Messia: come esaltazione del discendente di Davide.

Così, dunque, oggi celebriamo il giorno dell'esaltazione di Gesù di Nazaret davanti agli occhi degli uomini.

Oggi pure, entrando nella liturgia della Settimana Santa, cominciamo a meditare il mistero dell'esaltazione del Messia davanti a Dio.


2. Mirabile è la liturgia della Domenica delle Palme, così come mirabili sono stati gli eventi del giorno, a cui essa si riferisce.

Sull'entusiasmo del messianico "Osanna" incombe un'ombra profonda. E' questa l'ombra della passione che si avvicina. Quanto significative sono persino queste parole del profeta che si adempiono in questo giorno: "Non temere, figlia di Sion! / Ecco, il tuo re viene, / seduto sopra un puledro d'asina!" (Jn 12,15, cfr. Za 9,9).

può, nel giorno dell'entusiasmo generale del popolo per la venuta del Messia, la figlia di Sion aver motivo di timore? Eppure si. E' prossimo ormai il tempo, nel quale si compiranno sulle labbra di Gesù di Nazaret le parole del salmista: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Ps 21 [22],2). Lui stesso pronuncerà queste parole dall'alto della Croce.

Allora, invece dell'entusiasmo del popolo che canta "Osanna", saremo testimoni degli scherni nel cortile di Pilato, sul Golgota, così come proclama il salmista: "Mi scherniscono quelli che mi vedono, / storcono le labbra, scuotono il capo: / "Si è affidato al Signore, lui lo scampi; / lo liberi, se è suo amico"" (21 [22],8s).


3. La liturgia odierna - la liturgia della Domenica delle Palme -, permettendo di soffermarci sull'ingresso trionfale di Cristo a Gerusalemme, ci conduce contemporaneamente al termine della passione.

"Hanno forato le mie mani e i miei piedi, / posso contare tutte le mie ossa...".

E in seguito: "Si dividono le mie vesti / sul mio vestito gettano la sorte" (Ps 21 [22],17-19).

Come se il Salmista già vedesse con i propri occhi lo svolgimento del Venerdi Santo.

Veramente in quel giorno, ormai vicino, Cristo si farà obbediente fino alla morte, e questa sarà la morte in Croce (cfr. Ph 2,8).


4. E proprio qui, al termine della Passione, ha il suo inizio il mistero dell'esaltazione del Messia. Questa esaltazione è diversa dalla "storica" esaltazione davanti agli uomini il giorno del gioioso "osanna". E' questa l'esaltazione in Dio stesso.

A questa esaltazione in Dio sono diventati immediata introduzione l'umiliazione di Cristo e il suo spogliamento definitivo mediante la Croce.

"(Cristo Gesù) pur essendo di natura divina non considero un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spoglio se stesso assumendo la condizione di servo..." (Ph 2,6s).

Queste parole della lettera ai Filippesi si riferiscono non solo alla Passione. Esse costituiscono, in un certo senso, la sintesi di tutta la vita di Cristo. Costituiscono l'indicatore di tutto il mistero dell'Incarnazione.

Risulta, infatti, chiaramente da queste parole che egli "spoglio se stesso" per il fatto stesso che, "pur essendo di natura divina", ha accettato la condizione umana, la natura umana: ha assunto la "condizione di servo". Potendo ad ogni passo "sfruttare l'occasione d'essere pari a Dio", ha scelto consapevolmente tutto ciò che lo poneva "al pari" dell'uomo: "esternamente riconosciuto come uomo".

Ed ecco, ci avviciniamo al termine di questo livellamento. Lo raggiungeremo allora, quando Cristo "umilierà se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di Croce".


5. Pero proprio questo termine significa l'inizio dell'esaltazione.

L'esaltazione di Cristo si racchiude nello spogliamento di Cristo. La gloria ha il suo inizio e la sua sorgente nella Croce.

San Paolo nella lettera ai Filippesi lo sottolinea chiaramente, quando fa iniziare la successiva frase del suo magnifico testo con la parola "per questo".

"Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al disopra di ogni altro nome" (Ph 2,9).

L'Apostolo vede questa esaltazione a misura del mondo vis\ibile ed invisibile. Scrive dunque "...E gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore - a gloria di Dio Padre" (Ph 2,9-11).

Tale è la misura dell'esaltazione di Cristo in Dio. Di quel Cristo, che nella Domenica delle Palme ha permesso la sua "esaltazione" davanti agl i occhi di Gerusalemme, quando non mancavano che pochi giorni alla crocifissione.

Con l'odierna domenica la Chiesa si trova sulla soglia della Settimana Santa.

E' questa la settimana pasquale.

Si racchiude in essa il mistero dello spogliamento di Cristo e della sua esaltazione: dell'esaltazione mediante lo spogliamento.

Con grande umiltà, con fede e con amore andiamo incontro a questo Mistero.




1982-04-04 Data estesa: Domenica 4 Aprile 1982




Recita dell'"Angelus Domini" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Pace e riconciliazione per i popoli della Palestina

Testo:


1. "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Co 5,20).

Tale supplica eleva l'apostolo Paolo nella seconda lettera ai Corinzi. E tale supplica eleva pure la Chiesa, ogni anno, specialmente nel periodo della Quaresima.

Il Sinodo dei Vescovi, che l'anno venturo sarà dedicato "alla riconciliazione e alla penitenza nella missione della Chiesa", desidera rinnovare, sviluppare ed approfondire questa invocazione racchiusa nelle parole dell'Apostolo.

Questo invito sembra assumere una particolare attualità nei nostri tempi, in cui ci rendiamo conto quanto sia immutabile l'iniziativa salvifica di Dio, e quanto invece insufficiente, e spesso addirittura nulla, la risposta dell'uomo.


2. "E' stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione" (2Co 5,19).

La Chiesa porta in sé - nella sua natura, nella sua struttura fondamentale - tale riconciliazione di Dio col mondo in Gesù Cristo.

La Chiesa, fissando lo sguardo sul mistero di Cristo, sulla profondità umana e divina della sua passione, ha la consapevolezza di quale prezzo sia costata quella riconciliazione: "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo tratto da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Co 5,21).

Il prezzo della spogliazione di Cristo, che è così potentemente messo in evidenza dalla liturgia della Domenica delle Palme e da tutta la Quaresima si trova alle basi stesse della riconciliazione di Dio col mondo, con l'umanità.

Cristo "ha preso su di sé" il peccato del mondo, perché l'uomo possa ritrovare la giustizia davanti a Dio.


3. Scrive san Paolo nella seconda lettera ai Corinzi: "Tutto questo... viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione" (2Co 5,18).

Il ministero della riconciliazione dell'uomo con Dio costituisce la missione fondamentale della Chiesa. Forma questa fondamentale missione. Una volta compiuta dalla iniziativa divina, la riconciliazione col mondo in Gesù Cristo richiede un'incessante attuazione. L'umanità riconciliata con Dio ha sempre di nuovo bisogno del ministero della riconciliazione. Infatti, sempre nella vita dell'uomo si ripete il peccato, che in base al ministero della riconciliazione e della giustificazione nel Sangue di Cristo aspetta la grazia del perdono.


4. "Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro" (2Co 5,20).

Il Sinodo sulla "riconciliazione e penitenza" è un grande compito nella vita della Chiesa contemporanea. Nella vita dell'uomo contemporaneo.

E' necessario che sia preparato molto profondamente.

E' necessario preparare il Sinodo nella preghiera, avendo davanti agli occhi sia l'immagine inquietante del mondo e dell'uomo contemporaneo sia, nello stesso tempo, l'inscrutabile mistero della riconciliazione divina col mondo in Cristo.

Questo mistero ha avuto il suo inizio terreno quando "l'Angelo del Signore annunzio alla Vergine Maria" ed Ella accolse con tutto il cuore questo annunzio.

Meditando tutto questo durante la preghiera dell'"Angelus", preghiamo affinché la Chiesa contemporanea si rinnovi tutta in questa missione della riconciliazione e della penitenza.

Preghiamo anche affinché l'uomo contemporaneo comprenda e senta di nuovo quanto salvifico sia il Mistero divino della riconciliazione, e lo segua con tutta la potenza del cuore.


5. L'umanità ha più che mai bisogno della riconciliazione per ritrovare la giustizia nel rapporto con Dio, godere la serenità della coscienza, vivere la pace e l'amore fra i fratelli.

La pace tra i fratelli: il mio pensiero va, in questo momento, a coloro che soffrono la privazione di questo dono di Dio, alle Regioni del mondo in cui la dignità umana, la legittima aspirazione a vivere nella pace sono negate o impedite.

In modo particolare, in questa Domenica della Passione del Signore, il mio sguardo si rivolge alla Terra di Gesù, alla Palestina, dove egli ha insegnato l'amore ed è morto perché l'umanità avesse la riconciliazione. Quella terra vede, da decenni, due popoli contrapposti in un antagonismo sinora irriducibile. Ognuno di loro ha una storia, una tradizione, una vicenda propria, che sembrano rendere difficile una composizione. Ci sono state già quattro guerre sanguinose e una terribile sequenza di dolori e di privazioni per la gente della regione.

Ancora in queste settimane nuovi dolorosi episodi si sono prodotti in Cisgiordania, con morti e feriti, mentre si è accresciuta l'ansietà e l'insicurezza della popolazione, che anela ad una condizione nella quale siano riconosciute ed affermate le proprie legittime aspirazioni.

E' irreale, pur dopo tante delusioni, auspicare che un giorno questi due popoli, ognuno accettando l'esistenza e la realtà dell'altro, trovino la via di un dialogo che li faccia approdare ad una soluzione equa, in cui ambedue vivano in pace, in propria dignità e libertà, mutuamente donandosi il pegno della tolleranza e della riconciliazione? La Chiesa, che guarda a Cristo nel cammino della Croce e ne ravvisa l'immagine sacra negli uomini che soffrono, invoca, tramite la nostra preghiera, pace e riconciliazione anche per i popoli della Terra che fu sua. Preghiamo per questa intenzione.

XXV anniversario della Firma dei Trattati di Roma.

Nei giorni scorsi la Comunità Europea ha celebrato il 25° anniversario della firma dei Trattati di Roma. E' un avvenimento, questo, che merita di essere ricordato anche dalla Chiesa, la quale in questi anni non ha cessato di seguire e di incoraggiare gli sforzi compiuti e i traguardi raggiunti per l'unificazione civile, sociale ed economica dell'Europa. Pur in mezzo alle difficoltà che l'attraversano, la Comunità deve continuare ad impegnarsi per la salvaguardia e la promozione del benessere materiale, ma soprattutto dei valori spirituali e culturali, tra i quali è la comune fede cristiana: a nessuno infatti sfugge che se l'Europa rinunciasse alla sua tradizione religiosa, la quale ha tanto segnato il suo passato, ne arricchisce il presente e fa ben sperare per l'avvenire, essa cesserebbe di essere se stessa.

Auspico che la ricorrenza serva ad una maggiore presa di coscienza di questo impegno tanto importante per il futuro dell'Europa.

Al Segretario delle Nazioni Unite e a tutti i Direttori Generali delle Agenzie Specializzate o Organizzazioni Internazionali mondiali.

Sono lieto di dare il benvenuto a Roma, ospiti della Sede centrale della FAO, al Segretario Generale delle Nazioni Unite e a tutti i Direttori Generali delle Agenzie specializzate o Organizzazioni Internazionali mondiali e degli Organismi del sistema delle Nazioni Unite, operanti per la pace e per lo sviluppo.

Auspico che sia proficua questa riunione nell'ambito dell'annuale Comitato Amministrativo di coordinamento delle Nazioni Unite, che ha luogo quest'anno in Roma, lunedi e martedi prossimo.

Invito tutti a pregare perché la loro apprezzata e benemerita opera possa avvalorare nel mondo l'anelito alla vera pace, intesa cioè non solo come superamento dei conflitti e rinuncia all'uso della violenza nelle controversie interne e internazionali, ma soprattutto come collaborazione prestata all'elevazione e allo sviluppo dei Popoli.

Agli ascoltatori della radio diocesana di Faenza Nella diocesi di Faenza si dà inizio, nella giornata odierna, al collegamento via radio per unirsi al Papa nella recita dell'"Angelus".

Mentre esprimo il mio vivo compiacimento per tale iniziativa, che offre la possibilità di allargare quasi geograficamente gli spazi per la preghiera in comune, invio il mio cordiale saluto ed augurio a quella cara Comunità diocesana, agli Organizzatori ed agli Ascoltatori.

Con la mia benedizione apostolica.




1982-04-04 Data estesa: Domenica 4 Aprile 1982




Al collegio degli scrittori de "La Civiltà Cattolica" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Continuo impegno in favore della verità nel travaglio dei fenomeni sociali e ideologici

Testo:

Cari Padri scrittori, Collaboratrici e Collaboratori de "La Civiltà Cattolica".


1. Sono molto lieto di poter finalmente accogliere la richiesta di un incontro con la vostra Comunità, la cui attività, sin dalla origine più che secolare, è stata tutta dedicata alla diffusione e difesa della cultura o della civiltà cattolica, e sempre è stata istituzionalmente posta al servizio del Papa e della Sede Apostolica. E così, pur nel mutare degli uomini, degli eventi e delle situazioni storiche, la vostra Rivista si è mantenuta sempre fedele, meritando i ripetuti encomi dei miei predecessori, la stima e l'affetto dei lettori cattolici ed il rispetto e l'attenzione di quelli non cattolici.


2. "Cattolicità", come voi sapete, vuol dire etimologicamente universalità. Ma universalità vuol dire, a sua volta, riduzione armonica del tutto a uno. L'unità della Chiesa, che sta in eterno nella persona del Cristo, si manifesta anche nella persona del Vicario. Guardando a lui, pertanto, voi aggiungete all'attenzione, allo studio ed alla sollecitudine per il "particolare" (la Chiesa italiana, la patria italiana, la cultura italiana), l'attenzione, lo studio e la sollecitudine per 1'"universale": la stessa Chiesa cattolica, anzitutto, e le universali verità della sua fede; ma pure l'intera famiglia dei popoli, con le aspirazioni ed i problemi, i valori ed i fini, che riguardano tutti gli uomini.

Se ogni problema umano ha assunto oggi, di fatto e di diritto, dimensioni mondiali, il proposito di contribuire alla formazione di una civiltà cattolica, o universale, che cento anni fa poteva sembrare quasi ambizioso, è divenuto ora di estrema attualità, si direbbe anzi di urgente doverosità. Non solo il "melius esse", ma la stessa coesistenza pacifica tra i popoli e gli uomini tutti non possono non essere appoggiati, che su verità, su principi, su valori universali, pur nel rispetto delle diverse culture particolari.


3. Purtroppo, pero, questo nostro mondo contemporaneo mostra molteplici ed acuti segni di quella che bene è stata definita la sua "ambivalenza": segni di progresso magnifico, senza precedenti, in ogni settore delle scienze e delle attività umane; ma pure segni di "involuzione", di progresso ingannevole, perché relativo a valori ed obiettivi fallaci, che come tali si rivelano alla lunga disumani e disumanizzanti l'umanità. Quello che più preoccupa, pero, è che, nella crescente e per sé benefica diffusione della cultura, nella cosiddetta "cultura di massa", propugnata appunto dai mass-media, si fa sempre più un unico fascio di verità provate e di opinioni discutibili, di valori universali e di interessi particolari egoisticamente individualistici, di autentici principi deontologici e di fatti persino patologici. E tutto ciò sotto l'etichetta del "moderno" (anche se si tratta di errori e mali antichissimi), dietro il paravento del dovere-diritto all'informazione, e nel nome di un non bene inteso "pluralismo" che sarebbe proprio della cultura. Molto saggiamente i fondatori del vostro Periodico hanno preferito a questo termine, già allora di moda in molti Paesi, il termine classico di "civiltà". Anche la migliore antropologia culturale distingue tra "culture", che possono essere "barbare", e "civiltà", che possono essere "primitive", ma non barbare. Barbaro in realtà è ciò che è disumano, anche se "evoluto"; civile ciò che è umano, anche se semplice e primitivo. Vi sono "pseudoculture", denunciate dalla "maior saniorque pars" degli intellettuali; non vi sono al contrario "pseudociviltà", ma solo "involuzioni" e "declini" di civiltà particolari, registrate dalla storia.

Ricordando i cento anni e più di lavoro accurato e indefesso della vostra Rivista, che giustamente gode di tanto prestigio, desidero esprimere vivo ringraziamento al Signore che ha suscitato per essa tante persone preparate culturalmente e di profonda formazione umana e sacerdotale. Esse nel continuo travaglio dei fenomeni sociali ed ideologici, hanno saputo tenere sempre alta la fiaccola della Verità. Molti scrittori de "La Civiltà Cattolica" hanno consacrato tutta o gran parte della loro vita per la compilazione sempre attenta e aggiornata della Rivista, ritenendo questa loro missione un autentico "servizio sacerdotale": anche ad essi deve andare la nostra riconoscenza ed il nostro compiacimento per la loro opera. Sarebbe doveroso enunciare qui un lungo elenco di nomi ben noti e benemeriti; mi limito a ricordare gli ultimi tre che si sono spenti in questi recenti anni: Padre Messineo, Padre Fagone e Padre Angelo Martini.

L'opera illuminatrice e formatrice della Civiltà Cattolica nel campo teologico, cristologico, ecclesiologico, filosofico, letterario, giuridico ed anche artistico, merita sostegno e plauso, ed io vi esorto caldamente a una rinnovata fedeltà all'originario e secolare programma: cioè l'approfondimento, la dimostrazione, la diffusione delle verità proposte dalla Chiesa, sia nell'ordine delle realtà rivelate come in quelle sociali e culturali; l'interpretazione degli avvenimenti e dei fenomeni intellettuali alla luce del Vangelo e del Magistero autentico e perenne, senza mai indulgere a confusioni, o a pericolosi "compromessi".

Certamente, in una situazione di pluralismo ideologico e pratico, come quello del nostro tempo, il dialogo deve essere rispettoso e comprensivo e sempre si deve distinguere tra errore ed errante. Tuttavia l'impegno della Rivista deve rimanere anche quello di distinguere accuratamente tra verità ed errore, in modo da essere sempre formatrice di coscienze rette.


4. Quanto al settore specifico della politica interna ed internazionale, come già ebbe a dirvi il mio predecessore Pio XII e come, del resto, il Vaticano II insegna per tutta la Chiesa (GS 76), voi potete e dovete senza dubbio portare il vostro giudizio morale sui fatti e avvenimenti; specie quando sono in gioco i diritti umani, il bene comune, i diritti e la libertà della Chiesa.


5. A tal fine, diro che molto vi gioverà restar fedeli a un altro carattere originario e istituzionale della vostra attività, quale risulta anche dai documenti pontifici di approvazione: la "collegialità" del vostro lavoro e, quindi, l'unanimità del vostro servizio alla Santa Sede. Vedo felicemente tra voi padri giovani, meno giovani ed anziani; così è stato sempre, come sono informato.

Ebbene, come in un coro affiatato, ciascuno deve avere la sua voce e porla in armonia con quella degli altri; ciascuno deve contribuire, con il suo pensiero e con la sua esperienza, all'orientamento appunto "collegiale" della Rivista. Ciò favorirà l'indirizzo sempre coerente e unitario di essa, a tutto vantaggio della sua capacità di incidere sulla pubblica opinione.

Con questi sentimenti di viva cordialità e con queste esortazioni tratte dall'indole stessa del vostro Istituto, mi è gradito rinnovarvi l'espressione dell'apprezzamento per il buon lavoro sinora compiuto ed il vivo interesse di questa Sede Apostolica a che esso continui e si sviluppi. Vi accompagni nella vostra fatica la costante assistenza del Signore, in pegno della quale volentieri imparto a tutti ed a ciascuno di voi la mia apostolica benedizione.




1982-04-05 Data estesa: Lunedi 5 Aprile 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Nella Cappella Matilde - Città del Vaticano (Roma)