GPII 1982 Insegnamenti - Ai Vescovi dell'Argentina nella Curia metropolitana - Buenos Aires (Argentina)

Ai Vescovi dell'Argentina nella Curia metropolitana - Buenos Aires (Argentina)

Titolo: Il Vescovo è testimone di universalità non solo nella Chiesa ma anche nel mondo

Testo:

Signori Cardinali e carissimi fratelli nell'Episcopato.


1. Sono sicuro che potreste leggere nel mio animo sentimenti che le parole non possono adeguatamente esprimere: in primo luogo quanto sono consolanti per me questi incontri con voi in terra di Argentina.

Con voi, che lo Spirito Santo ha posto come Pastori (cfr. Ac 20,30) delle numerose Chiese particolari, che vivono la loro fede e speranza in tutta la geografia di questa amata Nazione cattolica.

Con voi anche rappresentanti delle Conferenze Episcopali di altri Paesi vicini ed il CELAM, che siete venuti ad unirvi alla preghiera ed ai propositi di pace dei vostri fratelli dell'Argentina.

Saluto tutti di cuore con le parole del primo Vescovo di Roma: "In fraternitatis amore" (1P 1,22) e "In osculo sancto" (1P 5,14).


2. Per la terza volta la Divina Provvidenza dirige i miei passi verso l'America Latina. Qui in Argentina si rinnova l'emozione delle precedenti visite alla Chiesa - pastori e fedeli - di questo grande sub-continente: quella di Santo Domingo, Messico e Brasile.

Anche l'attuale incontro ha un aspetto e significato molto diversi dai precedenti. In un momento di ansietà e di sofferenza per questa Nazione e il suo popolo, mi sono sentito spinto ad intraprendere l'imprevisto viaggio. Mi ha spinto a venire quell'insieme di ragioni che ho voluto manifestare ai figli e figlie dell'Argentina con la lettera che ho loro inviato, con tanto affetto e fiducia il 25 maggio scorso. Sono venuto perché mi premeva confermare con la mia presenza il profondo affetto che nutro per voi e per condividere con voi il mio anelito di pace e di concordia con il mondo intero.


3. Mentre vivo con voi, fratelli Vescovi, questa ora di profonda comunione, una stupenda immagine ecclesiale affiora al mio spirito: l'immagine del Popolo di Dio, magnificamente delineata in quel denso capitolo II della "Lumen Gentium".

In questo Popolo di Dio brilla come una delle sue dimensioni più ammirevoli la cattolicità o universalità. Esso in effetti è costituito da uomini e genti disseminate per tutto l'orizzonte della terra, convocati e congregati da Gesù, Capo di questo popolo, e dallo Spirito Santo, che di questo stesso popolo è anima, principio di vita e di coesione.

Così quindi il Popolo di Dio non si limita ai confini, necessariamente ristretti, di una nazione, razza o cultura ma si estende per tutto l'universo. Ma non ignora o disprezza le nazioni, le razze o le culture. La sua grandezza e originalità sta precisamente nell'amalgamare in una unità viva, organica e dinamica le più diverse razze; di modo che né l'unità soffra di lacerazioni, né la diversità perda le sue essenziali ricchezze.

Da una meditazione sul capitolo II, e particolarmente sul n.13 della "Lumen Gentium" è possibile ricavare sempre, con rinnovato godimento spirituale, nuovi e fecondi insegnamenti o dal più profondo contenuto teologico. Oggi voglio limitarmi a due riflessioni che ritengo più appropriate alla circostanza che viviamo.


4. La prima è che, alla luce della teologia del Popolo di Dio, si illumina con più chiarezza la duplice condizione - non contrapposta ma complementare - del cristiano. Difatti, il cristiano è membro della Chiesa, la quale è riflesso e preludio della Città di Dio. Ed è insieme cittadino di una Patria terrena concreta, dalla quale riceve tante ricchezze di lingua e di cultura, di tradizione e di storia, di carattere e di modo di vedere l'esistenza, gli uomini, il mondo.

Questa specie di cittadinanza cristiana e spirituale non esclude né distrugge quella umana. Piuttosto, essendo per sua natura una cittadinanza universale e capace di oltrepassare le frontiere, quella cittadinanza caratteristica del Popolo di Dio si mostra tanto più ricca tanto più si fanno presenti in essa gli aspetti e le varie identità di tutti i popoli che la compongono.


5. La seconda riflessione esplicitamente menzionata nella "Lumen Gentium" riveste una particolare importanza per noi. Il Popolo di Dio, esattamente perché è una unità nella varietà, una comunità di uomini e di popoli diversi - "linguarum multarum", per dirlo con parole della liturgia di Pentecoste - che non perdono la propria diversità, appare come presagio e figura; anzi di più, come germe e principio vitale della pace universale. Poiché la comunione armoniosa nella diversità che si riscontra nel Popolo di Dio suscita il desiderio che lo stesso avvenga nell'universo. Anzi di più: quello che avviene nel Popolo di Dio serva di base perché la stessa cosa si realizzi fra gli uomini.


6. In questo senso, l'universalità, dimensione essenziale nel Popolo di Dio, non si oppone al patriottismo né entra in conflitto con esso. Al contrario lo integra, rafforzando in esso i valori che possiede; soprattutto l'amore alla propria Patria, portato, se è necessario, fino al sacrificio; ma allo stesso tempo aprendo il patriottismo di ciascuno al patriottismo degli altri, affinché siano intercomunicanti e si arricchiscano.

La pace vera e duratura deve essere frutto maturo di una raggiunta integrazione di patriottismo e universalità.


7. Queste verità, anche se appena tratteggiate, diffondono già una luce nuova anche sulla missione dei Vescovi.

Effettivamente, in virtù della funzione spirituale che esercita dinanzi al Popolo di Dio - un Popolo di Dio concreto, incarnato in un determinato settore dell'umanità - ciascun Vescovo è, per vocazione e carisma, testimone di "cattolicità", sia considerata questa a livello diocesano, nazionale o universale, ma è, allo stesso tempo, testimone di ciò che chiamiamo "patriottismo", inteso qui come l'appartenenza ad un determinato popolo con le sue ricchezze spirituali e culturali che più le sono proprie.

Da qui derivano le due dimensioni della missione episcopale: quella del servizio al "particolare" - ad una sua diocesi e, per estensione, alla Chiesa locale del Paese - e l'apertura al "cattolico", all'"universale" a livello continentale o mondiale.

Messi dallo Spirito Santo in questo punto di convergenza di ambedue le dimensioni, il Vescovo ha l'obbligo e il privilegio, la gioia e la croce di essere promotore dell'identità irrinunciabile delle diversa realtà che compongono il suo popolo; senza tralasciare di condurle a quella unità senza la quale non esiste il Popolo di Dio. In tal modo egli aiuta quelle distinte realtà ad arricchirsi nel contatto, anzi, di più, nella mutua interazione.


8. Ed è esattamente per questo che la missione del Vescovo ha sempre un aspetto che non ho motivo di dissimulare.E' facile ed a volte può essere comodo lasciare le cose diverse abbandonate alla loro dispersione. E' facile, collocandosi all'altro estremo, ridurre con la forza la diversità ad una uniformità monolitica ed indiscriminata.

E' difficile, invece, costruire l'unità conservando, anzi meglio, fomentando, la giusta varietà. Si tratta di saper armonizzare i valori legittimi delle diverse componenti dell'unità, superando le naturali resistenze, che sorgono con frequenza da ciascuna di essa.

perciò, essere Vescovo, sarà essere sempre artefice di armonia, di pace e di riconciliazione.

Quindi possiamo ascoltare con molto profitto il testo della seconda lettera ai Corinzi nella quale san Paolo, cercando di illustrare tutta l'ampiezza della vocazione apostolica, segnala tra gli altri il seguente aspetto: "Dio... ci ha affidato il ministero della riconciliazione, ...la parola della riconciliazione" (2Co 5,18 2Co 5,19).Non a caso ma certo con una precisa intenzione, san Paolo si riferisce alla parola di riconciliazione, vale a dire, annuncio, esortazione, denuncia, ordine, che ciascun apostolo e successore degli Apostoli deve associare ad un servizio di riconciliazione, ossia opera, passi concreti, sforzo. Entrambe le cose sono necessarie ed indispensabili: la parola si completa con il ministero.


9. Penso che non sia superfluo, a questo proposito, sottolineare un elemento fondamentale.E' nel cuore della Chiesa, comunità di credenti, dove principalmente il Vescovo si mostra come riconciliatore; sforzandosi continuamente, con la sua parola e il suo ministero, per fare e rifare la pace e la comunione, disgraziatamente sempre minacciata. Per non dire lacerata a causa dell'"umana fragilità", anche fra i seguaci di Gesù Cristo e fratelli in lui.

Ma non lo dimentichiamo mai: la Chiesa deve essere "forma mundi" anche nel piano della pace e della riconciliazione. perciò un Pastore della Chiesa non può tacere "verbum reconciliationis", né dispensarsi del "ministerium reconciliationis" anche per il mondo nel quale le fratture e le divisioni, gli odi e le discordie, rompono costantemente l'unità e la pace. Non lo farà con gli strumenti della politica, ma con la parola umile e convincente del Vangelo.


10. Successore dell'apostolo Pietro, vostro fratello maggiore e servitore dell'unità, perché non proclamare dinanzi a voi che di fronte ai tristi eventi nell'Atlantico del Sud, mi sono voluto fare anch'io con voi araldo e ministro di riconciliazione? Sapevo bene che nel dirigere i miei passi verso la Gran Bretagna - nell'esercizio di una missione strettamente pastorale che non era soltanto del Papa ma di tutta la Chiesa - qualcuno avrebbe forse potuto interpretare una tale missione in chiave politica deviandola dal suo puro significato evangelico.

Tuttavia ritenni che la fedeltà al mio proprio ministero esigeva da me di non fermarmi dinanzi alle possibili interpretazioni inesatte, ma di compiere il mandato di proclamare con mansuetudine e fermezza il "verbum reconciliationis".

E' vero che volli prima incontrarmi ripetutamente con autorevoli rappresentanti dell'Episcopato di Argentina e di Gran Bretagna, per chiedere il loro parere e consigli in un problema di tanta importanza per le Nazioni interessate e per le Chiese che in esse si trovano.

Quindi volli celebrare una solenne Eucaristia nella Basilica di san Pietro con alcuni Pastori dei Paesi coinvolti nel conflitto. La commovente testimonianza di comunione che, anche in mezzo alla lotta tra i loro Paesi d'origine diedero quei Pastori "in uno calice et in uno pane", si arricchi anche di più con la dichiarazione comune che firmarono dopo la Messa.

E non ho bisogno di commentare qui la già ricordata Lettera firmata di mio proprio pugno che, come soleva fare san Paolo, scrissi "agli amati figli e figlie della nazione argentina". Fu una parola uscita dal cuore, in un'ora di sofferenza per il vostro popolo, al fine di annunziare il mio ardente desiderio di venire a trovarvi.

Mi rallegra molto, infine, che i vostri fratelli Vescovi della Gran Bretagna, durante il mio viaggio in quei Paesi, hanno avuto il nobile e delicato gesto di scrivervi, per sigillare ancora più fortemente questo "vinculum pacis" tra Pastori. Voglia Dio che il "vinculum pacis" raggiunga sempre i vostri popoli e nazioni.

In tutti questi gesti come non vedere chiare espressioni dei "verbum reconciliationis" unito al "ministerium reconciliationis"?


11. Oggi, carissimi fratelli, la solennità del "Corpus Christi" ci trova radunati nell'unità che sgorga dalla comunione dell'unico Signore e nello stesso pane.

Vengo a unire la mia voce e la mia supplica alla vostra. Come l'ho fatto in Gran Bretagna, vengo a pregare per i caduti nel conflitto, a portare conforto e consolazione a tante famiglie angosciate per la morte di persone care. Ma vengo soprattutto a pregare con voi e con i vostri fedeli affinché l'attuale conflitto trovi una soluzione pacifica e stabile, nel rispetto della giustizia e della dignità dei relativi popoli.

E come è un compito del Vescovo di Roma fomentare l'unione tra i fratelli, io vorrei confermarvi nella vostra propria missione di riconciliatori.

Proclamando che è più grande ed urgente, anche se difficile e costosa, una tale missione. Supplicandovi allo stesso tempo di rimanere con me nel compimento deciso di un tale compito, facilitando così il mio.


12. Vi ringrazio di cuore della vostra accoglienza e di tutti i vostri sforzi e sofferenze. E insieme chiediamo allo Spirito Santo, autore della autentica unità, che ci dia la sua grazia e la perseveranza nella ricerca dell'amore e della pace nella società argentina.

Ma non soltanto in essa. In questa ora in cui tutta l'America Latina dà prove di maggior coesione, in cui affannosamente cerca la sua piu profonda identità e il suo proprio carattere, è importante la presenza riconciliatrice della Chiesa, affinché un continente che possiede un "reale fondamento cattolico" ("Puebla", 412), conservi le ispirazioni ideali che lo hanno configurato.

In mezzo alle speranze ed ai pericoli che possono intravvedersi all'orizzonte, ed in vista delle latenti tensioni che affiorano di tanto in tanto, è necessario offrire un servizio di pacificazione in nome della fede e della mutua comprensione, affinché le ricchezze religiose e spirituali, veri fondamenti di unità, siano molto più forti di qualunque seme di disunione.


13. Vi conforti e vi incoraggi in ciò la Vergine Maria, Regina della pace.

Ai piedi di questa dolce Madre ci siamo incontrati ieri nel suo Santuario di Lujan, cuore mariano dell'Argentina. Insieme pregheremo per la pace.

Non soltanto per quella pace che consiste nel silenzio delle armi, ma anche per quella, piena, che è l'attributo di cuori riconciliati e liberi da risentimenti.

Fin da ora prego santa Maria di Buenos Aires che conceda a tutti e a ciascuno dei Vescovi argentini, la grazia di servire Gesù e la sua Chiesa con una devozione piena di gioia interiore.

Con questa invocazione, carissimi fratelli, vi do la mia particolare benedizione apostolica. Vi chiedo di unirvi a me, per estendere questa benedizione ad ogni focolare argentino, soprattutto a quelli dove vi sono lacrime nate dalla guerra. Il Signore dia ad essi il conforto e la pace.




1982-06-12 Data estesa: Sabato 12 Giugno 1982




Buenos Aires - Cile

Titolo: Lettera ai fedeli del Cile, consegnata al cardinale Silva Henriquez

Testo:

Ai cari figli e figlie della Nazione Cilena Il mio fraterno incontro con un gruppo dei vostri Vescovi, presenti in questa Nazione sorella, mi porta idealmente a voi e fa più intenso l'anelito che sento da molto tempo di trovarmi nella vostra terra per respirare direttamente la realtà e la profondità dei valori con cui Dio vi ha arricchito e per incitarvi a proseguire fedelmente nella realizzazione degli impegni umani e della missione cristiana che Egli vi ha affidato.

So che vi sarebbe piaciuto avermi già adesso tra voi. Comprendo i vostri desideri, e mi duole veramente non poterli soddisfare in questa occasione.

Conoscete il motivo specifico della mia nuova e rapidissima visita al caro continente sudamericano: il viaggio pastorale in Gran Bretagna, assolutamente inderogabile per multiple ragioni e il grave conflitto che da alcune settimane contrappone questa nazione all'Argentina, mi hanno spinto a manifestare in maniera sollecita e visibile il mio impegno per conseguire la pace e ad incontrarmi personalmente con i figli dell'uno e dell'altro Paese, elevando fervide preghiere al Padre comune affinché cessi quanto prima la situazione drammatica che sta originando intenso dolore ed inenarrabili preoccupazioni.

Vi confido che fin dal gennaio del 1979, quando il vostro governo e il governo argentino mi chiesero che li aiutassi, come mediatore, nel conflitto della zona austarle, sto anelando il momento in cui mi sarà concessa la grazia impagabile di visitare allo stesso tempo i figli di entrambi le nazioni, per unirmi alla gioia di tutti in rendimento di grazie a Dio per la conclusione definitiva di questa controversia e per il consolidamento perenne della pace e dell'amicizia tra i due Paesi a me così cari.

Da qui, attraversando in spirito la Cordigliera Andina che, abbraciata da Cristo Redentore, vincola strettamente la vostra nazione all'Argentina, mi metto in ginocchio davanti a Nostra Signora del Carmine nel santuario di Maipù - come ho fatto nel santuario di Nostra Signora di Lujan con i vostri fratelli argentini - e insieme a voi chiedo alla Nostra Madre Santissima che ci ottenga il favore che presto possano essere esauditi questi desideri, in una visita pastorale ad entrambi Paesi.

Sin d'ora vi confermo il profondo affetto che sento per il popolo cileno e vi assicuro di ricordarvi in maniera speciale durante queste brevi ore che trascorro così vicino a voi. Prego anche per il vostro benessere spirituale e materiale. Ricevete la mia più cordiale benedizione apostolica.

Buenos Aires, 12 Giugno 1982.


IOANNES PAULUS PP.II [Traduzione dallo spagnolo]




1982-06-12 Data estesa: Sabato 12 Giugno 1982




L'omelia della Messa per il popolo argentino - Buenos Aires (Argentina) Titolo: La dignità della nazione si basi sempre sulla dignità di ogni uomo, figlio dell'adozione divina

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. In questo bel posto del monumento agli Spagnoli, a Buenos Aires, ci troviamo qui riuniti per tributare un omaggio di fede e di venerazione a Cristo nell'Eucaristia, all'amore che unisce, riconcilia e innalza la dignità dell'uomo.

E' un luogo che non solo è legato al ricordo del primo centenario della vostra indipendenza, ma che costituisce anche un centro importante nella vita quotidiana degli abitanti, adulti e ragazzi, della città capitale della nazione.

Inoltre, questa piazza è unita alla memoria del XXXII Congresso Eucaristico Internazionale del 1934. Un avvenimento che ebbe tanta importanza per la rinascita della vita cattolica in Argentina. E che vide la presenza come "Legato a Latere" dell'allora Cardinale Eugenio Pacelli, in seguito Pio XII.

La grande croce che tanto si ricorda, e che copriva con le sue braccia questo monumento, era il simbolo eloquente della Croce di Cristo che si è innalzata sulla vostra storia, in momenti gioiosi e difficili come segno di redenzione e di speranza.

In questo luogo ci accingiamo a celebrare oggi la commemorazione del Mistero d'Amore e del Corpo e del Sangue del Signore.


2. "Pange lingua gloriosi / Corporis mysterium, / Sanguinisque pretiosi..." Ieri, nel Santuario della Madre di Dio a Lujan, Santuario della nazione argentina, abbiamo meditato, seguendo la parabola della liturgia, sul mistero dell'elevazione dell'uomo nella Croce di Cristo.

Dall'alto della Croce giungono a ciascuno di noi le parole: "Donna, ecco tuo figlio!" e "Ecco tua madre!" (Jn 19,26-27); ed abbiamo ascoltato queste parole nei cuori, come preparazione alla solennità di oggi: la solennità del santissimo Corpo e Sangue di Cristo.

Ancora una volta guardiamo alla Croce: al Corpo di Cristo che soffre nelle contrazioni della morte; e rivolgiamo lo sguardo alla Madre: a questa Madre che i figli e le figlie della terra argentina venerano nel Santuario di Lujan. "Ave verum corpus natum / de Maria Virgine, / vere passum immolatum / in Cruce pro homine...".

Oggi veneriamo precisamente questo Corpo: Corpo divino del Figlio dell'uomo, dal Figlio di Maria.

Il santissimo Sacramento della nuova alleanza. Il maggior tesoro della Chiesa. Il tesoro della fede di tutto il Popolo di Dio.


3. La solennità di questo giorno ci invita a tornare al cenacolo del Giovedi Santo. "Dov'è il luogo dove posso consumare la Pasqua con i miei discepoli?" (Mc 14,14). Così chiesero i discepoli di Gesù di Nazaret ad un uomo che incontrarono lungo il cammino.

Lo fecero seguendo le istruzioni del Maestro. E anche secondo queste istruzioni "prepararono la Pasqua" (Mc 14,16).

Mentre mangiavano, Gesù "prese il pane e benedicendolo, lo spezzo, lo dette ai suoi discepoli e disse: "Prendete, questo è il mio corpo..."" (Mc 14,22).

In quel momento, agendo secondo il suo ordine, chissà, saranno apparse nella loro memoria le parole che Gesù pronuncio un giorno, vicino a Cafarnao: "Io sono il pane vivo disceso dal cielo; chiunque mangia di questo pane vivrà in eterno" (Jn 6,51).

Quel giorno santo, nel cenacolo, si accorsero forse che era arrivato il tempo del compimento di quella promessa fatta vicino a Cafarnao, promessa che ad alcuni sembrava difficile da accettare? Cristo dice: "Prendete, questo è il mio corpo..." offrendo loro da mangiare il pane. Questo pane si converte nel suo Corpo, Corpo che il giorno seguente sarà consegnato al sacrificio della croce.

Corpo martirizzato che suderà Sangue.

Cristo nel cenacolo prende il calice e dopo aver reso grazie lo dà loro dicendo: "Questo è il mio Sangue dell'alleanza, sparso per molti" (Mc 14,24).

Sotto l'aspetto del vino i discepoli ricevono il Sangue del Signore e allo stesso tempo partecipano alla Nuova ed Eterna alleanza che viene stipulata con il Sangue dell'Agnello di Dio.

La festa del "Corpus Christi" - solennità dell'Eucaristia - è, allostesso tempo, "la Festa della Nuova ed Eterna Alleanza", che Dio ha sigillato con l'umanità nel Sangue di suo Figlio.


4. Questa alleanza - Nuova ed Eterna - fu annunciata ed iniziata nell'Antica alleanza di cui parla la lettura di oggi, presa dal libro dell'Esodo.

Tale alleanza fu stabilita mediante il sangue degli animali sacrificati con il quale Mosè cosparse i figli d'Israele. Il popolo cosparso di questo sangue promise fedeltà alla parola del Signore, promessa contenuta nel libro dell'alleanza: "Tutto quanto il Signore dice lo metteremo in pratica e ubbidiremo" (Ex 24,7).

La Nuova ed Eterna alleanza, il cui sacramento è stato istituito nel cenacolo pasquale, non si fonda sulla parola scritta nel Libro.

Il Verbo si fece Carne. La Nuova alleanza si compie per mezzo del divino Corpo del Figlio dell'uomo. Si compie per mezzo del Sangue sparso sulla croce durante la passione. La nuova alleanza si converte nel sacramento dal Corpo e del Sangue di Cristo.

Il Corpo consegnato alla passione e alla morte e il Sangue sparso sono il Sacrificio di espiazione. Con questo sacrificio del Figlio Prediletto è stata sigillata l'alleanza definitiva con Dio: alleanza nuova ed eterna.

Oggi celebriamo in maniera particolare i segni di questa alleanza: il Corpo e il Sangue del Signore.


5. Quella alleanza, compiuta una sola volta sulla Croce, istituita una sola volta come sacramento nel cenacolo, rimase intatta: Gesù Cristo - come proclama l'Autore della lettera agli Ebrei - "entro una volta per sempre nel santuario... dopo avere ottenuto per noi una redenzione eterna" (cfr. 9,12).

Si può anche dire che Gesù Cristo entra incessantemente in questo santuario nel quale si decise il destino eterno dell'uomo in Dio, nel quale si completa la sua elevazione definitiva alla dignità di figlio adottivo. In questo consiste realmente la "redenzione eterna".

Molto più di qualsiasi sacrificio; esclama ancora l'Autore della lettera agli Ebrei: "Quanto più il sangue di Cristo che con uno Spirito eterno offri se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente!" (He 9,14).

Il Corpo divino porta con sé la nuova alleanza nel Sangue di Cristo.

Questo Sangue, sgorgando dal Corpo Crocifisso sul Golgota, porta la morte e allo stesso tempo dà la Vita.

La morte dà la Vita! Questa vita trae la sua origine non nel corpo che muore, ma nello Spirito Immortale: nello Spirito Eterno.

Egli, che è Dio, della stessa sostanza del Padre e del Figlio, "dà la vita" (come professiamo nel Credo dal tempo del Concilio di Costantinopoli). Con il suo influsso vivificatore si fanno vive le opere delle coscienze umane: vive dinanzi al Dio vivente. In questo modo il Sangue dell'Agnello di Dio, sparso una volta sul Golgota, si converte nel Santuario Eterno dei destini divini dell'uomo: la fonte della Vita.

Attraverso di lui, egli: Cristo (Cristo: Corpo e Sangue divini) è il Mediatore della Nuova alleanza, perché dalla morte (sofferta sul Golgota) "coloro che sono stati chiamati ricevano le promesse dell'eredità eterna" (He 9,15).


6. Ecco il mistero del Corpo di Dio e del suo santissimo Sangue. Il mistero sul quale ho avuto la grazia di poter meditare insieme a voi, cari figli e figlie della nazione argentina.

Ieri nel Santuario della Madre di Dio a Lujan abbiamo meditato seguendo la parola della liturgia, sull'elevazione dell'uomo mediante la Croce di Cristo e la dignità del Figlio dell'adozione divina.

Oggi, con la liturgia del "Corpus Christi", troviamo lo stesso mistero al centro della Nuova ed Eterna alleanza. Questo mistero è una realtà che resta sempre e sta sempre tra Dio Infinito e ogni uomo, senza alcuna eccezione.

Siamo tutti nel suo abbraccio.

Tutti siamo chiamati e invitati a ricevere il sacramento del Corpo e del Sangue, nel quale sta scritta tutta la verità e la realtà della Nuova ed Eterna alleanza.

L'elevazione dell'uomo sulla Croce di Cristo è ratificata dal "Mangiate e Bevete", che danno la misura di questa elevazione. L'Eucaristia ci parla ogni volta che si realizza questa elevazione nel segno sacramentale dell'alleanza con l'uomo, il cui prezzo ha pagato Gesù Cristo con il suo proprio Corpo e Sangue.

Nella passione e nella morte ha posto il principio della Risurrezione e della Vita.


7. Cari figli e figlie della terra argentina! Medito con voi - come pellegrino - queste verità perenni della nostra fede. Com'è bello che questo nostro breve incontro in questa occasione abbia luogo nel segno della solennità del santissimo Corpo e Sangue di Cristo.

Ho desiderato molto avere con voi questo incontro - indipendentemente da una normale visita pastorale alla Chiesa in Argentina, alla quale d'altronde penso continuamente -; l'ho molto desiderato alla luce soprattutto dei difficili e importanti avvenimenti delle ultime settimane.

La verità sul Corpo e sul Sangue di Cristo - segno della Nuova ed Eterna alleanza - sia luce per tutti quei figli e figlie, siano essi argentini o inglesi, che nel corso dei recenti scontri bellici hanno sofferto la morte, spargendo il proprio sangue. Che questa verità vivificatrice, unita alla certezza dell'elevazione dell'uomo sulla Croce di Cristo, non cessi mai di servire da ispirazione a tutti i viventi, figli o figlie di questa terra, che desiderano costruire il loro presente e futuro con la migliore buona volontà.

Che il Corpo e il Sangue di Cristo non cessino di essere l'alimento di tutti lungo questi difficili cammini, che il Corpo e il Sangue di Cristo vi conducano attraverso la patria terrena in uno spirito d'amore e di servizio, affinché la dignità della nazione si basi, sempre e ovunque, sulla dignità di ogni uomo come figlio dell'adozione divina.

Con questo desiderio di amore e di servizio, prima di concludere questo incontro di fede, non posso fare a meno di rivolgere una parola speciale ai giovani argentini.

Cari amici, siete stati costantemente nel mio animo durante questi giorni. Ho apprezzato in modo particolare la vostra accoglienza e il vostro atteggiamento. E ho visto nei vostri occhi l'implorazione ardente della pace che vi sgorga dallo spirito.

Unitevi anche ai giovani di Gran Bretagna, i quali nei giorni scorsi hanno applaudito e sono stati parimenti sensibili a ogni invocazione di pace e di concordia. A questo proposito, con vera gioia vi trasmetto un messaggio ricevuto per voi. Giacché essi medesimi mi hanno chiesto, soprattutto nell'incontro di Cardiff, che facessi giungere a voi il loro sincero desiderio di pace.

Non lasciate che l'odio faccia appassire le energie generose e la capacità di intendervi con tutti, che portate dentro di voi. Fate con le mani unite - insieme con la gioventù latino-americana, la quale a Puebla si affido alla sollecitudine speciale della Chiesa - una catena di unione più forte delle catene della guerra. Così sarete giovani e preparatori di un mondo futuro migliore; così sarete cristiani.

Da questo luogo, dal quale con l'inno del Grande Congresso Eucaristico supplicaste il Dio dei cuori che insegnasse l'amore alle nazioni, da questo luogo, ora, s'accenda in ogni cuore argentino e in tutta la società, l'amore, il rispetto per ogni persona, la comprensione e la pace. Così sia.




1982-06-12 Data estesa: Sabato 12 Giugno 1982




Il congedo dall'Argentina, all'aeroporto - Buenos Aires (Argentina)

Titolo: Due popoli aspirano alla pace e la invocano ansiosamente

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. Sono in procinto di concludere la visita nel vostro amato Paese, che ho intrapreso in nome della pace in frangenti dolorosi della vostra storia.

Questo viaggio e quello compiuto in precedenza in Gran Bretagna mi hanno consentito di assolvere il mio dovere di Pastore della Chiesa universale, e insieme di interpellare le coscienze affinché, in momenti di scontri bellici, si ristabiliscano nelle due parti in conflitto sentimenti di pacificazione, che vanno ben al di là del silenzio delle armi. Chiedo a Dio che si traduca in realtà operante la profonda convinzione che bisogna impiegare tutti i mezzi possibili per conseguire una pace giusta, onorevole e duratura.

Nei contatti avuti in queste circostanze ho potuto costatare che i due popoli, addolorati per le rovine della guerra e angosciati soprattutto per la perdita di giovani vite, che gettano nel lutto e nelle lacrime tante famiglie, aspirano alla pace e la invocano ansiosamente.

Vogliano, pertanto, i responsabili dei due Paesi e della comunità internazionale, la quale anch'essa guarda con motivata apprensione all'attuale momento di tensioni e di lotte, restituire prima di ogni altra cosa alle famiglie delle due Nazioni ciò che esse maggiormente agognano: la vita e la serenità dei propri figli o persone care, prima che nuovi sacrifici si aggiungano a quelli già consumati. Non si esiti nel cercare soluzioni, che facciano salvo l'onore di entrambe le parti e ristabiliscano la pace.


2. Vi lascio come frutto della mia visita alla nobile nazione argentina il messaggio proclamato al cospetto dei vostri Pastori, anime consacrate, e al cospetto di tutti voi. Siano la preghiera elevata alla Madre di Lujan e la forza dell'amore che nasce dall'Eucaristia ispirazione costante lungo i sentieri della fedeltà verso Cristo che egli stesso ci chiede.

Per queste intenzioni continuero a pregare senza sosta, insieme a voi, affinché abbia presto termine la prova attuale.


3. Alle Supreme Autorità e a tutti gli argentini, dai quali ho avuto tante dimostrazioni di stima e deferenza e mi sono stati affettuosamente vicini durante la mia visita, sono profondamente grato per tutte le squisite attenzioni ricevute, che trovano in me sentimenti di ininterrotta benevolenza per i figli di questo amato popolo.

Grazie per il vostro commovente entusiasmo che, malgrado il delicato momento che sta attraversando la vostra nazione, mi ha riservato una accoglienza così eloquente e calorosa. Le cordiali e grandiose manifestazioni di affetto che ho ricevuto nell'attraversare le vostre piazze, avenidas, - 9 de Julio, Rivadavia - soprattutto e innanzitutto la vostra presenza nei luoghi di preghiera, mi ha lasciato un'impressione che ha profondamente inciso nella mia anima. Le vostre preghiere, applausi, sorrisi erano una costante supplica di pace, una continua prova del vostro amore alla pace.

Continuate su questo cammino a cui vi ho esortato senza interruzione. In un manifesto lungo il mio percorso ho visto scritto: "Vogliamo essere la tua gioia". Cari amici: siate la gioia di Cristo nella vostra fedeltà alla fede; siate la gioia della Chiesa; siate la gioia della gioventù del mondo, vivendo e proclamando senza interruzione il vostro impegno di pace. Siate la gioia del Papa che vi vuole giovani autentici distruttori di odio e costruttori di un mondo migliore.

Con un "a presto" mi congedo da tutti benedicendo ogni argentino, soprattutto gli ammalati e quelli che soffrono o piangono per le vittime della guerra.

Dio benedica l'Argentina. Dio benedica l'America Latina. Dio benedica il mondo.

Arrivederci.




1982-06-12 Data estesa: Sabato 12 Giugno 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Ai Vescovi dell'Argentina nella Curia metropolitana - Buenos Aires (Argentina)