GPII 1982 Insegnamenti - Il saluto agli universitari - Madrid (Spagna)

Il saluto agli universitari - Madrid (Spagna)

Titolo: Cristo ci rende capaci di costruire un mondo nuovo, più giusto e umano

Testo:

Cari universitari ed universitarie.


1. Al termine del mio precedente incontro, che in gran parte era vostro, mi avete fatto la gradita sorpresa di accorrere in gran numero a salutarmi. Vi ringrazio di cuore. Da parte mia rispondo con un cordiale saluto a voi e a tutti gli universitari di Spagna.

Conosco la vostra vita per esperienza personale, la stimo profondamente e la comprendo. Vi incoraggio a continuare coltivando lo "spirito universitario", questo spirito che è apertura e, soprattutto, itinerario di ricerca. Perchè dire "università" è dire ricerca, investigazione, futuro della società.


2. So che nella vostra generosità di giovani non vi soddisfano tanti aspetti della società attuale, che vorreste più giusta e solidale. So anche che cercate qualcosa che possa dare ragione, sul serio, alla parte più profonda di voi stessi, a questa profondità dello spirito umano che sentite, o almeno presentite. So che non vi bastano - per dare un fondamento alla vostra vita - gli aridi dati della cultura tecnica o della informatica. Non vi basta disporre di notizie e conoscenze disperse e frammentarie. Intuite che è necessario trovare una realtà che dia a quelle realtà disgregate un senso decisivo e ultimo.

Sento su di me il dovere di proclamare davanti a voi che questo qualcosa, "il Dio sconosciuto" che gli uomini cercano a tentoni, esiste ed è il fondamento di tutto ed è "colui che fa nuove tutte le cose" (cfr. Ac 17,23ss; Ap 21,5). Come Paolo nell'areopago di Atene, vi annuncio oggi il Dio vivo e suo Figlio, Gesù Cristo, che mori ed ora, padrone della vita e della morte, è il Vivente per i secoli dei secoli (cfr. Ac 17,31 Ap 1,18).


3. La società attuale ha parecchie affinità con quella in cui si apri la strada la prima predicazione del Vangelo. Ci sentiamo, come molti uomini di quell'epoca, prigionieri nella nostra impotenza, sommersi in diverse offerte di salvezza che riconosciamo come non definitive ed ingannevoli. Pero, come accadde agli uomini di quella antica generazione, dall'esperienza della nostra limitatezza, percepiamo oggi che un dono che ci supera, una misericordia sommamente accogliente, può salvarci pienamente, offrendoci la gratuità del suo amore.

Io, servo di Gesù Cristo, ho la missione di dirvi che questa salvezza è sicura per coloro che credono e confidano nel nome di Gesù. Si, Cristo - il Figlio del Dio vivo - conferisce tutta la sua grandezza al nostro essere personale, è il garante di ciò che pensiamo e vogliamo essere, è colui che rende possibile vivere la vita con dignità e porla a disposizione degli altri, per aiutarli a crescere nella loro dignità; colui che avalla gli apporti genuini delle scienze e del sapere umani, e li proietta in orizzonti più grandi; colui che ci rende capaci di affrontare senza timore il futuro, impegnati a costruire l'"utopia" di un mondo nuovo, più giusto e più umano.


4. Accogliete Cristo con animo aperto. Accogliete Cristo nella sua Chiesa che è la sua presenza permanente nella storia. Perchè "Cristo più la Chiesa non è altro che Cristo soltanto" (San Tommaso d'Aquino, "Commentarium in Ephesios").

La Chiesa è la trasparenza di Cristo fra gli uomini, oscurata a volte dalla condotta dei cristiani, peccatori "come gli altri uomini" (cfr. Lc 18,11).

La Chiesa, quando la si osserva con occhi di fede, non è uno schermo che ostruisce la comunione degli uomini con Cristo, il Salvatore.

Coloro che perseverano vicino al viandante misterioso, come i discepoli di Emmaus, finiscono per riconoscerlo e diranno forse come loro: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino?" (Lc 24,32).

Permettetemi di terminare queste parole con le strofe di uno degli inni della liturgia: Rimani con noi / poichè viene la sera. / Come ti incontreremo / al declinare del giorno / se il tuo cammino non è il nostro cammino? / ("Inno dei Vespri").

Che Cristo vi accompagni sempre nel vostro cammino e vi benedica, cari universitari e universitarie.




1982-11-03 Data estesa: Mercoledi 3 Novembre 1982




L'omelia della Messa nella parrocchia di san Bartolomé di Orcasitas - Madrid (Spagna)

Titolo: La parrocchia è una comunità di persone collegate, per il battesimo, al sacerdozio di Cristo

Testo:

Signor Cardinale, fratelli nell'Episcopato, cari fratelli e sorelle.



1. "La pietra che i costruttori hanno scartato è ora pietra angolare..." (Mc

12,10).

Con queste incoraggianti parole tratte dal Salmo (118 [119]), che san Marco pone sulle labbra di Gesù, la primitiva comunità cristiana celebra gioiosa la gloria del Risorto, gioia diffusiva di coloro che si sentivano in salvo e felici nella nuova costruzione di Dio: la Chiesa.

La pietra, dice san Paolo (1Co 10,4), "era Cristo". E aggiunge (3,11): "quanto al fondamento, nessuno può porne altro diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo".

Gesù Cristo, è, quindi, la pietra fondamentale del nuovo tempio di Dio (cfr. Ep 2,20). Respinto, scartato, abbandonato, dato per morto - allora come adesso - il Padre lo pose e lo pone per sempre come solida e inamovibile base della nuova costruzione. E lo rende tale a motivo della sua risurrezione gloriosa.

"Questa è l'opera di Jahvé, ammirabile ai nostri occhi".

Su di lui, per la fede nella sua resurrezione, sono edificati i cristiani. Così insegna l'apostolo Pietro, nella sua prima lettera: "Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo..." (2,4-5).

Il nuovo tempio, corpo di Cristo (cfr. Jn 2,21), spirituale, invisibile, è costruito da tutti e ciascuno dei battezzati, sopra la viva "pietra angolare", Cristo (Ep 2,20), nella misura in cui a lui aderiscono e in lui crescono, fino alla "pienezza di Cristo" (v. 13). In questo tempio e attraverso di esso, "dimora di Dio per mezzo dello Spirito" (v. 22), egli è glorificato in virtù del "sacerdozio santo", che offre "sacrifici spirituali" (1P 2,5), e il suo Regno si stabilisce nel mondo.

La cima di questo nuovo tempio penetra nel cielo, mentre sulla terra, Cristo, la pietra angolare, lo sostiene mediante il "fondamento degli apostoli e dei profeti" (Ep 2,20), e coloro che ad essi succedono, cioè, in primo luogo, il Collegio dei Vescovi, e la "pietra" che è Pietro (Mt 16,18).

Di questa splendida realtà ecclesiale densa di lezioni e significati per ogni cristiano, è simbolo ogni tempio visibile, come questo davanti al quale ci troviamo, e che raccoglie i membri dell'eredità di Cristo che costituiscono una parrocchia, in una Chiesa locale.


2. Sono passati molti secoli dai tempi di Cristo. L'eredità di Dio ha continuato a crescere meravigliosamente - non senza che si ripetessero i rifiuti, le incomprensioni e le lotte - sulla pietra angolare: Cristo morto e risorto. Ogni giorno sono di più gli uomini e i popoli che lo accettano con fede e con amore, che cercano in lui il fondamento solido per costruire un mondo migliore e più unito, dove si sentano al sicuro sotto lo sguardo di bontà di un solo Dio e Padre.

Tra tutti questi popoli che non respinsero, ma che fecero della fede in Gesù il centro della loro storia, c'è l'amata Spagna, profondamente cristiana; tra questi uomini, eredi di Dio attraverso il battesimo che li rende simili al figlio morto e risorto, ci siete anche voi, fratelli e sorelle di questa parrocchia madrilena di Orcasitas, riuniti intorno all'altare dello stesso Cristo. Vi sento tutti molto vicini a me e vi accolgo come membri amatissimi della sua Chiesa.

Questo incontro mi riempie di intimo compiacimento, perché mi fa rivivere qui le visite periodiche alle parrocchie di Roma, diocesi del successore di Pietro; parrocchie situate spesso, come la vostra, nelle zone periferiche della città o di nuove costruzioni. Non senza una certa nostalgia mi ricorda anche il mio lavoro ministeriale nelle parrocchie della mia terra natale, come sacerdote, e poi le mie visite pastorali come Arcivescovo di Cracovia.


3. So che questa parrocchia si è andata costruendo gradualmente con abitanti venuti da luoghi diversi. Conosco altrettanto bene le vostre fatiche di lavoratori. Il mio grande desiderio è che cresca anche la vostra vita di cittadini e che diventino realtà i desideri che vi hanno spinto a venire e i miglioramenti cui aspirate e di cui avete pieno diritto. Allo stesso tempo mi faccio carico dei numerosi e gravi problemi che si pongono ad un quartiere nuovo, e quasi sempre con preoccupanti conseguenze non solo di ordine lavorativo, ma anche familiare, religioso e morale. Sono problemi umani, suscitati in buona parte per l'urbanizzazione accelerata e l'insorgere di popolazioni periferiche dilaganti, che disturbano molte volte il ritmo tranquillo delle abituali occupazioni, condizionando notevolmente la vita quotidiana, offuscando forse le consuetudini religiose, persino le più radicate.

La Chiesa, eredità di Dio solidale con la sorte dell'uomo in ogni momento storico, non considera simili condizionamenti come ostacoli insuperabili per condurre a termine la sua missione; al contrario, vede in essi l'incitamento a prodigarsi con abnegazione e dedizione, secondo le necessità, perché l'opera redentrice di Cristo non soffra alcuna menomazione. Questo nuovo tempio vi invita caldamente a dare testimonianza, come persone e come comunità parrocchiale, del fatto che siete uniti in Cristo nella stessa fede e nella stessa speranza. Questo tempio sarà segno della costruzione permanente del Regno di Dio in voi e nel vostro Paese. E' casa di Dio e casa vostra. Consideratelo, quindi, come luogo di incontro con il Padre comune. Mi rallegro di sapere che sotto l'impulso del signor Cardinale Arcivescovo si sviluppa a Madrid un vasto programma di costruzione di Chiese parrocchiali. Mi compiaccio con quanti partecipano a questo impegno ecclesiale.

Permettete che mi intrattenga ora su alcuni punti concreti che, in quanto Pastore e responsabile della Chiesa universale, considero di particolare importanza perché continui a crescere, per il bene vostro e dell'intera famiglia ecclesiale, l'edificio spirituale di questa comunità.


4. Non mi trovo con voi semplicemente davanti a un tempio, ma in una parrocchia e, in questa, siete chiamati a formare una sola cosa in Cristo, e spinti a testimoniare la vostra vocazione comunitaria.

Una parrocchia è, in effetti, una comunità di uomini che, a motivo del battesimo, sono personalmente e socialmente collegati al sacerdozio di Cristo: alla dedizione piena che Cristo fece di se stesso al culto e alla lode di Dio, Creatore e Padre. Voi siete una parrocchia, prima di tutto, grazie al fatto che Cristo è qui: in mezzo a voi, con voi, in voi. Voi siete parrocchia, perché siete uniti a Cristo, in modo speciale grazie al memoriale del suo unico Sacrificio offerto nel proprio Corpo e Sangue sulla Croce; che si rende presente e si rinnova nella Chiesa come il sacrificio sacramentale del pane e del vino. Questo sacrificio eucaristico scandisce il costante ritmo della vita della Chiesa e anche della vostra parrocchia. Centrate le vostre attività parrocchiali sulla sacra Eucarestia, nell'incontro personale con Cristo, perenne Ospite nostro! Desidero, specialmente, ricordarvi la necessità di partecipare alla santa Messa le domeniche e i giorni festivi.

L'unione con Gesù nell'Eucarestia influirà nella vostra vita e arricchirà la vostra parrocchia, perché la comunità cristiana cresce e si consolida grazie alla testimonianza di vita che i suoi membri sanno offrire. A questo riguardo, è fondamentale che i genitori diano nelle loro famiglie un esempio di vita coerente, e che i membri dei vari gruppi e associazioni sappiano essere buoni discepoli di Cristo, generosi con tutti, compresi quelli che si mostrano ancora refrattari al messaggio cristiano. Particolare importanza ha l'impegno di carità verso quelli che, per un motivo o per un altro, si trovino in necessità. I poveri, i malati, gli anziani, gli invalidi, rappresentano altrettanti "appelli" con cui Dio bussa alla porta dei vostri cuori. Chiedete a lui la generosità necessaria per rispondere con dedizione, secondo la forma adeguata ad ogni caso.


5. "Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo" (Ep 4,5), cantate con frequenza, gioiosi davanti al mistero dell'unità della Chiesa universale.

Compito privilegiato della parrocchia è mantenere e rendere visibile questa unità. Essa deve essere accogliente per tutti, collaborando "alla unità di tutto il genere umano". Nessuno tra di voi deve sentirsi estraneo. Riflettete, in tutte le manifestazioni della vita parrocchiale, che, in quanto porzione della Chiesa, siete strumento di unione con Dio e di unità tra gli uomini.

Non c'è che una Chiesa di Gesù Cristo, che è come un grande albero nel quale siamo innestati. Si tratta di una unità profonda, vitale, che è dono di Dio.

Non è solamente, né soprattutto, unità esteriore; è un mistero e un dono.

Sarebbe impegno inutile e ingiusto pretendere l'unità a livello della piccola comunità se in essa si trascurasse l'unità profonda nella fede, nei sacramenti della fede, nella carità. E' in Cristo, Capo della Chiesa, nella sua dottrina, nei suoi sacramenti, nei suoi mandati, nell'unione con Cristo che si realizza e sgorga l'unità.

La grazia di Cristo continua ad arrivare senza interruzione tramite la Chiesa visibile. Ricordate bene come il Signore indica ai suoi Apostoli: "Chi ascolta voi ascolta me" (Lc 10,16), e conferisce a Pietro e agli Apostoli la potestà di sciogliere e legare (cfr. Mt 16,18 Mt 18,18).

L'unità si manifesta, quindi, intorno a colui che, in ogni diocesi, è stato costituito Pastore, il Vescovo. E nell'insieme della Chiesa si manifesta intorno al Papa, successore di Pietro, "perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della massa dei fedeli" (LG 23). Un diverso modo di procedere, sia personalmente che in gruppo, altro non sarebbe che separarsi dalla vita (cfr. Jn 15,1-6).

Siete una parrocchia giovane, appena nata, bisognosa ancora di tante cose. Tuttavia dovete pensare non solo a voi stessi, ma anche agli altri. Dovete costruire con la vostra preghiera e con il vostro impegno lo sviluppo del cristianesimo in questa città e nel mondo intero. Chiedete con fervore che tra i vostri giovani nascano vocazioni sacerdotali, che possano portare la voce di Cristo ad altre parrocchie e - perchè no? - anche ad altre terre e nazioni.


6. Nel terminare il nostro incontro, voglio benedire di cuore questa opera e le altre Chiese che si stanno costruendo o si costruiranno in questa zona, nei quartieri più popolosi della arcidiocesi madrilena e delle altre città di Spagna.

Molti di voi qui presenti hanno vissuto le difficoltà della costruzione di questo tempio, e hanno partecipato quindi alla gioia della sua costruzione, della sua dedicazione al culto di Dio. E oggi partecipano con me alla gioia di questo incontro. Così succede anche per la costruzione di questo tempio di Dio che è ciascuno di noi. Costa costruirlo, perché questa costruzione richiede il superamento dell'egoismo, dell'ira, esige pazienza, fedeltà, castità, laboriosità, rettitudine. Pero alla fine di questo sforzo, ci attende la gioia che accompagna quanti sono buoni figli di Dio.

Non lo dimenticate: la parrocchia non è solamente un luogo in cui si celebrano alcune cerimonie e si insegna il catechismo; è anche l'ambiente vivo in cui questo catechismo deve attuarsi. Le pietre materiali o la struttura esterna della Chiesa debbono sempre ricordarvi che siete "pietre vive", che dovete costruirvi costantemente in Cristo, secondo la misura e l'esempio di Cristo, nella dimensione personale, familiare e sociale. Questo edificio è già costruito.

Edificate ora le vostre vite secondo la volontà di Dio.

Per questo, siate sempre vicini alla santissima Vergine. Lei, che ha generato nel suo seno verginale il nostro Signore e Salvatore, genererà ugualmente le vostre anime se chiedete fiduciosamente il suo aiuto. Interceda anche per voi san Bartolomeo, vostro patrono. Così sia.




1982-11-03 Data estesa: Mercoledi 3 Novembre 1982




Celebrazione della Parola per i giovani - Madrid (Spagna)

Titolo: Il male si vince con l'amore e la conoscenza di Dio come Padre

Testo:

Carissimi giovani.


1. E' questo uno degli incontri più attesi della mia visita in Spagna, che mi permette di avere un contatto diretto con la gioventù spagnola, nella cornice dello stadio Santiago Bernabéu, testimone di tanti avvenimenti sportivi.

In tutte le mie visite pastorali, nelle diverse parti del mondo, ho voluto sempre incontrarmi con i giovani. Lo faccio per la grande stima che nutro per voi e perché siete la speranza della Chiesa, non meno che della società.

Entrambe, infatti, fra non molti anni poggeranno in gran parte su di voi: su voi e su tante migliaia di vostri compagni che si uniscono a voi in questo momento in tutti i luoghi della Spagna da cui giungete.

So che molti di loro - la notizia mi è arrivata a Roma prima della mia partenza - avrebbero voluto essere qui questa sera; e che di fronte alla difficoltà di trovare posto per tutti, vi hanno mandati come loro rappresentanti.

So pure che molti di loro vi hanno dato l'incarico esplicito di portare il proprio saluto al Papa e di dirgli che sono uniti a noi nella preghiera, davanti alla radio e alla televisione, perché hanno sete di verità, di grandi ideali di Cristo.

Cari giovani: tutto ciò mi ha emozionato; ve lo dico in confidenza, da amico. Voi giovani siete capaci di rubare il cuore con tanti dei vostri gesti, con la vostra generosità e spontaneità.

Era la vostra prima risposta, prima ancora di vederci, a un mio interrogativo.

In effetti, qualche volta mi ero chiesto: i giovani spagnoli saranno capaci di guardare con coraggio e costanza al bene; offriranno un esempio di maturità nell'uso della loro libertà, o si ripiegheranno disillusi su se stessi? La gioventù di un Paese ricco di fede, di intelligenza, di eroismo, di arte, di valori umani, di grandi imprese umane e religiose, vorrà vivere il presente con un'apertura alla speranza cristiana e con responsabile visione del futuro? La risposta la diedero le notizie che mi giungevano da voi. Me l'ha data soprattutto ciò che ho visto in tanti di voi in questi giorni, e la vostra presenza e il vostro comportamento questa sera.

Voglio dirvelo: non mi avete deluso, e continuo a credere nei giovani, in voi. E credo, non per farvi un complimento, ma perché conto su di voi per diffondere un nuovo modo di vita. Quello che nasce da Gesù, figlio di Dio e di Maria, il cui messaggio vi porto.


2. Qualche momento fa ci si invitava a riflettere sul testo delle beatitudini.

Alla loro base si trova una domanda che voi vi ponete con inquietudine: perchè esiste il male nel mondo? Le parole di Cristo parlano di persecuzione, di pianto, di mancanza di pace e di ingiustizia, di menzogna e di insulti. E indirettamente parlano della sofferenza dell'uomo nella sua vita temporale.

Pero non si fermano qui. Indicano anche un programma per superare il male con il bene. Effettivamente quelli che piangono, saranno consolati; quelli che soffrono l'assenza della giustizia e ne hanno fame e sete, saranno saziati; gli operatori di pace, saranno chiamati figli di Dio; i misericordiosi troveranno misericordia; i perseguitati a causa della giustizia, possiederanno il regno dei cieli.

E' questa soltanto una promessa di futuro? Le certezze meravigliose che Gesù dà ai suoi discepoli si riferiscono soltanto alla vita eterna, a un regno dei cieli situato oltre la morte? Sappiamo bene, cari giovani, che questo "regno dei cieli" è "il regno di Dio", e che "è vicino" (Mt 3,2). Perché è stato inaugurato con la morte e resurrezione di Cristo. Si, è vicino, perchè in buona parte dipende da noi, cristiani e "discepoli" di Gesù.

Siamo noi, battezzati e confermati in Cristo, i chiamati ad avvicinare questo regno, a renderlo visibile e attuale in questo mondo, come preparazione alla sua definitiva istaurazione.

E questo si ottiene con il nostro impegno personale, con il nostro sforzo e la nostra condotta coerente con i precetti del Signore, con la nostra fedeltà alla sua persona, con la nostra imitazione del suo esempio, con la nostra dignità morale.

Così il cristiano vince il male; e voi, giovani spagnoli, vincete il male con il bene ogni volta che, per amore e sull'esempio di Cristo, vi liberate dalla schiavitù di coloro che aspirano ad avere di più e non ad essere migliori. Quando sapete essere degnamente semplici in un mondo che paga qualunque prezzo per il potere; quando siete puri di cuore in mezzo a chi giudica solo in termini di sesso, di apparenza o di ipocrisia; quando costruite la pace, in un mondo di violenza e di guerra; quando lottate per la giustizia di fronte allo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo o di una nazione da parte di un'altra; quando con la misericordia generosa non cercate la vendetta, ma arrivate ad amare il nemico; quando in mezzo al dolore e alle difficoltà, non perdete la speranza e la costanza nel bene, forti della consolazione e dell'esempio di Cristo e dell'amore per l'uomo fratello. Allora diventate trasformatori efficaci e radicali del mondo e costruttori della nuova civiltà dell'amore, della verità, della giustizia, che Cristo porta come messaggio.


3. In questo modo, l'uomo - e soprattutto il giovane - che si accosta alla lettura della parola di Cristo con la domanda: "Perché esiste il male nel mondo", quando accetta la verità delle beatitudini, finisce col porsi un'altra domanda: che fare per vincere il male con il bene? Anzi, finisce col trovare già una risposta a tale domanda, che è fondamentale nell'esistenza umana. E possiamo ben dire che chi trova questa risposta e sa orientarvi coerentemente la propria condotta è riuscito a far penetrare il Vangelo nella sua vita. Allora è veramente cristiano.

Con i criteri solidi che trae dalle sue convinzioni cristiane, il giovane sa reagire nel giusto modo di fronte ad un mondo di apparenze, di ingiustizia e di materialismo che lo circonda.

Davanti alla manipolazione della quale può sentirsi oggetto mediante la droga, il sesso esasperato, la violenza, il giovane cristiano non cercherà metodi di azione che lo portino nella spirale del terrorismo; ciò infatti lo getterebbe in un male uguale o maggiore di quello che critica e depreca. Non cadrà nella insicurezza e nella demoralizzazione, né si rifugerà nei vuoti paradisi dell'evasione o dell'indifferenza. Né la droga, né l'alcool, né il sesso, né una rassegnata passività acritica - quello che voi chiamate "pasotismo" (indifferentismo) - sono una risposta di fronte al male. La vostra risposta deve venire da una posizione sanamente critica; dalla lotta contro la massificazione nel pensare e nel vivere, che a volte si cerca di imporvi, che si offre in tante letture e mezzi di comunicazione sociale.

Giovani! Amici! Dovete essere voi stessi, senza lasciarvi manipolare; mantenendo solidi criteri di comportamento. In una parola: con modelli di vita dei quali si può aver fiducia, nei quali potete riflettere tutta la vostra generosa capacità creativa, tutta la vostra sete di sincerità e di miglioramento sociale, sete di valori permanenti degni di sagge scelte. E' il programma di lotta, per vincere il male con il bene. Il programma delle beatitudini che Cristo vi propone.


4. Uniamo ora la riflessione sulle beatitudini alle parole di san Giovanni testé ascoltate.

L'apostolo spiega che chi ama suo fratello è nella luce, e colui che lo odia è nelle tenebre; egli scrive alle due generazioni: a quella dei genitori, che hanno conosciuto Colui che esiste da sempre; e ai figli, a voi giovani, "che siete forti, e la parola di Dio rimane in voi, e avete vinto il maligno" (1Jn 2,13s).

Che senso hanno queste parole? San Giovanni parla due volte di vittoria sul maligno; cioè, della vittoria sull'istigatore del male nel mondo. Ci troviamo di fronte allo stesso argomento trovato nelle beatitudini.

Orbene, sappiamo che è Gesù colui che ci dà quella "vittoria che vince il mondo" e il male che c'è in esso (cfr. 1Jn 5,4 s) e che lo caratterizza, perché "il mondo giace sotto il potere del maligno" (v. 19).

Ma notiamo bene le due condizioni o dimensioni essenziali che il Vangelo richiede per questa vittoria: la prima è l'amore; la seconda, la conoscenza di Dio come Padre.

L'amore per Dio e per il prossimo è il distintivo del cristiano; è il precetto "antico" e "nuovo" che caratterizza la rivelazione di Dio nell'Antico e nel Nuovo Testamento (cfr. Dt 6,5 Lv 19,8 Jn 13,34s). E' la "forza" che rinvigorisce la nostra capacità umana di amare, elevandola, per amore di Dio, all'amore per il "fratello" (1Jn 2,9-11). L'amore ha un'enorme capacità trasformatrice: cambia in luce le tenebre dell'odio.

Immaginate per un momento questo magnifico stadio senza luce. Non ci vedremmo né ci sentiremmo. Che triste spettacolo sarebbe! Che cambiamento invece quando è ben illuminato! A ragione può dirci san Giovanni che "chi ama suo fratello è nella luce" mentre colui che lo odia "è nelle tenebre". Con questa trasformazione interiore si vince il male, l'egoismo, l'invidia, l'ipocrisia, e si fa prevalere il bene.

Lo fa prevalere la nostra conoscenza di Dio come Padre (cfr. Jn 2,14). E pertanto la visione dell'uomo come oggetto dell'amore divino, come immagine di Dio, con un destino eterno, come essere redento da Cristo, come figlio dello stesso Padre del cielo.

Pertanto non come antagonista, non come avversario, ma come "fratello".

Quante forze del male, di disunione, di morte e di egoismo si vincerebbero, se questa visione dell'uomo, non lupo per l'uomo, ma "fratello", si instaurasse efficacemente nei rapporti fra persone, gruppi sociali, razze, religioni e nazioni!


5. perciò è necessario che, di fronte alla domanda esistenziale del "perché il male nel mondo", scopriamo in noi l'amore come desiderio di bene; più ancora: come esigenza di bene; come esigenza "antica" e "nuova", attuale, orientata verso i coefficienti unici e irripetibili della nostra vita, del nostro momento storico, dei nostri compagni di cammino verso il Padre. Così entreremo nell'ambito di coloro che danno una risposta evangelica al problema del male e del suo superamento nel bene. Così contribuiremo, partendo dalla fedeltà alla nostra relazione con Dio-Padre e al "nuovo comandamento" di Cristo, che "è vero in lui e in noi" (cfr. 1Jn 2,8), a far si che passino le tenebre e appaia la luce (v. 8).

Questo è il cammino per la costruzione del Regno di Cristo; nel quale hanno un posto di rilievo i poveri, gli ammalati, i perseguitati, perché l'uomo è visto nella sua capacità e tendenza verso la pienezza di Dio.

Un regno dove domini la verità, la dignità dell'uomo, la responsabilità, la certezza di essere immagine di Dio. Un regno nel quale si realizzi il progetto divino sull'uomo, basato sull'amore, sulla libertà autentica, sul mutuo servizio, sulla riconciliazione degli uomini con Dio e fra loro. Un regno al quale tutti siete chiamati a costruirlo non solo isolatamente, ma anche uniti in gruppi o movimenti che rendano presente il Vangelo e siano luce e fermento per gli altri.


6. Miei cari giovani: la lotta contro il male si imposta nel proprio cuore e nella vita sociale. Cristo, Gesù di Nazaret, ci insegna come vincerlo nel bene. Ce lo insegna e ci invita a farlo con tono d'amico; da amico che non defrauda, che offre un'esperienza di amicizia della quale ha tanto bisogno la gioventù di oggi, così desiderosa di amicizie sincere e fedeli. Fate l'esperienza di questa amicizia con Gesù. Vivetela nella preghiera con lui, nella sua dottrina, nell'insegnamento della Chiesa che ve la propone.

Maria Santissima, Madre sua e nostra, vi introduca in questo cammino. E vi dia coraggio l'esempio di santa Teresa, donna e santa straordinaria, e quello di san Francesco Saverio, l'uomo dal gran cuore per il bene, e di tanti altri vostri compatrioti che spesero la vita nel fare il bene, a costo di tutto, anche di se stessi.

Giovani spagnoli: il male è una realtà. Superarlo nel bene è una grande impresa. Spunterà di nuovo con la debolezza dell'uomo. Pero non bisogna aver timore. La grazia di Dio e i suoi sacramenti sono a nostra disposizione. Finché camminiamo per il sentiero trasformatore delle beatitudini, stiamo vincendo il male; stiamo trasformando le tenebre in luce.

Sia questo il vostro cammino; con Cristo, nostra speranza, nostra Pasqua. E accompagnati sempre dalla Madre comune, la Vergine Maria. Così sia.




1982-11-03 Data estesa: Mercoledi 3 Novembre 1982




Celebrazione della Parola davanti al santuario di nostra Signora di Guadalupe - Madrid (Spagna)

Titolo: Il comportamento verso gli immigrati segna il livello democratico di una nazione

Testo:

Cari fratelli nell'Episcopato, cari fratelli e sorelle.


1. Abbiamo appena ascoltato la Parola di Jahvé rivolta ad Abramo: "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria, / e dalla casa di tuo padre, / verso il paese che io ti indichero. / Faro di te un grande popolo" (Gn 12,1s). Abramo rispose a questa chiamata divina affrontando le incertezze di un lungo viaggio che sarebbe divenuto il segno caratteristico del Popolo di Dio.

La promessa messianica fatta ad Abramo è unita al comando di abbandonare il suo paese nativo. Nel suo viaggio verso la terra promessa, ha inizio anche l'immenso corteo storico dell'umanità intera verso la mèta messianica. La promessa si compirà proprio fra i discendenti di Abramo, e perciò spetto a loro la missione di preparare, nel genere umano, il posto per l'Unto di Dio, Gesù Cristo. Facendo eco a queste immagini bibliche, il Concilio Vaticano II spiega che "la comunità cristiana si compone di uomini che, riuniti attorno a Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre" (GS 1).

Ascoltata qui, presso il Santuario di nostra Signora di Guadalupe, questa lettura dell'Antico Testamento evoca l'immagine di tanti figli dell'Estremadura e di tutta la Spagna partiti come emigranti dalla loro terra natale, verso altre regioni e paesi.


2. Nell'enciclica "Laborem Exercens" ho sottolineato che "questo fenomeno antico" dei movimenti migratori è proseguito lungo i secoli, ed ha acquistato negli ultimi tempi maggiori dimensioni a causa delle "grandi implicazioni della vita contemporanea" (LE 23).

Il lavoratore ha diritto a lasciare il proprio Paese alla ricerca di migliori condizioni di vita, come pure a tornare ad esso (cfr. LE 23). Ma l'emigrazione comporta aspetti dolorosi. Per questo l'ho chiamata un "male necessario" (LE 23), perché costituisce una perdita per il paese, che vede partire uomini e donne nella pienezza della loro vita.

Essi abbandonano la propria comunità culturale e si trovano trapiantati in un ambiente nuovo, con tradizioni diverse, a volte con lingua diversa. Alle loro spalle lasciano, forse, luoghi condannati ad un rapido invecchiamento della popolazione, come accade in alcune delle province spagnole.

Sarebbe tanto più umano che i responsabili dell'ordine economico, come indicava il mio predecessore il Papa Giovanni XXIII, facessero in modo che il capitale cercasse i lavoratori, e non viceversa, "per offrire a molte persone la possibilità concreta di crearsi un futuro migliore, senza vedersi obbligati ad andare via dal proprio ambiente, con un trapianto che è quasi impossibile che non comporti rotture dolorose e periodi difficili di adattamento umano e di integrazione sociale" (PT 46).

Tale obiettivo rappresenta una vera sfida all'intelligenza e all'efficacia dei governanti, per cercare di evitare gravi sacrifici a tante famiglie, obbligate ad una "separazione forzata che pone a volte a repentaglio la stabilità e l'unità della famiglia, e spesso la pone di fronte a situazioni di ingiustizia" ("Discorso a Vescovi della Spagna in visita "ad limina"", 7; 14 dicembre 1981: "Insegnamenti", IV,2 [1981] 946). Una sifda per i responsabili dell'ordine nazionale o internazionale, che devono approntare i programmi di riequilibrio tra regioni ricche e regioni povere.


3. Bisogna tenere presente che il sacrificio degli emigranti rappresenta anche un contributo per i luoghi che li ricevono ed anche per la pacifica convivenza internazionale, giacché apre possibilità economiche a gruppi sociali depressi e scarica la pressione sociale che il blocco produce, quando raggiunge quote elevate.

Disgraziatamente, l'impiego della manodopera spesso non è dettato da propositi nobilmente umani, né ricerca il bene della comunità nazionale e internazionale; con frequenza risponde a movimenti incontrollati, secondo la legge della domanda e dell'offerta.

Le regioni e i paesi ospiti dimenticano con troppa frequenza che i lavoratori immigrati sono creature umane strappate, dalle necessità, alla loro terra natale. Non sono mossi dal semplice diritto all'emigrazione, ma dalla combinazione di alcuni fattori economici estranei all'emigrante stesso. In molti casi si tratta di persone culturalmente deboli, che devono subire gravi difficoltà prima di adattarsi al nuovo ambiente, di cui forse ignorano persino la lingua. Se li si sottomette a discriminazioni o a vessazioni, cadranno vittime di pericolose situazioni morali.

D'altra parte, le autorità politiche e gli stessi imprenditori hanno l'obbligo di non collocare gli emigranti in un livello umano e di lavoro inferiore a quello dei lavoratori del luogo. Inoltre, la popolazione deve evitare manifestazioni di ostilità, o rifiuto, rispettando le peculiarità culturali e religiose dell'emigrante. A volte questi è costretto a vivere in case indegne, a ricevere retribuzioni salariali discriminatorie e a sopportare una segregazione sociale e affettiva penosa, che lo fa sentire cittadino di seconda categoria. E così passano mesi, ed anche anni, prima che la nuova società gli mostri un volto veramente umano. Questa crisi esistenziale incide profondamente sulla religiosità degli emigranti, la cui fede cristiana forse disponeva di elementi soltanto sentimentali, così che questi, in un ambiente avverso, si sgretolano facilmente.


4. Di fronte a questi pericoli e a queste minacce, la Chiesa deve cercare di offrire la propria collaborazione affinché si trovi una risposta efficace. Le soluzioni non dipendono principalmente da essa, ma deve e può aiutare mediante il lavoro coordinato della comunità ecclesiale del luogo di approdo. Io stesso, in anni precedenti, ebbi l'opportunità di incontrarmi con molti miei connazionali emigrati in vari paesi del mondo e potei constatare quanto li aiuti e li consoli una assistenza religiosa che abbia il calore della patria lontana.

Considero perciò fondamentale che gli emigranti si vedano accompagnati da cappellani, possibilmente del loro luogo o paese, soprattutto nei posti dove esiste la barriera linguistica: il sacerdote costituisce per gli immigrati, soprattutto per quelli giunti da poco, un riferimento confortante e inoltre può prestare loro orientamenti validi nelle inevitabili tensioni iniziali. A questo proposito, voglio pure incoraggiare lo sforzo che la Chiesa fa in Spagna, per mezzo dei segretariati di pastorale specializzata, per integrare la comunità gitana ed eliminare qualsiasi traccia di discriminazione.

Alle autorità della nazione o del luogo natale, spetta offrire tutto l'appoggio possibile ai cittadini emigrati, specialmente se sono andati in paesi stranieri. Una grande percentuale degli emigrati all'estero, presto o tardi, ritornerà in patria, e mai debbono sentirsi abbandonati dalla nazione alla quale appartengono e alla quale intendono ritornare. Tra i mezzi imprescindibili alla realizzazione di questi rapporti con la patria spiccano le distribuzioni di materiale informativo, il sistema di insegnamento bilingue per i bambini, la facilitazione per l'esercizio del diritto di voto, le visite ben organizzate di gruppi culturali o artistici ed altre iniziative simili.

Ma, soprattutto, i responsabili del paese ospite devono rivolgere generosamente le loro iniziative a favore degli emigranti, con aiuti nel lavoro e con quelli economici e culturali; evitando che si convertano in semplici ruote dell'ingranaggio industriale, senza riferimento ai valori umani. Per misurare la vera statura democratica di una nazione moderna è difficile trovare un metro più esatto di quello offerto dall'osservazione del suo comportamento verso gli immigrati.


5. Naturalmente, anche all'emigrante tocca fare uno sforzo leale per la convivenza nel nuovo ambiente, nel quale gli si offre la possibilità di un lavoro stabile e giustamente retribuito. Molte volte, dal suo comportamento dipendono la soluzione di dubbi e sospetti e l'apertura al dialogo e alla simpatia.

Con una cura particolare devono coordinare la loro condotta, l'emigrante e le autorità locali, nel caso di famiglie che, giunte da un'altra regione spagnola, abbiano il proposito di stabilirsi definitivamente in quel territorio.

Le difficoltà possono apparire quando tra il luogo di origine e quello ospitale esista differenza di lingua.

L'emigrante deve accettare con lealtà la sua situazione reale, esporre la sua volontà di permanenza e cercare di inserirsi nelle consuetudini culturali del luogo o della regione che lo accoglie. Per le autorità c'è l'obbligo di non forzare il ritmo di inserimento di queste famiglie, offrire la possibilità di un ingresso graduale e sereno nel nuovo clima, mostrare la volontà pubblica di non discriminare per motivi linguistici, prestare le facilitazioni scolastiche necessarie affinché i bambini non si sentano in difficoltà o umiliati nella scuola, offrendo loro l'insegnamento bilingue, senza imposizioni; appoggiare iniziative che permettano agli emigrati di conservare la linfa culturale della propria terra natale. In questo modo, si eviteranno opposizioni penose e inutili, ed il patrimonio culturale della zona che offre ospitalità, nel dare, si arricchirà anche silenziosamente con gli elementi apportati da altri ambienti.

Una parola speciale merita il nuovo dramma posto agli emigranti dalla crisi economica mondiale, che li costringe a ritornare in patria perché licenziati prima del previsto. Le nazioni potenti debbono riservare un giusto trattamento a questi lavoratori, che con grandi sacrifici hanno contribuito allo sviluppo comune. Sono stati utili in maniera speciale, molto di più di quello che si possa pagare con un semplice salario. Essi, i più deboli, meritano un'attenzione particolare che eviti di chiudere un capitolo della loro vita con un fallimento.

Pensando a tante persone lontane dal focolare, mi viene in mente la situazione dei detenuti nei penitenziari. Molti di loro mi scrissero prima del mio viaggio in Spagna. Desidero inviare loro il mio cordiale saluto, assicurandoli della mia preghiera per loro, per le loro intenzioni e le loro necessità.


6. La liturgia della Parola - come abbiamo ascoltato - ci propone la figura di Abramo, nostro padre nella fede. Ci mostra anche Maria, che si incammina da Nazaret verso la Galilea, a "una città di Giuda" chiamata, secondo la tradizione, Ain Karin. Li, entrata "in casa di Zaccaria, saluto Elisabetta", che pronuncio le parole della nota benedizione.

Insieme agli uomini, insieme alle generazioni di questa terra dell'Estremadura e della Spagna, camminava anche Maria, la Madre di Cristo. Nei nuovi luoghi di insediamento Ella salutava, nel potere dello Spirito Santo, i nuovi popoli, che avrebbero risposto con la fede e la venerazione alla Madre di Dio.

In questo modo, la promessa messianica fatta ad Abramo si diffondeva nel Nuovo Mondo e nelle Filippine. Non è significativo che oggi ci troviamo nel Santuario mariano di Guadalupe in terra di Spagna, e che contemporaneamente il Santuario omonimo in Messico si sia convertito in luogo di pellegrinaggio per tutta l'America Latina? Anche io ho avuto la gioia di andare come pellegrino al Guadalupe messicano all'inizio del mio servizio nella Sede di Pietro.

Ed ecco che, come in altre lingue, ma soprattutto in spagnolo - giacché in questa lingua si esprime la grande famiglia dei popoli ispanici - risuonano costantemente le parole con le quali un giorno Elisabetta saluto Maria: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,42-45).

Benedetta tu! Questo saluto unisce milioni di cuori; di queste terre, di Spagna, di altri continenti, accomunati attorno a Maria, a Guadalupe, in tante parti del mondo.

Così, Maria non è solo la Madre sollecita degli uomini, dei popoli, degli emigranti. E' anche il modello nella fede e nelle virtù che dobbiamo imitare durante il nostro pellegrinaggio terreno. Così sia, con la mia benedizione apostolica per tutti.




1982-11-04 Data estesa: Giovedi 4 Novembre 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Il saluto agli universitari - Madrid (Spagna)