GPII 1982 Insegnamenti - Ai Vescovi elvetici in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Ai Vescovi elvetici in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Al servizio del popolo di Dio

Testo:

Cari fratelli in Cristo.

Quali Pastori della Svizzera siate benvenuti di cuore in Vaticano! La vostra visita ha luogo ancora prima che io abbia potuto realizzare il mio viaggio apostolico nel vostro paese già programmato per l'anno 1981. Il breve viaggio di un solo giorno a Ginevra ha riguardato, come tutti sanno, quasi esclusivamente le grandi Organizzazioni Internazionali. Conceda Dio che presto si presenti l'opportunità di un mio incontro anche con le vostre diocesi e comunità, rispondendo così al vostro e mio desiderio. Tanto più dunque il mio saluto fraterno si rivolge anche a tutti i fedeli nella vostra patria, ai quali insieme con voi mi sento profondamente legato in quest'ora, in una comune responsabilità e sollecitudine pastorale.

Gli incontri con i miei fratelli nel servizio episcopale, che in occasione della loro visita "ad limina" mi parlano del loro lavoro pastorale, fanno parte dei compiti più importanti e commoventi del mio servizio di successore di Pietro. Vorrei partecipare alle vostre gioie e preoccupazioni, alle vostre difficoltà e speranze. Voglio indicarvi l'essenziale e nello stesso tempo rafforzare la vostra fede. Questo avviene presso le tombe dei due Principi degli Apostoli. Ascoltiamo allora la confessione appassionata di Pietro: "Signore, tu sai che ti amo" (Jn 21,15). E con Paolo noi speriamo di poter dire un giorno: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la mia fede" (2Tm 4,7).


1. I molti sviluppi della Chiesa universale vengono vissuti in modo particolarmente intenso e vengono attentamente seguiti nelle vostre diocesi della Svizzera. Al primo posto sta certamente l'attiva partecipazione dei laici cristiani alla vita della Chiesa e il loro rapporto con i Pastori nominati ufficialmente. Noi vogliamo ringraziare sinceramente Dio per ogni fedele del vostro paese che fa suo l'avvenimento di Cristo e della Chiesa e si impegna con la ragione e col cuore affinché la fede sia adeguatamente testimoniata, il sacrificio di Cristo sia degnamente celebrato ad onore del Padre e l'unità della Chiesa sia vissuta nell'amore.

La Svizzera possiede in campo sociale già un'esperienza secolare nella partecipazione della "base", come si dice oggi, alla discussione ed anche alla stesura conclusiva di importanti documenti che riguardano il bene comune. Anche la Chiesa cattolica nel vostro paese dispone oggi di un multiforme sistema di Organismi nei quali numerosi laici percepiscono in modo particolare la loro responsabilità cristiana per la Chiesa e il mondo e dedicano tempo ed energie per la comunità ecclesiale. Vi sono Consigli pastorali a livello parrocchiale, Consigli pastorali diocesani ed è anche vivo l'impegno relativo ad un Organo di attività apostoliche a livello nazionale. Ad esso fanno parte inoltre le Associazioni, le Società e i Movimenti esistenti, così come i Consigli amministrativi ecclesiali e le Istanze ecclesiali cantonali che sono nate dalla posizione particolarmente aperta e corretta della Chiesa nel vostro paese.

Tali diverse forme di corresponsabilità organizzata dei laici nella vita della Chiesa sono indubbiamente uno strumento necessario e prezioso per il progresso comune del Popolo di Dio. Ma esso - come del resto molte altre istanze - deve essere introdotto con cautela e deve essere mantenuto aperto alla correzione e al miglioramento. Nella sua storia il vostro popolo ha a lungo esercitato e sperimentato differenti forme di partecipazione di tutti i cittadini alla formazione della comunità. Essi hanno cercato coraggiosamente e coscientemente la forma che esprimesse al meglio il carattere dei loro concittadini e della loro cultura. Anche la Chiesa in questi decenni si è sforzata a buon diritto di integrare nuove forme di corresponsabilità nelle sue strutture, ma nello stesso tempo ha anche fatto in modo che ciò corrispondesse nel modo migliore alla sua identità.


2. Riflettiamo brevemente insieme su alcuni elementi di fondo di questa particolare identità e struttura della Chiesa. Ai nostri occhi spirituali si presenta tutta la molteplicità dei cristiani del vostro paese e del mondo. Che cosa è realmente comune a tutti questi uomini che si dicono cristiani? Qual è il costante fondamento unificante della loro vita che è prima di ogni diversità? E' la dignità e la vocazione cristiana comune a tutti loro. Il nome "cristiano" ce lo indica: Cristo si è rivolto a noi nel Battesimo, ci ha chiamati, ci ha accolti come suoi fratelli e sorelle: ci ha legati alla sua propria vita, ci ha fatto partecipi della sua Risurrezione. Il nostro essere cristiani significa anche essere modellati in modo del tutto personale e in grado di raggiungere la profondità del cuore e dell'anima, la qual cosa dona ad ogni battezzato una nuova forma di vita e gli dischiude un particolare cammino attraverso questo mondo. Qui trova la sua origine l'altra dignità di ogni singolo cristiano, ma anche il suo compito, la sua missione.

Il Concilio Vaticano II ha delineato nel decreto sull'Apostolato dei laici le molteplici possibilità e gli impegni di un vivo testimone di Cristo. Essi si possono sintetizzare in due frasi: - I laici sono chiamati a costruire, insieme con chi ha incarichi ufficiali nella Chiesa, la comunità ecclesiale.

- I laici hanno inoltre la responsabilità di collaborare come cristiani alla costruzione dell'ordine temporale e di portarvi i valori del Vangelo.

Questa fondamentale dignità e vocazione di ogni cristiano, derivatogli dal suo vivo legame con il Signore risorto è sempre motivo di stupore e ringraziamento; essa merita la nostra particolare attenzione e sollecitudine pastorale.


3. Ma dobbiamo ancora considerare un altro elemento essenziale. Come è vero che tutti i cristiani e l'intero Popolo di Dio sono penetrati dalla vita di Cristo e per così dire rappresentano il suo Corpo nel mondo, è altrettanto vero che Cristo stesso, per quanto vicino al Popolo di Dio, gli sta anche di fronte. Egli è nostro fratello; ma è anche nostro Signore e Salvatore. Egli si dona totalmente al suo Corpo, la Chiesa, ma proprio in quanto Capo del Corpo. Egli non è una qualsiasi pietra da costruzione della Chiesa, ma la sua pietra angolare. Egli appartiene interamente alla Chiesa e tuttavia sta anche prima e al di sopra di essa: perchè egli è l'Intermediario tra Dio e l'uomo.

Questo "essere di fronte" di Cristo è innanzitutto e soprattutto una realtà spirituale e come tale è da intendere solo nella fede, per la potenza dello Spirito Santo. Ma secondo la volontà del Signore questa realtà deve assumere anche una dimensione visibile, sociale. Il fatto che anche oggi il Signore, con le parole e con le opere, indica in modo vincolante il cammino al Popolo di Dio pellegrino sulla terra, deve trovare eco nella realtà sociale della Chiesa. Così la Chiesa compie un'autentica missione di annuncio attraverso coloro che ne sono incaricati. Essa amministra i Sacramenti, nei quali il Signore si dona oggi nella completa pienezza vivente della sua persona a tutti coloro che a lui si rivolgono con apertura di cuore. Mediante Pastori legalmente incaricati, essa è guida grazie ad una autorità spirituale attuata nel nome e nella potenza di Gesù.

La specifica vocazione di coloro che hanno un incarico particolare nella Chiesa consiste dunque nel conferire una dimensione sociale alla presenza vivificante e unificante del Signore in mezzo al Popolo di Dio e rappresentarlo ufficialmente di fronte ai fedeli. E quando nell'esercizio di questo potere diviene visibile e tangibile anche l'elemento della autorità, questo avviene proprio per dare forma all'"essere di fronte" di Cristo. Posso aggiungere: proprio il sacerdote e il Vescovo stesso che disinteressatamente dovrebbero dare forma alla autorità vivente di nostro Signore Gesù Cristo, sono ben consci, anche dolorosamente, di come ciò spesso riesca loro solo in modo imperfetto. Così nella Chiesa di Gesù i laici, i sacerdoti, i Vescovi, e fra questi anche il Papa, si trovano uniti e dipendenti l'uno dall'altro nella loro debolezza e povertà umane, ma anche nella loro nobile vocazione, con i particolari doni di grazia concessi ad ognuno dallo Spirito Santo per spianare ai giorni nostri il cammino al Regno di Cristo, "il Regno della verità e della vita, il Regno della santità e della grazia, il Regno della giustizia, dell'amore e della pace" ("Prefazio" nella festa di Cristo Re).


4. Sono tuttavia al corrente che voi siete molto preoccupati proprio a riguardo del numero dei vostri sacerdoti e delle vocazioni sacerdotali, che anche nelle vostre diocesi è limitato. Condivido con tutta l'anima la vostra preoccupazione.

Che voi e i vostri sacerdoti possiate pregare di cuore perché non vi lasciate scoraggiare da tutto ciò e tanto meno riponiate le vostre speranze in soluzioni che non sono riconosciute dalla Chiesa. Vi sono oggi - e forse perfino in numero crescente - giovani ed anche adulti, che aspirano ad una vita piena che sgorghi dalla fede e condotta alla sequela di Cristo e sono pronti ad impegnarsi generosamente e senza riserve nella vocazione sacerdotale e religiosa per la diffusione del Regno di Dio nel mondo. Parlate loro con forza di persuasione e speranza piena! Ponete in modo credibile di fronte ai loro occhi gli alti ideali della nostra stessa vita sacerdotale! E non lasciate che la loro buona volontà divenga incerta e si paralizzi in sempre nuove discussioni sull'identità del sacerdote.

Le vocazioni sacerdotali che germoglieranno in futuro non devono inoltre essere messe in pericolo, soprattutto nei Seminari stessi, a causa di una mancanza di guida spirituale e religiosa o a causa di arrischiati esperimenti. In essi, come il Concilio sottolinea energicamente, "l'educazione degli alunni deve tendere allo scopo di formare veri pastori d'anime, sull'esempio di nostro Signore Gesù Cristo, Sacerdote e Pastore (OT 4). Ma per questo è indispensabile un orientamento specificatamente sacerdotale della vita comunitaria del Seminario.

Sono al corrente dei vostri numerosi e molteplici impegni pastorali.

Cercate ciò nonostante di dedicare sempre tempo sufficiente ad incontri personali con i sacerdoti delle vostre diocesi. L'affetto e l'attenzione particolare del Vescovo devono sempre indirizzarsi ai suoi collaboratori spirituali. Preoccupatevi soprattutto degli oppressi e degli affaticati, fate loro visita anche singolarmente, percorrete un tratto di strada insieme a loro. La vostra solidarietà e collaborazione fraterna con i vostri sacerdoti nella molteplicità degli uomini e delle situazioni indica la vostra comune amicizia con Cristo e può significare anche per altri un invito silenzioso a decidere anch'essi per una tale scelta di vita.


5. Il Vescovo è oggi generalmente più vicino ai suoi sacerdoti e fedeli di quanto lo fosse forse in tempi passati. Chi potrebbe negare i vantaggi di una tale vicinanza, di una condotta semplice, di un legame fraterno? Nonostante la sua apertura e partecipazione ai bisogni concreti di singoli e di gruppi, il Vescovo deve tuttavia preoccuparsi sempre del bene spirituale di tutti. Quale Pastore e Maestro, egli è in modo particolare testimone e garante del cammino della Chiesa che, radicata nel passato, troverà un giorno il suo compimento. Il gregge è affidato al Vescovo da Cristo stesso; a lui dovrà rispondere alla fine, a lui deve condurre il gregge, in tutte le sue parti e gruppi.

perciò, cari fratelli - memore delle particolari difficoltà che oggi si pongono alla vita religiosa ed ecclesiale, e grato per la vostra instancabile opera episcopale nelle vostre diocesi - vorrei che questa frase penetrasse nuovamente nel vostro cuore: Siate guide, affinché nessuno smarrisca la strada! Pervengono continuamente in Vaticano da diverse parti, anche dal vostro paese, delle lettere, nelle quali dei cristiani profondamente preoccupati lamentano certi arbitrari esperimenti liturgici ai quali essi a volte sono esposti, come talvolta i temi delle prediche nelle loro parrocchie vengono svolti unilateralmente; di quanta critica priva di amore essi debbono leggere anche su Riviste cattoliche o ascoltare in Convegni teologici. Accanto al molto di positivo nato dal rinnovamento conciliare e che deve essere favorito ad ogni costo, bisogna tuttavia anche riconoscere a tempo debito e correggere con la necessaria pazienza e prudenza pastorale gli sviluppi errati.

Innanzitutto lo svolgimento autentico e degno della Liturgia merita sempre ed ovunque la vostra attenta sollecitudine pastorale. Il nostro amore a Cristo si dimostra in modo particolare nel nostro profondo rispetto verso la sua presenza molteplice nella celebrazione eucaristica. Tutto ciò che avviene nella Liturgia concerne il Signore stesso, che è presente nella comunità cristiana radunata, nel sacerdote che la presiede, nella Parola, nei Sacramenti, nel Sacrificio della Messa sotto le specie eucaristiche. La serietà del nostro amore e il rispetto si misurano anche e non da ultimo dalla nostra fedele ubbidienza alla Chiesa, soprattutto nella coscienziosa osservanza delle disposizioni promulgate dalla Santa Sede per la Liturgia. E' dovere del Vescovo a questo proposito riprendere i trasgressori con bontà ma anche con fermezza.


6. Ciò porta in modo particolare a riflettere sul problema delle diverse "Forme di penitenza cristiana". Con gioia sono venuto a conoscenza del vostro recentissimo Documento riguardante questo problema, nel quale voi sottolineate ripetutamente il valore insostituibile della Confessione individuale. La grande stima e l'incoraggiamento della Confessione individuale è la ragione per cui l'assoluzione generale sacramentale è stata permessa solo per alcune limitate situazioni eccezionali, da parte del massimo ufficio pastorale della Chiesa. Queste situazioni particolari devono essere valutate di volta in volta dai Vescovi competenti e riconosciute come tali (cfr. AAS 64 [1972] 512).

Per quanto riguarda la questione dell'Ecumenismo, è necessario che si abbia una comprensione sempre maggiore del fatto, per esempio, che a proposito del problema della comunione tra le Chiese gli accordi in vigore oggi devono essere rispettati nell'interesse di un progresso responsabile sulla via della desiderata unità. Non dovrebbe accadere che singoli Pastori, con uno zelo ben intenzionato ma non sufficientemente illuminato, trascurino di osservare le limitazioni ancora necessarie.


7. Cari fratelli! Sono lieto di avere avuto la possibilità, nel nostro fraterno incontro di oggi, a partire dalla nostra comune responsabilità nel servizio pastorale come anche in un'intima partecipazione personale ai molteplici compiti e difficoltà del vostro servizio episcopale nelle vostre diocesi, di riflettere brevemente con voi su alcuni problemi e preoccupazioni centrali del vostro lavoro pastorale. Nello stesso tempo vorrei ringraziarvi di cuore per il vostro instancabile impegno tra i vostri fedeli e incoraggiarvi come vostro fratello nell'incarico episcopale affidatovi dal Signore, che certamente non è leggero ma è incomparabilmente nobile e bello. Abbiate fiducia innanzitutto nella costante vicinanza e nel vivo aiuto del divino Buon Pastore. Tutta la nostra opera di Pastori supremi della Chiesa è ultimamente al servizio di Gesù stesso. Egli conferisce lo Spirito che rende vive e missionarie le nostre comunità e nello stesso tempo le congiunge nell'unità della Chiesa tutta. Così io vorrei unirmi con tutto il cuore alla vostra preghiera in una comune fiducia nell'aiuto di Dio e dire insieme a voi e ai vostri fedeli: "Dio misericordioso, donaci lo Spirito dell'amore, lo Spirito del Figlio tuo, affinché la Chiesa (in questo paese) si rafforzi in una vita nuova... Donaci il tuo Santo Spirito... Fa' che tutti i membri della Chiesa comprendano i segni dei tempi e crescano nella fiducia al tuo Vangelo" (Sinodo dei Vescovi 1972).

Da parte mia io continuero ad accompagnare con la mia preghiera la vostra opera pastorale così colma di responsabilità ed anche vi chiedo di pregare per il mio servizio apostolico per il bene di tutta la Chiesa. Dio benedica voi, le vostre diocesi e tutti i vostri connazionali.




1982-07-09 Data estesa: Venerdi 9 Luglio 1982




Ai capitolari dell'Ordine basiliano di san Giosafat - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Siate sale della vostra terra e lievito della comunità ucraina

Testo:

Sia lodato Gesù Cristo! Fratelli carissimi.

Sono lieto di salutare lei, reverendissimo Padre Protoarchimandrita dell'Ordine Basiliano di san Giosafat con i Padri Consultori Generali e tutti i Capitolari e i religiosi della Casa Generalizia. Siete venuti dalle varie parti della diaspora: dal Canada, dagli Stati Uniti, dal Brasile, dall'Argentina, esclusa purtroppo la terra di origine. Molti di questi Paesi sono stati da me visitati e la vostra presenza così varia nella sua derivazione geografica solleva nel mio animo una festa di ricordi recenti e lontani.

La celebrazione di un Capitolo è momento rilevante per un Istituto religioso; ma essa diviene accadimento singolare, quando vi si sovrappone, come nel vostro caso, la ricorrenza centenaria della Riforma Leoniana del vostro "inclito" Ordine: 1882-1982: Riforma che va sotto il nome di Dobromyl.

Voi ricordate e venerate a buon diritto Leone XIII il "riformatore", si direbbe, del vostro Ordine.

Ed è perciò giusto che il centenario vi veda riuniti, non solo in Roma, ma proprio intorno al Papa che continua verso il vostro Ordine la benevolenza e la sollecitudine di quel grande mio predecessore, Né va dimenticato che nella Riforma di Dobromyl l'Ordine assunse un quarto voto: "quello di fedeltà e obbedienza alla Sede Apostolica e ai successori di san Pietro": voto che vi rende particolarmente vicini e cari al Papa.

La Riforma dell'Ordine fu un atto di sapienza di Leone XIII, ma fu anche una prova della spontanea generosità delle nuove leve e la dimostrazione della forza che può esercitare un ideale ricondotto alla bellezza delle origini.

Nella lettera apostolica di Leone XIII dal titolo "Singulare praesidium" vi è una sentenza che risuona a onore e a incitamento del vostro Ordine, del quale dice: "quo vigente, Ruthenorum viguit Ecclesia" ('61). Il vigore della Chiesa Ucraina coincideva sempre con il vigore del vostro Ordine. Questo legame storico tra le sorti del vostro Ordine e le sorti della Chiesa Ucraina è per tutti voi un invito ad essere il sale evangelico della vostra terra, il lievito della Comunità Ucraina.

Vorremmo che le sperenze e i patimenti dei vostri fratelli, chiamati a testimoniare la loro fede e l'Unione con la Sede Apostolica in condizioni dure e spesso eroiche, fecondassero l'apostolato di voi che lavorate per Cristo in clima di libertà.

La Theotokos ottenga a loro la santa perseveranza e a voi abbondanza di frutti apostolici! Il vostro Ordine s'intitola, oltre che a san Basilio il Grande, anche a san Giosafat, monaco e Vescovo, che ebbe la corona del martirio.

La testimonianza del suo sangue sia un tesoro, un esempio e un conforto per tutto il vostro Ordine.

Sotto la tutela di san Giosafat, il vostro Ordine fiorisca e si consolidi e l'intercessione del Martire affretti giorni di pace per tutta la santa Chiesa Ucraina.

A tutti di cuore la mia apostolica benedizione.

Sia lodato Gesù Cristo!




1982-07-09 Data estesa: Venerdi 9 Luglio 1982




Lettera al protoarchimandrita dell'Ordine basiliano di san Giosafat


Titolo: Nel primo centenario della riforma dell'Ordine

Testo:

Al diletto figlio Isidoro Patryl, Protoarchimandrita, Superiore Generale dell'Ordine basiliano di san Giosafat.

Nella solennità della ricorrenza del primo centenario della riforma dell'Ordine basiliano di san Giosafat (riforma che va sotto il nome di Dobromyl), siamo lieti di poter salutare te e i delegati di tutto l'Ordine e delle Provincie, convenuti a Roma per il Capitolo Generale. Vi invitiamo naturalmente a portare il nostro saluto anche ai monaci e ai religiosi dell'Ordine basiliano, che le varie fatiche dell'apostolato trattengono in luoghi diversi, nel paese d'origine, all'estero, e specialmente a coloro che per la loro purissima fede in Cristo e per l'obbedienza a questa Sede Apostolica sono perseguitati.

La riforma di Dobromyl, per fare in breve la sua storia, ebbe il fondamento e, se così si può dire, la "Magna Charta" dalla lettera apostolica "Singulare praesidium" del nostro predecessore Leone XIII, il 12 maggio 1882 (cfr. "Acta Leonis", III, 58); fondamentale fu l'importanza di questa Lettera, certamente ispirata da Dio nella sua infinita provvidenza: infatti l'Ordine, che per la iniquità dei tempi aveva perso il suo vigore e appariva ormai vecchio, non solo fu strappato a così grave pericolo ma ebbe anche una meravigliosa fioritura di monaci e di Istituti, e diede rigogliosissimi frutti, a somiglianza di quanto avvenne in seguito alla prima riforma, che era stata fatta nell'anno1623. Si può dunque dire, se si fa una valutazione storica, che la riforma di Dobromyl fu veramente una seconda fondazione dell'Ordine.

Come è noto, i monaci di san Basilio Magno, la cui opera di Legislatore ascetico abbiamo lodato nella lettera apostolica "Patres Ecclesiae" (cfr. "AAS" 72 [1980], 5-23) per la prima volta entrarono nella Sede Metropolitana di Kiev ad opera dei santi Antonio e Teodosio, che fondarono il convento delle Cripte nella stessa Kiev (Kievo Pecerska Lavra), che fu la culla di tutti i successivi conventi slavi.

Su questo grande albero si innesto la "prior reformatio" (prima riforma), che san Giosafat nel monastero della santissima Trinità di Vilnius inizio nell'anno 1617 con il Metropolita Rutskyi, quando cioè i primi conventi furono tutti riuniti sotto un unico capo. In verità questa opera di perfezionamento e la rinnovata fedeltà alla Sede Apostolica costarono il martirio a san Giosafat; ma per il fatto stesso che il prezzo fu così alto, la messe della riforma fu fecondissima, tanto che nell'anno 1772 l'Ordine contava 155 monasteri con 1235 monaci, dei quali 950 sacerdoti; perciò a ragione negli annali quell'età viene considerata "aurea".

Per quanto riguarda la seconda riforma che fu avviata dal nostro predecessore Leone XIII, si può ben metterla sullo stesso piano della precedente per splendore e vigore. E se la terribile tempesta della persecuzione devasto ampiamente la prima sede e le provincie originarie dell'Ordine, tuttavia è fuor di dubbio che esso ha esteso i suoi confini da allora e da ogni parte ha preso vigore pur avendo subito tante perdite. Inoltre, se nella prima riforma dell'anno 1623 tutti i Basiliani giurarono fedeltà alla Sede Romana fino alla morte, nella seconda il vostro sacro Ordine si lego con un quarto voto "a prestare fedeltà e obbedienza alla Sede Apostolica e ai successori di Pietro". E ancora, nella prima riforma i monaci si ripromisero di conservare il Rito greco; è chiaro che vollero che si perpetuasse questo rito come un segno caratteristico del vostro Ordine, e che fosse considerato un felice augurio di unità alla vostra Chiesa.

Se questa dunque è la storia del vostro Ordine, in questa solenne ricorrenza quale invito più appropriato potremmo farvi se non quello di tener fede alle promesse fatte allora da quei vostri predecessori nella prima riforma, e poi ancora nella seconda da altri? Nella sua Lettera apostolica il nostro venerabile predecessore Leone XIII esprimeva anche la speranza che il vostro Ordine "rifiorisse completamente".

Addirittura, dopo averlo chiamato "grande" e "inclito", aggiunse anche questa espressione: "Quo vigente, Ruthenorum viguit Ecclesia" [Il vigore della Chiesa Ucraina coincise sempre con il vigore del vostro Ordine] ("Acta Leonis", III, 61).

Quale elogio può essere pari a questo se guardiamo ai secoli passati, quale di maggior incitamento se guardiamo al futuro? Questa infatti è la peculiarità del vostro Ordine, come di ogni Ordine monastico, collocare la vita evangelica in una luce chiarissima con una perfetta regola di vita. Se l'Ordine si atterrà a questo impegno di vita sarà certamente ancora "forza e vigore della Chiesa".

Del resto questa promessa di una messe rigogliosa "per il bene della Chiesa" promana con ogni evidenza già abbondante dall'origine dell'Ordine basiliano di san Giosafat, cioè dallo stesso san Basilio Magno, che fu "tra i più grandi pastori-monaci della Chiesa" ("Patres Ecclesiae", II), e da san Giosafat anch'egli monaco e Vescovo.

Dal compito di Pastori del Popolo di Dio (che è un popolo sacerdotale) nacque quella grande preoccupazione pastorale che spinse san Basilio Magno e san Giosafat martire a sviluppare la sacra Liturgia, l'importanza della quale è così definita nel Concilio Vaticano II: "culmine al quale tende l'azione della Chiesa e insieme fonte dalla quale emana tutta la sua virtù" (SC 10). Il nostro augurio è che la sacra Liturgia ispiri tutto il vostro apostolato! Quali grandi tribolazioni sopporto, quali fatiche si addosso san Basilio per l'unità della Chiesa è noto a tutti; soleva spesso ripetere: "la discordia dei cristiani oscura la stessa verità del Vangelo, lacera lo stesso Cristo" (cfr. "Patres Ecclesiae" II), e insegno la strada per ripristinare l'unità, strada che indicava in una nuova conversione di ognuno a Cristo e alla sua parola (cfr. II.).

Sappiamo anche che per questa unità della Chiesa san Giosafat subi il martirio.

Non possiamo dunque che auspicare che lo Spirito Santo con la rugiada della sua grazia irrori la vostra vita, l'apostolato e le vostre iniziative per l'unità; lo Spirito che nel vostro Ordine invocate con le parole di san Basilio come "Spirito di verità, grazia di adozione, pegno della futura eredità, primizia dei beni eterni, potenza vivificatrice, fonte di santificazione" ("Patres Ecclesiae", III).

Questi nostri voti siano accolti dalla beata Vergine Maria, che san Basilio nella Liturgia onora come "santissima, pura, benedetta tra tutte, gloriosa Signora Madre di Dio e sempre Vergine; donna piena di grazia e letizia di tutto l'universo" (III).

Infine mentre invochiamo l'aiuto dei santi Basilio e Giosafat, vostri patroni celesti, come segno della nostra paterna benevolenza e pegno della pienezza della gioia e della perfezione, a te, a tutti i confratelli, a tutti coloro che parteciperanno a questa vostra solenne celebrazione, impartiamo la benedizione apostolica.


Dal Vaticano, il 1 luglio, dell'anno 1982, quarto del nostro pontificato




1982-07-09 Data estesa: Venerdi 9 Luglio 1982




Recita dell'"Angelus Domini" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Gli uomini sono chiamati alla dignità di figli di Dio

Testo:


1. Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo penetri i nostri cuori con la sua luce per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati.

Così preghiamo oggi, attingendo abbondantemente dalla lettera agli Efesini.

Uniamo questa preghiera con la nostra meditazione all'"Angelus": - "L'Angelo del Signore porto l'annuncio a Maria. Ed ella concepi per opera dello Spirito Santo".

- "E il Verbo si è fatto carne. E abito fra noi".

E appunto, da quel preciso momento l'Eterno Padre penetro i nostri cuori con la sua luce! Da quel momento sappiamo "a quale speranza ci ha chiamati" (cfr. Ep 1,18).

Uniamo oggi la nostra preghiera dell'"Angelus" con la meditazione sulla nostra chiamata: umana e cristiana.


2. Siamo chiamati dall'eternità in Gesù Cristo: "Dio Padre in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo..." (Ep 1,4); "per amore ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo" (v. 5).

In lui "abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia" (v. 7).

Ecco alcune frasi della lettera agli Efesini, che leggiamo nella liturgia di oggi. Esse ci dicono a quale speranza Dio ci ha chiamati. Ci dicono a che cosa ha chiamato ognuno di noi l'Eterno Padre, già fin da qui in terra e nella prospettiva di tutta l'eternità.

Queste parole parlano della elevazione soprannaturale di ogni uomo in Gesù Cristo: della dignità di figli adottivi di Dio, della quale siamo in lui gratificati.


3. Cari fratelli e sorelle! Non è mai troppo pensare a questi problemi. Non è mai troppo meditarli con fede, speranza e carità.

Preghiamo oggi recitando l'"Angelus", perché tutti gli uomini scoprano ed accettino questa vocazione, alla quale essi partecipano eternamente in Cristo Gesù.

Preghiamo, perché tutti i cristiani - coloro che già conoscono Cristo - siano sempre più pienamente consapevoli a quale speranza Dio ci ha chiamati.

Il Padre celeste penetri i cuori di tutti con la sua luce.


4. Preghiamo pure, perché coloro che sono chiamati al particolare servizio nel Regno di Cristo, i chiamati al sacerdozio oppure alla vita religiosa, accolgano questa chiamata e la seguano.

Il Padre eterno penetri i loro cuori con la sua luce particolare.


5. Rinnoviamo, infine, la preghiera per i nostri fratelli del Libano. Nella capitale Beirut la popolazione soffre sotto i bombardamenti ed è stremata dalle privazioni; il prolungarsi dell'assedio accresce la minaccia della fame e delle epidemie e l'incubo di vittime e sofferenze ancora maggiori.

Speranze, delusioni, timori si susseguono in questi giorni, prolungando una situazione di incertezza e di sofferenze già troppo a lungo protrattesi.

Dio Onnipotente ispiri pensieri di pace alle parti in conflitto e dia saggezza a tutti i responsabili, perché si possa giungere rapidamente all'intesa, annunziata ed invocata da tanti giorni.

A vari gruppi giovanili Rivolgo un cordiale saluto a tutti coloro che partecipano, in Assisi, alla Festa dei Giovani, organizzata dal Movimento "Comunione e Liberazione" sul tema: "La prima risorsa dell'uomo è la moralità, cioè una vita per l'ideale".

A voi tutti che mi ascoltate dalla città di san Francesco, del quale celebriamo quest'anno l'ottavo centenario della nascita, auguro che, con il tipico, generoso entusiasmo della vostra giovinezza, sappiate imitare l'atteggiamento fondamentale del Poverello di Assisi, che fu di totale dedizione e fedeltà a Dio ed all'uomo; una dedizione ed una fedeltà che in voi debbono concretizzarsi nella serena e coraggiosa testimonianza di fede cristiana, ed altresi, nell'impegno generoso verso gli altri, specialmente verso coloro che soffrono nel corpo e nello spirito.

Cristo, via, verità e vita, illumini tutta la vostra esistenza e le vostre scelte.

A questi auspici aggiungo la mia benedizione apostolica.


[Omissis. Seguono i saluti in altre lingue: spagnola, francese]




1982-07-11 Data estesa: Domenica 11 Luglio 1982




Ai corsisti della NATO - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per garantire la difesa promuovete la pace

Testo:

Cari fratelli.

Sono felice di estendere ancora una volta il mio cordiale benvenuto ai membri del Collegio di Difesa della NATO. Poiché seguite il vostro corso di studi qui a Roma, è per me un piacere avere la possibilità di riflettere con voi su alcuni aspetti della pace nel mondo.


1. Vi è stata offerta nel vostro programma una particolare opportunità di considerare i diversi problemi che si presentano al mondo, e di valutarli all'interno del più ampio contesto della difesa e della pace mondiale. Poiché venite da una dozzina di paesi diversi, voi apprezzate il valore della solidarietà internazionale, sia nella sua espressione positiva, che è la pace internazionale, che nella sua negazione, che è la discordia e la guerra.


2. La pace, nella sua forma più alta, è la piena espressione dell'amore fraterno.

Ora, la pace produce i frutti che le sono propri, che sono così necessari per la società: offre sicurezza alla vita dei popoli e dà all'umanità la possibilità di scambi fruttuosi; questo costituisce l'unica difesa realmente effettiva del patrimonio culturale delle nazioni, così come di numerosi altri valori umani.

Anche la guerra dà i suoi frutti particolari. Appena ieri parlavo di alcuni di questi in relazione al conflitto libanese: bombardamenti, privazioni, la minaccia della carestia e delle epidemie, e l'incubo di nuove vittime e di ancora più grandi sofferenze.


3. La pace è davvero il solo modo di vita in cui sia possibile una difesa adeguata. La pace ha i suoi requisiti e porta i suoi benefici. Se volete garantire la difesa, promuovete la pace. Si, la pace è il nuovo nome della difesa.


In tutti i suoi pronunciamenti riguardo alla pace, la Chiesa Cattolica non ha dimenticato di parlare della difesa. Nel suo Messaggio per la Pace del


1974, Paolo VI ammoniva a non confondere "la pace con la debolezza (non solo fisica, ma anche morale), con la rinuncia al genuino diritto e alla giustizia equa, con l'evitare il rischio e il sacrificio, con la vigliaccheria e la supina sottomissione all'altrui arroganza, e da qui con l'acquiescenza all'asservimento".

Egli spiegava ulteriormente: "Questa non è la vera pace. La repressione non è pace. La codardia non è pace. L'accordo puramente esterno e imposto dalla paura non è pace".


4. Nello stesso tempo emerge qui sempre più chiaramente l'assurdità della guerra considerata come mezzo per promuovere la pace. Anch'io ho cercato di mettere in rilievo questo concetto durante la mia recente visita in Gran Bretagna, sottolineando che: "l'orrore della guerra moderna - sia essa nucleare o convenzionale - la rende totalmente inaccettabile come mezzo per comporre dispute e vertenze tra nazioni" (Coventry, 30 maggio 1982).

La rilevanza di queste affermazioni è vista nelle sue applicazioni pratiche: l'inaccettabilità della corsa agli armamenti e la necessità di far fronte ai problemi che ne derivano; la necessità di fornire valori positivi che impegnino l'attenzione dei popoli e li orientino alla costruzione di un mondo di pace fondato sull'umana solidarieta.


5. Ho recentemente proposto alla riflessione mondiale, durante la mia visita a Ginevra, il vitale concetto della solidarietà nel lavoro e della "umanizzazione" del lavoro. Vi sono numerose considerazioni di questo tipo, e tutte sono meritevoli della vostra attenzione e rilevanti per la causa che vi sforzate di servire, perché di qui passa la strada lungo la quale il progresso dell'umanità è veramente raggiunto e la difesa delle nazioni assicurata.

Signore e signori, sta alla vostra abilità il mettere in relazione, giorno dopo giorno, questi gravi problemi con i vostri programmi, perché essi vi offrono gli spunti e i mezzi al fine di garantire la difesa dei vostri paesi, delle vostre case, e dei vostri più cari ideali.

Possa il Signore della pace benedire voi e le vostre famiglie e difendervi da ogni male.




1982-07-12 Data estesa: Lunedi 12 Luglio 1982






GPII 1982 Insegnamenti - Ai Vescovi elvetici in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)