GPII 1982 Insegnamenti - Recita dell'"Angelus Domini". Nuovo appello per la pace - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'"Angelus Domini". Nuovo appello per la pace - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: I popoli non sono chiamati a combattersi ma a comprendersi per convivere pacificamente

Testo:

Carissimi romani e pellegrini.


1. Nella lettera che il 25 maggio scorso ho indirizzato ai carissimi figli e figlie dell'Argentina dicevo loro: "E' ben nota la mia predilezione per la vostra Nazione e per tutta l'America Latina... Profondamente preoccupato per la causa della pace e mosso dall'amore per voi, ...sarebbe mio desiderio venire perfino direttamente dalla Gran Bretagna all'Argentina, e li, tra voi e con voi, elevare la stessa preghiera (che in Gran Bretagna) per la vittoria di una giusta pace sopra la guerra. Spero che presto possiate unirvi al Papa nel Santuario dedicato alla Madre di Dio a Lujan, consacrando le vostre famiglie e la vostra Patria cattolica al Cuore materno della Madre di Dio" ("Insegnamenti", V, 2 [1982] 1865).


2. Oggi, nella preghiera dell'"Angelus", desidero, insieme con voi qui presenti in piazza san Pietro a Roma, ringraziare la Provvidenza Divina, perché mi è stato dato di realizzare la promessa racchiusa in quella lettera alla nazione argentina, scritta prima del viaggio apostolico in Inghilterra, Scozia e Galles.

Desidero pure ringraziare tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione di questa importante iniziativa. I motivi che mi hanno guidato sono stati esposti nella stessa lettera del 25 maggio. Sono profondamente grato perché questi motivi sono stati ben compresi e cordialmente accolti.

La partecipazione festosa e insieme profonda alle celebrazioni liturgiche ha dimostrato la sensibilità cristiana con cui il popolo argentino ha saputo capire le mie intenzioni, così come era avvenuto anche durante la mia visita pastorale in Gran Bretagna.


3. La breve visita in Argentina si è incentrata intorno alla liturgia del "Corpus Domini", che, in questo caso, è stata celebrata ieri (sabato) a Buenos Aires. Una preparazione a questa liturgia eucaristica è stata la santa Messa, celebrata, nel pomeriggio del giorno precedente, nel Santuario della Madre di Dio a Lujan. Dio ha elevato l'uomo nella Croce del suo Figlio, e lo rafforza sulle vie della vita - anche quando esse sono le più difficili e piene di sofferenza - mediante il sacramento della Nuova ed Eterna alleanza, cioè col cibo del suo Corpo e del suo Sangue.

Abbiamo meditato su questa verità insieme con i nostri fratelli e sorelle in Argentina - insieme col clero e con l'Episcopato sia dell'Argentina stessa, sia anche dei vari Paesi dell'America Latina, innanzi tutto al Santuario mariano di Lujan e poi a Buenos Aires nello stesso luogo, nel quale nel 1934 si svolse il Congresso Eucaristico Internazionale, presieduto dal Legato Pontificio, Cardinale Eugenio Pacelli, diventato poi Papa Pio XII.

Esprimo a tutti un cordiale ringraziamento. In particolare rivolgo il mio grazie al Presidente dello Stato come pure alle altre Autorità, che hanno favorito la realizzazione di questa importante iniziativa.


4. "La Chiesa, pur conservando amore verso ogni singola nazione, non può fare a meno di tutelare l'unità universale, la pace e la mutua comprensione... La Chiesa non tralascia di testimoniare l'unità della grande famiglia umana e di cercare le vie, che mettono in rilievo tale unità al di sopra di ogni pur tragica divisione.

Sono le vie che conducono alla giustizia, all'amore, e alla pace" ("Lettera ai fedeli argentini", 5; 25 maggio 1982: "Insegnamenti", V, 2 [1982] 1866).


5. La Chiesa deve dare testimonianza di pace anche per l'altro conflitto che nuovamente è divampato nel Libano nei giorni scorsi.

Ieri è stata raggiunta una tregua anche fra Israeliani e Palestinesi; essa, pero, è tanto fragile e precaria, dopo i durissimi scontri e i bombardamenti che hanno provocato morti e feriti in numero elevatissimo, migliaia di nuovi profughi e ingenti distruzioni.

Un profondo senso di pietà e di dolore sale dal mio animo per questi avvenimenti: prego e vi invito a pregare perché Iddio illumini i responsabili in questi momenti cruciali; perché la tregua si rafforzi, perché non si faccia più ricorso alle armi.

I popoli non sono chiamati a combattersi e a distruggersi, ma a comprendersi e ad accordarsi per convivere pacificamente. E' un'illusione credere che guerra e violenza portino a vere soluzioni; esse invece seminano nuovo odio e più grande sfiducia. Solo la moderazione e la saggezza aprono la strada alla trattativa; dal negoziato possono nascere intese durature in cui ciascun popolo - in particolare quello palestinese che ora è sottoposto alla prova più dura - veda conservata la propria identità e trovi accolte le proprie aspirazioni.

E il Libano, sul quale è gravato così grande peso del conflitto, dovrà finalmente ottenere sicurezza e pace, nella garanzia della sua sovranità e integrità, per ritornare ad essere un fattore di equilibrio e collaborazione in mezzo ai popoli del Medio Oriente, che vorremmo tutti pacificati fra loro.

E' necessario anche che la testimonianza di pace della Chiesa si esprima con una solidarietà concreta a favore delle popolazioni che sono state investite dal turbine distruttore di questa nuova guerra. Occorrono soccorsi ingenti di ogni genere per i feriti, per le famiglie delle vittime, per i profughi. Ho fiducia che tutti vorranno rispondere con generosa carità all'appello che rivolgo per quei nostri fratelli sofferenti.

[Omissis, al coro della diocesi di Trierm, pronunciato in lingua tedesca] Alle Suore Dorotee Un affettuoso saluto desidero rivolgere alle Suore di santa Dorotea, riunite in questi giorni a Roma per celebrare il centenario della morte della loro Fondatrice, la beata Paola Frassinetti.

Auspico di cuore, carissime sorelle in Cristo, che sull'esempio della Frassinetti siate sempre figlie fedeli della Chiesa e diate una testimonianza incisiva e gioiosa della vostra completa donazione a Dio mediante la consacrazione alla vita religiosa.

A Voi, alle vostre studentesse, alle loro famiglie la mia benedizione apostolica.




1982-06-13 Data estesa: Domenica 13 Giugno 1982




Nella Sala del Concistoro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ad un gruppo del "Lions Club International" di Francia

Testo:

Signore, Signori, Sono felice di ricevervi e di esprimervi i miei cordiali auguri per voi e per le vostre attività.

Ho saputo della solidarietà da voi dimostrata per il mio paese natale da un anno a questa parte, e che continuate a mettere in atto attraverso il Comitato permanente di aiuti alla Polonia che voi avete fondato. A nome dei miei cari compatrioti, tengo a ringraziarvi vivamente.

L'attualità internazionale, sfortunatamente sempre carica di fatti di guerra, in particolare in Libano, alle Falklands - Malvine, in Iran e Iraq, o di molte tensioni, fa forse meno spesso menzione degli avvenimenti in Polonia. Ma gli abitanti di quel paese continuano ad avere bisogno d'assistenza per superare, oltre alla loro pena morale, la penuria di prodotti alimentari, farmaceutici ed altri, e voi ci contribuite, per la vostra parte, con efficacia. Hanno anche bisogno di considerazione, di stima, d'amicizia sincera, e la vostra, senza alcun dubbio, riscalderà i loro cuori e le loro speranze. Continuate una catena di solidarietà che ha spesso legato nel corso della storia i due popoli, francese e polacco. E sono sicuro che in cambio, sarete anche voi beneficiari della loro calorosa amicizia, della loro coraggiosa testimonianza e della loro preghiera.

Facendomi loro interprete, vi esprimo ancora la mia gratitudine e i miei incoraggiamenti, e benedico di tutto cuore voi, le vostre famiglie e tutti coloro che operano con lo stesso spirito in seno al "Lions Club International" di Francia che voi rappresentate.

Vi invito a pregare per il mio ministero e per l'accoglienza della testimonianza che cerco di portare in favore della pace e, domani, a Ginevra, in favore della giustizia sociale. Si, dobbiamo pregare e agire affinché gli uomini si lascino convincere dai sentimenti di pace.


[Traduzione dal francese]




1982-06-14 Data estesa: Lunedi 14 Giugno 1982




Telegramma a Sua Maestà Fahd bin Abdul Aziz al Saud

Titolo: Il cordoglio per la morte del re dell'Arabia Saudita

Testo:

Esprimo le mie sincere condoglianze a Vostra Maestà e alla Famiglia Reale per la morte del defunto Re Khalid e partecipo al lutto del vostro paese per la perdita di un sovrano che godeva di un grande prestigio in tutto il mondo. Allo stesso tempo prego Dio Onnipotente affinché guidi e assista Vostra Maestà nel responsabile compito di servire il benessere del vostro popolo e la pace dell'umanità.


IOANNES PAULUS PP. II [Traduzione dall'inglese]




1982-06-14 Data estesa: Lunedi 14 Giugno 1982




La partenza dall'aeroporto internazionale "Leonardo da Vinci" - Roma

Testo:

In partenza per Ginevra ove incontrero partecipanti alla Conferenza dell'OIT e componenti altri Organismi Internazionali mi è caro rivolgerle, signor Presidente, un deferente e cordiale saluto che in lei intende raggiungere l'intera Nazione italiana sulla quale invoco la costante assistenza divina per un sereno progresso nella giustizia e nella pace.




1982-06-15 Data estesa: Martedi 15 Giugno 1982




Alla 68° sessione della Conferenza Internazionale del Lavoro - Ginevra (Svizzera)

Titolo: Solo una nuova solidarietà fondata sul vero significato del lavoro umano può costruire una società più giusta e aperta all'autentico progresso


Signor Presidente, signor Direttore Generale, signori Ministri, signore e signori Delegati, Signore e Signori.


1. Desidero anzitutto esprimere la mia gioia per l'occasione che mi è offerta di trovarmi qui oggi e di prendere la parola davanti a questa illustre Assemblea riunita per la 68° Sessione della Conferenza Internazionale del Lavoro. I fatti che voi conoscete mi hanno impedito di accettare l'invito che mi aveva rivolto il Direttore Generale a partecipare alla precedente Sessione. Ringrazio Dio che mi ha conservato in vita e restituito la salute. L'impossibilità in cui mi sono trovato di poter venire fin qui nel 1981 ha ulteriormente acuito in me il profondo desiderio che avevo di incontrarvi, perché io mi sento legato al mondo del lavoro da molteplici legami. Il meno importante di questi non è certo la conoscenza di una particolare responsabilità in rapporto ai numerosi problemi inerenti alla realtà del lavoro umano: problemi importanti, spesso difficili, sempre fondamentali, problemi che costituiscono la ragion d'essere della vostra Organizzazione. L'invito che il Direttore Generale ha ripetuto a partire dal momento della mia convalescenza mi ha dunque particolarmente rallegrato. Nel frattempo ho pubblicato la mia enciclica "Laborem Exercens" sul lavoro umano, allo scopo di fornire un contributo allo sviluppo della dottrina sociale della Chiesa cattolica, i cui grandi documenti a partire dalla "Rerum Novarum" di Papa Leone XIII, hanno trovato un'eco piena di considerazione e di favore nelle assise dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, sempre sensibile ai diversi aspetti della problematica complessa del lavoro umano nel corso delle differenti tappe storiche della sua esistenza e delle sue attività.

Mi sia qui permesso esprimere la mia gratitudine per il vostro invito e per la calorosa accoglienza che mi è stata riservata. Allo stesso tempo, voglio dirvi quanto ho apprezzato le amabili parole che il Direttore Generale mi ha rivolto; grazie a queste parole, mi è più facile, a mia volta, parlare a voi.

Ospite di questa Assemblea, vi parlo a nome della Chiesa Cattolica e della Santa Sede, ponendomi sul terreno della loro missione universale che ha, anzitutto, un carattere religioso e morale. A questo titolo, la Chiesa e la Santa Sede condividono la preoccupazione della vostra Organizzazione per quanto riguarda i suoi obiettivi fondamentali e così raggiungono la famiglia delle Nazioni tutta intera nel fine che essa si propone, e cioè: contribuire al progresso dell'umanità.


Omaggio al lavoro dell'uomo


2. Rivolgendomi a tutti voi, Signore e Signori, desidero attraverso di voi rendere omaggio anzitutto al lavoro dell'uomo, qualunque esso sia e ovunque si compia in tutta la terra, a ogni lavoro - come a ciascun uomo o donna che lo svolge - senza distinzioni nelle sue specifiche caratteristiche, sia che si tratti di un lavoro "fisico" o di un lavoro "intellettuale"; così pure senza distinzioni nelle sue particolari determinazioni, sia che si tratti di un lavoro di "creazione" oppure di "riproduzione", che si tratti del lavoro di ricerca teorica che dà le basi al lavoro altrui, o del lavoro consistente nell'organizzarne le condizioni e le strutture, sia che si tratti infine del lavoro dei dirigenti o di quello degli operai che eseguono i compiti necessari per la realizzazione di programmi ben definiti. In ognuna delle sue forme, tale lavoro merita particolare rispetto, perché è opera dell'uomo, e perché, dietro ogni lavoro, c'è sempre un soggetto vivente: la persona umana. E' da ciò che il lavoro trae il suo valore e la sua dignità.

In nome di tale dignità, che è propria di ogni lavoro umano, desidero esprimere parimenti la mia stima per ciascuno di voi, Signore e Signori, e per le Istituzioni concrete, le Organizzazioni e le Autorità che voi qui rappresentate.

Stante il carattere universale dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, mi si offre l'occasione di rendere omaggio, mediante questo intervento, a tutti i gruppi qui rappresentati, e di lodare lo sforzo mediante il quale ciascuno di essi tende a sviluppare le proprie potenzialità al fine di realizzare il bene comune di tutti i suoi membri: uomini e donne uniti di generazione in generazione nei diversi posti di lavoro.


Apprezzamento per l'OIT: umanizzare il lavoro


3. Infine - e penso di essere qui il portavoce non soltanto della Santa Sede ma, in un certo senso, di tutte le persone presenti - vorrei esprimere un apprezzamento e una gratitudine particolari per la stessa Organizzazione Internazionale del Lavoro. La vostra Organizzazione occupa in effetti un posto importante nella vita internazionale, sia per la sua anzianità che per la nobiltà dei suoi obiettivi. Creata nel 1919 dal Trattato di Versailles, si è data come scopo di contribuire a una pace duratura attraverso la promozione della giustizia sociale, come è scritto nel Preambolo della sua Costituzione: "Dal momento che una pace universale e duratura non può essere fondata che sulla base della giustizia sociale...". Ed è questo impegno fondamentale per la pace che il Direttore Generale ha ricordato al Simposio organizzato a Roma dalla Pontificia Commissione "Iustitia et Pax" all'inizio dello scorso aprile, quando ha fatto riferimento alla pergamena contenuta nella prima pietra del palazzo del Bureau International du Travail, che porta la scritta: "Si vis pacem, cole iustitiam", "Se vuoi la pace, coltiva la giustizia".

I meriti della vostra Organizzazione appaiono in modo evidente nell'esistenza delle numerose Convenzioni Internazionali e nelle Raccomandazioni che stabiliscono le norme internazionali del lavoro, "nuove regole di comportamento sociale" per costringere "gli interessi particolari a sottomettersi ad una visione più ampia del bene comune" ("Discorso all'OIT", 14.19; "Insegnamenti", VII [1969] 359.361). I suoi meriti sono visibili anche nelle altre molteplici attività intraprese per soddisfare le nuove necessità che si sono manifestate a partire dall'evoluzione delle strutture sociali ed economiche. Sono evidenti infine quando si considera il lavoro quotidiano e perseverante dei funzionari del Bureau International du Travail e delle istanze che esso si è date per rendere più incisiva la sua azione, come ad esempio quelle dell'Institut International d'Etudes Sociales, l'Association Internationale de la Sécurité sociale, e il Centre International de Perfectionnement Professionnel et Technique.

Se mi sono permesso di citare l'Organizzazione Internazionale del Lavoro nella mia enciclica "Laborem Exercens", l'ho fatto sia per attirare l'attenzione sulle sue molteplici realizzazioni, sia per incoraggiarla a rafforzare le proprie attività in favore dell'umanizzazione del lavoro. Ho voluto anche mettere in rilievo il fatto che, nella linea che mira a fondare il lavoro umano sulle ragioni dell'autentico bene - il che corrisponde ai principali obiettivi della morale sociale -, gli scopi dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro sono molto vicini a quelli che la Chiesa e la Santa Sede intendono perseguire nel campo loro proprio e con i mezzi idonei alla loro missione. Questo è stato d'altra parte sottolineato a più riprese dai miei predecessori, i Papi Pio XII e Giovanni XXIII e in particolare da Paolo VI, nel 1969 in occasione della visita con la quale egli ha voluto associarsi alla celebrazione del 50° anniversario della fondazione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro. Oggi, come in passato, la Chiesa e la Santa Sede si rallegrano per l'eccellente collaborazione che esiste con la vostra Organizzazione, collaborazione che data già da mezzo secolo e che ha trovato la sua conclusione formale nell'accreditamento, nel 1967, di un Osservatore Permanente presso il Bureau International du Travail. In tal modo, la Santa Sede ha voluto dare una stabile espressione alla sua volontà di collaborazione e al vivo interesse che la Chiesa cattolica, preoccupata del bene autentico dell'uomo, pone ai problemi del lavoro.


L'uomo resta sempre al centro


4. Le parole che voi attendete da me, Signore e Signori, non possono essere diverse da quelle che ho pronunciato in altre assise in cui erano presenti i rappresentanti dei popoli di tutte le Nazioni del mondo: l'Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura e l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura. Le mie riflessioni si ispirano, in un modo che vuol essere coerente, alla stessa idea fondamentale e alla stessa preoccupazione: la causa dell'uomo, la sua dignità e i diritti inalienabili che ne derivano. Già nella mia prima enciclica "Redemptor Hominis" ho insistito sul fatto che "l'uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere per compiere la sua missione: è la prima strada e la strada fondamentale della Chiesa, strada tracciata da Cristo stesso..." (RH 14). E' per la stessa ragione che, in occasione del 90° anniversario della "Rerum Novarum", ho voluto consacrare un documento particolarmente importante del mio pontificato al lavoro umano, all'uomo nel lavoro: "Homo laborem exercens". Perché non solo il lavoro porta l'impronta dell'uomo, ma è nel lavoro che l'uomo scopre il senso della sua esistenza: in ogni lavoro concepito come attività umana, qualunque siano le caratteristiche concrete che essa riveste, qualunque siano le circostanze in cui questa attività si esercita. Il lavoro comporta "questa fondamentale dimensione dell'umano esistere, con la quale la vita dell'uomo è costruita ogni giorno, dalla quale essa attinge la propria specifica dignità, ma nella quale è contemporaneamente contenuta la costante misura dell'umana fatica, della sofferenza e anche del danno e dell'ingiustizia che penetrano profondamente la vita sociale, all'interno delle singole Nazioni e sul piano internazionale" (LE 1).


La solidarietà del mondo del lavoro


5. Nella problematica del lavoro - una problematica che si ripercuote in tanti campi della vita e a tutti i livelli, individuale, familiare, nazionale, internazionale - c'è una caratteristica, che è nello stesso tempo esigenza e programma, che io vorrei sottolineare oggi davanti a voi: la solidarietà. Mi sento portato ad offrirvi queste considerazioni anzitutto perché la solidarietà è insita in modi diversi nella natura stessa del lavoro umano, ma anche a motivo degli obiettivi della vostra Organizzazione, e soprattutto dello spirito che la anima.

Lo spirito col quale l'Organizzazione Internazionale del Lavoro ha portato avanti la sua missione sin dall'inizio è uno spirito di universalismo, che ha il suo punto di appoggio sulla fondamentale eguaglianza delle Nazioni e sull'eguaglianza degli uomini, e che è percepito nello stesso tempo come punto di partenza e come punto di arrivo di ogni politica sociale. E' anche uno spirito di umanesimo, ansioso di sviluppare tutte le potenzialità dell'uomo sia materiali che spirituali. E' infine uno spirito comunitario che si esprime felicemente nella triplice ripartizione delle vostre strutture. A questo proposito faccio mie le parole pronunciate qui da Paolo VI durante la sua visita nel 1969: "Il vostro originale e organico strumento consiste nel far convergere le tre forze che sono all'opera nella dinamica sociale del lavoro moderno: gli uomini di governo, gli impiegati e i lavoratori. E il vostro metodo - che è ormai un tipico paradigma -, consiste nell'armonizzare queste tre forze, di far si che non si oppongano più tra di loro, ma concorrano in una collaborazione coraggiosa e feconda, mediante un costante dialogo per lo studio e la soluzione dei problemi che continuamente si presentano e senza tregua si rinnovano" ("Discorso all'OIT", 15; 10 giugno 1969: "Insegnamenti", VII [1969] 360). Il fatto che si sia pensato di dover risolvere i problemi del lavoro grazie al coinvolgimento di tutte le parti interessate, mediante negoziati pacifici miranti al bene dell'uomo nel suo lavoro e alla pace tra le comunità sociali, dimostra che siete coscienti dell'esigenza della solidarietà che vi unisce in uno sforzo comune, al di là delle differenze reali e delle divisioni sempre possibili.


Il lavoro unisce


6. Questa intuizione fondamentale, che i fondatori dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro hanno così ampiamente inserito nella struttura stessa dell'Organizzazione che ha come corollario il fatto che gli obiettivi perseguiti non possono essere realizzati senza uno sforzo comunitario e solidale, risponde alla realtà del lavoro umano. Infatti, nelle sue dimensioni profonde, la realtà del lavoro è la stessa in ogni punto della terra, in ogni Paese e in ogni Continente; presso gli uomini e le donne che appartengono alle diverse razze e nazioni, che parlano lingue diverse e rappresentano diverse culture; presso coloro che professano diverse religioni o esprimono in modi diversi i loro rapporti con la religione e con Dio. La realtà del lavoro è la stessa in una molteplicità di forme: il lavoro manuale e il lavoro intellettuale; il lavoro agricolo e il lavoro dell'industria; il lavoro nei servizi del settore terziario e il lavoro di ricerca; il lavoro dell'artigiano, del tecnico e quello dell'educatore, dell'artista o della madre nella sua famiglia; il lavoro dell'operaio nelle fabbriche e quello dei dirigenti e dei responsabili. Senza voler mascherare le differenze specifiche che rimangono e che diversificano spesso in modo assai radicale gli uomini e le donne che svolgono queste molteplici mansioni, il lavoro - la realtà del lavoro - crea l'unione di tutti in un'attività che ha uno stesso significato e una stessa fonte. Per tutti il lavoro è una necessità, un dovere, un compito. Per ciascuno e per tutti è un mezzo per assicurarsi la vita, la vita di famiglia e i suoi valori fondamentali; è anche la via che conduce verso un avvenire migliore, la via del progresso, la via della speranza. Nella diversità e nell'universalità delle sue manifestazioni, il lavoro umano unisce gli uomini perché ogni uomo cerca nel lavoro "la realizzazione della sua umanità..., il compimento della vocazione ad essere persona, che gli è propria a motivo della sua stessa umanità" (LE 6). Si, "il lavoro porta su di sé un particolare segno dell'uomo e dell'umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone" (LE 1 Praef.). Il lavoro porta il segno dell'unità e della solidarietà.

E' d'altra parte difficile - esaminando qui, davanti a questa Assemblea, un panorama così vasto e così differenziato e allo stesso tempo così universale com'è quello del lavoro di tutta la famiglia umana - non sentire in fondo al cuore le parole del libro della Genesi in cui il lavoro è stato dato come compito all'uomo affinché per mezzo di esso egli sottometta a sé la terra e la domini (cfr. Gn 1,28).


Il lavoro: senso della vita umana


7. Il monito fondamentale che mi spinge a proporvi il tema della solidarietà si trova dunque nella natura stessa del lavoro umano. Il problema del lavoro ha un legame estremamente profondo con quello del senso della vita umana. Attraverso questo legame il lavoro diventa un problema di natura spirituale e lo è realmente.

Questa costatazione non toglie nulla agli altri aspetti del lavoro, aspetti che sono, si potrebbe dire, più facilmente misurabili e ai quali sono legate strutture e operazioni diverse di carattere esteriore, a livello dell'organizzazione; questa stessa costatazione permette al contrario di riportare il lavoro umano, in qualsiasi modo sia eseguito dall'uomo, all'interno dell'uomo e cioè al punto più profondo della sua umanità, in ciò che le è proprio, in ciò che fa si che egli sia uomo e soggetto autentico del lavoro. La convinzione che esista un legame essenziale fra il lavoro di ciascun uomo e il senso globale dell'esistenza umana si trova alla base della dottrina cristiana del lavoro - si può dire alla base del "Vangelo del lavoro" - e permea l'insegnamento e l'attività della Chiesa, in modi diversi, in ciascuna delle tappe della sua missione nella storia. "Mai più il lavoro contro il lavoratore, ma sempre il lavoro... a servizio dell'uomo": è opportuno ripetere ancora oggi le parole pronunciate 13 anni fa in questo stesso luogo da Papa Paolo VI ("Discorso all'OIT", 11; 10 giugno 1969: "Insegnamenti", VII [1969] 357). Se il lavoro deve sempre servire al bene dell'uomo, se il programma del progresso non può realizzarsi che attraverso il lavoro, esiste dunque un diritto fondamentale a giudicare il progresso secondo il seguente criterio: il lavoro serve realmente all'uomo? Corrisponde alla sua dignità? Il vero senso della vita umana si esprime per suo tramite in tutta la sua ricchezza e varietà? Abbiamo il diritto di pensare in tal modo al lavoro dell'uomo. Ne abbiamo anche il dovere. Abbiamo il diritto e il dovere di considerare l'uomo non in quanto utile o inutile al lavoro, ma di considerare il lavoro nella sua relazione con l'uomo, con ciascun uomo, di considerare il lavoro in quanto utile o inutile all'uomo. Abbiamo il diritto e il dovere di riflettere sul lavoro tenendo conto delle diverse necessità dell'uomo, nei campi dello spirito e del corpo, di considerare in tal modo il lavoro dell'uomo in ogni società e in ogni sistema, nelle zone in cui regna il benessere, e ancor più là dove regna l'indigenza.

Abbiamo il diritto e il dovere di usare questo modo nel trattare il lavoro in rapporto all'uomo - e non il contrario - come criterio fondamentale di valutazione del progresso in se stesso. Il progresso infatti esige sempre una valutazione e un giudizio di valore: ci si deve domandare se tale progresso è sufficientemente "umano" e nello stesso tempo sufficientemente "universale"; se serve a livellare le ingiuste ineguaglianze e a favorire un avvenire pacifico del mondo; se nel lavoro sono salvaguardati i diritti fondamentali per ogni persona, per ogni famiglia, per ogni nazione. In una parola, ci si deve chiedere costantemente se il lavoro serve a realizzare il senso della vita umana.Pur cercando una risposta a questi interrogativi nell'analisi dell'insieme dei processi socio-economici, non si possono tralasciare gli elementi e i contenuti che costituiscono l'intimo dell'uomo: lo sviluppo della sua conoscenza e della sua coscienza. Il legame tra il lavoro e il senso stesso dell'esistenza umana testimonia sempre il fatto che l'uomo non è stato alienato dal lavoro, non ne è stato asservito. Tutto al contrario, esso conferma che il lavoro è diventato l'alleato della sua umanità, che lo aiuta a vivere nella verità e nella libertà: nella libertà costruita sulla verità, che gli permette di condurre in pienezza una vita più degna dell'uomo.


E' necessaria una nuova solidarietà fondata sul lavoro


8. Davanti alle ingiustizie che gridano vendetta, sorte dai sistemi del secolo scorso, gli operai, soprattutto nell'industria, hanno reagito scoprendo nello stesso tempo, al di là della comune miseria, la forza rappresentata dalle azioni comuni. Vittime delle stesse ingiustizie, si sono uniti in una stessa azione.

Nella mia enciclica sul lavoro umano, ho chiamato questa reazione "una giusta reazione sociale"; una tale situazione ha "fatto sorgere e quasi irrompere un grande slancio di solidarietà tra gli uomini del lavoro e, prima di tutto, tra i lavoratori dell'industria. L'appello alla solidarietà e all'azione comune, lanciato agli uomini del lavoro..., aveva un suo importante valore e una sua eloquenza dal punto di vista dell'etica sociale - soprattutto a quelli del lavoro settoriale, monotono, spersonalizzante nei complessi industriali, quando la macchina tende a dominare sull'uomo. Era la reazione contro la degradazione dell'uomo come soggetto del lavoro... Tale reazione ha riunito il mondo operaio in una comunità caratterizzata da una grande solidarietà" (LE 8).

Nonostante i miglioramenti acquisiti da allora, nonostante il rispetto più profondo e reale dei diritti fondamentali dei lavoratori in molti paesi, vari sistemi fondati sull'ideologia e sul potere hanno lasciato persistere ingiustizie palesi e ne hanno create di nuove. Inoltre l'aumentata consapevolezza della giustizia sociale fa scoprire nuove situazioni di ingiustizia che, per la loro estensione geografica o per il disprezzo della dignità inalienabile della persona umana, restano come vere sfide all'umanità. Oggi è necessario che si crei una nuova solidarietà fondata sul vero significato del lavoro umano. Perché solo a partire da una giusta concezione del lavoro sarà possibile definire gli obiettivi che la solidarietà deve perseguire e le diverse forme che dovrà assumere.


Una solidarietà per la giustizia sociale


9. Il mondo del lavoro, Signore e Signori, è il mondo di tutti gli uomini e di tutte le donne che, attraverso le loro attività, cercano di rispondere alla vocazione di sottomettere la terra per il bene di tutti. La solidarietà del mondo del lavoro sarà dunque una solidarietà che allarga gli orizzonti per abbracciare, con gli interessi degli individui e dei gruppi particolari, il bene comune di tutta la società, sia a livello di una nazione che a livello internazionale e planetario. Sarà una solidarietà per il lavoro, che si manifesta nella lotta per la giustizia e per la verità della vita sociale. Quale giustificazione avrebbe in effetti una solidarietà che si esaurisse in una lotta di opposizione irriducibile agli altri, in una lotta contro gli altri? La lotta per la giustizia non dovrebbe ignorare gli interessi legittimi dei lavoratori uniti in una stessa professione o particolarmente toccati da certe forme di ingiustizia. Essa non ignora l'esistenza, fra i gruppi, di tensioni che spesso rischiano di diventare aperti conflitti. La vera solidarietà guarda alla lotta per un ordine sociale giusto in cui tutte le tensioni possano essere assorbite e in cui i conflitti - sia a livello dei gruppi che a quello delle nazioni - possano trovare più facilmente la loro soluzione. Per creare un mondo di giustizia e di pace, la solidarietà deve scalzare le fondamenta dell'odio, dell'egoismo, dell'ingiustizia, erette troppo spesso a principi ideologici o in legge essenziale della vita nella società.

All'interno di una stessa comunità di lavoro, la solidarietà spinge a scoprire esigenze di unità inerenti alla natura del lavoro, piuttosto che tendenze alla distinzione e all'opposizione. Essa rifiuta di concepire la società in termini di lotta "contro" e i rapporti sociali in termini di opposizione irriducibile delle classi. La solidarietà che trova la sua origine e la sua forza nella natura del lavoro umano e dunque nel primato della persona umana sulle cose, saprà creare gli strumenti di dialogo e di collaborazione in grado di risolvere le opposizioni senza cercare la distruzione dell'oppositore.

No, non è utopia affermare che si potrà fare del mondo del lavoro un mondo di giustizia.


Una solidarietà senza frontiere


10. La necessità per l'uomo di difendere la realtà del suo lavoro e di liberarlo da ogni ideologia per rimettere in luce il vero senso dell'attività umana, questa necessità si manifesta in modo particolare quando si considera il mondo del lavoro e la solidarietà che esso invoca nel contesto internazionale. Il problema dell'uomo nel lavoro si presenta oggi in una prospettiva mondiale che non è più possibile non prendere in considerazione. Tutti i grandi problemi dell'uomo nella società sono ormai problemi mondiali! Essi devono essere pensati su scala mondiale, in uno spirito realistico certamente, ma anche in uno spirito innovatore e esigente. Sia che si tratti dei problemi delle risorse naturali, che dello sviluppo o dell'impiego, la soluzione adeguata non può essere trovata se non tenendo conto delle prospettive internazionali. Già 15 anni fa, nel 1967, Paolo VI faceva notare nell'enciclica "Populorum Progressio": "Oggi il fatto più importante di cui ognuno deve prendere coscienza, è che la questione sociale è diventata mondiale" (n. 3). Da allora, molti avvenimenti hanno reso ancora più evidente questa costatazione. La crisi economica mondiale, con le sue ripercussioni in tutte le regioni della terra, ci costringe a riconoscere che l'orizzonte dei problemi è sempre più un orizzonte mondiale. Le centinaia di milioni di esseri umani affamati o sottoalimentati, che hanno anch'essi diritto ad uscire dalla loro povertà, ci devono far capire che la realtà fondamentale è ormai l'umanità tutta intera.Esiste un bene comune che non può più limitarsi a un compromesso più o meno soddisfacente tra rivendicazioni particolari o all'interno di esigenze unicamente di carattere economico. Nuove scelte etiche si impongono; una nuova coscienza mondiale deve essere formata; ciascuno, senza rinnegare i suoi legami di appartenenza e le sue radici nella famiglia, nel suo popolo e nella sua nazione, né gli obblighi che ne derivano, deve considerarsi membro di quella grande famiglia che è la comunità mondiale.

Questo vuol dire, Signore e Signori, che nel lavoro visto in un contesto mondiale è necessario scoprire ugualmente i nuovi significati del lavoro umano e determinarne in conseguenza i nuovi compiti. Vuol dire anche che il bene comune mondiale chiede una nuova solidarietà senza frontiere. Non voglio con ciò diminuire l'importanza degli sforzi che ogni Nazione deve fare in funzione della propria sovranità, delle proprie tradizioni culturali e in rapporto ai propri bisogni per darsi il tipo di sviluppo sociale ed economico in grado di rispettare il carattere irriducibile di ciascuno dei suoi componenti e dell'intero popolo. E ancora non si può supporre troppo facilmente che la coscienza della solidarietà sia già sufficientemente sviluppata per il semplice fatto che tutti sono imbarcati sullo stesso vascello spaziale che è la terra. Occorre da un lato poter assicurare la necessaria complementarietà degli sforzi che ogni Nazione compie a partire dalle proprie risorse spirituali e materiali e, d'altra parte, affermare le esigenze della solidarietà universale e le conseguenze strutturali che essa implica. Vi è una feconda tensione da conservare per evidenziare quanto queste due realtà siano orientate dall'interno l'una verso l'altra, perché, come la persona umana, la nazione è, nello stesso tempo, individualità irriducibile e apertura verso gli altri.



GPII 1982 Insegnamenti - Recita dell'"Angelus Domini". Nuovo appello per la pace - Città del Vaticano (Roma)