GPII 1982 Insegnamenti - Alla celebrazione della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)

Alla celebrazione della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dio conceda consolazione e pace al Libano e a tutti i popoli del Medio Oriente

Testo:

Diamo inizio alla Liturgia Eucaristica che desidero celebrare, come già dissi domenica scorsa, con questa particolare intenzione: la pace nella martoriata terra del Libano.

Avrei voluto recarmi in terra libanese, per rinnovare il Sacrificio di Cristo proprio al centro di tanta sofferenza. Non essendomi possibile farlo, almeno per ora, ho pensato che l'occasione più adatta per manifestare la mia partecipazione a così grande tragedia era la festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, così venerati dai cattolici libanesi.

Il Libano ha avuto, sempre, nella sua lunga e travagliata storia, speciali legami con la Sede di Pietro. Il Principe degli Apostoli fu il primo titolare della cattedra vescovile di Antiochia, alla quale si riallacciano in grande maggioranza i cristiani del Libano. Essi per questo motivo e per la loro testimonianza di fede nella regione che fu culla delle tre grandi religioni monoteistiche, sono sempre stati particolarmente cari alla Sede di Roma.

Il popolo libanese si trova nella tempesta causata da un conflitto sanguinoso, che ora minaccia soprattutto la capitale Beirut.

Offriamo le nostre preghiere affinché il Libano possa ritrovare la pace, risorgere dalle rovine, ricomporre la sua unità e trasformarsi, da campo di battaglia qual è oggi, in un attivo e pacifico fattore di equilibrio nel Medio Oriente. Esso potrà così nuovamente rispondere alla sua particolare vocazione ad essere esempio di convivenza e collaborazione fra le diverse comunità.

Un altro popolo sta soffrendo sulla terra libanese: il popolo palestinese, a me non meno caro di altri. Preghiamo affinché esso possa vedere riconosciute le sue legittime aspirazioni - prima delle quali è di poter avere una sua patria - e perché possa vivere in tranquillità con tutti i popoli della regione.

Che il Sacrificio di Cristo e della Chiesa celebrato qui, sulla tomba del Capo degli Apostoli, sia gradito a Dio, perché voglia concedere consolazione e pace al Libano e a tutti i popoli del Medio Oriente.




1982-06-29 Data estesa: Martedi 29 Giugno 1982




Alla celebrazione della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lode e ringraziamento al Signore per le grandi opere compiute nei suoi apostoli

Testo:


1. "Benediro il Signore in ogni tempo, / sulla mia bocca sempre la sua lode" (Ps 33 [34],1).

Con questo versetto del Salmo desidero salutare tutti i partecipanti all'Eucaristia, che celebriamo nella nostra Basilica romana nel giorno della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo.

Saluto te, illustre Metropolita Melitone che, come ogni anno, ci porti qui il bacio di pace del nostro fratello Dimitrios I, Arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca Ecumenico. Saluto tutti gli Ospiti e Pellegrini.

Saluto voi, illustri Cardinali della Chiesa Romana; voi, Arcivescovi e Vescovi. Voi, sacerdoti, religiose e religiosi.

Saluto voi, Romani.

"O Roma felix, quae tantorum principum / es purpurata pretioso sanguine...".

O Roma! Ascolta, ecco, già da oltre diciannove secoli risuona qui il comune canto: cantano insieme Pietro di Galilea e Paolo di Tarso, Principi degli Apostoli. Ciascuno ripete le parole del Salmo: "Benediro il Signore in ogni tempo, / sulla mia bocca sempre la sua lode".

Riprendiamo, insieme con loro, questo canto di lode e di ringraziamento, nel giorno in cui lo canta tutta la Chiesa.


2. Meditiamo ancora una volta sulle grandi opere che il Padre celeste ha compiuto nei suoi Apostoli.

Nei pressi di Cesarea di Filippo Pietro sente dalle labbra di Gesù le parole: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17).

Pietro sente queste parole molto tempo prima di venire a Roma. Esse parlano di ciò che ha compiuto in lui il Padre celeste. Il Padre celeste gli ha permesso di professare il mistero di Cristo, Figlio dell'uomo: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).

Gesù chiede, risponde Pietro. Egli risponde a nome di tutti - Cristo, infatti, aveva chiesto: "Voi chi dite che io sia?" (Mt 16,15) - e risponde Pietro, lui solo. Gesù accetta la risposta ed elogia il dono di Dio, dono invisibile, maturato nelle parole di Pietro; nella professione di Pietro. Cristo elogia la fede nella quale, come su una roccia, si costruisce la Chiesa. E chiama Pietro la pietra.

Benediciamo oggi Dio per la roccia della fede, che egli pose nel cuore semplice del pescatore di Galilea! Ecco: La sua anima si gloria nel Signore, / ascoltino gli umili e si rallegrino (cfr. Ps 33 [34],2).


3. Questo fu ancora molto tempo prima dell'arrivo a Roma, ma già più vicino nel tempo.

Oggi rileggiamo dagli "Atti degli Apostoli" gli avvenimenti di una notte, così come abbiamo riletto gli avvenimenti di Cesarea, descritti nel Vangelo di Matteo. Pietro doveva ricordare sempre quella notte, così come aveva ricordato il giorno trascorso nei pressi di Cesarea di Filippo.

Quella notte Pietro non si era ancora accorto che era realtà ciò che gli stava succedendo per opera dell'angelo: Credeva... di avere una visione (cfr. Ac 12,9).

Infatti, era stato imprigionato da Erode e consegnato in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, e dopo la Pasqua doveva essere consegnato alla morte.

Solo quando, guidato dall'angelo, ebbe oltrepassato la prima e la seconda; quando si apri davanti a loro la porta di ferro che conduceva in città; quando uscirono e percorsero una strada, Pietro, rientrato in sé, disse: "Ora sono veramente certo che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei Giudei" (Ac 12,11).

Benediciamo oggi Dio perché ha salvato la vita di Pietro a Gerusalemme: "Ho cercato il Signore e mi ha risposto / e da ogni timore mi ha liberato" (Ps 33 [34],5).

Benediciamo oggi Dio, perché a Gerusalemme ha liberato Pietro dal timore mortale e gli ha permesso di venire a Roma, affinché qui fondasse la Chiesa.


4. Ringraziamo oggi Dio per tutto ciò che ha fatto nei suoi apostoli, Pietro e Paolo, durante tutto il corso della loro vita: mediante tutte le fatiche del loro servizio nel mondo e a Roma.

"Il Signore... mi è stato vicino e mi ha dato la forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i gentili": ecco come scrive l'apostolo Paolo a Timoteo (2Tm 4,17).


5. Ringraziamo oggi Dio per la vittoria definitiva che gli apostoli Pietro e Paolo riportarono qui, a Roma. Ai tempi di Nerone.

Ecco, essi hanno impresso su questa città e su questa Chiesa il sigillo del proprio sangue. Il segno del loro martirio. La testimonianza della loro morte.

"Il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno" (2Tm 4,6-8).

Ringraziamo oggi Dio per "quel giorno". Tale giorno si rinnova ogni anno, nella liturgia della Chiesa romana, il 29 giugno, cioè oggi.

Ringraziamo Dio: "A lui la gloria nei secoli dei secoli" (2Tm 4,18).


6. Esprimo la mia gratitudine a tutti voi, che avete preso parte a questo rendimento di grazie della Chiesa romana; - e a te, illustre Metropolita Melitone; - e a voi tutti, Ospiti e Pellegrini; - e a voi, illustri Cardinali della santa Chiesa Romana; - a voi, Arcivescovi e Vescovi; - a voi, sacerdoti, religiose e religiosi; - a voi, Romani. A tutti.

O Roma felix!




1982-06-29 Data estesa: Martedi 29 Giugno 1982



Ai partecipanti a un corso sulla regolazione naturale della fecondità - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Chiesa vi è grata per l'aiuto che prestate all'equilibrio della famiglia

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle!


1. La vostra visita mi è particolarmente gradita. Vi accolgo con affetto e vi ripeto il saluto pasquale del Signore Gesù: "Pace a voi" (Jn 20,19). E' ciò che vi auguro di tutto cuore come frutto di questo incontro e come frutto del lavoro che state svolgendo in questi giorni a Roma. La pace del cuore - e la pace tra gli uomini - è infatti il frutto che proviene dal compimento della volontà del Signore, il quale, nella sua infinita bontà e saggezza, vuole sempre il bene dell'uomo, di tutti gli uomini e di ogni uomo.

Sappiamo bene che non è facile per l'uomo conoscere pienamente la volontà di Dio, e meno facile ancora è attuarla per le intrinseche limitazioni della condizione umana e per le gravi ferite che il peccato ha lasciato dentro di noi. Gesù, il Figlio del Dio vivente (Mt 16,16), fatto uomo nel seno di Maria, è venuto nel mondo per farci conoscere la volontà di Dio, per rivelarci le verità più profonde della esistenza umana e - con la sua morte e risurrezione, alle quali ci possiamo associare mediante la fede e i sacramenti - per darci la forza di vivere questo insegnamento. In ciò consiste il nuovo "cammino", la nuova forma di vita che egli è venuto ad instaurare e che la Chiesa vuole e deve accogliere senza riserve, per essere come "la città sul monte", come la luce che brilla nelle tenebre, e indica agli uomini la strada verso l'autentica meta della loro vita, dove sarà possibile sperimentare la gioia, l'unità e la pace vera.


2. In questa prospettiva può essere valutato appieno il significato del lavoro che state realizzando. E' infatti particolarmente in relazione alla famiglia, e alle sue funzioni specifiche, che si è perso di vista il cammino che il Signore vuole per l'uomo, e che è cammino di salvezza. Sviluppi segnati dal materialismo - che cerca solo il benessere terrestre e il possesso sempre crescente dei beni di consumo - e dal naturalismo - che esclude dalla vita quotidiana il riferimento a Dio e ai valori trascendenti - mirano a svuotare la famiglia, specialmente nei paesi di più alto sviluppo economico, del suo profondo contenuto e la immergono in una crisi pericolosa. Molti giovani oggi, disorientati, non riescono più a vedere l'importanza dell'istituzione matrimoniale e vivono il loro amore all'insegna della transitorietà e dell'infecondità. Molte famiglie non sanno mettere in pratica il dovere di una paternità responsabile, come è stata insegnata dal Concilio Vaticano II.

La Chiesa, pero, crede nella famiglia. Sa che essa "possiede anche oggigiorno delle energie formidabili, capaci di togliere l'uomo dall'anonimato, dalla massificazione e dalla depersonalizzazione" (FC 43), alle quali spesso conduce lo sviluppo moderno. La Chiesa deve assumere il compito di suscitare convinzioni e di offrire aiuti concreti (cfr. FC 35) in tutti quei campi in cui la famiglia è più insidiata. Ciò vale, in modo particolare, per il campo della regolazione della fecondità, divenuto uno dei problemi più delicati ed urgenti per le famiglie di oggi. Ed è in questo campo che voi state svolgendo un lavoro eccellente. perciò vi ringrazio e vi incoraggio a continuare i vostri sforzi, che rappresentano una risposta concreta ed efficace a quanto ho scritto nella "Familiaris Consortio": "...la Chiesa non può non sollecitare con rinnovato vigore la responsabilità di quanti - medici, esperti, consulenti coniugali, educatori, coppie - possono aiutare effettivamente i coniugi a vivere il loro amore nel rispetto della struttura e delle finalità dell'atto coniugale che lo esprime. Ciò significa un impegno più vasto, decisivo e sistematico per far conoscere, stimare e applicare i metodi naturali di regolazione della fecondità" (FC 35).


3. Ci troviamo davanti a un compito immenso: crescenti mezzi anticoncezionali invadono il mondo, con l'aiuto di grandi mezzi economici, che s'ispirano a motivi inconfessabili, dai quali è assente ogni rispetto per l'uomo e per i suoi valori più profondi. La Chiesa si è posta coraggiosamente in difesa dell'amore umano, della vita e dei valori morali che vi si ricollegano. Vi sono uomini di scienza, coraggiosi e capaci, i quali, con pazienza e competenza, lentamente, stanno scoprendo cammini basati sulla più attenta osservazione delle caratteristiche della sessualità umana, che si rivelano compatibili con le esigenze della castità matrimoniale, e capaci di favorire una convivenza coniugale armoniosa e serena, pur nel rispetto dei principi fondamentali della Chiesa.

Il lavoro di investigazione, perfezionamento e insegnamento dei metodi naturali di regolazione della fecondità è perciò di grande importanza. Voglio dire pertanto una parola di incoraggiamento a tutti coloro che lavorano in questo campo, esortandoli a non cessare dalle loro investigazioni. E' necessario che i diversi gruppi, dediti a questo nobile lavoro, apprezzino il rispettivo lavoro e si scambino reciprocamente le esperienze e i risultati, evitando fermamente tensioni e dissapori, che potrebbero minacciare un'opera così importante e così difficile. Dal momento che le condizioni delle coppie sono assai diverse a motivo delle diverse culture, razze, situazioni personali, ecc., è provvidenziale che esistano metodi diversi, capaci di rispondere meglio a situazioni così diverse.

Anche per questo motivo è bene che gli esperti in queste materie conoscano alcuni di questi metodi per poter suggerire o anche insegnare, se necessario, il metodo più adatto per una determinata coppia. La Chiesa, per mezzo della mia parola, vi ringrazia per il lavoro che fate e vi incoraggia a proseguire. Essa, senza far proprio nessun metodo particolare, si limita a proclamare i principi fondamentali in materia e a incoraggiare, nella forma più efficace possibile, tutti coloro che con generosità e fedeltà a questi principi, lavorano per far si che tali principi possano essere concretamente attuati.

A poco a poco, mediante il lavoro silenzioso di persone singole, e la testimonianza viva di coppie e famiglie che vivono la gioia di una esperienza di amore cristiano generoso e aperto alla vita, si va costruendo la nuova umanità, alla quale il Signore ci ha chiamato come suo popolo, e a cui tutti gli uomini - anche senza saperlo -aspirano.


4. Chiedo che la santissima Vergine benedica abbondantemente il vostro lavoro e le vostre vite. Vi conceda ella qualcosa di quell'infinito rispetto e di quella meravigliosa tenerezza che si racchiude nel suoo cuore di madre, affinché possiate favorire, nelle donne che assistete, il formarsi di altrettante immagini di Maria.

Con questo voto, vi imparto di cuore la benedizione apostolica, che estendo volentieri ai vostri cari ed a quanti generosamente lavorano nel campo della pastorale familiare.




1982-07-03 Data estesa: Sabato 3 Luglio 1982




Recita dell'"Angelus Domini" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Richiesta di preghiere per il buon esito del dialogo teologico

Testo:


1. "A te levo i miei occhi, o Dio" (Ps 122 [123],1).

La Chiesa pronunzia queste parole nella liturgia dell'odierna Domenica.

Si esprime in esse come un ritmo interiore della nostra intimità con Dio: leviamo i nostri occhi a Dio nella preghiera. Lo facciamo, interrompendo il lavoro tre volte nel corso della giornata e recitando l'"Angelus".

Facciamo così molte volte, quando (come dice lo stesso Salmo al v. 4) "siamo troppo sazi" della sofferenza, dell'incertezza, della pena. Allora cerchiamo l'appoggio in Dio. Incominciamo a pregare perfino senza parole: leviamo gli occhi a Dio, leviamo l'anima, tutto il nostro essere. Con la preghiera si esprime interamente il modo cristiano della nostra esistenza.


2. Nella liturgia dell'odierna Domenica ci parla l'apostolo Paolo, e le sue parole meritano che vi facciamo una riflessione: "Mi vantero... ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo; ...quando sono debole, è allora che sono forte" (2Co 12,9-10).

Così scrive di se stesso un uomo, che ha sperimentato personalmente, e in modo particolare, la potenza della grazia di Dio. In mezzo alle difficoltà della vita, pregando, ha sentito la risposta del Signore: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza" (2Co 12,9).

La preghiera è la prima e fondamentale condizione della collaborazione con la grazia di Dio. Bisogna pregare per avere la grazia di Dio - e bisogna pregare per poter cooperare con la grazia di Dio.

Tale è il vero ritmo della vita interiore del cristiano.

Il Signore parla a ciascuno di noi, così come ha parlato all'Apostolo: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza".


3. Quando recitiamo l'"Angelus", meditiamo sul momento supremo della collaborazione con la grazia di Dio nella storia dell'uomo.

Maria, dicendo: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38) e accettando la maternità del Verbo Incarnato, congiunge in un modo particolarissimo la sua debolezza umana con la potenza della grazia.

perciò, quando esprime i suoi timori umani, sente le parole: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo" (Lc 1,35).


4. Recitando l'"Angelus", ammiriamo la pienezza della grazia, e la pienezza della collaborazione con la grazia nella Vergine di Nazaret.

Chiediamo, recitando l'"Angelus", di collaborare costantemente con la grazia di Dio.

Chiediamolo per noi stessi - e per ogni uomo senza eccezione. "Qual vantaggio infatti avrà l'uomo (qualsiasi uomo) se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?" (Mt 16,26).

Un saluto alla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico.

In questi giorni è riunita a Monaco di Baviera la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme, iniziato ufficialmente nel 1980 nell'isola di Patmos.

Questo dialogo è un avvenimento particolarmente importante, e perciò ha bisogno del sostegno della preghiera di tutti, affinché il Signore mandi il suo Spirito che illumini le menti e riscaldi i cuori.

Alla preparazione di tale dialogo ha dato un notevole contributo il venerato Patriarca di Costantinopoli, Athenagoras I, del quale il prossimo 7 luglio ricorrerà il decimo anniversario della morte. Egli fu convinto assertore della ricomposizione della piena unità e desidero ardentemente la concelebrazione eucaristica fra cattolici ed ortodossi.

Il dialogo teologico in corso dovrà chiarire e risolvere le divergenze esistenti, perché Oriente e Occidente possano finalmente giungere alla piena unità ed alla partecipazione all'unica Eucaristia del Signore.

perciò chiedo le vostre fervide, continue preghiere.

Ai partecipanti ai mondiali di calcio in corso di svolgimento in Spagna In questi giorni l'attenzione di milioni di persone è rivolta ai Campionati Mondiali di Calcio, che si stanno svolgendo in Spagna. Desidero inviare a tutti i giocatori e agli Organizzatori, come pure a tutti gli sportivi, un cordiale saluto, unito all'auspicio che lo sport contribuisca a rafforzare il senso della universale solidarietà e l'impegno comune per la pace e la concordia fra tutti i popoli.


[Omissis, ai gruppi di lingua inglese, pronunciato in lingua inglese]




1982-07-04 Data estesa: Domenica 4 Luglio 1982




Al capitolo generale dei Frati minori cappuccini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Una vita aperta alla fraternità universale è la testimonianza più attuale della novità cristiana

Testo:

Fratelli carissimi!


1. Sono lieto di trovarmi oggi con voi, che, come Padri Capitolari, non solo rappresentate tutti i Cappuccini sparsi nel mondo, ma state responsabilmente ripensando le vostre Costituzioni. Ciò avviene nell'anno dell'ottavo centenario della nascita di san Francesco, di cui siete discepoli e al quale cordialmente vi raccomando.

Questa circostanza, pertanto, aggiunge un ulteriore motivo di attualità ed interesse al nostro incontro, mentre vivamente vi ringrazio per averlo desiderato.


2. Nel decreto "Perfectae Caritatis" del Concilio Ecumenico Vaticano II è scritto che "il rinnovamento della vita religiosa comporta il continuo ritorno alle forme di ogni vita cristiana e alla primitiva ispirazione degli Istituti, e nello stesso tempo l'adattamento degli Istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi" (PC 2). Di queste due esigenze fondamentali - ritorno alle fonti e adattamento ai tempi -, negli anni immediatamente successivi al Concilio, è stato accentuato soprattutto, e per motivi comprensibili, il secondo aspetto, e cioè l'adattamento a quelle che lo stesso testo conciliare chiama "le necessità dell'apostolato, le esigenze della cultura e le circostanze sociali ed economiche" (PC 3). In questa linea anche voi Cappuccini avete, in diverse riprese, riveduto le vostre Costituzioni e la vostra vita, per renderle più rispondenti alle esigenze dei tempi ed alle direttive elaborate dalla Chiesa nel Concilio Vaticano II.

Ora, pero, portato a termine nei suoi aspetti essenziali questo sforzo di aggiornamento, avete sentito il bisogno anche voi - come, del resto, molti altri Istituti nella Chiesa - di rivolgervi con rinnovato impegno a quell'altra primaria esigenza che il testo conciliare chiama "il continuo ritorno alle fonti".

Questo non per rinnegare o accantonare i legittimi adattamenti e i valori nuovi scoperti e sperimentati in questi anni, ma piuttosto per vivificare anch'essi, innestandoli sul tronco vivo della tradizione, dalla quale il vostro Ordine trae la sua fisionomia e la sua forza.

Proprio per favorire un tale equilibrio tra le due esigenze, nel presente vostro Capitolo Generale, dopo aver eletto i nuovi Superiori, avete voluto rivedere le Costituzioni, per dare ad esse, terminato ormai il periodo di sperimentazione, l'assetto che - in seguito all'approvazione della Sede Apostolica - dovrà diventare definitivo e permettere al vostro Istituto di intraprendere, con rinnovato slancio e senza incertezze di sorta, un nuovo tratto del suo cammino nel servizio della Chiesa e del mondo.


3. La vostra "ispirazione primitiva", voi l'avete riscoperta riflettendo, con una sensibilità nuova, sul nome stesso ricevuto in eredità dal vostro padre san Francesco, e cioè: "Frati Minori". In tale nome, infatti, il Santo ha racchiuso ciò che gli stava maggiormente a cuore del Vangelo: la "fraternità" e la "minorità", l'amarsi come fratelli e lo scegliere per sé l'ultimo posto, sull'esempio di Cristo che non venne "per essere servito, ma per servire" (Mt 20,28). In ciò è dato vedere come il ritorno alle fonti sia, spesso, la via migliore anche ai fini dell'adattamento alle attese e ai segni dei tempi. Una vita veramente fraterna, condotta all'insegna della semplicità e carità evangelica, aperta al senso della fraternità universale di tutti gli uomini e, anzi, di tutte le creature, e in cui a ogni persona - piccola o grande, dotta o indotta - è riconosciuta pari dignità ed attenzione, è, infatti, la testimonianza forse più attuale e più urgente che si possa dare, della novità cristiana, ad una società così segnata da disuguaglianze e da spirito di predominio, come è la nostra.

Questi due tratti fondamentali della vostra identità francescana - fraternità e minorità - voi vi siete sforzati di riproporli alle nuove generazioni, alla luce della tradizione cappuccina, che conferisce ad essi quella nota inconfondibile di spontaneità e di semplicità, di letizia ed insieme di austerità, di distacco radicale dal mondo ed insieme di grande vicinanza col popolo, che ha reso così efficace ed incisiva la presenza dei Cappuccini in mezzo alle popolazioni cristiane e nelle missioni, ed ha prodotto una così nutrita schiera di santi, tra i quali san Crispino da Viterbo che ho avuto la gioia di ascrivere io stesso, pochi giorni fa, all'albo della santità eroica della Chiesa.


4. Parlando di quella primaria istanza di rinnovamento che è il ritorno alle fonti, il decreto "Perfectae Caritatis" mette in luce che non si tratta soltanto di un ritorno alla "primitiva ispirazione" del proprio Istituto, ma anche necessariamente un "continuo ritorno alle fonti di ogni vita cristiana", e cioè a Gesù Cristo, al suo Vangelo e al suo Spirito. E' questo il senso di quelle parole con le quali si esortano tutti i religiosi della Chiesa, a qualsiasi Istituto appartengano, a considerare come regola suprema la sequela di Cristo, a scegliere lui come l'unica cosa necessaria (cfr. Lc 10,42), a vivere, insomma, per Dio solo (cfr. PC 5).

Consapevoli di questo, voi avete giustamente riaffermato, in tutti i modi, il posto primario che deve occupare nella vostra vita, sia personale che comunitaria, la preghiera e, in particolare, secondo la vostra tradizione più genuina, la preghiera contemplativa. Di tutte le "radici", essa, infatti, è la "radice-madre", quella che immerge l'uomo in Dio stesso, che mantiene il tralcio unito alla vite (cfr. Jn 15,4) e assicura al religioso quel contatto costante con il Cristo, senza del quale - come afferma egli stesso - non possiamo far nulla (cfr. Jn 15,5) e col suo Spirito di Santità e di grazia.


5. L'ottavo centenario della nascita al mondo del vostro fondatore Francesco d'Assisi, con l'eco straordinaria che ha suscitato, ha mostrato quanto il mondo d'oggi sia ancora sensibile al richiamo del Poverello, quanto abbia bisogno e, per così dire, nostalgia di lui. Spetta a voi, in modo tutto particolare, mantenere sempre viva nel mondo questa speranza e, anzi, renderla sempre più visibile e riconoscibile. Questo avverrà, per quanto concerne il vostro Istituto, se, dopo aver rinnovato e perfezionato con tanto impegno e serietà le vostre Costituzioni, ognuno di voi e dei vostri confratelli si sentirà spinto a tradurle in pratica, memore di quella parola detta da Cristo ai suoi discepoli: "Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica" (Jn 13,7).

Sembra, infatti, venuto ormai il tempo per gli Istituti Religiosi di passare risolutamente dalla fase di discussione intorno alla propria legislazione a quella di attuazione pratica dei valori certi e fondamentali, dalla preoccupazione della lettera a quella dello spirito, dalle parole alla vita, e questo per non cadere in quel pericolo di illusione che lo stesso san Francesco denuncia, in una delle sue Ammonizioni, quando scrive che "sono uccisi dalla lettera quei religiosi che non vogliono seguire lo spirito della divina Scrittura, ma desiderano sapere solo parole e spiegarle agli altri" ("Amm." 7: FF156). La dovuta veracità e sincerità davanti a Dio, esige da un Istituto una rinnovata volontà di conversione e di fedeltà alla propria vocazione, in modo che sia sempre autentica, per quanto lo consenta l'umana fragilità, l'immagine che di sé ha consegnato alla Chiesa e ai fratelli, attraverso le proprie Costituzioni.


6. Fratelli e figli carissimi, accogliete queste parole come segno della mia stima verso di voi. Nello stesso tempo, siate certi che avete un posto particolare nella mia preghiera. Vi affido al Signore: voi e tutta la benemerita Famiglia dei Frati Minori Cappuccini. La santa Chiesa e il mondo stesso, che del vostro zelo hanno già beneficiato molto in passato, attendono ancora da voi un apporto generoso ed intelligente di luminosa testimonianza evangelica.

Il Signore vi ricolmi delle sue grazie; e nello spirito di san Francesco procedete lieti e sicuri.

Vi accompagni sempre la mia benedizione apostolica, che di cuore imparto a voi, Padri Capitolari, con speciale pensiero al vostro nuovo Ministro Generale e che estendo a tutti i diletti membri del vostro Ordine.




1982-07-05 Data estesa: Lunedi 5 Luglio 1982




Ai Vescovi dell'Austria in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dio stesso è la sorgente della nostra speranza

Testo:

Carissimi confratelli!


1. Mi è particolarmente gradito ricevere anche comunitariamente i Vescovi di un Paese o di una Regione durante la loro visita "ad limina". Nonostante la responsabilità particolare di ciascun Vescovo per la sua diocesi, tutti i Vescovi della Chiesa - indipendentemente dai rispettivi problemi e dalle difficoltà concrete pastorali - sono uniti dal comune compito affidato loro da Cristo, di continuare la sua missione salvifica tra il Popolo di Dio e nel mondo e di renderla fruttuosa per gli uomini del nostro tempo.

Nello spirito di questa unione episcopale collegiale e della comune responsabilità pastorale, di cuore saluto oggi voi, Pastori d'Austria, in questo incontro fraterno in Vaticano. Saluto in modo particolare l'illustrissimo signor Arcivescovo di Vienna e Presidente della Conferenza Episcopale Austriaca, Cardinale Franz König, così come i Vescovi di Innsbruck, Linz e Klagenfurt, ai quali solo da breve tempo è stata affidata la responsabilità dell'incarico episcopale.

A tutti voi do con grande gioia il mio benvenuto nella vostra visita "ad limina" e vi manifesto nello stesso tempo la mia profonda unione con le diocesi e con l'intera Chiesa d'Austria che voi qui rappresentate in quanto suoi Pastori supremi. Solo molto di recente ho avuto l'occasione di rivolgermi direttamente con un breve Messaggio a tutti i fratelli e le sorelle nella fede della vostra terra e di incoraggiarli nell'anno di rinnovamento religioso col quale voi desiderate prepararvi spiritualmente per la celebrazione del Katholikentag austriaco nel settembre 1983. "Vivere la speranza, dare speranza" è l'esigente motto del vostro comune lavoro di preparazione e della grande celebrazione conclusiva, alla quale io, a Dio piacendo, prendero parte personalmente rispondendo così al vostro amichevole invito.


2. "Vivere la speranza e dare speranza" può servirci anche oggi come motto, dal momento che, in questo breve incontro in occasione della vostra visita "ad limina", riflettiamo nuovamente sulla nostra missione pastorale in mezzo al Popolo di Dio. Al di sopra dei molteplici doveri e compiti del vostro servizio episcopale, al di sopra di tutte le preoccupazioni e le difficoltà che sono inevitabilmente legate al fedele lavoro quotidiano nella vigna del Signore, deve stare innanzitutto la speranza. La vostra visita e il vostro sostare in preghiera presso le tombe degli Apostoli nella Città eterna e il nostro fraterno colloquio devono servire principalmente a rafforzarci vicendevolmente in essa. Senza la speranza noi saremmo non solo uomini infelici e degni di compassione, ma tutta la nostra azione pastorale diverrebbe infruttuosa; noi non oseremmo intraprendere più nulla. Nella inflessibilità della nostra speranza risiede il segreto della nostra missione. Essa è più forte delle ripetute delusioni e dei dubbi faticosi perchè attinge la sua forza ad una fonte che né la nostra disattenzione né la nostra negligenza possono portare all'esaurimento. La sorgente della nostra speranza è Dio stesso, che mediante Cristo una volta per tutte ha vinto il mondo ed oggi continua attraverso di noi la sua missione salvifica tra gli uomini.


3. "Siate pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1P 3,15), così ci esorta san Pietro. La nostra testimonianza alla speranza è strettamente congiunta all'annuncio coraggioso e integrale della Lieta Novella di Cristo e alla risolutezza con la quale noi modelliamo la nostra vita secondo la fede e ci impegniamo con cristiana fraternità tra gli uomini e per la giustizia e la pace nella società. Noi affermiamo nel modo più efficace la nostra speranza che si fonda sulla fede quando la anteponiamo ad ogni altra cosa. Noi la trasmettiamo nel modo migliore ai numerosi nostri fratelli disperati, senza coraggio e speranza accanto a noi, quando mediante le nostre azioni, mediante il nostro impegno al suo servizio, mediante la difesa dei loro diritti umani e della loro dignità umana, facciamo sperimentare concretamente loro la speranza, il significato della vita e la pienezza umana.

Il Concilio Vaticano II esorta in modo particolare i sacerdoti "(a dare) ai loro fedeli... una testimonianza di salda speranza, affinché essi che vivono in difficoltà di ogni tipo, possano essere confortati dall'incoraggiamento col quale essi stessi sono incoraggiati da Dio" (PO 4). Accogliete dunque, cari confratelli, quest'anno di preparazione al vostro Katholikentag austriaco come occasione, innanzitutto per voi stessi, i sacerdoti e i loro collaboratori nella pastorale, per risvegliare nuovamente la virtù della speranza e per esercitarla concretamente nel quotidiano servizio pastorale nella comunità, nelle famiglie e presso i singoli uomini.


4. "Vivere la speranza e dare speranza" - innanzitutto attuare esemplarmente la speranza cristiana stessa, per poterla poi comunicare agli altri. Questo pensiero guida del vostro Katholikentag si adatta in modo eccellente anche ad un programma pastorale a lungo termine nelle vostre diocesi e parrocchie come anche, a livello della Conferenza Episcopale, nell'intera Chiesa del vostro paese. Esso punta non solo ad un approfondimento e rinnovamento della vita personale religiosa, ma richiama allo stesso tempo ad un rafforzato impegno missionario dei credenti nella Chiesa e nella società. Non è questa l'occasione per spiegarvi ed esporvi un tale piano pastorale in dettaglio. Sarà vostro compito, cari fratelli, trarre dal vostro invito formulato per il Katholikentag, individualmente e comunitariamente - cioè in una responsabilità e collaborazione pastorale collegiale -, le conclusioni concrete per il vostro futuro lavoro pastorale. In questo breve incontro al termine della vostra visita "ad limina" è soprattutto importante incoraggiarvi con forza a fare della speranza stessa il principio e l'anima dell'intera vostra attività pastorale e a trasmetterla, mediante comuni sforzi pastorali che vadano anche al di là del Katholikentag, a tutti i vostri sacerdoti e, attraverso di loro, a tutti i fedeli. Quale nuovo inizio pentecostale potrebbe risultare in tutti gli ambienti della vita ecclesiale, se lo spirito della speranza divenisse di nuovo pienamente vivo ed efficace in tutti i cristiani! Rassegnazione e paura scomparirebbero. La virtù della speranza ci apre nuovamente l'accesso alla dimensione soprannaturale, immortale della nostra fede. Essa supera contemporaneamente lo spirito della secolarizzazione, della assolutizzazione di questo mondo, che proprio oggi tanto minaccia la convivenza umana ed anche la coscienza di fede dei cristiani.


5. La speranza cristiana ci conduce oltre l'angustia e la limitatezza della mera realtà dell'istante e ci indirizza alla smisurata vastità del futuro, dell'invisibile, dell'eterno, alla divina promessa di compimento eterno.

Fondandosi sulla liberazione che è già avvenuta in Cristo, ci riferisce tuttavia ad un futuro che è già iniziato. La speranza del cristiano ha come contenuto e scopo il possesso di quei beni salvifici che appartengono al Regno di Dio e che - come questo - sono già presenti e anche, nello stesso tempo, futuri. perciò san Paolo dice nella lettera ai Romani: "Nella speranza noi siamo stati salvati" (8,24). Il cristiano spera ancora nel compimento del Regno di Dio, nel ritorno di Cristo, nella risurrezione e nella vita eterna; spera nella partecipazione alla signoria di Cristo ed ai beni salvifici promessi, la cui grandezza e bellezza nessun occhio umano ha visto e di cui nessun orecchio umano ha ricevuto notizia.

La speranza cristiana, che ci apre questa dimensione salvifica riferita al futuro, eterna, del nostro cristianesimo, diviene per i cristiani sorgente inesauribile di gioia, di coraggio, di forza e fiducia - anche e proprio per il servizio ai fratelli nella Chiesa e nel mondo d'oggi. Insieme alla fede e all'amore, a cui essa è strettamente legata, la speranza costruisce la vita interiore del cristiano, l'anima, che modella profondamente la sua azione apostolica e ad essa conferisce fecondità. Essa dà dimensione e profondità specificatamente cristiane all'impegno del cristiano per il progresso e il benessere tra gli uomini e i popoli, alla sua lotta contro l'ingiustizia, l'oppressione e tutte le forme di mancanza di libertà nel mondo.


6. Rinnovamento della speranza significa anche rinnovamento dell'intera vita cristiana come anche rinnovamento dell'impegno missionario per l'uomo e l'edificazione del Regno di Dio nel mondo. Poiché questa virtù, tuttavia, come ho sottolineato nel mio già ricordato messaggio di saluto ai cattolici austriaci è, nella sua essenza, un dono, essa deve essere sempre nuovamente chiesta e ottenuta da Dio mediante la riflessione e la conversione personale, mediante un costante rinnovamento della fede ed un amore vissuto a Dio e al prossimo. II vostro compito urgente di Pastori del Popolo di Dio è di aprire ai sacerdoti e, per loro tramite, ai fedeli, tutte le vie utili ed i sussidi necessari a questo scopo, mediante un annuncio attuale della Parola di Dio, mediante un accurato insegnamento catechetico, mediante una viva pastorale sacramentale, mediante una intensa assistenza alle famiglie ed una costante catechesi per gli adulti.

Non si tratta tanto di trovare qualcosa di nuovo ma di compiere ciò che è consueto e già sperimentato in uno spirito nuovo, cioè nello spirito della speranza e di comunicarlo agli altri. Infondete, cari fratelli, speranza, coraggio e fiducia innanzitutto ai vostri più stretti collaboratori, ai sacerdoti e ai religiosi. Confidando nella fedeltà immutabile di Dio, essi sappiano rendere tanto più fruttuose le loro sacre promesse ed impegni per il loro servizio agli uomini.

Infondete negli sposi, nelle famiglie nuovo coraggio per la vita e la difesa della dignità dell'uomo in tutte le fasi della sua esistenza. Trasmettete nuova speranza soprattutto ai giovani, affinchè si sentano corresponsabili al futuro della Chiesa e del Popolo di Dio. Incoraggiate i giovani, uomini e donne, a rischiare, nello spirito della speranza, la loro vita interamente per Cristo, a seguire risolutamente la sua chiamata al sacerdozio o allo stato religioso o a servire con dedizione anche come laici nella missione apostolica della Chiesa. Proprio i giovani sono la speranza del mondo di domani. perciò a loro si volgerà anche l'attenzione mondiale, quando, nel 1985, secondo il responsabile progetto delle Nazioni Unite, comincerà a Vienna l'Anno Internazionale della Gioventù. Certamente la Chiesa Cattolica in Austria approfitterà delle sue possibilità affinché allo spirito del Vangelo nella sua attuazione venga dato lo spazio ad esso dovuto e quanti più giovani possibile possano fare esperienza della gioia che viene da Dio.

Sostenete poi anche in futuro tutte le nobili iniziative nel vostro paese, mediante le quali i vostri connazionali, ed anche soprattutto le Organizzazioni cattoliche prestano generosamente aiuto in parole ed opere ai fratelli bisognosi, agli oppressi e ai perseguitati in tutto il mondo. Attraverso questa concreta testimonianza di solidarietà cristiana internazionale, i fratelli e le sorelle provati fanno esperienza non solo di sollievo nella loro necessità concreta ma vengono anche rafforzati nella loro speranza e nel loro impegno a favore di quegli inalienabili valori e diritti superiori che costituiscono la vera nobiltà dell'uomo e solamente la cui salvaguardia e realizzazione garantiscono una convivenza degnamente umana di uomini e popoli.


7. "Vivere la speranza e dare speranza". Solo se noi cristiani stessi, in primo luogo attraverso una vita vissuta nella fede, nella speranza e nell'amore avremo superato ogni angoscia esistenziale, rassegnazione e indifferenza, possiamo divenire veri annunciatori e trasmettitori di speranza anche per gli altri uomini, nei molteplici sconvolgimenti e minacce del nostro tempo, e cioè non solo in un futuro mondo migliore, ma soprattutto nella salvezza annunciata da Dio in Cristo a tutti gli uomini, che supera infinitamente ogni auspicabile felicità terrena.

Possa la preparazione e la realizzazione dell'imminente Katholikentag austriaco rinnovare profondamente il lavoro pastorale nelle vostre diocesi e parrocchie e la vita religiosa nel vostro paese nello spirito della speranza e che perciò la Chiesa diventi per gli uomini del nostro tempo sempre più "germe indistruttibile di unità, speranza e salvezza" (LG 9). perciò il Dio della speranza ricolmi voi, benemeriti Pastori, così come tutti i fedeli d'Austria, "di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo" (Rm 15,13). Questo imploro per voi di cuore con la mia particolare benedizione apostolica.




1982-07-06 Data estesa: Martedi 6 Luglio 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Alla celebrazione della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)