GPII 1983 Insegnamenti



Giovanni Paolo II

Insegnamenti 1983


Alla Messa della Giornata della pace - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il senso nel dialogo sta nel lavorare in comune per la pace




1. "Quando venne la pienezza del tempo..." (Ga 4,4).

Oggi, primo giorno dell'anno nuovo 1983, la Chiesa ci invita a meditare sulla "pienezza del tempo". Ha il tempo la sua pienezza? Oggi possiamo dire che l'anno 1982 si è compiuto, perché è passato. Il tempo è soltanto un metro del trascorrere di tutto quanto esiste, sottomesso al tempo, è un metro del trascorrere del mondo, e dell'uomo nel mondo. Noi possiamo pensare alla "pienezza del tempo" soltanto in rapporto a ciò che si svolge nel tempo.

Così ragiona anche san Paolo nel brano della Lettera ai Galati, che rileggiamo oggi nella liturgia. La "pienezza del tempo", di cui parla Paolo, significa l'eterno disegno di Dio compiutosi nel suo tempo. Questo disegno, il piano divino, è la pienezza del Bene e dell'Amore. Da qui anche "la pienezza del tempo", perché il tempo, in un certo senso, prende in prestito la sua specifica pienezza dal Bene che si è compiuto in esso.


2. Ed ecco quel Bene: "Dio mando il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli" (Ga 4,4-5).

La pienezza del Bene è per l'uomo proprio questo, è ciò che è venuto nel tempo simultaneamente con la notte della nascita di Dio. E' la pienezza del Bene e dell'Amore, data all'uomo nel tempo; datagli insieme per ogni tempo; ogni giorno, ogni anno, ogni secolo, ogni epoca. Contemporaneamente questa è la pienezza escatologica, che va oltre ogni tempo, pienezza che porta già in sé una viva dimensione dell'eternità.

"E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio" (Ga 4,6-7).

Così dunque il tempo del disegno divino si è compiuto; si è compiuto nella notte della nascita di Dio. In virtù di questa "pienezza del tempo" l'uomo può, in ogni tempo, in ogni frammento del tempo, dire a Dio: "Padre", e può esistere come figlio adottivo nella prospettiva dell'eredità che egli ha in Cristo. Questa eredità è eterna.


3. A cavallo tra il vecchio e il nuovo anno celebriamo nella liturgia le festività di Natale: la solennità e l'ottava. Questo fatto ci permette di guardare il trascorrere del tempo umano e la nascita dell'anno nuovo alla fine di quello vecchio, attraverso la divina "pienezza del tempo".

Se guardiamo in questo modo, ogni anno è come un nuovo frammento di questa pienezza che una volta per sempre è entrata, insieme con la nascita di Dio, nella storia dell'uomo. Da questo punto di vista chiamiamo, da cristiani, ogni anno "l'Anno del Signore" ("Annus Domini").

L'anno trascorso è stato anch'esso uno dei frammenti di questa "pienezza del tempo", che si è aperta nella storia dell'uomo insieme con la nascita di Dio.

Si è aperta come la sorgente salvatrice del Bene e dell'Amore che penetra ogni tratto del tempo umano e va oltre ad esso, avendo già la dimensione escatologica, la dimensione dell'eternità.

L'anno 1983, come è già noto, è un frammento particolare di questa "pienezza del tempo". Entriamo in esso come nel nuovo Giubileo della nostra Redenzione, che liturgicamente inizierà il 25 marzo. A motivo delle date tradizionalmente stabilite, desideriamo che, in questo anno, il mistero della Redenzione diventi particolarmente vitale ed efficace nella nostra coscienza e nel nostro comportamento. Desideriamo e preghiamo, sin dal primo giorno, affinché in questo anno Dio mandi in modo particolare lo Spirito del suo Figlio nei nostri cuori, affinché possiamo ricevere con particolare generosità "la figliolanza adottiva"!


4. Oggi, primo giorno dell'Anno Nuovo, chiediamo questo e preghiamo secondo tali intenzioni con uno speciale riferimento alla Maternità della Genitrice di Dio.

Questo fatto ha una profonda eloquenza. E' dapprima l'eloquenza dell'ottava di Natale, perché il Natale è al tempo stesso la più grande festa di Maria. Proprio allora ella si presenta come la Madre di Dio. La pienezza del tempo significa contemporaneamente la sua Divina Maternità.

Simultaneamente questa Maternità - così del resto come ogni maternità umana - è sinonimo di un inizio. La maternità significa l'inizio della vita, l'inizio dell'uomo. La maternità di Maria significa l'inizio del Dio-Uomo nella storia dell'umanità. E questo è appunto "la pienezza del tempo".

Quest'inizio è "la pienezza del tempo". Noi desideriamo che il nostro anno nuovo, quale frammento e riflesso di questa "pienezza", rimanga sotto il segno dell'Inizio del Dio-Uomo nella storia; che rimanga sotto il segno della Maternità Divina. In modo particolare quest'anno, che significa per noi il nuovo Giubileo della Redenzione: l'Anno del Signore 1983.


5. Il primo giorno dell'anno nuovo, che rimane sotto il segno del Natale e della Maternità Divina, è al tempo stesso in tutta la Chiesa il giorno di una particolare preghiera per la pace sulla terra. Desideriamo che in questa preghiera risuonino con un'eco squillante le parole della notte di Betlemme: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14).

Abbiamo davanti agli occhi "la pienezza del tempo", in cui insieme alla nascita di Dio si è aperta nella storia dell'uomo la sorgente salvatrice del Bene e dell'Amore. Al tempo stesso pensiamo con una profonda emozione, con inquietudine, con senso di responsabilità, che nella storia dell'uomo può aprirsi come una sorgente opposta: la sorgente del male, dell'odio e della distruzione. A questo proposito riceviamo costantemente segnali inquietanti. E perciò cerchiamo di raccomandare nella preghiera questo difficile problema a Dio, fin dal primo giorno dell'anno nuovo. Contemporaneamente cerchiamo anche di fare tutto il possibile per sensibilizzare alla grande causa della pace l'umanità contemporanea.


6. Tutto il Popolo di Dio, tutti gli uomini e le donne di buona volontà debbono essere costantemente educati alla pace. Debbono essere formati e incoraggiati all'impegno per la causa della pace. E' necessario uno sforzo senza tregua per rendere presente negli spiriti e nei cuori la necessità e la possibilità della pace, la sua urgenza, ma anche la parte di responsabilità che incombe su ciascuno.

Tutti debbono sentirsi chiamati in causa da questo assillo della pace e cercare, ciascuno nel proprio campo, i mezzi migliori per contribuire a questo compito esaltante. Da sedici anni ormai il Romano Pontefice indirizza Messaggi ai responsabili in occasione della Giornata mondiale della pace, tracciando senza soste le grandi linee di una vera catechesi sulla pace, e indicando il cammino da percorrere.

Così, nel Messaggio che ho pubblicato per questo 1° gennaio 1983, ho insistito su "il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo". Per sua natura il dialogo è scambio, comunicazione dell'uno verso l'altro, ma è, soprattutto, una ricerca in comune. Nella guerra, due parti insorgono l'una contro l'altra. Nella questione della pace sono pure sempre e necessariamente due parti che debbono sapersi impegnare. La pace non può essere costruita dagli uni senza gli altri, ma tutti debbono insieme impegnarvisi. E' così che si trova il vero senso del dialogo per la pace: esso richiede a tutte le parti di lavorare in comune, per progredire in comune sul cammino della pace. E' pertanto difficile immaginare come il problema della pace nel mondo possa essere risolto in maniera unilaterale, senza la partecipazione e l'impegno concreto di tutti.

Nella ricerca della pace il problema del disarmo occupa un posto importante e il desiderio di vedere approdare a risultati concreti il dialogo a questo riguardo è più che legittimo. Ma come il dialogo, così anche la richiesta di riduzione progressiva degli armamenti, nucleari o convenzionali, deve rivolgersi contemporaneamente a tutte le parti in causa. Le potenze che si fronteggiano devono poter percorrere insieme le varie tappe del disarmo, e impegnarsi in ciascuna tappa in misura uguale.

Nella nostra comune preghiera per la pace chiediamo oggi che il dialogo sia intrapreso con un tale spirito e porti a tali decisioni concrete e pratiche, capaci di assicurare un risultato reale e durevole.


7. così, dunque, nel giorno in cui ancora sentiamo, dal cuore della notte di Betlemme, le parole che annunziano la "pace agli uomini di buona volontà", preghiamo, insieme con il Salmista, Colui dal quale proviene la pienezza salvatrice del tempo. Preghiamo così: "Esultino le genti e si rallegrino, / perché giudichi i popoli con giustizia, / governi le nazioni sulla terra... / Ci benedica Dio / e lo temano tutti i confini della terra" ().

Si. Principio della saggezza è il timore del Signore; principio della saggezza degli uomini, delle Nazioni, dell'intera famiglia umana. Amen.

Data: 1983-01-01 Data estesa: Sabato 1 Gennaio 1983

Alle autorità - Rieti

Titolo: Il Vangelo. la prima e più valida condizione della promozione umana

Signor Sindaco!


1. Le esprimo la mia gratitudine per le sue cortesi e nobili parole, che ho molto apprezzato. Ella si è fatto veramente degno interprete dei sentimenti di umana ospitalità e di cristiana venerazione, che sono propri, ne sono certo, di tutta la buona popolazione di Rieti, del Reatino e dell'intera Sabinia. Il mio ringraziamento, perciò, va a tutti coloro che ella oggi rappresenta, e in primo luogo a tutte le autorità locali di ogni ordine e grado, qui raccolte. Nello stesso tempo, voglio anche esprimere la mia gioia per essere potuto ritornare, dopo lunghi anni, in mezzo a queste genti, in una terra tanto illustre e a me tanto cara.


2. L'occasione immediata per il mio viaggio è data, come sapete, dalla chiusura dell'Anno francescano, celebrativo dell'ottavo centenario della nascita del Poverello di Assisi. E qui, attorno a Rieti, ci son ben quattro celebri luoghi francescani: Poggio Bustone, particolarmente amato dal Santo, il quale si rivolgeva ai suoi abitanti con il gentile saluto: "Buon giorno, buona gente", quasi per farsi uno di loro; poi Greccio, dove Francesco nella notte di Natale dell'anno 1223 ideo e realizzo il primo Presepio della storia; inoltre Fonte Colombo, il cui inviolato silenzio mistico favori al Santo la stesura della Regola, che egli volle "sine glossa"; e infine il Santuario di Santa Maria della Foresta, che accolse Francesco negli ultimi anni della sua vita, malato agli occhi, e dove, secondo alcuni studiosi, risonarono per la prima volta gli ineguagliabili accenti del "Cantico delle creature". E come non esultare di fronte a tante memorie di fede e di arte, che sono radicate, qui in questa terra, e che di qui hanno irradiato nel mondo l'affascinante ideale francescano, rendendo noto ed illustre il nome di Rieti!


3. Ma se Francesco d'Assisi ha prediletto questa valle e la sua gente, è anche perché vi ha trovato particolari valori di antica tradizione. So che le popolazioni del Reatino sono caratterizzate da uno spirito di autentica laboriosità, austerità e religiosità. Già Tito Livio magnificava l'avita integrità delle genti sabine: "Quo genere nullum quondam incorruptius fuit" ("Hist." 1,18); ed esse hanno l'onore di avere dato alla storia, tra l'altro, il dottissimo Varrone e la famiglia imperiale dei Flavi. Ma le antiche virtù continuano ancor oggi e io mi auguro che esse distinguano sempre gli abitanti di queste terre, poiché costituiscono un solido substrato umano, che come buon fondamento è in grado di reggere e assorbire senza traumi tutti i numerosi mutamenti storici e sociali, fattisi ancor più rimarcati nel nostro tempo.

Nella mia visita desidero incoraggiare l'impegno per la salvaguardia e lo sviluppo di questi valori. Il Papa è venuto per annunciare, come sempre, innanzitutto il Vangelo, il quale pero è anche la prima e più valida condizione di promozione umana. Lo stesso Francesco, proclamando il Vangelo, non ha fatto altro che elevare l'uomo, prospettando una tale armonia tra fede cristiana e valori umani da diventare non solo modello esemplare di cristiano autentico e di santo, ma anche luminoso punto di riferimento per un tipo d'uomo, profondamente affratellato al prossimo e pienamente riconciliato con la natura. Il Vangelo, infatti, quando è accolto e vissuto nella sua genuinità, non può non rivolgersi a vantaggio della persona umana nella sua integralità.

Il mistero del Natale di Gesù, che abbiamo celebrato pochi giorni fa, ci rivela proprio ciò che l'apostolo Paolo chiama "l'amore di Dio per gli uomini".

Con questo annuncio, la Chiesa nel suo insieme e ogni singolo cristiano collaborano in modo insostituibile alla edificazione della città terrena. Un esempio, forse secondario ma pertinente a questi luoghi, può essere quello del mio predecessore Clemente VIII, che nel 1598 venne qui per incoraggiare i lavori di bonifica relativi alla "cascata delle Marmore"! Ciò significa che non si può credere in Cristo e poi disinteressarsi del contesto materiale della vita dell'uomo, poiché, al contrario, Cristo è "Redentore dell'uomo", e i due poli sono inscindibili.


4. Carissimi! Questa terra, oltre che essere illustre, ha pure dei motivi che a me la rendono tanto cara, perché già meta di pellegrinaggi e di escursioni fin dal tempo della mia giovinezza.

Infatti, nell'ormai lontano 1946, quando ero giovane studente all'Ateneo "Angelicum" di Roma, feci il giro dei santuari francescani di questa zona; e ne porto ancora negli occhi gli stupendi paesaggi e soprattutto nel cuore le indicibili emozioni da essi suscitate. Una seconda volta vi venni, in seguito, come Vescovo di Cracovia, e sempre mi è piaciuto, inoltre, il vostro superbo Terminillo. Oggi, pertanto, non vengo qui come forestiero, poiché ritrovo non solo una parte della mia vita passata, ma ritrovo soprattutto voi, cari reatini, che siete il primo titolo di vanto di questa terra. Ringrazio quindi il Signore e ringrazio tutti voi per questa accoglienza festosa.

Da parte mia, vi assicuro un particolare ricordo nelle mie preghiere, perché vi sia concessa una vita serena, mediante il superamento delle varie difficoltà del momento e il raggiungimento di una sicurezza, che sia insieme materiale e spirituale. Si, vi porto tutti nel cuore, e, mentre tutti sprono sulle vie del bene, sono lieto di impartire a tutti voi, autorità e cittadini, e a quanti vi sono cari, la benedizione apostolica, in pegno di copiosi favori celesti per una vita pienamente umana e cristiana.

Data: 1983-01-02 Data estesa: Domenica 2 Gennaio 1983

Omelia durante la messa - Rieti

Titolo: L'apostolato è partecipazione, responsabilità e impegno di tutti




1. "Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla su di te" (Is 60,1).

Carissimi fratelli e sorelle, l'invito della liturgia di oggi, Solennità dell'Epifania, ci riporta con la mente e col cuore a quella notte di tanti anni fa, quando in questa Valle, per iniziativa di san Francesco d'Assisi, fu rappresentato visibilmente per la prima volta il mistero del Natale. In tale circostanza - secondo il racconto del primo biografo - si raccolsero a Greccio uomini e donne di questa vostra regione "portando ciascuno secondo le sue possibilità ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illumino tutti i giorni e i tempi" (Celano, "Vita prima", 85). Si compiva in tal modo un desiderio che Francesco coltivava nel cuore da gran tempo: "rappresentare il Bambino nato a Betlemme e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui s'era trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello" (Celano, "Vita prima", 84).


2. Anche noi siamo oggi qui raccolti per meditare sul mistero inaudito di un Dio fattosi uomo per amore nostro; anche noi siamo qui per riconoscere che quel piccolo Bimbo, incapace di parlare, è la Parola increata del Padre, Colui che possiede la risposta capace di appagare ogni nostro interrogativo esistenziale; anche noi siamo qui per adorare l'ineffabile condiscendenza del Dio tre volte santo, che non ci ha abbandonati nella nostra miseria ma, scavalcando l'abisso della sua trascendenza si è fatto uno di noi per camminare al nostro fianco e indicarci con l'esempio la strada della salvezza.

Questo pensiero e la profonda lezione di spiritualità evangelica che promana dalla scena tanto suggestiva del presepio, ci riempiono l'animo di gioia e ci fanno comprendere perché san Francesco abbia avuto per il Natale "più devozione che per qualunque altra festività dell'anno" ("Leggenda perugina", 110). E' stato infatti "dal giorno della sua nascita - com'egli diceva - che il Signore si impegno a salvarci", avviando quell'iniziativa che si sarebbe conclusa con l'umiliazione e la gloria del mistero pasquale.

Seguendo la testimonianza del Poverello ho intrapreso questo pellegrinaggio natalizio e sono venuto nei luoghi che gli furono cari, per far eco alle sue parole e per ripetere di fronte alla generazione contemporanea che la vera "luce delle genti" è Cristo, lui, il Verbo incarnato, il Redentore dell'uomo.

Si aprano i cuori ad accogliere questo annuncio e ciascuno si muova verso la mangiatoia di Betlemme, ove giace "il bambino con Maria sua madre" e, come fecero i Magi guidati dalla stella, "prostrandosi lo adori" (cfr. Mt 2,11).


3. Carissimi fratelli e sorelle della Comunità ecclesiale reatina, convenuti in questa piazza, su cui domina la splendida torre campanaria e s'affaccia la maestosa cattedrale, consacrata dal Papa Onorio III il 9 settembre 1225, mentre ancora viveva san Francesco. Io dico a voi: al centro della storia del mondo sta Cristo! Con lui si scopre il senso della vita; in lui si trova il fondamento della comunità; per lui vive la Chiesa.

E' necessario che la sua luce risplenda dappertutto: nei singoli, per orientare le scelte determinanti della vita cristiana; nelle famiglie, per suscitarvi la fedeltà senza riserve, l'amore fecondo, il culto della vita; nelle parrocchie, strutture fondamentali della Comunità ecclesiale, perché il Popolo di Dio possa ricevervi il conforto della Parola e il sostegno dell'Eucaristia, nella gioia della comunione fraterna; nelle esperienze associative ecclesiali, così varie nei metodi e diversificate nelle proposte, perché ciascuno possa conoscervi una progressiva maturazione nella fede e nell'impegno di adesione operosa al messaggio del Vangelo.


4. Qui il mio pensiero e il mio affetto si volgono in particolar modo a voi sacerdoti, a voi parroci, a voi religiosi e religiose che spendete le vostre energie in questa cara diocesi di Rieti. A voi intendo riservare una particolare parola all'Angelus.

Qui desidero fare appello soprattutto a voi laici, che per specifica vocazione siete posti in mezzo al mondo per animarne cristianamente le complesse realtà. La partecipazione e la responsabilità nell'azione ecclesiale non sono un monopolio o un peso riservato soltanto ad alcuni; l'apostolato è vocazione e impegno di tutti. Una Comunità matura deve saper esprimere dal suo seno le energie umane necessarie per una presenza tempestiva ed efficace nel mondo contemporaneo.

Vi esorto pertanto ad avere sempre chiara coscienza della missione che Cristo vi affida e che la Chiesa vi conferma: nei vasti e molteplici campi del "profano" voi dovete essere i testimoni della piena verità sull'uomo, contestando ogni visione distorta o riduttiva del suo destino, e rifiutando quindi, in particolare, quelle interpretazioni che non ne fanno salva la dimensione trascendente.

Mi rivolgo specialmente a voi, giovani, promettente domani della Chiesa e della società: non chiudete il vostro cuore a Cristo! Non trovereste presso altri la risposta di cui forse siete ancora alla ricerca. Troppe voci risuonano intorno a voi, troppe promesse, troppe lusinghe. Non fatevi incantare, non fatevi stordire. Conquistatevi spazi di silenzio, nei quali vi sia possibile rientrare in voi stessi e mettervi in ascolto. Cristo ha una parola da dirvi, una parola personale, diretta, nella quale è racchiuso il segreto del vostro presente e del vostro futuro. Se saprete raccoglierla, potrete camminare sicuri e lieti incontro al vostro domani.


5. Carissimi fedeli della Valle Reatina, siamo all'inizio di un nuovo anno, dal quale ciascuno s'attende la realizzazione di tante speranze, restate inadempiute durante il 1982. Sarà anche l'anno in cui inizierà il Giubileo della Redenzione.

Quale migliore augurio potrebbe rivolgervi il Papa di quello così caro a san Francesco e rimasto poi emblematico per tutti i suoi figli? "Pace e bene!".

In questa piazza vetusta nella quale il Poverello sosto, in questa "Valle Santa" che i suoi piedi nudi percorsero e che ne ricorda la presenza con Santuari ben noti e venerati, io ripeto a voi l'augurio nel quale ogni altro trova espressione e compimento: "Pace e bene!". Pace nell'intimo delle coscienze e nei rapporti interpersonali, pace tra i singoli e pace tra le Nazioni che popolano la terra. E bene! Ogni bene: il bene spirituale, innanzitutto, che è la luce della Verità e la gioia dell'Amore; il bene temporale, poi, che è la salute, è il lavoro, è il necessario per una vita degna di esseri umani e di figli di Dio.

Voi avete celebrato durante il Centenario francescano la Missione diocesana, che il vostro Vescovo, il caro fratello Monsignor Francesco Amadio, nella sua sollecitudine pastorale ha voluto promuovere, al fine di far riscoprire e ripetere l'eterna Parola di Cristo in risposta alle domande essenziali e agli interrogativi propri dell'uomo di oggi, sulla scia dell'esperienza francescana.

La Missione - che aveva come tema le parole: "Nel nome del Padre", e che ha trovato così larga partecipazione - con la ricchezza dei suoi contenuti ha fatto risuonare, per la generosa opera del predicatori francescani, il Vangelo e ha fatto risplendere la Luce, come quella che accese la montagna di Greccio nel Natale del 1223. Ebbene, carissimi, resti sempre scolpita nei vostri cuori la certezza che v'è in cielo un unico Padre, il quale "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16). E' il mistero che abbiamo contemplato in questi giorni di Natale. E' il mistero che ha illuminato la vita di san Francesco. Se questa convinzione di fede continuerà a guidare le genti della Valle Reatina, ispirandone le parole e le azioni, allora potranno dirsi anche di questa terra le parole che abbiamo ascoltato dalle labbra del profeta Isaia in questa solennità anticipata dell'Epifania: "Su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te" (Is 60,2).

Popolo della "Valle Santa", possa sempre risplendere su di te la gloria del Signore e la sua luce guidi sempre i tuoi passi.

Data: 1983-01-02 Data estesa: Domenica 2 Gennaio 1983

Recita dell'Angelus - Rieti

Titolo: L'Epifania diffonda la sua luce missionaria

"Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua Madre" (Mt 2,11).


1. Nel raccoglierci per la preghiera mariana dell'Angelus, il pensiero si volge alla suggestiva scena evangelica dell'adorazione dei Magi, rievocata dalla Liturgia di questa domenica in cui la Chiesa italiana anticipa la festa dell'Epifania.

Come è noto, Epifania significa manifestazione di Gesù ai popoli, rivelazione del Messia atteso da secoli, cioè del Figlio di Dio, divenuto Figlio dell'uomo per essere in tutto solidale con lui e riscattarlo così dal peccato.

Essendo quindi festa essenzialmente missionaria, lo sguardo si protende a tutto il mondo e a tutti i popoli, ai quali la Chiesa è chiamata a portare la luce della salvezza. Il mio pensiero va perciò ai missionari e missionarie, sparsi nel mondo, che si prodigano generosamente in terre lontane, ma oggi va, in special modo, a tutto il clero secolare e regolare e alle religiose che sono impegnati a far conoscere Gesù alle comunità cristiane di questa vetusta diocesi reatina, come la Vergine santissima ha presentato Cristo ai Magi. Estendo il mio saluto ai diaconi e ai seminaristi che formano le speranze più care di questa diocesi.


2. Cari sacerdoti, religiosi e religiose, che vi dedicate all'animazione cristiana della diocesi di Rieti, desidero dirvi quanto grande sia il mio affetto per voi e come mi sento a voi legato da sentimenti di vicinanza spirituale, di fratellanza, di comunione nella fede e nella grazia, nel sacerdozio e nella missione annunciatrice del Vangelo di Cristo.

Conosco le difficoltà e i disagi dell'azione pastorale, specialmente quando questa deve svolgersi in parrocchie assai piccole e frammentate e, non di rado, con gli incomodi della salute e dell'età. Ma conosco altresi la fede e lo spirito di servizio che tradizionalmente caratterizzano il clero e i religiosi della Valle Santa.

Vi distingua sempre, oltre a un intenso impegno pastorale e ad uno sforzo deciso per incrementare le vocazioni nelle diverse fasce di età e nei diversi ambienti, una continua ricerca di perfezionare la propria formazione disciplinare, culturale ed ascetica.

La Chiesa esige uno stile di vita sacerdotale e religioso profondamente vissuto, e quale si addice al discepoli ed apostoli che seguono da vicino, affascinati da lui, i passi del Maestro.


3. In questo modo vi sentirete, come già i Magi venuti da lontano, sempre più impegnati nella ricerca e nella scoperta del Salvatore, riproponendovi interiormente la stessa domanda dei tre Saggi: "Dove è nato il re dei Giudei?" (Mt 2,2). così rifarete il cammino che a lui conduce nell'accettazione dei segni che la Provvidenza vi manifesterà; confermerete la decisione di rispondere con generosità alla vocazione sacerdotale e religiosa; ritroverete l'ardore e il vigore necessari per dare al Signore piena testimonianza; esprimerete la gioia, talora difficile, ma stupenda, della fatica pastorale e dell'impegno apostolico.

La Vergine santissima, Regina degli Apostoli, sostenga e fecondi questi propositi: ci mostri Gesù, il frutto benedetto del suo grembo, e protegga anche tutti gli abitanti di Rieti e di questa stupenda valle, tanto cara al cuore di san Francesco.

Data: 1983-01-02 Data estesa: Domenica 2 Gennaio 1983

Alle componenti ecclesiali e civili - Rieti

Titolo: Il lavoro come necessità e dovere, ma anche principio di comunità

Cari fratelli e sorelle della città e diocesi di Rieti!


1. Due parole tanto semplici quanto significative mi salgono spontaneamente alle labbra in questo momento, dopo aver ascoltato le amabili espressioni del vostro "portavoce", il quale non solo come presidente della Provincia, ma anche e soprattutto come presidente del Comitato per le celebrazioni francescane, ha speciali titoli per essere autorevole interprete dei vostri comuni sentimenti.

"Grazie" è la prima parola! Grazie appunto per l'indirizzo di omaggio, or ora ascoltato, nel quale ho sentito vibrare il cuore della forte e generosa "gens Reatina". Grazie anche per l'accoglienza ospitale e cordiale, che tutti avete voluto riservarmi in questa mia visita pastorale alla nobile terra della Sabinia, che ai valori della vetustà e generosità della più genuina tradizione italica unisce quelli più alti della fede religiosa e della tradizione cristiana.

La seconda parola è "benvenuti"! Si, io vi dico benvenuti in questo storico Palazzo; benvenuti all'interno di questo salone, che si denomina "salone dei Papi". Perché? Lo sapete meglio di me: all'antichità della sede vescovile (prova anche questa della fede qui edificata dalla Chiesa di Roma) ha fatto riscontro nel corso dei secoli e, in particolare, nell'età medioevale la presenza, talora prolungata, di non pochi Pontefici romani, i quali per varie ragioni elessero Rieti a temporaneo loro domicilio, stabilendo così con la città e con la cittadinanza un rapporto di preferenziale collegamento per l'ospitalità che qui ricevevano. Basti ricordare, in proposito, i grandi nomi di Innocenzo III, di Onorio III, di Gregorio IX, il quale ultimo, già da Cardinale, aveva qui invitato ed accolto san Francesco infermo.

Da questo punto di vista, si potrebbe dire che l'odierna visita è un ideale ritorno in una sede pontificia dove, non già per titoli di dominazione terrena o per attribuzioni temporalistiche, ma per la ragione dell'universale missione ch'è propria del successore di Pietro (cfr. S. Leone Magno, "Sermo 82",


1) e per l'antecedente storico di queste accennate vicende, sono ora ben lieto di salutarvi, rivolgendo a ciascuno di voi, qui presente a nome dell'intera Comunità civile ed ecclesiale reatina, il mio sincero ed augurale benvenuto.


2. So bene di trovarmi di fronte (l'ha accennato testé il Signor Presidente) ad una vasta e varia e qualificata rappresentanza della città e diocesi, essendo tante le sue componenti. Tra voi, infatti, ci sono le autorità cittadine e provinciali e con esse i dirigenti delle diverse associazioni culturali e di categoria; ci sono i professionisti e gli impiegati, ci sono i lavoratori in proprio e gli operai delle imprese della non lontana zona industriale.

Si potrebbe dire, dunque, che la vostra è un'assemblea composita; ma così non è; o se lo è, lo è solo considerando le cose esteriormente.

In realtà già il motivo per cui siete qui convenuti costituisce una prova e insieme una spinta ad essere uniti, anzi a fare unità. Qui vi ha condotto non soltanto l'intenzione di rendere omaggio al successore di Pietro; qui vi ha condotto soprattutto la fede di Cristo, che avete tutti in comune e che vi insegna a riconoscere la funzione del Papa nella Chiesa. In verità, è riguardando a questa fede e alle sue implicazioni, è dando ad essa il rilievo che la spetta nell'intero itinerario della sua vita cristiana, a cominciare dal momento del santo Battesimo, che voi tutti in Cristo e con Cristo formate a livello soprannaturale un'effettiva unità. Voi tutti, qui convenuti, siete una porzione eletta della Chiesa di Dio, che è in Rieti. Sicché la mia presenza oggi e qui in mezzo a voi si configura come presenza confermatrice e stimolatrice di questa ecclesiale unità, e tutti insieme - voi come fratelli cristiani e io come fratello tra i fratelli - in realtà celebriamo il mistero della nostra spirituale comunione.

A voi, pertanto, mi piace riferire e applicare le ispirate parole, che usava san Francesco nella sua Lettera ai fedeli (nn. 1-2): "A tutti i cristiani, religiosi, chierici e laici, maschi e femmine, a tutti coloro che abitano nel mondo intero, frate Francesco, loro umile servo, ossequio rispettoso, pace vera dal cielo e sincera carità dal Signore. Poiché sono servo di tutti, sono tenuto a servire a tutti e ad amministrare a tutti le fragranti parole del mio Signore".

Sono espressioni, queste, che ben convengono a voi; ma - vorrei aggiungere - più ancora convengono a me che, in forza dell'universale ministero a me confidato, debbo essere veramente "servo di tutti" e - secondo la tradizionale e non certo retorica formula - son chiamato "servo dei servi di Dio".


3. Se il collegamento che tra noi esiste sul piano ecclesiale si denomina ed è comunione o, meglio, realtà di comunione, esso sul piano delle relazioni ordinarie e, in generale, della vita associata è e deve essere solidarietà. E', questa, una parola che già di per sé dà l'idea della compattezza e della solidità: vedendo in questo salone un'accolta dei rappresentanti dei diversi ambienti e settori della vita cittadina e diocesana, come potrei fare a meno di richiamare e di raccomandare anche un tale valore? Già a Ginevra, nel giugno scorso, parlando dinanzi alla sede dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIT), ebbi modo di ricordare la natura e l'importanza della solidarietà e volli, in particolare, mettere in luce come essa s'imponga soprattutto nel mondo del lavoro. "Nella problematica del lavoro - io dissi - c'è una caratteristica, che è nello stesso tempo esigenza e programma...: la solidarietà" (n. 5). Se questa è già inscritta a livello naturale nella vita umana per la fondamentale posizione che tutti gli uomini hanno sulla terra, per la "sorte" che hanno in comune, bisogna peraltro tener presente come, per stabilirla e svilupparla, il lavoro abbia una precisa virtualità. "Nelle sue dimensioni profonde - dissi appunto in quella circostanza - la realtà del lavoro è la stessa in ogni punto della terra, in ogni Paese e in ogni Continente... La realtà del lavoro è la stessa in una molteplicità di forme: il lavoro manuale e il lavoro intellettuale; il lavoro agricolo e il lavoro dell'industria... Senza voler mascherare le differenze specifiche che rimangono e che diversificano, spesso in modo assai radicale, gli uomini e le donne che svolgono queste molteplici mansioni, il lavoro crea l'unione di tutti in un'attività che ha uno stesso significato e una stessa fonte" (n. 6).

Ecco, fratelli e sorelle carissimi, anche da questa realtà profondamente umana del lavoro, il quale "per tutti è una necessità, un dovere, un compito", deve risultare più saldo e più forte il vostro spirito di naturale e soprannaturale coesione, in cui siano assommati e insieme esaltati i due beni preziosi della solidarietà e della comunione.

A tener sempre desto un tale spirito vorrei esortarvi, proponendovi come peculiare ricordo del nostro incontro, che voi poi trasmetterete a tutti i membri della Comunità reatina, una scultorea frase del Concilio, ricavata da quel documento che più insiste sulle ragioni e sui modi della presenza cristiana nell'età moderna: "La Chiesa, in forza della sua missione di illuminare tutto il mondo col messaggio evangelico..., diventa segno di quella fraternità che consente e consolida il vero dialogo" (GS 92).


4. Ma, venuto in visita nei luoghi già santificati da san Francesco, rimirando quella valle amenissima chiamata Valle Santa", è facile e anche necessario che io a lui concludendo ritorni. Se punto generale di riferimento in questo viaggio è la vostra bella città, Greccio ne è il punto focale per la memoria sempre viva ed universalmente nota, che essa conserva, del primo presepio nella storia della spiritualità cristiana. Greccio è - possiamo dire - il "locus inventionis", è il paese che per la sua semplicità diede al Poverello il suggerimento e lo spunto per questa singolare, tenerissima e umanissima figurazione della nascita, nel tempo e fra gli uomini, del Figlio stesso di Dio. Greccio è quasi una seconda Betlemme e, come questa pur piccola, non era "davvero il più piccolo capoluogo di Giuda, perché da essa doveva uscire il capo per pascere il popolo di Dio, Israele" (cfr. Mt 2,6 Mi 5,1), così Greccio, custodendo una tale originale espressione di arte e di fede, lungi dall'essere ignorata, ha una sua grandezza che la fa conoscere ed amare in tutto il mondo cristiano.

Nel perdurante e corroborante clima delle festività natalizie - oggi, infatti, la sacra Liturgia ci ricorda che "una stella condusse i Magi fino al presepio" - mi è dolce e caro porgere a ciascuno di voi il saluto augurale e cordiale, che il Santo di Assisi seppe attingere, anzi raccogliere dalla scena arcana, già avvenuta a Betlemme e a Greccio da lui ricostruita: Pace e bene! A voi, ai vostri cari, ai vostri condiocesani, auspice san Francesco, io ora ripeto: Pace e bene, invocando di cuore le benedizioni del Signore.

Data: 1983-01-02 Data estesa: Domenica 2 Gennaio 1983


GPII 1983 Insegnamenti