GPII 1982 Insegnamenti - L'omelia alla Messa conclusiva della missione al popolo di Roma - Roma

L'omelia alla Messa conclusiva della missione al popolo di Roma - Roma

Titolo: Dalla preparazione missionaria una nuova vitalità dell'attesa

Testo:


1. La Chiesa legge oggi, nella sua liturgia, il profeta Geremia.

E' la prima domenica d'Avvento. Le parole del profeta preannunziano la Venuta.

"Ecco, verranno giorni nei quali io realizzero le promesse... / In quei giorni e in quel tempo faro germogliare per Davide / un germoglio di giustizia...

/ In quei giorni Giuda sarà salvato..." (33,14-16).

L'Avvento apre, ogni anno, come un nuovo capitolo in quel libro della salvezza, che Dio scrive nella Chiesa. Scrive attraverso la storia dell'uomo.

In questo libro voi, qui riuniti, avete scritto le vostre "missioni popolari", che si sono svolte in 34 parrocchie di Roma.

Oggi, insieme con tutta la Chiesa, voi iniziate l'Avvento: il tempo della fiduciosa attesa della venuta del Signore.


2. Dopo la preparazione "missionaria", questa attesa trova in ognuno di voi una nuova vitalità.

Tutto ciò che è successo nel corso dei giorni e delle settimane passate, in un buon numero delle parrocchie di Roma, sembra essere espresso in modo particolarmente preciso dal Salmo della odierna liturgia, quando grida: "A te, Signore, elevo l'anima mia" (Ps 24 [25],1).

Che cosa altro sono state queste "missioni popolari", se non una elevazione dell'anima al Signore? Questa era l'opera della sua grazia, alla quale avete cercato di rispondere seguendo le indicazioni dei missionari e ascoltando i loro consigli ed istruzioni. E soprattutto dedicando il tempo alla preghiera.


3. L'elevazione dell'anima si compie attraverso la conoscenza del Signore e delle sue vie. Anche di ciò parla il Salmista della liturgia odierna: "Fammi conoscere, Signore, le tue vie, / insegnami i tuoi sentieri. / Guidami nella tua verità e istruiscimi, / perché sei tu il Dio della mia salvezza, / in te ho sempre sperato" (vv. 4-5).

Si tratta, come si vede, non di una conoscenza astratta, ma della conoscenza che ha influsso sulla vita. Il Salmista prega Dio che gli faccia "conoscere le sue vie" e che gli insegni a camminare per queste vie. Questo camminare deve essere "nella verità" secondo gli insegnamenti di Dio.

E ciò implora il Salmista. E ciò implora la vostra comunità "missionaria".

"Insegnami i tuoi sentieri", vuol dire insegnami a vivere conforme alla volontà di Dio. Questo è il principale obiettivo delle missioni e ciò deve essere pure il loro principale frutto.


4. In questo sforzo interno, che ognuno dei partecipanti alle missioni ha intrapreso, è dato a voi di scoprire nuovamente e di convincersi che "il Signore è buono". Come ciò che è il cuore nell'organismo, così è la scoperta della bontà di Dio nel nostro lavoro interiore e in tutta la nostra vita cristiana. Ascoltiamo di nuovo il Salmista: "Buono e retto è il Signore, / la via giusta addita ai peccatori; / guida gli umili secondo giustizia, / insegna ai poveri le sue vie" (vv. 8-9).

Che Dio è buono si manifesta mediante il fatto che egli aiuta noi, uomini, a "far bene", indicandoci le vie della vita buona e degna.

Proprio la sua grazia fa si che noi uomini, con tutta la nostra debolezza, possiamo tuttavia comportarci bene e, a volte, anche raggiungere le soglie della santità.

Il Salmista richiama qui una particolare attenzione all'umiltà: bisogna essere umili per accogliere gli insegnamenti e i comandamenti divini, bisogna essere umili perché la grazia divina possa operare in noi, trasformare la nostra vita e portare i frutti del bene.

Ecco che cosa proclama, in seguito, il nostro odierno Salmo di Avvento: "Tutti i sentieri del Signore sono verità e grazia / per chi osserva il suo patto e i suoi precetti... / Il Signore si rivela a chi lo teme, / gli fa conoscere la sua alleanza" (vv. 10-14).

Attraverso l'esperienza "missionaria" vi è stato dato, cari fratelli e sorelle, di diventare i confidenti dei piani divini, di quelli che il Padre Eterno ha rivelato all'uomo fin dall'inizio, e che in tutta la sua pienezza ha rivelato in Gesù Cristo.

Uscite da queste "missioni" convinti che, grazie all'amore compiacente di Dio, l'uomo si trova nell'alleanza con lui. Queste alleanze: la nuova e l'antica sono state rivelate nella Venuta di Gesù Cristo e definitivamente riconfermate con la sua Croce e Risurrezione.

In questo modo, ognuno di noi è un "uomo nuovo", e tutti costituiamo il Popolo di Dio della nuova alleanza.


5. Questo Popolo di Dio in numerose parrocchie della Chiesa in Roma ha rinnovato la sua consapevolezza cristiana mediante le "missioni popolari".

Veramente "benedetta è questa opera"! Desidero oggi, nella prima domenica d'Avvento, esprimere la mia gioia perché si è compiuta questa opera e ringraziare tutti coloro che ad essa hanno contribuito.


6. Tale evento era stato precedentemente preparato in modo accurato e capillare; il suo inizio ufficiale è avvenuto il giorno 13 scorso, col servizio dei Padri Missionari; ma le religiose erano già presenti, con un loro servizio meno appariscente ma non meno efficace, già dal precedente 30 ottobre.

Questo numero imponente di fratelli e sorelle degli Ordini Francescani d'Italia - 600 Padri e 500 Suore - ha prestato tra noi la sua opera per due settimane in modo assolutamente gratuito, dando una testimonianza d'amore e di disponibilità totalmente disinteressata, che non può non commuovere.

Abbiamo avuto tra noi, nel nostro "quotidiano", queste anime consacrate, questi uomini e queste donne del Signore, che in una molteplicità di incontri, personali e comunitari, dai più umili e semplici, ai più delicati e impegnativi, e che maggiormente hanno scosso la nostra coscienza, sono stati per noi un segno e una prova dei beni celesti ed eterni.

Il mio più vivo ringraziamento va quindi a tutti coloro che hanno preso parte attiva a questa missione benedetta, a coloro che l'hanno ideata e promossa, e che si sono sacrificati per la sua buona riuscita; un ringraziamento particolare al Cardinale Vicario e ai Vescovi Ausiliari, che l'hanno appoggiata.


7. Ora, dunque, che è stata compiuta tutta l'opera pastorale, l'opera del rinnovarnento spirituale, permettete ancora, che vi faccia gli stessi auguri che nell'odierna liturgia di Avvento fa san Paolo ai Tessalonicesi: "Il Signore vi faccia crescere (perché possano intraprendere simili "missioni" pure le altre parrocchie e i cittadini di Roma), - e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti, come è il nostro amore verso di voi, - per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi" (1Th 3,12-13).

Insieme con san Paolo auguro a voi un saldo frutto delle "missioni". E a questi auguri - anche qui, insieme con l'Apostolo - aggiungo una domanda: "Vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate; cercate di agire sempre così per distinguervi ancora di piu" (4,1).


8. Questi sono gli auguri "d'Avvento", e le domande "d'Avvento". Le pongo innanzi a voi nella prospettiva delle feste di Natale.

E nella prospettiva di queste Feste, che rallegrano già fin da oggi i nostri cuori, ripetiamo con l'evangelista Luca: "Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza... di comparire davanti al Figlio dell'uomo" (21,36).




1982-11-28 Data estesa: Domenica 28 Novembre 1982




Ai partecipanti ad un convegno sulla moralità pubblica - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Formare coscienze autenticamente cristiane per restituire all'uomo sensibilità morale

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle.


1. Questa Udienza, da voi desiderata, mi offre l'opportunità di parteciparvi alcune riflessioni sul tema tanto importante ed attuale della pubblica moralità, che i cattolici, a titolo peculiare, hanno il dovere di custodire e di promuovere.

L'intendimento, quindi, di coordinare l'attività di Gruppi ed Associazioni di ispirazione cristiana, per rendere sempre più avvertita e consapevole la compagine sociale ed i suoi Dirigenti del grave pericolo che reca con sé la degradazione del pubblico costume, non può che essere lodato ed incoraggiato; certamente esso sarà perseguito con illuminata saggezza, con continuo studio degli oggettivi fattori determinanti, col proposito di oltrepassare la mera denuncia, per costruire un ambiente ricco di verità, di rispetto e di amore nei confronti della spirituale grandezza e nobiltà dell'uomo.


2. Non c'è bisogno che mi soffermi con voi sugli aspetti preoccupanti della situazione della pubblica moralità non solo in Italia bensi in tanti Paesi. Tale situazione può sintetizzarsi in due indirizzi di fondo: l'aggressione continua e sistematica dei principi morali da una parte; e la tattica, dall'altra, spesso strumento di intenti speculativi, di moltiplicare spunti e modelli di corruzione specie tra giovani ed adolescenti.

Le cause di fondo, per cui si è pervenuti a questo stadio di organizzato ed accolto permissivismo, vanno anzitutto ricercate in una crisi del pensiero, in una crisi cioè di ordine metafisico: respinta o obnubilata l'idea di Dio, si è falsata la visione dell'intera realtà e particolarmente dell'uomo. La cultura moderna, percorsa - tutti lo sappiamo - da correnti di pensiero agnostico ed ateo, è approdata ad un "pluralismo ideologico" e quindi ad un "pluralismo etico", che spesso è pretto relativismo, e che può raggiungere le sponde dell'anarchia morale.

Confuso ed alterato il concetto dell'uomo, si confonde e si altera quello della sua vita, del suo agire, della sua moralità.

Se vogliamo essere autentici fautori della personalità e della dignità umana, dobbiamo riconoscere nell'uomo un "essere" che reclama un "dover essere" in forza d'una legge che lo sovrasta: la legge naturale attestata dal senso interiore della coscienza. Questa legge non è alcunché di avventizio, ma è intrinseca alla nostra natura, e ne determina gli imprescindibili ritmi di sviluppo e di perfezionamento; una legge non scritta, ma vissuta: "Non scripta, sed nata lex"; quella legge che san Paolo riconosce anche nei pagani, non illuminati dalla luce della rivelazione divina, allorché afferma che essi sono legge a se stessi, "ipsi sibi sunt lex" (cfr. Rm 2,14).

Certo, il chiaro ed intuitivo riconoscimento della legge morale-naturale, di limiti invalicabili imposti dal rispetto della realtà "uomo", può essere alterato e sconvolto negli animi. La negazione od anche solo la mancata affermazione di Dio, creatore, ordinatore e giudice dell'uomo, reca come conseguenza il soggettivismo morale, la confusione circa il concetto di "bene" e di "male"; si perdono automaticamente i paradigmi sicuri della moralità.

La stessa nozione di Dio, nella sua genericità, non è ancora sufficiente per determinare in modo assoluto i contenuti della moralità. Al momento delle scelte concrete, le varie concezioni circa la divinità portano logicamente a vari tipi di moralità.

Edotti dalla fede che professiamo, dobbiamo dire che solo Gesù Cristo, il Rivelatore del Padre, è il paradigma sicuro, perché divino, della moralità; egli è la vera luce della coscienza umana: "Io sono la luce del mondo; / chi segue me non camminerà nelle tenebre" (Jn 8,12). Ad osservare la situazione della moralità pubblica, si direbbe che gli uomini "hanno amato più le tenebre della luce" (Jn 3,19), che una fitta nebbia avvolga l'umana società, nelle sue varie ed articolate componenti. Vien fatto di pensare alla parabola del buon grano e della zizzania: nel campo della storia il nemico dell'uomo continua a seminare largamente il male.


3. Quale dev'essere, dunque, l'atteggiamento del cattolico nella presente grave situazione? Essa lo richiama, in primo luogo, alla sua specifica responsabilità di essere luce del mondo, sale della terra, lievito della massa: " Vedano le vostre opere buone - ha detto Gesù - e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli" (Mt 5,16).

Incombe innanzitutto un dovere strettamente personale che consiste nel maturare una fede illuminata, chiara e salda, così che si formino coscienze autenticamente cristiane. Ciò è possibile mediante una cultura religiosa, completa, riflessa, intimamente assimilata, che sia il supporto di un profondo convincimento. Da esso fluiranno una delicata sensibilità morale, il senso della disciplina e della mortificazione, l'esigenza di rettitudine etica in ogni campo dell'agire, ed infine una profonda vita interiore alimentata dai Sacramenti e dalla preghiera, perché la nostra è una morale soprannaturale nell'origine e nei fini.


4. Esiste poi per il cattolico una responsabilità di ordine pubblico e sociale. Si sa bene, infatti, che la caduta della moralità reca con sé la caduta della società, perché di questa scalza gli stessi presupposti, ed anche quel minimo di ordine giuridico che non può prescindere dall'etica. E' quindi dovere dei pensosi e degli onesti, arrestare tale crollo dei pilastri fondamentali di una ordinata convivenza civile.

A questo proposito, sia i cattolici, sia tutti gli uomini di buona volontà, devono dimostrare un illuminato coraggio, richiedendo dai responsabili della Cosa Pubblica una maggiore sensibilità, una più energica difesa ed una più esigente valutazione di quel bene comune irrinunciabile che è l'onestà del pubblico costume. La decadenza del costume è decadenza della civiltà, perché esiste una connessione causale tra il cedimento, spesso voluto, alla licenziosità pubblica e la diffusione di fenomeni abnormi, quali la violenza, la delinquenza, la sfiducia nella legalità ed il mancato controllo degli impulsi più irrazionali.

Più di qualunque forma di regime, la democrazia esige avvertito senso di responsabilità, autodisciplina, rettitudine e misura in ogni espressione e rapporto sociale.

A voi che fate parte di Gruppi cattolici che si propongono di coordinare con saggezza i loro sforzi, in vista di tutelare quel bene comune che è l'illibatezza della pubblica moralità, rivolgo - a conclusione di queste riflessioni - l'esortazione di san Paolo ai Galati, esortazione valida per i cristiani di tutti i tempi: "Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito" (5,25), che reca i seguenti frutti: "Amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, temperanza: in tutto ciò la legge non ha nulla a che fare" (vv. 22-23).

Sui vostri compiti e buoni propositi scenda la grazia del Signore, propiziata anche dalla mia benedizione apostolica.




1982-11-29 Data estesa: Lunedi 29 Novembre 1982




Messa per sacerdoti pugliesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nella cappella privata

Testo:

Venerati e cari fratelli nell'Episcopato e nel presbiterato!


1. Prima di iniziare questa concelebrazione, sono lieto di esprimervi la mia gioia per la nostra riunione attorno alla Mensa eucaristica. Saluto in voi i qualificati rappresentanti sia della Conferenza Episcopale Pugliese, sia della Commissione Presbiterale, convenuti a Roma nel quadro del Convegno regionale della Puglia sulla spiritualità del clero diocesano. La circostanza mi dà modo di ricordare le due caratteristiche fondamentali di questa spiritualità, le quali corrispondono esattamente ai due momenti coessenziali della santa Messa: la liturgia della Parola e la liturgia dell'Eucaristia. Un presbitero ha come suo primo dovere di studiare e proclamare con competenza e con amore la Parola di Dio, misurando la Parola stessa con la situazione concreta dell'uomo o della comunità, affidati alle sue cure pastorali. Inoltre, la liturgia del Pane e del Vino, mentre rinnova il sacrificio redentore di Cristo, gli offre la sublime possibilità di invitare i fedeli ad una personale comunione con il Signore e ad una reale fraternità vicendevole. Si tratta di capisaldi, al tempo stesso elementari e decisivi, che configurano la identicità propria del presbitero diocesano.

Oggi, poi, celebriamo la festa di sant'Andrea apostolo. E subito veniamo confrontati con un insigne modello di tale spiritualità. L'ascolto, l'annuncio, la testimonianza, l'offerta della Redenzione, la creazione di comunità vive nella fede e nelle opere: ecco gli elementi caratterizzanti di un vero apostolo, sui quali dobbiamo riconfermarci in vista dei nostri impegni quotidiani. Che il Signore, anche mediante questa celebrazione, ci infonda la grazia necessaria.




1982-11-30 Data estesa: Martedi 30 Novembre 1982




Ai Vescovi della Scozia in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La nostra volontà di unione sia segno di speranza per il mondo diviso

Testo:

Cari fratelli in Cristo.


1. Non c'è occasione più appropriata per radunarci a celebrare la nostra unità che la festa di sant'Andrea, apostolo di Gesù Cristo, fratello di Simon Pietro e patrono di Scozia. E mentre celebriamo l'unità che noi viviamo in Cristo e nella Chiesa, vengono alla mente tanti ricordi di incontri e avvenimenti che ebbero luogo durante la mia visita pastorale nel vostro paese; nello stesso tempo guardiamo a sant'Andrea stesso per ricevere da lui una fresca ispirazione per il nostro ministero episcopale.

Al centro della vostra visita "ad limina" di oggi vi è Gesù Cristo, che Giovanni il Battista indica quale Agnello di Dio (cfr. Jn 1,29 Jn 1,36), e al quale Andrea rende testimonianza con quel meraviglioso annuncio fatto a suo fratello: "Abbiamo trovato il Messia" (Jn 1,41). L'incontro che ebbe luogo tra Andrea e Pietro prefigura e riassume gli stadi vitali del nostro ministero: Andrea trova Gesù, conduce Pietro da Gesù e poi Gesù conduce Pietro - e con lui tutti noi - al Padre. Andrea proclama così al mondo Colui che era stato aspettato per secoli: "Abbiamo trovato il Messia".


2. Il nostro ministero episcopale consiste anche nella proclamazione di Gesù Cristo il Messia nella pienezza della sua identità di Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo e di Figlio dell'Eterno Padre. Siamo chiamati a proclamarlo a tanti che ancora aspettano la sua venuta nel loro cuore e nella loro vita. Come Andrea, noi abbiamo, per grazia di Dio, scoperto il Messia e il significato del suo messaggio, un messaggio di speranza da trasmettere al nostro popolo.


3. E' mia speranza che la mia visita pastorale dimostri davvero di aver posto un nuovo inizio nella vita ecclesiale di Scozia - un nuovo inizio soprattutto nel senso dell'evangelizzazione e dell'ecumenismo. Il Signore stesso ci invita costantemente ad una novità di vita nell'attesa di quel momento finale in cui egli proclamerà definitivamente: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,5).

Dopo essere stata condotta a Cristo ed averlo trovato, la Chiesa in Scozia è chiamata a condurre altri a Cristo. Questo compito appartiene in modo particolare ai Vescovi: proclamare Gesù Cristo, condurre ogni categoria di persone a Gesù Cristo: giovani e anziani, malati e handicappati, famiglie, studenti, religiose e religiosi e gli stessi sacerdoti che collaborano con loro nel ministero evangelico. Ad ogni gruppo il Vescovo deve offrire Gesù Cristo in tutta la rilevanza del suo Vangelo, che è "la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Rm 1,16).


4. Nel renderci conto anche del fatto che il messaggio di Cristo è un "messaggio di riconciliazione" (2Co 5,20), e che ci è stato affidato "un ministero di riconciliazione" (v. 18), siamo spinti a chiedere a Dio di mantenere per la Scozia questo suo nuovo inizio nelle relazioni ecumeniche. Gesù è venuto ed ha spezzato, mediante il suo sangue, le barriere dell'inimicizia (cfr. Ep 2,14). così, anche il nostro ministero di riconciliazione deve continuare a indirizzarsi a tutti i fratelli cristiani. Per parte mia, ricordo ancora una volta il mio incontro con i vari rappresentanti delle Chiese nel vostro paese, e in particolare col Moderatore dell'Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, al quale rivolgo ancora una volta i miei saluti esprimenti il mio rispetto ed affetto in Cristo Gesù. Come ho sottolineato ad Edimburgo, nonostante la necessità di risolvere ancora importanti problemi dottrinali, il nostro mutuo amore e il nostro desiderio comune dell'unità può davvero essere un segno di speranza per un mondo diviso.

Come ho affermato in quella stessa occasione, il nostro è un desiderio sincero "di seguire le vie per le quali Dio ci conduce a quella piena unità che solo lui può dare". Credo che gli elevati sentimenti cristiani espressi dal Moderatore dell'Assemblea Generale testimoniano lo stesso desiderio sincero di promuovere lo spirito di riconciliazione e di proseguire il dialogo, come egli stesso ha dichiarato, "non solo sugli argomenti su cui siamo in disaccordo, ma anche sui temi su cui ci troviamo in armonia".

Chiediamo a Dio di farci capire sempre più che l'unità cristiana è suo dono. Deve essere cercato nella preghiera, con la stessa serietà con cui Cristo l'ha chiesto al Padre suo celeste. Nello stesso tempo, Dio è il solo dispensatore dei suoi doni, non pero secondo gli schemi umani. perciò il dono dell'unità perfetta dev'essere implorato nell'amore e nella penitenza, ma lo si deve aspettare con pazienza. La necessità della pazienza non implica che noi non dobbiamo lavorare e pregare insieme; né implica che la Parola di Dio non è esigente nella richiesta di un impegno concreto. Piuttosto, sappiamo che nessuno sforzo umano è commensurato a quegli effetti che possono essere realizzati dall'azione sovrana dello Spirito Santo.


5. In questa festa di sant'Andrea, mentre ripenso al calore e all'amore cristiano col quale sono stato accolto in tutta la Scozia, desidero rinnovare l'appello che ho rivolto a tutti i cristiani della vostra terra, chiedendo ancora di poter percorrere insieme il nostro pellegrinaggio terreno, mano nella mano, compiendo sforzi unitari e armonici per applicare il messaggio evangelico alle nostre vite, camminando nella carità cristiana, pregando e lavorando per quella unità nella fede che ci darà la possibilità di celebrare insieme la Cena Eucaristica del Signore.


6. Cari fratelli Vescovi, mentre mi accingo, mediante voi, ad esprimere i miei pensieri all'amato popolo di Scozia, desidero anche proclamare che il nostro comune desiderio dell'unità cristiana corrisponde alla volontà di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Non è né irrealistico né impossibile perché lo Spirito Santo abita nei cuori dei fedeli e la potenza divina "opera in noi e può fare molto più di quanto noi possiamo chiedere e pensare" (Ep 3,20).


7. Il messaggio, perciò, che proclamo oggi è un messaggio di fresca speranza nell'infinita potenza del Mistero Pasquale di Cristo, nel quale egli infonde il suo Santo Spirito nei nostri cuori. Ai giovani di Scozia, che mi hanno colmato di gioia col loro entusiasmo per il Vangelo e a tutti i fedeli di ogni generazione io offro il grande tesoro della Chiesa: Gesù Cristo e la sua parola, Gesù Cristo e le sue promesse, Gesù Cristo e la comunione col Padre suo nell'unità dello Spirito Santo.

Questa è la grazia e il traguardo al quale è chiamata la Scozia, è chiamata nuovamente: "affinché per la potenza dello Spirito Santo voi possiate abbondare nella speranza" (Rm 15,13).




1982-11-30 Data estesa: Martedi 30 Novembre 1982





Consegnato al santo Padre il ricavato delle annuali "trennes pontificales", promosse dall'associazione dei giornalisti cattolici del Belgio - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Voi aiutate il Papa ad esercitare l'obbligo imperativo della carità"

Testo:

Signor Presidente, Signore e Signori.

Le parole piene di delicatezza e di senso ecclesiale che mi avete appena indirizzato mi sono andate diritte al cuore. Vi ringrazio.

La vostra visita, quest'anno un po' ritardata ma sempre molto apprezzata, merita ancora di più il suo grazioso appellativo di "Strenne pontificie". Esprimo la mia viva riconoscenza e quella della Chiesa, a voi che siete gli animatori di questa nobile e generosa tradizione, ma ugualmente a tutte le persone e a tutte le collettività che hanno risposto al vostro appello per aiutare il Papa a far fronte alle inevitabili preoccupazioni materiali che comporta la sua sollecitudine per la Chiesa universale. La mia gratitudine è tanto più profonda in quanto le difficoltà economiche imperversano un po' dappertutto, anche nei paesi a sviluppo avanzato. Senza fare rumore, ma con molta tenacia, voi avete saputo vincere gli ostacoli e realizzare una volta di più - come Associazione di Giornalisti cattolici del Belgio - un bellissimo gesto di solidarietà ecclesiale. Permettetemi di ammirare, insieme al vostro, anche altri gesti simili effettuati dal Popolo di Dio di tutte le condizioni, spesso molto modeste, quando l'opinione pubblica ha cominciato a fare eco alle reali difficoltà di bilancio della Sede Apostolica. E' vero che le capacità di reciproco aiuto del popolo cristiano sono più grandi di quanto comunemente si creda. Ma le singole persone come le comunità cristiane hanno bisogno di essere ben informate sia sui bisogni che sull'uso delle offerte. E' un rilievo molto saggio che i Cardinali riuniti nei giorni scorsi nell'Assemblea plenaria hanno spesso fatto. E voi che siete, a titolo speciale, interessati alla stampa, avete potuto leggere che la Santa Sede, i cui servizi non hanno altro scopo che quello di aiutare il Papa a promuovere l'evangelizzazione del mondo e la comunione tra le Chiese, si orientava verso la pubblicazione del suo bilancio, come una messa in valore di ciò che si chiama l'Obolo di san Pietro al fine di permettere alla Chiesa di vivere prima di tutto della carità solidale del popolo cristiano.

Da parte vostra, ciò che voi avete fatto e ciò che i vostri predecessori hanno fatto è veramente degno di elogio e di riconoscenza, e vi incoraggio a continuare. Voi aiutate realmente i servizi del Papa a compiere ciò per cui sono stati creati nel passato o più recentemente. E aiutate anche il Papa ad esercitare i suoi obblighi imperativi di carità, tutti i giorni e soprattutto quando povertà collettive gridano a lui.

Al termine di questo incontro, ho ugualmente a cuore di rinnovarvi i miei incoraggiamenti ad impegnarvi al meglio nella vostra "vocazione" di giornalisti cattolici o di ispirazione cristiana. Nel rispetto dei vostri lettori, potete aiutarli molto ad avvicinarsi alla verità sugli avvenimenti e le persone, come su una quantità di soggetti che riguardano il progresso umano, sociale e spirituale delle popolazioni. E, nella linea delle mie principali intenzioni, aggiungo che vi è sempre possibile contribuire al risveglio e all'educazione del loro spirito di solidarietà. Come dimenticare i magnifici slanci di generosità suscitati dalla stampa e dai media in favore del Libano, della mia patria, di numerosi paesi africani? Per questo io invoco di tutto cuore sull'Associazione dei Giornalisti cattolici del Belgio la luce e la forza di Dio, e formulo questa supplica in favore di tutti coloro che hanno partecipato alle "Strenne pontificie" del 1982.




1982-12-01 Data estesa: Mercoledi 1 Dicembre 1982




Ai partecipanti al seminario di missiologia indetto dall'università Gregoriana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cristo, redentore dell'uomo, è chiave della teologia missionaria

Testo:

Carissimi fratelli.


1. E' con gioia particolare che vi porgo il mio benvenuto, cari Professori, Alunni e Partecipanti al Convegno di Studi Missiologici, indetto per celebrare il 50° anniversario della Facoltà dell'Università Gregoriana, opportunamente voluta a suo tempo dal mio grande predecessore, il Papa Pio XI. Vi saluto cordialmente e desidero ringraziare insieme con voi il Signore per tutto il benemerito lavoro che la Facoltà ha svolto in questi anni al servizio del Vangelo. Essa ha formato una cospicua schiera di missiologi e missionari, specialisti e animatori della missione. I principi metodologici del programma della Facoltà hanno così comprovato la loro fecondità, dando spazio ad una sana proporzione di studi teologici, antropologici e fenomenologici, insieme a discipline pastorali. E la mia esortazione a tutti voi è di continuare con gioiosa dedizione su questo cammino, per il quale esprimo il mio sincero apprezzamento e il mio incoraggiamento.

In questi giorni avete voluto riflettere, con l'aiuto di illustri specialisti, venuti da vari Paesi, sul ruolo degli studi missiologici nella Chiesa odierna. Il clima ecumenico che ha caratterizzato i vostri lavori è un segno di quella auspicata collaborazione con tutti i fratelli cristiani "per rendere - come ha scritto il mio predecessore Paolo VI di venerata memoria - sin d'ora, nella stessa opera di evangelizzazione, una più larga testimonianza comune a Cristo di fronte al mondo" (EN 77).


2. La formazione specificamente missiologica è chiamata a tener conto del fatto che l'intera Comunità ecclesiale è missionaria. Quindi essa deve inserirsi nel contesto vivo della formazione dei cristiani e in particolare dei presbiteri in questa prospettiva. L'impegno missionario, infatti, rappresenta la massima esplicitazione dell'identità battesimale, della fede viva e perciò della vera maturità di ogni cristiano. Oggi, poi, la Chiesa si trova in una nuova situazione missionaria. Non soltanto l'incontro con le religioni non cristiane e con le culture da esse influenzate, ma anche il diffondersi di culture di ispirazione atea aprono nuovi e immensi campi alla missione della Chiesa. Fra i numerosi compiti degli specialisti della missiologia, vorrei menzionarne alcuni, riguardo ai quali la Chiesa attende da voi una speciale attenzione nella ricerca e nella formazione accademica.

La teologia della missione dovrebbe studiare in modo speciale la Cristologia. Cristo, il Redentore dell'uomo, è la chiave della teologia missionaria, così come è lui che, mediante il suo Spirito, anima e illumina il servizio missionario. Nello studio delle culture e delle religioni non cristiane, e nel costante dialogo con esse, tenete sempre presente la sua persona e la sua funzione. Sarà lui ad illuminare, come dal di dentro, le realtà dell'uomo, perché Gesù Cristo, "proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo" (GS 22).

Per quanto riguarda l'inculturazione, auspico che i vostri studi tendano a formare veri operatori di comunione. Non ci si deve fermare a una superficiale affermazione di particolarità nazionali o etniche, ma i valori umani e culturali devono essere fin dove è possibile assunti e poi internamente trasformati dalla fede, così da inserire le genti nella unità del Popolo di Dio. Il compito missionario non è facile. Esso dovrà evitare gli estremi di un dialogo rinunciatario e di una missione miope e impositiva. A questo proposito, restano sempre sagge e illuminanti le parole dell'ultimo Concilio: "Come Cristo..., così i suoi discepoli, animati intimamente dallo Spirito di Cristo, debbono conoscere gli uomini, in mezzo ai quali vivono, ed improntare le relazioni con essi ad un dialogo sincero e comprensivo, dimostrando tutte le ricchezze che Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli, ed insieme tentando di illuminare queste ricchezze alla luce del Vangelo e di liberarle e di riferirle al dominio di Dio Salvatore" (AGD 11). In tale maniera continuerete le grandi tradizioni della vostra Università, che conta fra i suoi ex-alunni degli uomini che si sono distinti in questa missione, come Matteo Ricci, di cui ho avuto occasione di parlare durante la mia recente visita a codesta Università.


3. Che il patrono delle missioni, san Francesco Saverio, di cui oggi ricorre la vigilia della festa, vi aiuti con la sua intercessione, sostenendovi nel vostro generoso sforzo affinché il vostro impegno di studiosi e tutta la vostra vita si aprano sempre di più alla chiamata di Cristo Evangelizzatore. L'annuncio della Chiesa è il lieto messaggio della misericordia divina. L'Anno Santo per il 1950° anniversario della Redenzione, che ho annunciato, vi offrirà occasioni propizie per approfondire questo elemento centrale della missione cristiana.

Continuate con rinnovata dedizione il vostro compito per il bene di tutta la Chiesa. Il Signore stesso sia la vostra luce e la vostra forza. E come pegno della sua grazia imparto di cuore a tutti voi la mia benedizione apostolica.




1982-12-02 Data estesa: Giovedi 2 Dicembre 1982





GPII 1982 Insegnamenti - L'omelia alla Messa conclusiva della missione al popolo di Roma - Roma