GPII 1982 Insegnamenti - Messaggio ai cattolici - Austria

"Vivere la speranza - dare speranza". E' un grande proclama quello che avete scelto per voi. "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?" (Rm 8,31).


Questa certezza di fede vi deve animare in questo anno di rinnovamento spirituale, affinché tutte le persone nel vostro Paese possano percepire che la chiesa cattolica in Austria si prepara ad una festa della speranza e della gioia. Prego insieme con voi per una gioiosa e feconda celebrazione del Katholikentag austriaco


1983.


Vi benedica tutti Dio onnipotente: Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen. [Traduzione dal tedesco]




1982-06-08 Data estesa: Martedi 8 Giugno 1982




Durante la visita all'ospedale pediatrico "Bambin Gesù" - Roma

Titolo: E' urgente l'impegno per la vita non per la costruzione degli strumenti di morte

Testo:

Illustri Signori, fratelli e sorelle carissimi!


1. Ancora una volta son venuto a visitare, con trepida emozione, questo Ospedale Pediatrico "Bambino Gesù". Ho accolto di buon grado l'invito, da parte dei Dirigenti, di benedire ed inaugurare il nuovo Dipartimento Medico Chirurgico di Cardiologia Pediatrica ed esprimo oggi pubblicamente la mia soddisfazione ed il mio compiacimento per il fatto che questo "Ospedale" si rinnova continuamente e si arricchisce di un complesso di apparecchiature di avanguardia, al fine di poter offrire ai piccoli cardiopatici le cure più appropriate e più adatte per ridare ad essi l'auspicata sanità.

Sento il dovere, in questa circostanza, di porgere il mio sincero ringraziamento a quanti hanno ideato, voluto, progettato questo meraviglioso complesso scientifico, a quanti hanno generosamente e disinteressatamente contribuito per la sua realizzazione, ed a quanti - professori, dottori, personale paramedico, suore - prestano la loro opera con encomiabile spirito di dedizione.

Ma sono tornato, in particolare, in questo luogo perché chiamato, invocato dal flebile e struggente lamento dei bambini, che portano nei loro fragili corpicini il peso della malattia e della sofferenza, ed intendo dire e manifestare ad essi, a nome vostro, a nome dei loro genitori, a nome della Chiesa, tutto l'immenso affetto di cui vogliamo circondarli, specie nei momenti della loro più acuta debolezza.


2. La visita ad un ospedale, e in particolare ad un ospedale per bambini, provoca nel profondo del cuore alcuni degli interrogativi più radicali sul significato della vita e dell'esistenza dell'uomo: la presenza continua, martellante, ineluttabile della sofferenza, e specialmente quella degli "innocenti", urta nella ragione umana attonita e perplessa come un autentico "scandalo", capace di porre in questione e in pericolose crisi le certezze nelle quali si fonda la nostra vita intellettuale, religiosa, etica. Il lamento accorato e il pianto lancinante di un bimbo che soffre, possono sembrare quasi una protesta dell'umanità intera nei confronti del silenzio impenetrabile di Dio, che permette tale somma di dolore.

Là dove l'umana ragione sembra urtare contro un muro opaco d'ombra e si reputa in diritto di assumere un atteggiamento di rivolta, la Parola divina ci introduce nel "mistero" della sofferenza umana, presentando alla nostra considerazione e alla nostra esperienza Gesù, Cristo e Signore, il Figlio di Dio, in cui si incarna la profetica figura del "Servo sofferente", dell'"uomo dei dolori" (Is 53,3); Gesù, che si commuove profondamente di fronte alle sofferenze degli altri; che assume completamente il dolore nella sua Passione e Morte, passaggio obbligatorio per la sua Risurrezione-glorificazione.

Allora, se noi soffriamo, partecipiamo ai patimenti di Gesù, potrà dirci san Paolo, per partecipare anche alla sua gloria (cfr. Rm 8,17); se portiamo sempre e dappertutto nel nostro corpo le sofferenze e la morte di Gesù, è perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo (cfr. 2Co 4,10). E lo stesso Apostolo, che nella sua vita ha sperimentato un lungo apprendistato del dolore, può parlare della gioia che egli prova nelle sofferenze che sopporta, perché può completare nella sua carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa.

In questa visione cristiana del dolore, il lamento ed il pianto di coloro che soffrono, specialmente dei bambini, non sono quindi una acerba protesta, ma una solenne, pura, emozionante preghiera di impetrazione, che si eleva da questa povera terra al trono di Dio, perché gli uomini tutti siano liberati e purificati dal male, orientino la loro vita in sintonia con le esigenze della rivelazione divina e si manifestino autentici "figli di Dio".


3. In tale prospettiva Gesù ha dichiarato "beati" gli afflitti e i piangenti, perché saranno consolati (cfr. Col 1,24); e nel giorno del suo ritorno nella gloria come giudice supremo e definitivo della storia, egli si identificherà con tutti i sofferenti della terra: "...Ero malato... e mi avete visitato...: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (cfr. Mt 5,4). Questa solenne proclamazione in bocca a Cristo deve dare un significato nuovo e soprannaturale all'impegno, che voi tutti esercitate nei confronti dei fratelli più piccoli di Gesù, i bimbi ammalati, sofferenti; la vostra specifica competenza, la vostra esemplare dedizione, il vostro impegno generoso sono rivolti a Gesù, l'Uomo-Dio, misteriosamente presente in loro. E' in questo spirito evangelico che la vostra professione, già di per sé degna del massimo rispetto, diventa una autentica "missione" di fede ed un contributo all'elevazione totale dell'uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

Da questo luogo di dolore, ma anche di speranza, desidero rivolgere un invito, un appello agli uomini di scienza; a coloro che reggono le sorti della città terrena: è urgente, è necessario convogliare, coordinare le iniziative, gli studi, le ricerche, i contributi per alleviare il dolore dei fratelli colpiti dalle varie calamità, vittime della malattia. Occorre finanziare adeguatamente tali studi e tali ricerche, finalizzati alla salute fisica dei cittadini. Non avvenga che le spese più consistenti dei vari Paesi siano rivolte agli armamenti, agli strumenti più sofisticati, capaci di provocare solo distruzione, morte e disperazione; mentre si disattendono invece quelle opere e iniziative, necessarie ed indilazionabili perché la vita degli uomini, anche dal punto di vista sanitario, possa trascorrere serena e tranquilla nella pace, nella giustizia, nell'ordine.

Auspico che questo Ospedale Pediatrico "Bambino Gesù" sia un segno di avanguardia, un centro di studio, in cui a questi piccoli siano offerti, con le cure sempre più avanzate della tecnica e della scienza, l'affetto e la dedizione più delicati, ispirati al messaggio di amore del Vangelo di Cristo.

Con questi voti e con questo spirito imparto di gran cuore la mia benedizione apostolica ai carissimi degenti, ai loro familiari, ai Dirigenti, ai Dottori, al personale paramedico, alle suore, agli amici del "Bambino Gesù" ed a tutti i presenti.




1982-06-08 Data estesa: Martedi 8 Giugno 1982



Al termine dell'Udienza - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Appello per la pace nel Libano

Testo:

La mia invocazione al Principe della pace si fa più ardente mentre infuriano i combattimenti nel Libano, un paese martoriato da tanti anni e le cui aspirazioni alla pace finora sono state sempre deluse.

Il conflitto attuale appare particolarmente grave per la sua intensità e per i suoi effetti: profonda è la pena per le centinaia di vittime di tutte le parti, per le loro famiglie, per quanti innocentemente soffrono la violenza e sono costretti, in preda al terrore, ad abbandonare le loro case.

Al dolore per tali avvenimenti si aggiunge la viva preoccupazione per le temibili conseguenze del conflitto sul Libano stesso e per il pericolo di un ulteriore suo allargamento nella regione, già tanto perturbata. La stessa pace mondiale ne potrebbe essere minacciata! La Santa Sede continuerà ad adoperarsi, per quanto le sarà possibile, perché questa dura prova sia abbreviata e le armi cedano il posto alla tregua e al negoziato.

Vi invito ad unirvi alla mia preghiera al Signore affinché siano accolti gli appelli alla cessazione del fuoco che provengono dalla Comunità internazionale, e la soluzione dei problemi del Medio Oriente sia ricercata non con la violenza, ma con lungimiranza, coraggio e saggezza.




1982-06-09 Data estesa: Mercoledi 9 Giugno 1982




L'omelia alla celebrazione della solennità del santissimo Corpo e Sangue di Cristo, in san Giovanni in Laterano - Roma

Titolo: La penitenza e l'Eucaristia conducono alla libertà nello spirito

Testo:


1. "E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi" (Mc 14,26).

Con questa frase termina l'odierna lettura del Vangelo di san Marco.

Essa contiene la descrizione dell'ultima Cena, in primo luogo i preparativi ad essa, poi l'istituzione dell'Eucaristia.

"Mentre mangiavano prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzo e lo diede loro, dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo". Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti" (Mc 14,22-23).

Tutto si svolge nel più grande raccoglimento e silenzio. Nel sacramento che Gesù istituisce durante l'ultima Cena, egli dà ai discepoli se stesso: il suo Corpo e Sangue sotto le specie del pane e del vino. Fa ciò che un giorno aveva preannunciato nei pressi di Cafarnao - e che allora aveva provocato la defezione di molti. Così difficili erano da accettare le parole: "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangerà di questo pane vivrà in eterno" (Jn 6,51).

Oggi lo realizza. E gli Apostoli ricevono, mangiano il pane-Corpo, bevono il vino-Sangue.

Sul calice Gesù dice: "Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza, versato per molti" (Mc 14,24).

Ricevono il Corpo e il Sangue come il cibo e la bevanda di quest'ultima Cena. E diventano partecipi dell'alleanza: dell'Alleanza Nuova ed Eterna, che, mediante questo Corpo dato sulla Croce, mediante il Sangue versato durante la Passione, viene conclusa.

Cristo aggiunge ancora: "In verità vi dico che io non berro più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berro di nuovo nel Regno di Dio" (Mc 14,25).

Questa è quindi verbalmente l'Ultima Cena.

Il Regno di Dio, Regno del tempo venturo, è iniziato nell'Eucaristia, e da essa si svilupperà fino alla fine del mondo.


2. Quando gli Apostoli escono, dopo l'Ultima Cena, verso il monte degli Ulivi, tutti portano in sé questo grande Mistero compiutosi nel Cenacolo.

Li accompagna Cristo: il Cristo-vivente in terra. E nello stesso tempo essi portano in sé Cristo: il Cristo-Eucaristia.

Essi sono i primi tra coloro che più tardi veranno chiamati "christoforoi" (Theo-foroi).

Proprio così erano chiamati i partecipanti all'Eucaristia. Uscivano dalla partecipazione a questo Sacramento, portando in sé il Dio incarnato. Con lui nel cuore andavano tra gli uomini nella vita quotidiana.

L'Eucaristia è il Sacramento del più profondo nascondersi di Dio: egli si nasconde sotto le specie del cibo e della bervanda, e in tale modo si nasconde nell'uomo. E contemporaneamente, la stessa Eucaristia è, per questo fatto, per quel nascondersi nell'uomo, il Sacramento di un particolare uscire nel mondo - e dell'entrare tra gli uomini e in mezzo a tutto ciò di cui si compone la loro vita quotidiana.

Ecco la genesi della solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo.

Sappiamo che questa festa, nella sua forma storica, è sorta nel secolo XIII e si è sviluppata ampiamente nelle Comunità cattoliche in tutto il mondo.

Tuttavia l'inizio di questa festa può essere visto già in quella prima "processione" composta dagli apostoli, che circondavano Cristo e nello stesso tempo portandolo nei loro cuori come Eucaristia, uscirono dal cenacolo verso il monte degli Ulivi.

Noi oggi adempiamo le stessa antica tradizione. Celebriamo l'Eucaristia sull'altare, la accogliamo nei nostri cuori per portarla come "Christoforoi" per le vie di Roma nella processione incontro a tutto ciò che qui ci circonda, per testimoniare dinanzi a tutto e a tutti la Nuova ed Eterna Alleanza.


3. "Che cosa rendero al Signore / per quanto mi ha dato? / Alzero il calice della salvezza / e invochero il nome del Signore" (Ps 115 [116],12-13). Sono parole del Salmista.

Desideriamo fare ciò che esse esprimono. Desideriamo - noi tutti che portiamo Cristo nei nostri cuori, forse perfino quotidianamente, noi tutti: "Christo-foroi"... - desideriamo ripagare il Signore per tutto ciò che ci ha fatto e sempre fa, a ciascuno e a tutti.

Desideriamo alzare il calice della salvezza, il calice dell'Eucaristia, e invocare pubblicamente il nome del Signore dinanzi a tutti gli uomini, dinanzi a tutta la città e al mondo.

Non si compiono forse, proprio dinanzi a questa città, Roma, in modo particolarmente testuale le ulteriori parole del Salmo: "Preziosa agli occhi del Signore / è la morte dei suoi fedeli" (v. 15)? Roma degli apostoli, dei martiri e dei santi, rende onore all'Eucaristia che è diventata per tutti il Pane della Vita e il Sangue della libertà spirituale: "Io sono tuo servo, figlio della tua ancella; / hai spezzato le mie catene" (v. 16).

Così parla di sè il Salmista. E così pensa ciascun "Christoforos", il quale sa che mediante la penitenza e l'Eucaristia la via conduce dal peccato e dalla schiavitù del diavolo e del mondo - alla libertà nello Spirito.

Camminando nella processione del santissimo Corpo e Sangue di Cristo, desideriamo rendere proprio di ciò testimonianza all'Urbe e al Mondo. Questa è la nostra liturgia di lode e di rendimento di grazie, che non possiamo trascurare dinanzi a Dio e agli uomini.

"A te offriro sacrifici di lode / e invochero il nome del Signore. / Adempiro i miei voti al Signore / davanti a tutto il suo popolo" (Ps 115 [116],17-18).

Cristo! Dio Nascosto! accetta questo nostro sacrificio di lode! Accetta il rendimento di grazie e la gioia di questo popolo che, dopo tanti secoli e generazioni, porta nel suo cuore il mistero della Nuova ed Eterna Alleanza!




1982-06-10 Data estesa: Giovedi 10 Giugno 1982




L'arrivo all'aeroporto di Ezeiza - Buenos Aires (Argentina)

Titolo: Chiedo alla Vergine di Lujan che diventino realtà le ansie dei popoli che anelano alla pace

Testo:

Sia Lodato Gesù Cristo! Egli ci ripete ancora: "Vi do la mia pace; non come la dà il mondo, io la do a voi" Jn 14,27).


1. Benedetto sia il Signore che mi fa giungere fino a questa cara terra argentina.

Ho voluto venire fin qui, per manifestarvi con le mie labbra i sentimenti che vi ho espresso nella mia lettera personale che, alla fine dello scorso mese, ho indirizzato a voi, amati figli e figlie della Nazione Argentina, alla vigilia del mio viaggio pastorale alle Chiese nell'Inghilterra, la Scozia ed il Galles.


2. Se durante quella visita apostolica - che volle essere e di fatto fu una continua preghiera a favore della pace, così come un servizio prestato alla causa dell'ecumenismo e del Vangelo -, il mio pensiero ed il mio affetto sono stati anche con voi, la mia presenza oggi qui vuol significare la prova visibile di tale amore, in un momento storico così doloroso per voi come è quello attuale.

Vengo spinto dall'amore di Cristo e dall'imperiosa sollecitudine che, come successore del Principe degli Apostoli, debbo alla Chiesa Una e Universale, che si incarna in ogni popolo, nazione e cultura, per annunziare la salvezza in Gesù Cristo ed il comune destino che ciascun uomo ha sotto un Padre comune.

Per ciò, benché pienamente e gioiosamente cosciente della condizione cattolica di questa amata nazione, in perfetta continuità con il mio precedente viaggio apostolico, la mia visita vuol essere segnata dallo stesso carattere pastorale ed ecclesiale, che la collocano al di sopra di ogni potenzionalità politica. Essa è semplicemente un incontro del padre nella fede con i figli che soffrono; del fratello in Cristo che lo indica ancora una volta come Via di pace, di riconciliazione e di speranza.


3. La mia permanenza in terra argentina, sebbene breve per esigenze ben note, sarà prima di tutto una supplica con voi a Colui dal quale discende ogni paternità nel cielo e sulla terra, affinché riempia gli animi di tutti con sentimenti di fraternità e di riconciliazione.

In tale spirito, permettete che fin da questo stesso momento io invochi la pace di Cristo su tutte le vittime, di entrambe le parti, di questo conflitto bellico tra l'Argentina e la Gran Bretagna; che mostri la mia affettuosa vicinanza con tutte le famiglie che piangono la perdita di qualche persona cara; che solleciti dai governi e dalla comunità internazionale misure atte ad evitare danni maggiori, a sanare le ferite della guerra ed a facilitare la restaurazione degli spazi per una pace giusta e durevole e la progressiva serenità negli spiriti.

A Colei per la quale ogni uomo ha soltanto un nome: quello di figlio; alla Madre di Cristo e Madre della Chiesa, ai piedi della quale vengo a prostrarmi nel suo Santuario di Lujan, chiedo che asciughi tante lagrime, che sostenga quanti si piegano sotto il peso della prova; che susciti nuove energie di bene in campo nazionale ed internazionale, capaci di alleviare i dolori e le difficoltà attuali, affinché si possa guardare al futuro con fiduciosa tranquillità; che diventino realtà le ansie dei popoli che anelano alla pace.


4. Questi auspici sono la migliore parola di cordiale saluto che rivolgo a ciascuno di voi, amati fratelli e sorelle di Argentina, così come a ciascuna famiglia o gruppo sociale; ed in primo luogo ai fratelli nell'Episcopato, ai sacerdoti, ai religiosi, religiose e seminaristi.

Con particolare deferenza desidero rivolgere questa parola di rispettoso saluto al signor Presidente, che ha avuto la gentilezza di venire a ricevermi, interpretando il desiderio di tutti i figli di questa Nazione cattolica. Fin d'ora, manifesto a lui, come a ciascun argentino, la mia più viva gratitudine, per l'immediata e gioiosa accettazione di questa visita, nonostante le difficoltà pratiche che comportava, con motivo del poco tempo disponibile.

Ed oltrepassando le frontiere argentine, invio il mio saluto di pace e di cordiale stima a ciascun popolo e nazione dell'America Latina. Questa breve visita mi fa ricordare ancora una volta le due precedenti fatte a questo continente e delle quali conservo così incancellabili ricordi. Con il mio saluto manifesto la fiducia che, negli attuali momenti, mentre si affacciano all'orizzonte problemi ed incognite per il futuro, questo continente della speranza ecclesiale troverà ispirazioni e motivazioni solidali verso la pace ed il progresso in considerazione della comune origine cristiana.


5. Ma fedele alla mia condizione di umile servitore della causa della pace e dell'intesa fra gli uomini, non posso fare a meno di estendere da qui il mio sguardo anche sul mondo intero.

Il triste spettacolo di perdite di vite umane, con conseguenze sociali che si prolungheranno per non poco tempo nei popoli che soffrono la guerra, mi fa pensare con profonda pena alla scia di morte e di desolazione che sempre provoca ogni conflitto armato.

Non ci troviamo dinanzi a terrificanti spettacoli come quelli di Hiroshima o di Nagasaki; ma ogni volta che rischiamo la vita dell'uomo, mettiamo in moto i meccanismi che portano verso tali catastrofi, imbocchiamo strade pericolose, retrograde ed inumane. perciò, in questo momento l'umanità deve interrogarsi, ancora una volta, sull'assurdo e sempre ingiusto fenomeno della guerra, nel cui scenario di morte e di dolore resta solo valido il tavolo dei negoziati che poteva e doveva evitarla.

Voglia Dio che questo conflitto che lamentiamo, quelli in corso tral'Iran e l'Iraq e nel Libano, oltre a quegli altri che più o meno dissimulatamente colpiscono altre zone del mondo, siano gli ultimi esempi funesti, la lezione valida nella quale il mondo impari a mettere al disopra di tutto, sempre ed in ogni circostanza, il rispetto alla sacralità della vita; a dimenticare per sempre il ricorso alla guerra, al terrorismo o a metodi di violenza; ed a seguire con decisione sentieri di comprensione, di concordia e di pace.


6. Con questi desideri fatti preghiera, alla quale invito tutti voi ad unirvi, invoco la protezione ed il conforto divino su ogni persona e famiglia dell'amata nazione argentina, prima di tutto sugli orfani, le vittime della guerra, su quanti soffrono per l'infermità o l'incertezza riguardo al destino di qualche persona cara. Sia pegno della mia universale benevolenza e di riconciliazione degli spiriti la benedizione apostolica che con grande affetto imparto a tutti.




1982-06-11 Data estesa: Venerdi 11 Giugno 1982




Ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose nella Cattedrale - Buenos Aires (Argentina)

Titolo: In questi giorni difficili è necessaria la testimonianza d'amore e di pace della Chiesa

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle.


1. Vi saluto cordialmente, sacerdoti, religiosi, religiose, membri di Istituti secolari, seminaristi e giovani in fase di formazione per consacrarvi a Cristo.

Mi trovo con voi, in questa Cattedrale di Buenos Aires dedicata alla santissima Trinità, pochi giorni dopo aver celebrato la solennità del mistero trinitario e prima della Festa del "Corpus Christi".

Questo ci porta a riflettere sul significato profondo dell'Eucaristia nella vocazione e nella vita del sacerdote e delle anime consacrate.

San Paolo mette espressamente dinanzi ai nostri occhi lo straordinario contenuto ecclesiale che per la nostra esistenza sgorga dall'Eucaristia: "Perché il pane è uno, noi pur essendo molti, formiamo un solo corpo, poiché tutti partecipiamo di questo unico pane" (1Co 10,17).

Vediamo qui in poche parole delineato il fondamento teologico esistenziale, che, partendo dal mistero eucaristico, ci porta alla realtà della fede, dell'unione ecclesiale, della corrispondenza a questo amore, che sta alla base della nostra consacrazione.

Siete voi, consacrati a Cristo e alla Chiesa, all'amore disinteressato per lui, ad un genere di vita fondato sulla fede, i ministri ed i testimoni della fede, i sostenitori della fede e della speranza degli altri.

Questo vi configura come persone che vivono molto vicino agli uomini ed alla società, ai suoi dolori ed alle sue speranze. Ma vi distingue nel modo di sentire e di vivere la propria esistenza.

Difatti, il sacerdozio è una consacrazione a Dio in Gesù Cristo per "servire... alla moltitudine" (cfr. Mc 10,45). Questa consacrazione è, come ben sappiamo, un dono sacramentale indelebile, conferito dal Vescovo, segno e causa di grazia.

Da parte loro, la dedicazione dei religiosi è una dedizione di se stessi accettata dalla Chiesa per il suo servizio. Esso costituisce una speciale consacrazione, "che ha radici intime nella consacrazione del battesimo e la manifesta con maggiore pienezza" (PC 5).

Or bene, l'una e l'altra dedizione sono più o meno efficaci, in noi stessi e nella comunità che serviamo, secondo la fedeltà che osserviamo nel vivere la nostra vita, interiore ed esteriore, conforme al dono ricevuto ed all'impegno accettato.

Per poter comprendere e vivere fedelmente tale dedizione è necessario l'aiuto della grazia. Per conseguenza, un sacerdote o persona consacrata deve trovare il tempo per restare sola con Dio, ascoltando quello che egli ha da dirci nel silenzio. Bisogna essere, per ciò, anime di preghiera, anime eucaristiche.


2. E poiché si è anime specialmente consacrate, bisogna essere uomini e donne con una grande comprensione dell'unione ecclesiale, che figura e realizza l'Eucaristia. Vivendo nella Chiesa e per la Chiesa reale, non siamo autonomi o indipendenti, né parliamo in nome proprio né rappresentiamo noi stessi, ma siamo "portatori di un mistero" (1Tm 3,9), infinitamente superiore a noi.

La garanzia di questo carattere ecclesiale della nostra vita è l'unione con il Vescovo e con il Papa. Tale unione, fedele e sempre rinnovata, può a volte essere difficile ed anche comportare rinunzie e sacrifici. Ma non dubitate di accettare gli uni e le altre quando è necessario. E' il "prezzo", il "riscatto" (cfr. Mc 10,45) che il Signore ci chiede, per lui e con lui, per il bene della "moltitudine" (cfr. Mc 10,45) e di voi stessi.

Perché se ogni sacerdote, sia diocesano che religioso, è vincolato al Corpo Episcopale in ragione dell'ordine e del magistero, che serve al bene di tutta la Chiesa, secondo la vocazione e la grazia di ciascuno (cfr. LG 28), anche il religioso è da parte sua chiamato ad inserirsi nella Chiesa locale dal proprio carisma all'amore e rispetto ai pastori, alla dedizione ecclesiale ed alla missione della Chiesa stessa (cfr. PC 6).


3. Questi vincoli comuni all'interno della Chiesa devono condurre ad una stretta unione tra voi stessi. L'Eucaristia, fonte suprema di unità ecclesiale, deve far sentire i suoi frutti costanti di comunione attiva, rinnovandola e rinforzandola ogni giorno di più nell'amore di Cristo.

E così, al di sopra delle diversità e particolarità di ciascuna persona, gruppo o comunità ecclesiale, sia il banchetto eucaristico il centro perenne della nostra comunione nello stesso "corpo" (cfr. 1Co 10,17), nello stesso amore, nella stessa vita di Colui che volle rimanere e rinnovare la sua presenza salvifica, perché avessimo la sua propria vita (cfr. Jn 6,51).


4. Il modo concreto di realizzare quella comunione che esige l'Eucaristia, deve essere la creazione di una vera fraternità. Fraternità sacramentale, di cui tratta l'ultimo Concilio (PO 8), dirigendosi ai sacerdoti, e di cui parla già sant'Ignazio di Antiochia ("Ad Mag.", 6; "Ad Phil.", 5) come un requisito del sacerdozio cattolico.

Una fraternità che deve rafforzare tutti quelli che partecipano dello stesso ideale di vita, di vocazione e di visione ecclesiale. Ma che devono sentire in modo speciale coloro che hanno titoli speciali tra quelli che, come insegna il Vangelo, sono " fratelli" (cfr. Mt 23,8).

Una fraternità che deve diventare presenza di vita e di servizio ai fratelli, nella parrocchia, sulla cattedra, nella scuola, nel ministero sacerdotale, nell'ospedale, nella casa religiosa, nelle baraccopoli e in qualsiasi altro luogo.

Una fraternità tradotta in sentimenti, atteggiamenti e gesti nella realtà di ogni giorno. Vissuta così, forma parte della nostra testimonianza e credibilità dinanzi al mondo. Come la divisione e le fazioni pongono ostacoli nelle vie del Signore.

Ma dobbiamo ben considerare che questa fraternità, frutto dell'Eucaristia e della vita di Cristo, non si limiti ai confini del proprio gruppo, comunità o nazione. Si espande e deve comprendere tutta la realtà universale della Chiesa, che si fa presente in ciascun luogo e paese intorno a Gesù Cristo, salvezza per quanti formano la famiglia dei figli di Dio.


5. La necessità di stabilire un tale clima di fraternità ci porta logicamente a parlare della riconciliazione all'interno della Chiesa e nella società.

Particolarmente nei delicati momenti attuali che la rendono molto più obbligatoria ed urgente.

Tutti conosciamo le tensioni e le ferite che hanno lasciato il loro segno, aggravate dai recenti avvenimenti, nella società argentina; e che bisogna cercare di superare al più presto possibile.

Come sacerdoti, religiosi o religiose, avete l'obbligo di lavorare per la pace e per la mutua edificazione (cfr. Rm 14,19), cercando di creare unanimità di sentimenti degli uni con gli a1tri (cfr. Rm 12,16), insegnando a vincere il male col bene (cfr. Rm 12,21). E aprendo gli spiriti all'amore divino, fonte primaria di comprensione e di trasformazione del cuore (cfr. Is 41,8 Jn 15,14 Jc 2,23 2P 1,4).

A voi tocca esercitare il "ministero della riconciliazione" (cfr. 2Co 5,18), proclamando la "parola di riconciliazione" che vi è stata affidata (cfr. 2Co 5,18). Tutto ciò non si oppone al vero patriottismo, né entra in conflitto con esso. L'autentico amore alla Patria, dalla quale tanto avete ricevuto, può portare fino al sacrificio; ma al tempo stesso bisogna tener conto del patriottismo degli altri, affinché serenamente si comunichino sia l'uno e l'altro vicendevolmente e arricchiscano in una prospettiva di umanesimo e di cattolicità.


6. In questa prospettiva si colloca il mio attuale viaggio in Argentina, che ha un carattere eccezionale, del tutto distinto da una normale visita apostolico-pastorale, che è rinviata ad un'altra opportuna occasione. I motivi di questo viaggio li ho spiegati nella lettera del 25 maggio scorso, che ho indirizzato ai figli e figlie della nazione argentina.

Oggi vengo per pregare con voi nel corso di questi importanti e difficili eventi, che si stanno svolgendo già da alcune settimane.

Vengo a pregare per tutti coloro che hanno perduto la vita, per le vittime di entrambe le parti, per le famiglie che soffrono, come lo ho fatto anche in Gran Bretagna.

Vengo a pregare per la pace, per una degna e giusta soluzione del conflitto armato.

Voi che in questa terra argentina siete per titolo tutto particolare uomini e donne di preghiera, elevatela a Dio con maggiore insistenza, sia in forma personale che comunitaria.

Per parte mia ho desiderato di essere qui per pregare con voi, particolarmente durante questi due giorni.

Concentreremo la preghiera soprattutto in due momenti: dinanzi alla Madre di Dio, nel suo Santuario di Lujan e nella celebrazione del santissimo Corpo e Sangue di Cristo.


7. Conosco il buono spirito ecclesiale e religioso che vi anima. Siete molto numerosi voi che siete venuti a partecipare a questo atto. Ma rappresentate anche gli altri sacerdoti o Famiglie religiose del paese che costituiscono le prime forze vive della Chiesa in questa amata Nazione. Affido a tutti questa importante intenzione. In particolare alle anime consacrate a Dio nel silenzio dei chiostri.

In questi giorni difficili e inquieti, è necessaria in terra argentina la presenza della Chiesa che prega; della Chiesa che dà testimonianza di amore e di pace.

Che questa testimonianza dinanzi a Dio ed agli uomini entri nel contesto degli avvenimenti importanti della vostra storia contemporanea. Che porti in alto i cuori. Poiché a tutti gli avvenimenti della storia umana va unita anche la storia della salvezza.

Che la testimonianza della presenza del Vescovo di Roma e della vostra unione con lui diano un impulso alla storia della salvezza nella vostra terra natia.

Con questi auspici e con profondo affetto per ciascun sacerdote, religioso, religiosa, seminarista e membro degli Istituti ecclesiali di Argentina, presenti ed assenti, vi imparto di cuore la benedizione apostolica.




1982-06-11 Data estesa: Venerdi 11 Giugno 1982




L'omelia della Messa presso il santuario di Lujan - Buenos Aires (Argentina)

Titolo: Scopriamo il mistero dell'amore di Dio guardando con fede alla croce di Cristo

Testo:

Fratelli e sorelle carissimi.


1. Davanti alla bella Basilica di Lujan dedicata alla "Pura e Immacolata Concezione" ci siamo riuniti questo pomeriggio per pregare all'altare del Signore.

Alla Madre di Cristo e Madre di ciascuno di noi, vogliamo chiedere che presenti al Figlio l'ansia vivissima dei nostri cuori afflitti e assetati di pace.

Da lei che, dal 1630, accoglie qui maternamente quanti le si accostano per implorare la sua protezione, vogliamo invocare oggi coraggio, speranza, fraternità.

Davanti a questa Immagine benedetta di Maria, alla quale manifestarono la loro devozione i miei predecessori Urbano VIII, Clemente XI, Leone XIII, Pio XI e Pio XII, viene a inginocchiarsi anche, in comunione di amore filiale con voi, il successore di Pietro sulla cattedra di Roma.


2. La liturgia che stiamo celebrando in questo luogo santo, a cui vengono in pellegrinaggio i figli e le figlie dell'Argentina, pone sotto gli occhi di tutti la Croce di Cristo sul Calvario: "Stavano presso la Croce di Gesù sua Madre, la sorella di sua Madre, Maria di Cleofa, e Maria di Magdala" (Jn 19,25).

Venendo qui come il pellegrino dei momenti difficili, voglio rileggere, in unione con voi, il messaggio di queste parole tanto conosciute, che suonano allo stesso modo nelle distinte parti della terra, e tuttavia diversamente. Sono le stesse nei momenti distinti della storia, pero assumono una eloquenza diversa.

Dall'alto della Croce, cattedra suprema della sofferenza e dell'amore, Gesù parla alla Madre e parla al Discepolo; disse alla Madre: "Donna, ecco tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!" (Jn 19,26-27).

In questo Santuario della nazione argentina, a Lujan, la liturgia parla dell'elevazione dell'uomo per mezzo della croce: del destino eterno dell'uomo in Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Maria di Nazaret.

Questo destino si manifesta con la croce sul Calvario.


3. Di questo destino eterno e molto sublime dell'uomo, iscritto nella Croce di Cristo, offre testimonianza l'Autore della lettera agli Efesini: "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, / che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo" (Ep 1,3).

Questo Cristo lo vediamo al centro della liturgia celebrata qui a Lujan; alto sulla Croce: votato a una morte ignominiosa.

In questo Cristo stiamo anche noi, sollevati a un'altezza alla quale soltanto grazie al potere di Dio può essere sollevato l'uomo: è la "benedizione spirituale".

La elevazione per mezzo della grazia la dobbiamo all'elevazione di Cristo sulla croce. Secondo i disegni eterni dell'amore paterno, nel mistero della Redenzione uno si realizza per mezzo dell'altro e non in altro modo: soltanto per mezzo dell'altro.

Si realizza dunque eternamente, dal momento che eterni sono l'amore del Padre e la donazione del Figlio.

Si realizza anche nel tempo: la croce sul Calvario significa effettivamente un momento concreto della storia dell'umanità.


4. Siamo stati scelti in Cristo "prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto" (Ep 1,4).

Questa scelta comporta il destino eterno nell'amore.

Ci ha predestinati " a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo" (Ep 1,6). Il Padre ci ha dato attraverso il suo "Prediletto" la dignità di suoi figli adottivi.

Tale è la decisione eterna della volontà di Dio. In ciò si manifesta la "gloria della sua grazia" ((Ep 1,6).

E di tutto ciò ci parla la Croce. La Croce che la liturgia di oggi pone al centro dei pensieri e dei cuori di tutti i pellegrini, convenuti dalle diverse parti dell'Argentina al Santuario di Lujan. Oggi è con loro il Vescovo di Roma, in veste di pellegrino degli avvenimenti speciali che hanno colmato di ansietà tanti cuori.


5. Sono dunque con voi, cari fratelli e sorelle, e insieme con voi torno a leggere questa profonda verità dell'elevazione dell'uomo nell'amore eterno del Padre: verità testimoniata dalla croce di Cristo.

"In lui siamo stati fatti eredi... perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi che abbiamo sperato in Cristo" (Ep 1,11-12).

Dobbiamo guardare verso la Croce di Cristo con gli occhi della fede e scoprire in essa il mistero eterno dell'amore di Dio di cui ci parla l'Autore della lettera agli Efesini. Tale è, secondo le parole che abbiamo appena ascoltato, "il piano di colui che tutto opera efficacemente, conforme alla sua volontà" (Ep 1,11).

La volontà di Dio è l'elevazione dell'uomo per mezzo della Croce di Cristo alla dignità di figlio di Dio.

Quando guardiamo la Croce, vediamo in essa la Passione dell'uomo: l'agonia di Cristo.

La parola della rivelazione e la luce della fede ci consentono di scoprire attraverso la Passione di Cristo l'elevazione dell'uomo. La pienezza della sua dignità.


6. E' così che, quando con questo sguardo abbracciamo la Croce di Cristo, assumono per noi un'eloquenza ancora maggiore le parole rivolte, dall'alto di questa croce, a Maria: "Donna, ecco tuo figlio!" (Jn 19,26). E a Giovanni: "Ecco tua madre!" (Jn 19,27).

Queste parole fanno parte come di un testamento del nostro Redentore.

Colui che con la sua croce ha realizzato il Disegno eterno dell'Amore di Dio, che ci restituisce con la croce la dignità di figli adottivi di Dio, lo stesso ci affida, nel momento culminante del suo sacrificio, alla propria Madre come figli.

In effetti, riteniamo che la frase "ecco tuo figlio" si riferisce non solo all'unico discepolo che è rimasto presso la croce del suo Maestro, ma anche a tutti gli uomini.


7. La tradizione del Santuario di Lujan ha posto queste parole al centro stesso della liturgia, alla cui partecipazione invita tutti i pellegrini. E' come se volesse dire: imparate a guardare il mistero che costituisce la grande prospettiva per i destini dell'uomo sopra la terra, e anche dopo la morte. Sappiate anche essere figli e figlie di questa Madre, che Dio nel suo amore ha dato al proprio figlio come Madre.

Imparate a guardare in questo modo, specialmente nei momenti difficili e nelle circostanze di maggiore responsabilità; fate così in questo momento in cui il Vescovo di Roma vuole stare con voi come pellegrino, pregando ai piedi della Madre di Dio a Lujan, Santuario della nazione argentina.


8. Meditando sul mistero dell'elevazione di ciascun uomo in Cristo: di ciascun figlio di questa Nazione, di ciascun figlio dell'umanità, ripeto con voi le parole di Maria: Grandi cose ha fatto in noi l'Onnipotente (cfr. Lc 1,49) "il cui nome è santo. / Di generazione in generazione la sua misericordia / si stende su quelli che lo temono. / Ha spiegato la potenza del suo braccio / e ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore... / Ha soccorso Israele, suo servo, / ricordandosi della sua misericordia. / Come aveva promesso ai nostri padri, / ad Abramo e alla sua discendenza, / per sempre" (Lc 1,49-55).

Figli e figlie della terra argentina, che vi trovate riuniti in questo Santuario di Lujan! Rendete grazie al Dio dei vostri padri per l'elevazione di ciascun uomo in Cristo, Figlio di Dio! Da questo luogo in cui il mio predecessore Pio XII credette di giungere "al fondo dell'anima del gran popolo argentino" ("Radiomessaggio in occasione del Primo Congresso Mariano Nazionale", 12 ottobre 1947), continuate a crescere nella fede e nell'amore per l'uomo.

E tu, Madre, ascolta i tuoi figli e figlie della nazione argentina, i quali accolgono come dirette a loro le parole pronunciate dalla croce: Ecco tuo figlio! Ecco tua Madre! Nel mistero della redenzione, Cristo medesimo ci affido a te, tutti e ciascuno.

Al Santuario di Lujan siamo venuti oggi nello spirito di questo affidamento. E io - Vescovo di Roma - vengo anche per pronunciare questo atto di offerta a te di tutti e di ciascuno.

In modo speciale affido a te tutti coloro che, a causa dei recenti avvenimenti, hanno perduto la vita: raccomando le loro anime al riposo eterno nel Signore. Ti affido ugualmente quelli che hanno perduto la salute e si trovano ricoverati in ospedale, affinché nella prova e nella sofferenza il loro animo si senta confortato.

Ti raccomando tutte le famiglie e la Nazione. Che tutti siano partecipi di questa elevazione dell'uomo in Cristo proclamata dalla liturgia di oggi. Che possano vivere la pienezza della fede, la speranza e la carità come figli e figlie adottivi del Padre Eterno nel Figlio di Dio.

Che attraverso la tua intercessione, o Regina della pace, si trovino le vie per la soluzione dell'attuale conflitto, nella pace, nella giustizia e nel rispetto della dignità propria di ciascuna nazione.

Ascolta i tuoi figli, mostra loro Gesù, il Salvatore, in quanto cammino, verità, vita e speranza. Così sia.




1982-06-11 Data estesa: Venerdi 11 Giugno 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Messaggio ai cattolici - Austria