GPII 1982 Insegnamenti - Palazzo Pontificio - Castel Gandolfo (Roma)

Palazzo Pontificio - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Messa per gli studenti di Lovanio

Testo:

Carissimi amici, Alla conclusione della nostra comune celebrazione vorrei ridirvi la mia felicità per questo incontro. Insieme abbiamo ascoltato le parole del Signore, insieme abbiamo rinnovato l'offerta eucaristica. Spero che fra tutte le impressioni che vi portate via - di questo viaggio a Roma - ci sia anche il ricordo di questa celebrazione e che questo vi potrà rimanere d'ispirazione.

I vostri genitori e familiari, la comunità fiamminga di cui fate parte e la Chiesa delle Fiandre si aspetta, giustamente, tanto da voi.

So che anche voi aspirate a grandi cose nella vostra vita. Come universitari vi è stata data la possibilità di formarvi professionalmente ad alto livello e di acquistare una cultura solida.

Attraverso la vostra partecipazione alla comunità e allo studio nell'Università cattolica di Lovanio dovete approfondire la vostra vita cristiana.

La vostra profonda sensibilità alla giustizia, alla pace e alla fratellanza tra tutti gli uomini e popoli deve essere portata dalla vostra fede e dal vostro legame con il Signore Gesù che è "pane di vita".

Lasciatemi esprimervi questo augurio: che in Lovanio, nelle Fiandre e dovunque sarete al servizio del vostro prossimo, voi possiate radicalmente testimoniare il vostro credo nel Signore Gesù e nel suo messaggio. Soltanto per la vostra convinzione, per il vostro impegno personale la missione dell'Università Cattolica potrà nel mondo di oggi prendere concretamente forma.

Grato della vostra visita, voglio dare la mia benedizione apostolica a ciascuno di voi, alla vostra famiglia e a voi cari della comunità universitaria di Lovanio.


[Traduzione dal fiammingo]




1982-08-01 Data estesa: Domenica 1 Agosto 1982




Recita dell'"Angelus Domini" - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Rendiamo grazie per il mistero dell'incarnazione del Verbo

Testo:


1. "Non di solo pane vivrà l'uomo / ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4).

La Chiesa ci ricorda, nell'odierna liturgia, queste parole pronunciate da Cristo al momento della tentazione.

Abbiamo ringraziato la scorsa domenica per il pane, che appartiene all'opera dalla creazione, e che è indispensabile all'uomo per la vita del suo corpo.

Oggi ringraziamo per la parola che proviene dalla bocca di Dio. E' questa una parola della Suprema Verità e la verità è indispensabile all'uomo per la vita della sua anima.

Ringraziamo dunque per la parola che "Dio... aveva già detto nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti e infine ha parlato per mezzo del Figlio (cfr. He 1,1s).

Ringraziamo per questa Parola, che ci giunge dalla Sacra Scrittura dell'Antica e della Nuova Alleanza. Ringraziamo per il Vangelo.


2. Tutte le volte che preghiamo recitando l'"Angelus", ci rendiamo conto con venerazione che "il Verbo si fece carne / e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14).

Questa è la Parola consostanziale al Padre: Dio-Figlio. Il Verbo era "in principio... presso Dio e il Verbo era Dio" (Jn 1,1s).

Ogni volta che ripetiamo l'"Angelus" rendiamo grazie per il mistero dell'Incarnazione del Verbo.

E proprio questo Verbo Incarnato, Gesù Cristo, Dio-Uomo, dice: "Non di solo pane vivrà l'uomo / ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4).

Il Verbo Incarnato è l'Altissimo Datore di quelle parole, delle quali vive l'uomo, delle quali vive l'anima umana, perché esse "escono dalla bocca di Dio". Il Verbo Incarnato è il più generoso Dispensatore di parole di vita eterna.


3. Tra le parole di vita eterna, pronunciate dal Figlio di Dio, un particolare significato hanno le parole sul Pane di Vita. Le ricorda la liturgia dell'odierna domenica, rileggendo il passo del sesto capitolo del Vangelo secondo Giovanni.

Dice Cristo: "Io sono il pane della vita; / chi viene a me non avrà più fame / e chi crede in me non avrà più sete" (Jn 6,35).

Così dunque "non di solo pane vive l'uomo": non di solo cibo materiale.

Invece con la forza della parola "che esce dalla bocca di Dio", diventa Pane il Cristo stesso: il Verbo Incarnato. Diventa Pane: nutrimento delle anime, cibo per la vita eterna.

Ecco come dice ai suoi uditori: "il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; / il pane di Dio / è colui che discende dal cielo / e dà la vita al mondo" Jn 6,32-33).

Così dunque, non di solo pane materiale vive l'uomo. Indispensabile è la Parola di Dio, e il Pane che, con la forza di questa parola, diventa Corpo di Cristo: cibo di vita eterna.


4. Nella liturgia eucaristica sono imbandite per noi due mense: la mensa della Parola di Dio e la mensa del Corpo e del Sangue del Signore. Preghiamo perché tutti si accostino degnamente a queste due mense, ricevendo il nutrimento della Vita Eterna. Preghiamo perché cresca e si approfondisca la vita eucaristica in noi e in tutta la Chiesa.


5. Nelle settimane scorse abbiamo vivamente sofferto e pregato, alle notizie che ci giungevano sulla guerra nel Libano: tanti morti e feriti; dolore e privazioni nella città di Beyrouth.

Nei giorni più recenti, sembra che si stia aprendo uno spiraglio di luce: l'intesa appare possibile, forse è vicina, dopo quasi due mesi di aspri combattimenti.

Questi sono momenti decisivi per la pace nella martoriata terra del Libano; la strada sarà ancora lunga e disseminata di ostacoli, ma è possibile guardare all'avvenire con animo più aperto alla speranza.

Vi esorto, perciò, ad intensificare la preghiera, perché, al più presto, si raggiunga e si realizzi l'accordo fra le parti. Voglia il Signore illuminare i Responsabili nelle loro decisioni e dare fiducia e costanza a quanti lodevolmente si stanno adoperando per favorire l'intesa. Possa il Libano riprendere finalmente la via della pace e, con tutti gli altri popoli del Medio Oriente, dedicarsi serenamente all'opera della ricostruzione e del progresso civile e spirituale.

[Omissis. Seguono i saluti in altre lingue: francese, inglese, tedesca, spagnola, portoghese] A gruppi di italiani.

Un cordiale saluto desidero rivolgere a tutti i pellegrini che si trovano in questo momento riuniti presso la Basilica di santa Maria degli Angeli, in Assisi, per lucrare l'indulgenza plenaria detta della "Porziuncola", perché legata alla celebre Chiesetta che è considerata la culla del Francescanesimo.

A voi tutti, che in autentico atteggiamento di "Perdono" e di "Riconciliazione" seguite la scia del Poverello di Assisi, del quale quest'anno si celebra l'VIII Centenario della nascita, auguro che assimiliate interiormente quello spirito di "penitenza", cioè di totale e definitiva conversione a Dio, che è stato il nucleo fondamentale del messaggio che san Francesco proclamava, con la parola e con la vita, ai suoi contemporanei e continua a proclamare ancora oggi agli uomini di questa generazione.

La mia benedizione apostolica vi accompagni ora è sempre.

Saluto tutti gli ospiti della città di Castel Gandolfo e saluto la stessa comunità di Castel Gandolfo nel giorno, molto importante, della "giornata della pesca". Ecco un giorno che significa i frutti che ci ha portato la terra e il lavoro umano. Ringraziamo il Signore per questi frutti e offriamo questi frutti, perché i frutti del lavoro umano esistono anche per una comunione fra gli uomini, non per le lotte, ma per la comunione, per la giustizia, per la coesistenza e convivenza degli uomini, dei popoli, delle nazioni, dei continenti.

Questo è l'augurio per il lavoro umano in questa città di Castel Gandolfo che faccio oggi con tutti gli ospiti presenti in questa città.




1982-08-01 Data estesa: Domenica 1 Agosto 1982




Per la nomina a inviato personale alle celebrazioni centenarie dell'Ordine dei cavalieri di Colombo

Titolo: Lettera al Cardinale Agostino Casaroli

Testo:

Al Venerabile Fratello Nostro Agostino di S.R.C. Cardinale Casaroli Tra poco, cioè all'inizio del mese di agosto, con grandi manifestazioni di esultanza e con la dovuta solennità, quella fraterna e benefica Associazione di fedeli Cattolici, che ha l'illustre nome di "Cavalieri di Colombo", ricorderà il centenario della sua nascita non lontano dal luogo di origine, ossia la città di New Haven dello Stato di Connecticut, dove molto provvidamente esse fu costituita dal sacerdote Michele McGivney.

Difficilmente si trova qualcuno in quella Nazione, e anche all'estero, che ignori i grandi propositi e le insigni opere - le ingenti testimonianze, diciamo, di carità e di unità, di amore fraterno e di devozione verso la patria, di giustizia sociale e di educazione - che quella Associazione ha compiute interrottamente durante questi cento anni in ogni parte del mondo, in ogni campo della vita umana ed ecclesiastica, ed ancora compie splendidamente.

Non senza motivo, anzi, si è detto che quella Associazione è una specie di modello americano dell'Azione Cattolica: essi infatti, in pieno accordo con il pensiero e la volontà della Madre Chiesa, devono essere considerati i veri cavalieri della nostra epoca: il loro scudo è la fraternità cristiana, la loro spada la verità, la loro bandiera la pace del sacrificio.

D'altra parte, sia la quantità immensa, sia la mirabile varietà delle benefiche iniziative per ogni necessità della Chiesa, per la causa totale della giustizia, per ogni umana calamità, per ogni lodevole interesse della società, comprovano, illustrano, confermano questi alti principi del Cavalieri di Colombo.

E' bene perciò che lo stesso Vicario di Cristo dichiari con piacere e pubblicamente la gratitudine della Madre Chiesa per tutti i meriti di tale malagnamità e le lodi che i Cavalieri di Colombo si sono acquistate in questi cento anni.

E' bene che il successore del Beatissimo Pietro sia là in certo modo presente tra i capi dei Cavalieri e i sostenitori, gli inviati e gli associati, convenuti da ogni parte, per celebrare insieme la solennità del centenario, per congratularsi con la sua propria voce ed esortare, onorarli con la sua persona e con parole affettuose incitarli a proseguire in futuro, con aumento di forze, l'opera eccellente di quell'apostolato.

Tutto questo Tu farai con successo al posto di Noi, che saremo assenti, Venerabile Fratello Nostro, ad Hartford, dal 3 al 6 di agosto, dove, in forza di questa Lettera, svolgerai l'incarico di Nostro "Inviato Personale" per le celebrazioni del centenario dei Cavalieri di Colombo. Presiederai le funzioni sacre in vece Nostra e con parole Tue spiegherai tutto questo Nostro pensiero, come se fossimo presenti personalmente. Infine comunicherai a tutti gli intervenuti e partecipanti, conforme al nostro affetto, la Benedizione Apostolica, con la quale, mentre ci rallegriamo vivamente dei cento anni dei Cavalieri di Colombo e fermamente confidiamo nei cento che seguiranno, imploriamo da Dio per quella Associazione tantissimi aiuti e lumi celesti, perché possano rispondere in modo sempre più pieno alla loro missione nella Chiesa e alle necessità dei tempi, e siano in grado, con le loro magnifiche opere di beneficenza, di portare più largamente a tutti gli uomini di Cristo stesso e la luce e il conforto del Vangelo.

Dai Palazzi Vaticani, il 22 giugno, l'anno del Signore 1982, quarto del Nostro Pontificato.


GIOVANNI PAOLO II [Traduzione dal latino]




1982-08-02 Data estesa: Lunedi 2 Agosto 1982




Durante la santa Messa per un gruppo di giovani di origine polacca - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Testimoniare la verità e la libertà

Testo:

Caro signor Vescovo, fratelli sacerdoti e voi tutti, carissimi, che partecipate a questo incontro.

Celebrando la santa Messa ho ricordato il grande Primate di Polonia, il Cardinale Stefan Wyszynski, e nello stesso tempo l'ho pregato per il nostro popolo - e questa è stata l'altra principale intenzione della celebrazione -, per la Polonia e, in particolare in questi significativi giorni, per la gioventù polacca.

Innanzitutto, perché la prima intenzione è stata proprio per il Primate defunto? Perché oggi è, sarebbe, il suo compleanno. Oggi avrebbe compiuto ottantuno anni. Dio gli ha permesso di compiere il suo tempo e l'ha richiamato nell'ora stabilita. Tuttavia restano nella nostra memoria la sua grande figura, il suo fermo servizio di Vescovo e di Primate, la sua opera.

Riguardo, poi, la seconda intenzione, quella che ho affidato al cuore del Primate defunto - la grande intenzione che attraverso il mio cuore ho in un certo senso condiviso con il suo - ha una ragione sufficiente nella vostra presenza. Infatti, anche se vivete in Paesi diversi fuori dalla Polonia, tuttavia fate parte della grande comunità della nazione polacca e, in particolare, della grande comunità giovanile della nazione polacca.

Ebbene, questi giorni, la giornata odierna, quella di ieri e dell'altro ieri, hanno un particolare significato nella storia di questa comunità. Sono le giornate dell'insurrezione di Varsavia nel 1944, dell'impeto e del rischio di puntare tutto su una carta: la propria giovinezza e la propria vita; della prontezza di accettare la morte in giovane età per la grande causa della libertà della Patria. Ogni anno, quando la nostra memoria torna ai giorni dell'insurrezione di Varsavia, ripensiamo a quei giorni come a giorni di un particolare slancio di eroismo, di quell'eroismo di cui hanno dato prova intere generazioni di nostri antenati. Pensiamo a quei giorni come ad una testimonianza che la generazione che ha vissuto l'insurrezione di Varsavia nel 1944 ha lasciato alle generazioni successive. Siete giovani, come lo erano tanti, allora. Dalla loro giovinezza ci separano 38 anni. Siete giovani e bisogna che di quel grande, eroico slancio resti nei vostri cuori l'essenziale. L'essenziale è l'amore per la libertà e la prontezza a testimoniare personalmente la verità e la libertà. Penso che questa sia l'eredità lasciatavi da questa generazione, questo è quanto essa ha voluto lasciare per sempre alla storia della Nazione, alla storia della Patria.

Miei cari amici, sono contento di questo incontro. Non è il primo: ci incontriamo qui ogni anno! Il Vescovo Szczepan e i sacerdoti che si occupano della pastorale dell'emigrazione, tutti gli anni, durante le vacanze, conducono qui un gruppo di giovani polacchi provenienti da tutto il mondo. Ogni anno sono felice di questo incontro e pregando insieme con voi, come oggi, celebrando il Sacrificio Eucaristico, prego il Padre celeste, tramite suo Figlio Gesù Cristo nostro Signore e per intercessione della Madre del Figlio, affinché ogni nuova generazione di polacchi, la vostra e quelle che verranno, partecipi incessantemente all'eredità di verità e libertà. Perché questo? Perché in ciò consiste il valore della vita, per questo l'uomo è uomo, in questo si esprime la sua grande dignità, dignità di persona, dignità di figlio di Dio. Per questo vale vivere, e bisogna che ogni uomo e ogni generazione viva nel modo che vale e non nel modo che non vale.

A voi che vivete sparsi tra diversi popoli del mondo, principalmente dell'Europa ma anche fuori dell'Europa, auguro di vivere nel modo che vale. Per questo prego insieme con voi e per voi nel giorno del ricordo dell'insurrezione di Varsavia e della nascita del grande Primate di Polonia, il Cardinale Stefan Wyszynski. Sostenuto da questi ricordi prego, nello stesso tempo, invitando all'unione nella preghiera lui e tutti coloro che con la loro vita e con la loro morte ci hanno mostrato come merita vivere, come l'uomo debba essere uomo, portando in sé quell'unica e irripetibile dignità che a ciascuno viene da Dio stesso.

Con questo pensiero, cari amici, a conclusione dell'odierna comunione eucaristica, desidero impartirvi la benedizione perché vi accompagni nella vita in questo e negli anni futuri.




1982-08-03 Data estesa: Martedi 3 Agosto 1982





Lettera all'Episcopato del Nicaragua

Titolo: Il Vescovo, principio vivo e dinamico dell'unità della Chiesa

Testo:

Cari fratelli nell'Episcopato.

Mentre, in obbedienza alla misteriosa chiamata che lo fece successore di Pietro, il Papa volentieri dà ciò che ha e offre anche se stesso per il bene di tutti (cfr. 2Co 12, l5), egli non dimentica i suoi doveri verso coloro che nelle Chiese particolari di tutto il mondo svolgono, in mezzo a non poche difficoltà, il ministero di Pastori.

Ad essi lo unisce un vincolo particolare. Speciale per le sue origini evangeliche: appunto a Pietro, al quale aveva conferito il primo posto tra i Dodici, Gesù ha voluto affidare, in un momento solenne della sua vita, la missione di confermare i suoi fratelli nella fede e nel servizio apostolico (cfr. Lc 22,32). Speciale anche per la sua natura teologica: il Concilio Vaticano II, approfondendo l'antica dottrina della collegialità episcopale, ha sottolineato con ricchezza di concetti e di espressioni che il Collegio episcopale, "in quanto composto da molti, esprime la varietà e l'universalità del Popolo di Dio, in quanto poi è raccolto sotto un solo Capo, significa l'unità del gregge di Cristo" (LG 22; cfr. CD 4).

A causa di questo vincolo, al quale l'aspetto dogmatico non toglie niente alla sua dimensione profondamente affettiva, e date le particolari circostanze nelle quali siete chiamati ad esercitare il vostro ministero episcopale, sappiate che vi sono molto vicino. Vicino in quanto "non cesso di rendere grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere" (Ep 1,16). Vicino per il desiderio e l'interesse con i quali mi informo costantemente delle vostre attività pastorali. Vicino per il sostegno spirituale al vostro lavoro, tanto devoto quanto esigente e delicato, in favore della promozione umana, personale e collettiva delle vostre genti. Vicino, infine, nella mia sollecitudine fraterna per la vostra opera di Pastori e Maestri nelle Chiese a voi affidate.

Inoltre, la festa di oggi degli apostoli Pietro e Paolo, ravvivando in noi il sentimento della Collegialità, mi offre l'opportunità di scrivervi, con il "vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati" (Rm 1,11).

Ho voluto che voi incontraste già nelle precedenti considerazioni, la prima e fondamentale espressione dell'incoraggiamento e dell'incitamento che desidero comunicarvi. Un Vescovo non è mai solo, poichè si incontra in viva e dinamica comunione con il Papa e con i suoi fratelli Vescovi di tutto il mondo.

Non siete soli: vi sostiene la presenza spirituale di questo vostro fratello maggiore e vi circonda la comunione affettiva ed effettiva di migliaia di fratelli.

Desidero pero invitarvi a riflettere su un'altra, più ristretta ma non meno importante, dimensione della comunione: la comunione tra di voi, membri di questa amata Conferenza Episcopale del Nicaragua.

Questa comunione, nata dalla partecipazione nella pienezza del sacerdozio di Cristo Gesù, non è meramente esteriore, non è frutto di convenzioni e protocolli; è una comunione sacramentale e come tale deve essere messa in pratica.

Vi confesso che non provo gioia più grande di quella che mi deriva dal sapere che tra di voi prevale, al di sopra di tutto ciò che potrebbe dividervi, questa unità essenziale in Cristo e nella Chiesa. Unità tanto più esigente e necessaria in quanto da essa dipenderà, da un lato la credibilità della vostra predicazione e l'efficacia del vostro apostolato, e dall'altro la comunione che, supposte le note difficoltà, voi avete la missione di costruire tra i vostri fedeli.

Ebbene, questa unità dei fedeli, appare ai nostri occhi come il dono forse più prezioso - poiché fragile e minacciato - di questa Chiesa nel Nicaragua che è vostra e nostra.

Ciò che dichiaro il Concilio Vaticano II sulla Chiesa universale - che è segno e strumento della unità da costruire nel mondo e nell'umanità (cfr. LG 1) - si può applicare, nella debita misura, alle comunità ecclesiali a tutti i livelli.

Per questo la Chiesa in Nicaragua ha la grande responsabilità di essere "sacramento", cioè segno e strumento della unità nel Paese. perciò deve essere essa stessa, come comunità, una vera unità e immagine della unità.

A questo proposito, devo ricordare che quanti più fermenti di discordia e di disunione, di rottura e di separazione esistono in un ambiente, tanto più la Chiesa deve essere ambito di unità e coesione. Ma lo sarà solamente se darà testimonianza di essere "cor unum et anima una" grazie a principi soprannaturali di unità, sufficientemente forti e determinanti per vincere le forze della divisione alle quali anch'essa si trova soggetta.

Posto che voi siete per vocazione divina segni visibili di unità, vogliate far si che non si dividano a causa di opposte ideologie i cristiani del vostro Paese, i quali unisce "un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo, un solo Dio e Padre", come essi sono soliti cantare ispirandosi alle parole dell'apostolo Paolo. E avvenga che uniti dalla medesima fede e respingendo tutto ciò che è contrario o distrugge questa unità, i vostri cristiani siano accomunati negli ideali evangelici di giustizia, pace, solidarietà, comunione e partecipazione, senza che li separino irrimediabilmente opzioni contingenti nate da sistemi correnti, partiti e organizzazioni.

Cresce, da questo punto di vista, la vostra responsabilità, poiché intorno al Vescovo deve intessersi concretamente l'unità dei fedeli.

Conoscete la grande importanza delle lettere di sant'Ignazio di Antiochia, sia per l'autorità di chi le ha scritte - un discepolo dell'apostolo amato - sia per l'antichità che fa di esse la testimonianza di un momento vitale nella storia della Chiesa, sia per la ricchezza del suo contenuto dottrinale.

Ebbene, con termini molto forti Ignazio dimostra in queste lettere, certamente per rispondere alle prime difficoltà in questo campo, che non c'è né può esserci comunione valida e duratura nella Chiesa se non nell'unione di mente e cuore, di rispetto e obbedienza, di sentimenti e di azione con il Vescovo. Quella delle corde della lira è un'immagine bella e suggestiva di una realtà più profonda: il Vescovo è come Gesù Cristo, reso presente in mezzo alla sua Chiesa quale principio vivo e dinamico di unità. Senza di lui questa unità non esiste o si trova ad essere falsata e, pertanto, è inconsistente ed effimera.

Da ciò l'assurdo e pericoloso che è l'immaginarsi, come a lato - per non dire di fronte - alla Chiesa costruita intorno al Vescovo, un'altra Chiesa concepita come "carismatica" e non istituzionale, "nuova" e non tradizionale, alternativa e, come si preconizza ultimamente, una "Chiesa popolare".

Non ignoro che a tale denominazione - sinonimo di "Chiesa che nasce dal popolo" - si può attribuire un significato accettabile. Con essa si vorrebbe indicare che la Chiesa sorge quando una comunità di persone, specialmente di persone disposte per la loro piccolezza, umiltà e povertà alla avventura cristiana, si apre alla Buona Novella di Gesù Cristo e comincia a viverla nella comunità di fede, amore, speranza, preghiera, di celebrazione e partecipazione ai misteri cristiani, specialmente nell'Eucaristia.

Sapete pero che il documento conclusivo della III Conferenza Episcopale Latinoamericana di Puebla defini "poco felice" questo nome di "Chiesa popolare" (cfr. n. 263). Lo fece, dopo maturo studio e riflessione tra i Vescovi di tutto il Continente, perché era cosciente del fatto che questo nome nasconde, in generale, un'altra realtà.

"Chiesa popolare", nella sua accezione più comune, accertabile negli scritti di una certa corrente teologica, significa una Chiesa che nasce molto più da supposti valori di uno strato di popolazione che dalla libera e gratuita iniziativa di Dio. Significa una Chiesa che si esaurisce nella autonomia delle cosiddette basi, senza riferimento ai legittimi Pastori o Maestri; o almeno sovrapponendo i "diritti" delle prime all'autorità e ai carismi che la fede fa percepire nei secondi. Significa - giacchè al termine "popolo" si dà facilmente un contenuto marcatamente sociologico e politico - Chiesa incarnata nelle organizzazioni popolari, segnata da ideologie, poste al servizio delle loro rivendicazioni, dei loro programmi. E' facile percepire - e lo indica esplicitamente il documento di Puebla - che il concetto di "Chiesa popolare" difficilmente sfugge alla infiltrazione di connotazioni fortemente ideologiche, nella linea di una certa radicalizzazione politica, della lotta di classe, dell'accettazione della violenza per il conseguimento di determinati fini, ecc.

Quando io stesso, nel mio discorso d'inaugurazione dell'Assemblea di Puebla, indicai serie riserve sulla denominazione "Chiesa che nasce dal popolo", tenevo presenti i pericoli che ho appena ricordato. perciò, sento ora il dovere di ripetere, valendomi della vostra voce, lo stesso avvertimento pastorale, affettuoso e chiaro. E' un richiamo rivolto ai vostri fedeli per mezzo vostro.

Una "Chiesa popolare" opposta alla Chiesa presieduta dai legittimi Pastori è - dal punto di vista dell'insegnamento del Signore e degli Apostoli nel Nuovo Testamento ed anche nell'insegnamento antico e recente del Magistero solenne della Chiesa - una grave deviazione dalla volontà e dal piano di salvezza di Gesù Cristo. E' inoltre un principio di sgretolamento e di rottura di quella unità che egli lascio quale segno caratteristico della Chiesa stessa, e che egli volle affidare precisamente a coloro che "lo Spirito Santo ha posto a pascere la Chiesa di Dio" (Ac 20,28).

Vi affido inoltre, amati fratelli nell'Episcopato, l'incarico e il compito di rivolgere ai vostri fedeli, con pazienza e fermezza, questo richiamo di fondamentale importanza.

Teniamo tutti presente nello spirito il drammatico giudizio del mio predecessore Paolo VI, quando scriveva nella sua memorabile esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" che i pericoli più insidiosi e gli attacchi più mortali per la Chiesa non sono quelli che vengono dall'esterno - questi possono solo rafforzarla nella sua missione e nella sua opera - ma sono quelli che vengono dall'interno.

Tutti i figli della Chiesa si adoperino dunque, in questo momento storico per il Nicaragua e per la Chiesa in questo Paese, a contribuire a mantenere solida la comunione intorno ai suoi Pastori, evitando qualsiasi germe di frattura o divisione.

Questo richiamo giunga soprattutto alla coscienza dei presbiteri, siano essi nativi del paese, missionari che da molti anni consacrano la loro vita al ministero pastorale in questa nazione o volontari desiderosi di dare il loro contributo ai fratelli nicaraguesi, in un momento di somma importanza. Sappiano che se desiderano veramente servire il popolo come sacerdoti, questo popolo affamato e assetato di Dio e pieno di amore per la Chiesa, spera da loro l'annuncio del Vangelo, la proclamazione della paternità di Dio, l'amministrazione dei misteri sacramentali della salvezza. Non è in un ruolo politico, ma nel ministero sacerdotale che il popolo desidera averli vicini.

Trasmettete questo richiamo alla coscienza dei religiosi e religiose, nativi o venuti dall'estero. La gente di questo paese desidera vederli uniti ai loro Vescovi in una incrollabile comunione ecclesiale, portatori di un messaggio non parallelo, e ancor meno contrapposto, ma armonico e coerente con quello dei loro legittimi Pastori.

Trasmettete questo richiamo a quanti si trovano a qualche titolo al sincero servizio della missione della Chiesa, specialmente se ricoprono posizioni di particolare responsabilità come nell'Università, nei Centri di studio e di ricerca, nei mezzi di comunicazione sociale, ecc. Offrano la loro disponibilità a servire in conformità con la disposizione ugualmente generosa e decisa dei loro Vescovi e della grandissima porzione del popolo che, con i Vescovi, desiderano il bene del Paese, ispirandosi agli orientamenti della Chiesa.

Vi esorto infine, cari fratelli, a proseguire anche in mezzo a non lievi difficoltà, nel vostro instancabile lavoro, per assicurare la presenza attiva della Chiesa in questo momento storico che vive il Paese.

Sotto la vostra direzione di Pastori solleciti, avvenga che i fedeli cattolici del Nicaragua diano costantemente una testimonianza chiara e convincente di amore e di capacità di servizio al loro paese, non minore né meno efficace di quella di altri. Una testimonianza di chiaroveggenza di fronte ai fatti e alle situazioni. Di piena disponibilità a servire la causa autentica del popolo. Di valore nel proporre, in ogni situazione, il pensiero e gli orientamenti - ciò che ho molte volte chiamato il cammino - della Chiesa, anche quando questi non siano in accordo con altri cammini proposti.

Desidero, spero e auguro che facciate tutto il possibile perché nel vostro popolo la fedeltà a Cristo e alla Chiesa, lungi dal diminuirla, confermi e arricchisca la lealtà verso la patria terrena.

Con questa opportunità mi compiaccio nel darvi fraternamente, in pegno di abbondanti grazie divine per le vostre persone e il vostro ministero, la mia cordiale benedizione apostolica, che estendo a tutti i vostri fedeli.

Vaticano, 29 giugno 1982.




1982-08-06 Data estesa: Venerdi 6 Agosto 1982




Lettera ai Vescovi di El Salvador - Siate ministri e testimoni dell'opera di riconciliazione


Cari fratelli nell'Episcopato.

Nella solennità della Trasfigurazione del Signore, festa tanto amata nella vostra Nazione, che porta il nome di Cristo Salvatore e che lo ha eletto come patrono, desidero ancora una volta indirizzare a voi, venerabili fratelli nell'Episcopato, una parola di appoggio e di incoraggiamento nella vostra attività pastorale. Con essa vi rinnovo la testimonianza della mia affettuosa sollecitudine e partecipazione alle vostre ansie e preoccupazioni. Questa parola desidera essere soprattutto un rinnovato richiamo alla pace e alla riconciliazione.

Voi non ignorate, e nel passato lo avete dimostrato in diverse occasioni, che tra i vari aspetti della missione di ogni Vescovo - come ricordavo all'Episcopato argentino nel mio recente viaggio - uno dei più eminenti ed urgenti è quello di essere "artefice di armonia, di pace e di riconciliazione" non solo nell'ambito della Chiesa, per salvaguardare e potenziare i vincoli di unità, ma anche all'interno della comunità nazionale rispetto a fratture e a contrasti che non possono non preoccupare il vostro animo di Pastori, portatori di un messaggio di salvezza che invita alla fraternità e alla solidarietà umane.

Rinnovandovi questa esortazione, mi rendo perfettamente conto del fatto che le discordie e le divisioni che turbano ancora il vostro Paese e che causano nuovi conflitti e violenze, trovano la loro radice vera e profonda in situazioni di ingiustizia sociale: un problema che si è imposto con forza a livello politico, ma che e soprattutto di natura etica.

La metodologia della violenza che ha portato ad una guerra fratricida - ponendo da una parte coloro che considerano la lotta armata come uno strumento necessario per conseguire un nuovo ordine sociale, e dall'altro lato coloro che ricorrono ai principi della "sicurezza nazionale" per legittimare brutali repressioni -, non incontra una giustificazione razionale e tanto meno cristiana.

Di fronte ai metodi della violenza si rende necessario instaurare i metodi della pace, che "deve realizzarsi nella verità, deve costruirsi sulla giustizia, deve essere animata dall'amore, deve compiersi nella libertà" (cfr. "Messaggio per la Giornata mondiale della pace" 1° gennaio 1981; 8 dicembre 1980: "Insegnamenti" III,2 [1980] 1628ss).

Sapete molto bene, venerabili fratelli, che la Chiesa, sempre sollecita del bene dell'uomo in tutta la sua integrità e dignità (RH 13-14), custodisce e alimenta questi valori; costruisce a partire da essi una solida difesa dei diritti della persona umana (RH 17) e della stessa identità morale e culturale di una nazione cristiana; ricorre ad essi, per costituire la forza morale del Paese, quando si tratta di superare crisi di rilevanza morale, prima ancora che sociale.

Così dunque mi faccio interprete, in unità con voi, delle profonde aspirazioni del vostro popolo, desideroso da molto tempo di vedere divenire realtà i concetti genuini di libertà, di dignità della persona umana, di giustizia sociale, che si fondano sul duplice aspetto dell'amore: verso Dio, Padre provvidente e datore di ogni bene, e verso i fratelli.

Ai vostri fedeli, assetati di verità e di giustizia, continuate ad offrire con ogni zelo ed entusiasmo gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, mossi da una viva sollecitudine verso le sofferenze della nazione, concordi nel proporre una adeguata risposta alle esigenze del momento attuale, uniti da un rinnovato impulso nella vostra attività pastorale.

Nelle nuove prospettive istituzionali aperte al paese negli ultimi tempi si fa più urgente l'impegno di incarnare i metodi della pace nel ministero della riconciliazione attraverso la parola del Vangelo e dell'azione che ad esso si ispira.

La riconciliazione non è segno di debolezza o di viltà; né è rinuncia alla debita giustizia o alla difesa dei poveri e degli emarginati; è un incontro tra fratelli disposti a superare la tentazione dell'egoismo e a rinunciare agli intenti di una pseudogiustizia; è frutto di sentimenti forti, nobili e generosi, che conducono ad instaurare una convivenza fondata sul rispetto di ogni individuo e dei valori propri di ogni società civile.

Questa riconciliazione, pertanto, deve poter realizzarsi a tutti i livelli e, innanzitutto, tra fratelli che impugnano le armi, mossi da interessi contrari e guidati da ideologie che sacrificano le aspirazioni fondamentali della persona umana. Per gli uni e per gli altri, condizione indispensabile della riconciliazione è la cessazione di ogni ostilità e la rinuncia all'uso delle armi con la garanzia sicura che nessuno sarà oggetto di rappresaglia o di vendetta dopo aver dato la propria adesione al nobile intento di unire gli sforzi e le iniziative che assicurino al Paese una vitalità rinnovata e un ordinato progresso.

La riconciliazione deve realizzarsi anche nell'ambito della famiglia, alla quale voi avete dedicato particolare attenzione nella Carta Pastorale Collettiva del 24 dicembre dell'anno scorso; nelle parrocchie e negli altri settori più vasti della Chiesa; negli ambienti di lavoro, da cui con tanta frequenza si acutizzano i problemi umani che tormentano la comunità nazionale.

Voi, venerabili fratelli nell'Episcopato - e con voi i vostri collaboratori - siete chiamati ad essere ministri e testimoni dell'opera di riconciliazione nella prospettiva dell'ideale evangelico della carità, che Cristo ha proposto ai suoi seguaci e a tutti gli uomini, ed è l'unico che può risolvere le contraddizioni inerenti alla fenomenologia sociale della disunione, delle discordie, dell'ingiustizia e del conflitto armato.

Ai vostri collaboratori e fedeli, per mezzo vostro, giunga un richiamo alla speranza, che li sostenga nelle difficili circostanze attuali e li aiuti nel compimento dei propri doveri.

Su di voi, venerabili fratelli, e sugli amatissimi figli della nazione intera imploro da Cristo Salvatore, "nostra pace e riconciliazione", abbondanti grazie divine in pegno delle quali imparto di cuore una speciale benedizione apostolica.




1982-08-06 Data estesa: Venerdi 6 Agosto 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Palazzo Pontificio - Castel Gandolfo (Roma)