GPII 1983 Insegnamenti - Lettera al Vescovo di Novara - Città del Vaticano (Roma)

Lettera al Vescovo di Novara - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per il restauro della statua del Salvatore

Venerato fratello Monsignor Aldo Del Monte, Vescovo di Novara.

Codesta Comunità diocesana è unita, in questi giorni, in serena letizia perché, dopo il restauro, l'artistica statua del Salvatore viene ricollocata sulla svettante cupola della Basilica che, lungo i secoli, è stata luogo di ininterrotta devozione a san Gaudenzio, primo Vescovo e patrono di Novara.

Tale avvenimento, che onora la sensibilità culturale e religiosa dell'amministrazione civica, assume un particolare significato, perché l'immagine del Salvatore è il grande segno di incontro delle molteplici e ricche tradizioni di codesta terra, ove l'elemento civico e quello religioso si sono fusi, durante i secoli, nel culto del Salvatore.

Anche i più grandi Santuari di codesta Chiesa particolare sono viva documentazione della devozione all'opera del Redentore, cioè al mistero di Cristo morto e risorto. Come non ricordare il Santuario della SS. Pietà di Cannobio e quello di Boca, dedicato al culto del Cristo Crocifisso, e, infine, quello di Varallo, che con le sue molteplici e ammirevoli Cappelle risulta una meditazione esteticamente e spiritualmente efficace del mistero della Redenzione? Ben volentieri mi unisco, pertanto, a lei e ai carissimi fratelli e sorelle di Novara, raccolti intorno alla splendente immagine del Cristo Risorto, che i vostri Padri hanno voluto collocare, alta e luminosa, sulla prestigiosa cupola Antonelliana.

In questa gioiosa circostanza desidero ripetere ai carissimi Figli di san Gaudenzio: "Aprite le porte al Redentore!". E' questo l'appello, che nel proclamare l'Anno Giubilare della Redenzione, ho rivolto a tutta la Chiesa, rinnovando l'invito espresso nella mia prima enciclica: "Il compito fondamentale della Chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra, è di dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare gli uomini ad avere familiarità con la profondità della Redenzione, che avviene in Cristo Gesù" (RH 10).

Se si apre con sincerità il cuore al Cristo Risorto, si comprende come non si possa rimanere insensibili a nulla di ciò che serve al vero bene dell'uomo; come non si possa rimanere indifferenti a nulla di ciò che lo minaccia. L'uomo che nasce, l'uomo che soffre, l'uomo che muore, l'uomo che non trova lavoro e giustizia, l'uomo impedito nell'esercizio dei suoi fondamentali diritti, ha un rapporto indissolubile con Cristo. E' Cristo il Salvatore e vuole salvarci! Proprio per questo egli ha istituito la Chiesa e ha voluto che fosse strumento e sacramento di salvezza.

Codesta Comunità diocesana è immersa in questa forza di redenzione e deve perciò aprire il cuore al Salvatore per essere pronta a comunicare ad ogni uomo la liberazione, che sgorga dalla presenza di Cristo Salvatore.

Dinanzi alla tristezza dei giovani senza fede o senza lavoro; dinanzi alla sofferenza e alla solitudine degli ammalati, degli anziani, degli emarginati, dei poveri, occorre proclamare alta la Parola di Cristo, Via, Verità e Vita; occorre partecipare alla grazia dei Sacramenti, fonte di salvezza; occorre testimoniare, con le opere, la carità, il servizio, la solidarietà, la condivisione: la parola di Dio, i Sacramenti e la Carità sono canali della grazia della Redenzione. Auguro che tutti i fedeli della diocesi di Novara aprano a Cristo le porte del loro cuore. Troveranno in tal modo anche la forza per diventare sempre più sensibili ai valori umani e per testimoniare che il Cristo è vivo e operante in mezzo a loro; non basta infatti porre sulla guglia più alta della città la statua del Salvatore, ma occorre aprirgli generosamente le proprie case e, ancor più, le proprie intelligenze e volontà e dirgli con fede: "Signore, resta con noi!" (cfr. Lc 24,29).

Nell'imminenza del Congresso Eucaristico nazionale, al quale, con tutta la Chiesa di Dio che è in Italia, codesta comunità diocesana si sta preparando con particolare fervore, e all'inizio dell'Anno Giubilare della Redenzione, affido questi miei voti alla Vergine Santissima, la quale, all'annuncio delle meraviglie che Dio operava in lei, mediante il suo "fiat" si rese pienamente disponibile alla grazia, mentre invoco dal Redentore larga effusione dei doni della letizia e della pace cristiana, in pegno dei quali imparto di cuore a lei e a tutti i fratelli e le sorelle della diocesi di Novara l'implorata propiziatrice benedizione apostolica.

Dal Vaticano, il 25 marzo, solennità dell'Annunciazione del Signore, dell'anno 1983.

Data: 1983-03-25 Data estesa: Venerdi 25 Marzo 1983

Omelia della Domenica delle Palme - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nel mistero pasquale si compie il senso messianico del Popolo di Dio




1. "Benedetto colui che viene nel nome del Signore: è il re d'Israele" (Antifona d'ingresso).

Sul versante del monte degli Ulivi risuonano voci simili a quelle che, una volta, furono ascoltate nei campi vicini a Betlemme: "Pace in terra e gloria nel più alto dei cieli!" (Lc 19,38). Le stesse voci echeggiano nell'odierna liturgia. E' la Domenica delle Palme. Seguiamo nello spirito la folla che salutava Gesù, mentre egli entrava a Gerusalemme. Essa avvertiva in lui il Messia: Colui che doveva venire dalla stirpe regale di Davide per salvare Israele.

Il sentimento del Popolo dell'antica alleanza è veramente adatto in questo giorno. E perciò noi lo seguiamo nella liturgia. E anche noi proclamiamo: "Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!".


2. Sulla prima parte della liturgia, che è processionale, se ne sovrappone una seconda. Essa parla oggi soprattutto col linguaggio del Vangelo di san Luca.

Racconta gli avvenimenti dei giorni seguenti della settimana, che oggi inizia.

Prima di tutto, gli avvenimenti dei giovedi e del venerdi.

Tra qualche giorno, il sublime "Osanna" si cambierà in un grido nefasto: "Crocifiggilo". E questo grido prenderà realtà, diventerà un fatto concreto.

Sull'altura del Calvario, fuori le mura di Gerusalemme, si solleverà la croce, sulla quale Gesù di Nazaret renderà la vita,


3. Il senso messianico di quel popolo, che durante l'ingresso di Gesù a Gerusalemme grido "Osanna", salutando il re che viene nel nome del Signore (cfr. Lc 19,38), è stato forse allora deluso? è stato indotto in errore? era forse, in sostanza, sbagliato? No. Il senso messianico si era soltanto fermato sulla soglia del mistero del Figlio dell'Uomo. Quest'Uomo faceva cose che nessuno prima di lui aveva compiute, ed egli parlava come uno che ha autorità, così come nessuno, prima di lui, aveva parlato (cfr. Mt 7,29). Quest'Uomo era anche discendente della stirpe di Davide.

Ma non è tutto. Chi era quest'Uomo?


4. L'Apostolo Paolo risponde con le parole della Lettera ai Filippesi (2,6-7); Cristo Gesù "pur essendo di natura divina, / non considero un tesoro geloso / la sua uguaglianza con Dio; / ma spoglio se stesso, / assumendo la condizione di Servo / e divenendo simile agli uomini".

Ecco la piena verità messianica. Quindi, Gesù non era soltanto Uomo, discendente di Davide, ma Colui che esiste nella natura divina, il Figlio di Dio che assunse la condizione di servo e divenne simile agli uomini. Questa è la piena verità messianica di Gesù Cristo. La verità, che Simone Pietro confesso, un giorno, nei pressi di Cesarea di Filippo: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).

Gli abitanti di Gerusalemme erano forse capaci di proclamare questa verità nel giorno dell'arrivo di Gesù per la festa di Pasqua? Il senso messianico li ha portati, quel giorno, a un tale punto?


5. No. E perciò era necessario che Colui, che apparve in forma umana, umiliasse se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di Croce (cfr. Ph 2,7-8). Soltanto allora, Dio, Dio stesso, lo ha esaltato (cfr. Ph 2,9): con la morte ha meritato la sua risurrezione e la vita gloriosa.


6. Questo è avvenuto mediante il mistero pasquale. In questo mistero, il senso messianico del Popolo di Dio ha trovato il suo compimento.

Oggi ci troviamo appena alla soglia di questo mistero. La Chiesa ritorna a questa soglia ogni anno, e parte da essa verso la Settimana Santa, settimana della morte e della risurrezione di Cristo.

In virtù del mistero pasquale, essa può ripetere non soltanto: "Osanna al Figlio di Davide", ma può proclamare che "Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (Ph 2,11). E in questa proclamazione la Chiesa non è sola.

Ecco, infatti, che nel nome di Gesù si piega ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto terra (cfr. Ph 2,10).

Così, dunque, la Chiesa nella Domenica delle Palme ripete: "Osanna", e guarda attraverso la Croce l'esaltazione di Cristo nella potenza di Dio stesso.

Data: 1983-03-27 Data estesa: Domenica 27 Marzo 1983

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La gloria di Cristo inizia nella Passione




1. Pueri Hebraeorum...

Ecco, la gioventù del Popolo eletto con i rami d'ulivo nelle mani ando incontro a Gesù di Nazaret mentre egli veniva dalla parte del Monte Oliveto verso Gerusalemme.

Vi saluto, giovani partecipanti alla liturgia della Domenica delle Palme: ragazzi e ragazze di Roma e pellegrini di diverse parti d'Italia e del mondo. Insieme con voi grido: "Gloria e lode a te, o Cristo, re di eterna gloria".

Alla soglia della Settimana della Passione del Signore saluto insieme con voi il Re della gloria.


2. Ecco, abbiamo iniziato l'Anno Santo della Redenzione. La liturgia della Domenica delle Palme ci ha detto come la gloria di Cristo abbia trovato il suo inizio nella Passione di Cristo.

Le acclamazioni, gli "Osanna" si sono spenti, e il simbolo della gloria è diventato la Croce sul Calvario. La Croce si trova nel cuore stesso della Redenzione. Il regno dell'eterna gloria è costruito irreversibilmente nella Croce e consolidato nella Redenzione. E' il regno di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo.

A questo regno è chiamato l'uomo. Ognuno di noi. Entriamo nell'Anno Santo della Redenzione attraverso la liturgia della Domenica delle Palme. Entriamo nel nome di quella chiamata che ci viene data dalla fede in Cristo crocefisso: Gloria a te, Re dei secoli.


3. Invito gli abitanti di Roma e i pellegrini di questi giorni pasquali a partecipare alla liturgia della Settimana Santa. Ogni celebrazione liturgica appartiene al programma dell'Anno Giubilare.

Nel corso di tutto quest'anno gli incontri del mercoledi avranno pure carattere di celebrazione liturgica intessuta intorno al mistero della Redenzione.

I partecipanti potranno ottenere l'indulgenza dell'Anno Giubilare ottemperando alle condizioni solite.

Tali condizioni sono: la confessione sacramentale, personale e integra; la comunione eucaristica, degnamente ricevuta; la preghiera secondo l'intenzione del Papa.


4. Recitando insieme l'Angelus, preghiamo Maria, che sta sotto la Croce del Figlio, perché ci ottenga di attingere abbondantemente alle grazie dell'Anno della Redenzione.

Data: 1983-03-27 Data estesa: Domenica 27 Marzo 1983

Ai sacerdoti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lettera in occasione del Giovedi Santo

Cari fratelli nel sacerdozio di Cristo!


1. Desidero rivolgermi a voi al principio dell'Anno Santo della Redenzione e del Giubileo straordinario, che è stato aperto sia a Roma come in tutta la Chiesa il 25 marzo. La scelta di tale giorno, solennità dell'Annunciazione del Signore e, nello stesso tempo, dell'Incarnazione ha una sua particolare eloquenza. Infatti, il mistero della Redenzione ha avuto il suo inizio allorché il Verbo si fece carne nel seno della Vergine di Nazaret, per opera dello Spirito Santo, e ha raggiunto il suo culmine nell'evento pasquale con la morte e risurrezione del Salvatore. Ed è da quei giorni che calcoliamo il nostro Anno Giubilare, desiderando che proprio in questo anno il mistero della Redenzione diventi particolarmente presente e fruttuoso nella vita della Chiesa. Sappiamo che esso sempre è presente e fruttuoso, che accompagna sempre il pellegrinaggio terreno del Popolo di Dio, lo penetra e lo plasma dal di dentro. Tuttavia, l'usanza di far riferimento ai periodi di cinquanta anni in questo pellegrinaggio corrisponde a un'antica tradizione. A questa tradizione desideriamo essere fedeli, confidando insieme che essa nasconda in se stessa una parte del mistero del tempo scelto da Dio: di quel "kairos", in cui si realizza l'economia salvifica.

Ecco dunque che, al principio di questo nuovo Anno della Redenzione del Giubileo straordinario, pochi giorni dopo la sua apertura, ricorre il Giovedi Santo 1983. Esso ci ricorda - come sappiamo - il giorno in cui insieme con l'Eucaristia è stato istituito da Cristo il sacerdozio ministeriale. Questo è stato istituito per l'Eucaristia e, quindi, per la Chiesa, la quale, come comunità del Popolo di Dio, si forma dall'Eucaristia. Questo sacerdozio - ministeriale e gerarchico - è da noi partecipato. Noi l'abbiamo ricevuto nel giorno dell'Ordinazione per il ministero del Vescovo, il quale ha trasmesso a ciascuno di noi il sacramento iniziato con gli Apostoli durante l'Ultima Cena, nel Cenacolo, il Giovedi Santo. E perciò, anche se diverse sono le date della nostra Ordinazione, il Giovedi Santo rimane ogni anno il giorno della nascita del nostro sacerdozio ministeriale. In questo santo giorno ognuno di noi, quali sacerdoti della nuova alleanza, è nato nel sacerdozio degli Apostoli. Ognuno di noi è nato nella rivelazione dell'unico ed eterno sacerdozio dello stesso Gesù Cristo.

Infatti, questa rivelazione ebbe luogo nel Cenacolo del Giovedi Santo, alla vigilia del Golgota. Proprio là Cristo diede inizio al suo mistero pasquale: lo "apri". E lo apri appunto con la chiave dell'Eucaristia e del Sacerdozio.

Per questo il giorno del Giovedi Santo noi, "ministri della nuova alleanza" (2Co 3,6), ci uniamo insieme con i Vescovi nelle cattedrali delle nostre Chiese, ci uniamo dinanzi a Cristo unica ed eterna fonte del nostro sacerdozio. In questa unione del Giovedi Santo noi ritroviamo lui e, contemporaneamente - per lui, con lui e in lui - ritroviamo noi stessi. Sia benedetto Dio Padre, Figlio e Spirito Santo per la grazia di questa unione.


2. Pertanto, in questo momento importante, desidero ancora una volta annunciare l'Anno commemorativo della Redenzione e il Giubileo straordinario. Desidero annunciarlo in modo particolare a voi e dinanzi a voi, venerati e cari fratelli nel sacerdozio di Cristo - e desidero meditare, almeno brevemente, insieme con voi circa il suo significato. Infatti, a noi tutti, come sacerdoti nella nuova alleanza, questo Giubileo si riferisce in maniera speciale. Se per tutti i credenti, figli e figlie della Chiesa, esso significa un invito a rileggere di nuovo la propria vita e vocazione alla luce dei mistero della Redenzione, allora un tale invito è indirizzato a noi con una intensità, direi, ancora maggiore.

L'Anno Santo della Redenzione, dunque, e il Giubileo straordinario vogliono dire che noi dobbiamo vedere di nuovo il nostro sacerdozio ministeriale in quella luce, nella quale esso è iscritto da Cristo stesso nel mistero della Redenzione.

"Non vi chiamo più servi..., ma vi ho chiamati amici" (Jn 15,15).

Proprio nel Cenacolo sono state pronunciate queste parole, nel contesto immediato dell'istituzione dell'Eucaristia e del sacerdozio ministeriale. Cristo ha fatto conoscere agli Apostoli e a tutti coloro, i quali da essi ereditano il sacerdozio ordinario, che in questa vocazione e per questo ministero devono diventare suoi amici: devono diventare amici di quel mistero, che egli è venuto a compiere.

Essere sacerdote vuol dire essere particolarmente in amicizia col mistero di Cristo, col mistero della Redenzione, in cui egli dà la sua "carne per la vita del mondo" (Jn 6,51). Noi che celebriamo ogni giorno l'Eucaristia, il sacramento salvifico del Corpo e del Sangue, dobbiamo essere in un'intimità particolare col mistero, da cui questo sacramento prende il suo inizio. Il sacerdozio ministeriale si spiega soltanto ed esclusivamente nel profilo di questo mistero divino, e soltanto in questo profilo si realizza.

Nel profondo del nostro "io" sacerdotale, grazie a quel che ciascuno di noi è diventato al momento dell'Ordinazione, noi siamo "amici": siamo testimoni particolarmente vicini a questo Amore, che si manifesta nella Redenzione. Esso si è manifestato "in principio" nella creazione, e insieme con la caduta dell'uomo si manifesta sempre nella redenzione. "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16). Ecco la definizione dell'amore nel suo significato redentivo, Ecco il mistero della Redenzione, definito dall'amore. L'unigenito Figlio è colui che prende questo amore dal Padre e lo dà al Padre, portandolo al mondo.

L'unigenito Figlio è colui che, per questo amore, dà se stesso per la salvezza del mondo: per la vita eterna di ogni uomo, suo fratello e sorella.

E noi sacerdoti, ministri dell'Eucaristia, siamo "amici": ci troviamo particolarmente vicini a questo Amore redentore, che il Figlio unigenito ha portato al mondo - e che gli porta continuamente. Anche se ciò ci penetra di un santo timore, dobbiamo tuttavia riconoscere che insieme con l'Eucaristia il mistero di quell'Amore redentore si trova, in un certo modo, nelle nostre mani.

Che esso ritorna ogni giorno sulle nostre labbra. Che è iscritto in modo durevole nella nostra vocazione e nel nostro ministero.

O quanto, quanto profondamente ognuno di noi è costituito nel proprio "io" sacerdotale mediante il mistero della Redenzione! Di questo, proprio di questo ci rende consapevoli la liturgia del Giovedi Santo. E proprio questo dobbiamo fare oggetto delle nostre meditazioni nel corso dell'Anno Giubilare.

Intorno a ciò deve concentrarsi il nostro personale rinnovamento interiore, perché l'Anno Giubilare è inteso dalla Chiesa come tempo di rinnovamento spirituale per tutti. Se dobbiamo essere ministri di questo rinnovamento per gli altri, per i nostri fratelli e sorelle nella vocazione cristiana, allora dobbiamo esserne i testimoni e i portavoce dinanzi a noi stessi: l'Anno Santo della Redenzione quale Anno del rinnovamento nella vocazione sacerdotale.

Operando un tale rinnovamento interiore nella nostra santa vocazione, noi potremo maggiormente e più efficacemente predicare "un anno di grazia del Signore (Lc 4,19 Is 61,2)". Infatti, il mistero della Redenzione non è già un'astrazione teologica, ma è un'incessante realtà, mediante la quale Dio abbraccia l'uomo in Cristo col suo eterno amore; e l'uomo riconosce questo amore, si lascia da esso guidare e penetrare, permette di essere interiormente trasformato da esso, e per esso diventa "una creatura nuova" (2Co 5,17). L'uomo, in tal modo creato di nuovo dall'amore, che gli è rivelato in Gesù Cristo, leva lo sguardo della sua anima verso Dio e professa insieme col Salmista: "Copiosa apud eum redemptio", "grande presso di lui è la redenzione" ().

Nell'Anno Giubilare questa professione deve scaturire con una particolare potenza dal cuore di tutta la Chiesa. E ciò deve compiersi, cari fratelli, per opera della vostra testimonianza e del vostro ministero sacerdotale.


3. La Redenzione rimane unita nella maniera più stretta al perdono. Dio ci ha redenti in Gesù Cristo, perché ci ha perdonato in Gesù Cristo; Dio ci ha fatto diventare in Cristo una "nuova creatura", perché in lui ci ha gratificati del perdono.

Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo (cfr. 2Co 5,19). E appunto perché l'ha riconciliato in Gesù Cristo, quale primogenito di ogni creatura (Col


1,15), l'unione dell'uomo con Dio è stata irreversibilmente consolidata. Questa unione che, un tempo, il "primo Adamo" consenti che, in lui, fosse tolta a tutta la famiglia umana, non può essere tolta da nessuno all'umanità, da quando è stata radicata e consolidata in Cristo, il "secondo Adamo". E perciò l'umanità diviene di continuo in Gesù Cristo, una "nuova creatura". Tale diviene, perché in lui e per lui la grazia della remissione dei peccati permane inesauribile dinanzi a ogni uomo: "Copiosa apud eum redemptio"! Nell'Anno Giubilare dobbiamo, cari fratelli, renderci particolarmente consapevoli di essere al servizio di tale riconciliazione con Dio, che una volta per sempre è stata compiuta in Gesù Cristo. Noi siamo servi e amministratori di questo sacramento, in cui la Redenzione si manifesta e realizza come perdono, come remissione dei peccati.

Oh, quanto eloquente è il fatto che Cristo, dopo la sua risurrezione, entro di nuovo in quel Cenacolo, in cui il Giovedi Santo aveva lasciato agli Apostoli, insieme con l'Eucaristia, il sacramento del sacerdozio ministeriale, e che allora disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Jn 10,22-23).

Come prima aveva dato la facoltà di celebrare l'Eucaristia, ossia di rinnovare in modo sacramentale il suo proprio Sacrificio pasquale, così la seconda volta diede loro la facoltà di rimettere i peccati.

Quando, in quest'Anno Giubilare, mediterete su come il vostro sacerdozio ministeriale è stato iscritto nel mistero della Redenzione di Cristo, questo abbiate costantemente davanti agli occhi! Il Giubileo è, infatti, quel tempo particolare in cui la Chiesa, secondo un'antichissima tradizione, rinnova, nell'intera comunità del Popolo di Dio, la coscienza della Redenzione mediante una singolare intensità della remissione e del perdono dei peccati: proprio di quella remissione e di quel perdono, di cui noi, sacerdoti della Nuova alleanza, siamo diventati, dopo gli Apostoli, i legittimi ministri.

In conseguenza della remissione dei peccati, nel Sacramento della Penitenza, tutti coloro che, valendosi del nostro servizio sacerdotale, ricevono questo Sacramento, possono attingere ancor più pienamente alla generosità della Redenzione di Cristo, ottenendo la remissione delle pene temporali, che, dopo la remissione dei peccati, rimangono ancora da espiare nella vita presente o in quella futura. La Chiesa crede che ogni e singola remissione proviene dalla Redenzione compiuta da Cristo. Contemporaneamente, essa crede anche e spera che Cristo stesso accetti la mediazione del suo Corpo Mistico nella remissione dei peccati e delle pene temporali. E poiché, sulla base del mistero del Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa, si sviluppa, nella prospettiva dell'eternità, il mistero della Comunione dei Santi, la Chiesa nel corso dell'Anno Giubilare guarda con particolare fiducia verso questo Mistero.

La Chiesa desidera far profitto, più che mai, dei meriti di Maria santissima, dei Martiri e dei Santi, nonché della loro mediazione, per rendere ancor di più attuale, in tutti i suoi effetti e frutti salvifici, la Redenzione compiuta da Cristo. In tal modo la prassi delle Indulgenze, collegata con l'Anno Giubilare, svela il suo profondo significato evangelico, in quanto il bene, derivato dal Sacrificio redentore di Cristo, in tutte le generazioni dei Martiri e dei Santi della Chiesa dall'inizio fino al nostri tempi, fruttifica di nuovo, con la grazia della remissione dei peccati e degli effetti del peccato, nelle anime degli uomini di questa età.

Cari miei fratelli nel Sacerdozio di Cristo! Nel corso dell'Anno Giubilare sappiate essere in modo speciale i maestri della verità di Dio circa il perdono e la remissione, così come essa viene costantemente proclamata dalla Chiesa. Presentate questa verità in tutta la sua ricchezza spirituale. Cercate per essa le vie negli animi e nelle coscienze degli uomini dei nostri tempi. E insieme all'insegnamento sappiate essere in quest'Anno Santo, in modo particolarmente servizievole e generoso, i ministri del Sacramento della Penitenza, nel quale i figli e le figlie della Chiesa ottengono la remissione dei peccati. Trovate nel servizio del confessionale quell'insostituibile manifestazione e verifica del sacerdozio ministeriale, di cui ci hanno lasciato il modello tanti santi Sacerdoti e Pastori di anime nella storia della Chiesa, fino ai nostri tempi. E la fatica di questo sacro ministero vi aiuti a comprendere ancor di più quanto il sacerdozio ministeriale di ciascuno di noi sia iscritto nel mistero della Redenzione di Cristo mediante la croce e la risurrezione.


4. Con le parole che vi sto scrivendo desidero proclamare in modo particolare per voi il Giubileo dell'Anno Santo della Redenzione. Come è noto dai documenti già pubblicati, il Giubileo deve essere celebrato contemporaneamente a Roma e in tutta la Chiesa iniziando dal 25 marzo 1983, fino alla Pasqua dell'anno prossimo. In tal modo la grazia particolare dell'Anno della Redenzione viene affidata a tutti i miei fratelli nell'Episcopato quali Pastori delle Chiese locali nella universale comunità della Chiesa Cattolica. Contemporaneamente la stessa grazia del Giubileo straordinario viene affidata anche a voi, cari fratelli nel Sacerdozio di Cristo.

Infatti, voi, in unione con i vostri Vescovi, siete pastori delle parrocchie e delle altre comunità del Popolo di Dio, esistenti in tutte le parti del mondo.

In effetti, occorre che l'Anno della Redenzione sia vissuto nella Chiesa, partendo appunto da queste comunità fondamentali del Popolo di Dio. Al riguardo, desidero qua riportare alcuni passi della Bolla d'indizione dell'Anno Giubilare, che testimoniano esplicitamente una tale esigenza: "L'Anno della Redenzione - ho scritto - deve lasciare un'impronta particolare su tutta la vita della Chiesa, affinché i cristiani sappiano riscoprire nella loro esperienza esistenziale tutte le ricchezze insite nella salvezza, a loro comunicata fin dal battesimo". Infatti, "nella riscoperta e nella pratica vissuta dell'economia sacramentale della Chiesa attraverso cui giunge ai singoli e alla comunità la grazia di Dio in Cristo, è da vedere il profondo significato e la bellezza arcana di quest'Anno, che il Signore ci concede di celebrare".

L'Anno Giubilare, insomma, vuol essere "un appello al pentimento e alla conversione", in ordine "ad un rinnovamento spirituale nei singoli fedeli, nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle diocesi, nelle comunità religiose e negli altri centri di vita cristiana e di apostolato". Se tale appello sarà generosamente accolto, ne risulterà una sorta di movimento "dal basso", che, partendo dalle parrocchie e dalle varie comunità - come ho detto recentemente dinanzi al mio amato Presbiterio di Roma - ravviverà le diocesi e in tal modo non mancherà di influire positivamente sull'intera Chiesa. Proprio per favorire tale dinamica ascendente, nella Bolla mi sono limitato ad offrire alcuni orientamenti di carattere generale e ho lasciato "alle Conferenze Episcopali e ai Vescovi delle singole diocesi il compito di stabilire indicazioni e suggerimenti pastorali concreti, in rapporto sia alla mentalità e alle costumanze dei luoghi, sia alle finalità del 1950° anniversario della morte e risurrezione di Cristo".


5. Per questo, cari fratelli, vi prego con tutto il cuore di riflettere sul modo in cui il santo Giubileo dell'Anno della Redenzione possa e debba essere celebrato in ogni parrocchia, come pure nelle altre comunità del Popolo di Dio, presso cui esercitate il servizio sacerdotale e pastorale. Vi prego di riflettere sul modo in cui possa e debba essere celebrato nel quadro di tali comunità e, in pari tempo, in unione con la Chiesa locale e universale. Vi prego di rivolgere una particolare attenzione a quegli ambienti, che la Bolla ricorda espressamente, come quello dei religiosi e religiose di clausura, o quello dei malati, dei carcerati, degli anziani o di altri sofferenti. Sappiamo, infatti, che di continuo e in diversi modi si attuano le parole dell'Apostolo: "Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti ci Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,14).

Possa così il Giubileo straordinario, grazie a questa sollecitudine e solerzia pastorale, diventare veramente, secondo le parole del profeta, "l'anno di misericordia del Signore" per ciascuno di voi, cari fratelli, come anche per tutti coloro che Cristo, Sacerdote e Pastore, ha affidato al vostro servizio sacerdotale e pastorale.

Accettate per il sacro giorno del Giovedi Santo 1983 la presente parola come manifestazione di amore cordiale; e pregate anche per colui che la scrive, affinché non gli manchi mai quell'amore, intorno al quale Cristo Signore interrogo tre volte Simon Pietro. Con tale sentimento tutti vi benedico.

Dato a Roma, presso San Pietro, Domenica delle Palme e della Passione del Signore, 27 marzo dell'anno 1983, quarto di pontificato.

Data: 1983-03-27 Data estesa: Domenica 27 Marzo 1983

Agli studenti di Univ 83 - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lo studio come il lavoro per la piena elevazione dell'uomo




1. Carissimi. E' giunto anche quest'anno il momento del nostro ormai abituale appuntamento, in occasione del vostro incontro a Roma, il quale è dedicato, questa volta, al tema: "Lo studio come lavoro".

Voglio esprimervi la gioia con cui mi unisco a voi, studenti e docenti universitari di tanti Paesi, e la fiducia con cui affido le vostre speranze all'intercessione della santissima Vergine, "Causa nostrae letitiae", Sorgente della gioia, che deve pervadere la vita di ogni cristiano e soprattutto di voi giovani.

Lo studio si può considerare come un lavoro? Certamente, almeno se intendiamo i concetti di "studio" e di "lavoro" nel loro significato più profondo, che è umanistico e religioso ad un tempo.

Lo studio, nel senso tecnico e preciso, è innanzitutto lavoro dell'intelletto alla ricerca della verità da conoscere e comunicare. Se "lavoro vuol dire disciplina, metodo, fatica, lo studio è certamente tutto questo. E come è fondamentale per la vostra vita il lavoro metodico, umile, perseverante del nostro intelletto! E' infatti, come dice Cristo, dalla conquista della verità, che ci viene la libertà, quella libertà vera che vuol dire perfezione della persona, virtù, santità.


2. Lo studio, pero, non è soltanto lavoro dell'intelletto: è anche lavoro della volontà. L'intelletto non può procedere da solo nella ricerca della verità - soprattutto quando si tratta delle verità morali - se non è costantemente sorretto dalla volontà. Non si trova la verità se non la si ama: e l'amore è atto della volontà. Le verità più alte, poi, che sono quelle del Vangelo, non possono essere autenticamente ed intimamente conosciute, senza quella forma di amore soprannaturale che è la carità, per mezzo della quale soltanto possiamo conoscere veramente Dio, Verità infinita.

Ma quando diciamo "volontà", diciamo "responsabilità". Lo studio non va inteso come un processo meramente tecnico e intellettuale, preoccupato soltanto del rispetto delle leggi della logica. Se in esso la volontà ha una parte essenziale, ciò significa che lo studio va inteso come "lavoro" anche in un senso morale. Esso non serve a sviluppare soltanto le virtù intellettuali, ma anche quelle morali. Ha quindi uno stretto rapporto col bene dell'uomo. Atto di responsabilità, lo studio deve rafforzare la nostra responsabilità nella ricerca del vero bene dell'uomo. Da questo punto di vista lo studio è lavoro in un senso più profondo: esso non è soltanto al servizio di conoscenze astratte, ma si rivela decisivo nell'orientare l'uomo verso il suo destino eterno.

Da molti si rileva che oggi gli studenti hanno riscoperto l'interesse e il gusto per uno studio condotto con serietà. Ma è altrettanto generalizzata la constatazione che tale impegno si snoda all'interno di un preoccupante vuoto di valori autentici. Molti vostri colleghi sono propensi ad affrontare lo studio con un positivo atteggiamento di professionalità, ma al contempo lo considerano in modo tendenzialmente utilitaristico, in vista di una semplice affermazione di se stessi. Sembra così riaffermarsi il cinico slogan secondo cui "sapere è potere".

Ora, certamente lo studio può intendersi come "lavoro" nel senso che esso deve avere un concreto orientamento verso la professionalità. Occorre tuttavia fare attenzione a che questo orientamento pratico dello studio non sia conseguenza o espressione di quel materialismo (cfr. LE 13) per il quale l'uomo stesso viene ridotto a strumento della propria o dell'altrui ambizione. Dobbiamo ripetere che lavorare è servire e che la gioia di mettere se stessi e il proprio lavoro al servizio del Bene non potrà mai essere sostituita dall'illusione di un effimero potere individuale.


3. Da ciò noi comprendiamo che lo "studio come lavoro" è espressione nella quale è evocato quel "lavoro" che dobbiamo compiere su noi stessi per maturare come uomini, più ancora, come cristiani.

Il lavoro più importante infatti non è quello della trasformazione del mondo, ma quello della trasformazione di noi stessi, per renderci sempre più conformi a quell'immagine di Dio che il Creatore ha inscritto nel nostro essere.

A nulla varrebbe sottomettere la natura con i più raffinati ritrovati della tecnologia, se poi non fossimo capaci di sottomettere noi stessi alla guida della nostra coscienza illuminata dalla legge divina. Ci raggiungerebbe in tal caso l'inquietante interrogativo del Signore: "Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?" (Mc 8,36).

Il senso del lavoro, dunque, viene illuminato dal senso cristiano della vita; la comprensione della fatica umana dipende dalla comprensione della vocazione con cui Dio chiama l'uomo a servire il Bene con tutto se stesso, in tutte le proprie opere. L'uomo è il fine del lavoro, ma il fine dell'uomo è Dio: il significato del lavoro, dunque, supera il lavoro stesso e lo libera.

A questo punto possiamo comprendere qual è il senso più profondo dello studio e del lavoro ad un tempo: la ricerca della santità. Il compito che si dischiude davanti a voi, che perseguite una testimonianza cristiana nel lavoro universitario, si può quindi racchiudere in una parola piena di contenuto: santità.

Santità nello studio e mediante lo studio. Il mondo del lavoro ha bisogno della vostra vita santa. E questa vita santa è fatta di dottrina e di preghiera, di intimità con Cristo e di lavoro: è fatta d'Amore. Il motivo di ciò? Lo traggo da parole certamente a voi ben note: "La vostra vocazione umana è parte importante della vostra vocazione divina. Ecco il motivo per cui dovete santificarvi - collaborando al tempo stesso alla santificazione degli altri -santificando precisamente il vostro lavoro e il vostro ambiente, e cioè la professione o il mestiere che riempie i vostri giorni, che dà una fisionomia particolare alla vostra personalità umana, che è il vostro modo di essere presenti nel mondo" (Josemaria Escriva, "E' Gesù che passa", 46).

Il lavoro è dunque espressione della capacità di amare Dio e i fratelli, sforzo per cooperare al disegno del Creatore in favore delle sue creature (cfr. LE 25). E poiché ostacolo all'amore di Dio è il peccato che inquina le opere dell'uomo e turba i luoghi della sua attività, trasformandoli in sedi di conflitti e di odio, appare evidente che il cristiano saprà servire il mondo del lavoro solo se saprà lottare contro il peccato che si annida nella sua anima. Torna allora opportuno, a questo proposito, il richiamo "ad un impegno singolare di penitenza e di rinnovamento" (Bolla "Aperite Portas", n. 4) che ho rivolto a tutti i fedeli in occasione dell'Anno Giubilare della Redenzione.

Pensate alla grandiosa forza di trasformazione del mondo che vi è racchiusa.


4. L'invito dell'Anno Santo alla penitenza non è voce di tristezza, ma di gioia: invito alla sofferta contemplazione del Mistero della Passione di Cristo e invito alla gioia della rinascita mediante il perdono: la santità cristiana non consiste nell'impeccabilità, ma nella lotta per non cedere e per rialzarsi sempre, dopo ogni cedimento. Essa non deriva tanto dalla forza della volontà dell'uomo, quanto piuttosto dallo sforzo per non ostacolare mai l'azione della grazia nella propria anima, e di esserne anzi gli umili "collaboratori": ecco lo "studio", ecco il "lavoro" più importante.

Nell'indire l'Anno Santo della Redenzione, ho parlato di "un anno ordinario celebrato in modo straordinario": a voi chiedo oggi di svolgere straordinariamente bene il vostro lavoro ordinario. Con impegno umano, ma soprattutto con un amore crescente di giorno in giorno, che porti frutti di fedeltà. così, purificando la vostra vita, vedrete costantemente di fronte a voi la luce.

Carissimi, che la Madonna, Stella mattutina, rischiari sempre, ad ogni nuovo giorno il vostro rinnovato impegno di seguire suo Figlio e di condurre a lui tutte le creature. Vi accompagna la mia affettuosa benedizione.

(In lingua francese, inglese, spagnola, portoghese e tedesca:) Rivolgo il mio benvenuto a tutti gli studenti di questo nuovo Congresso universitario internazionale! Che il tempo dei vostri studi sia veramente un tempo forte - un vero lavoro! - di preparazione professionale, di qualificazione, di formazione integrale, d'apprendistato alla responsabilità e al servizio agli altri, di vita nella Chiesa! Che la fede ne penetri le motivazioni e lo spirito, nella prospettiva della creazione e della redenzione! E che questo grande raduno cattolico vi fortifichi, che la celebrazione della Passione e della Pasqua del Signore vi purifichi, vi elevi, vi introduca nell'universo d'amore di Dio e nella sua gioia! Desidero aggiungere una parola di saluto per i giovani di lingua inglese. Mentre riflettete sull'importante tema del vostro Congresso, ricordate anche che ogni cosa della vita acquista la sua giusta prospettiva quando preghiamo. Nella preghiera voi incontrate Gesù, che è la vostra via, la vostra verità e vita. Nella preghiera, voi studiate, lavorate e vivete con Gesù.

Saluto con affetto tutti i presenti di lingua spagnola che partecipano al Congresso universitario internazionale Univ '83. Che questo incontro vi aiuti a vedere il vostro attuale lavoro formativo come una preparazione al futuro impegno nei vostri doveri. Con la mia cordiale benedizione.

Saluto cordialmente anche voi, carissimi studenti di lingua portoghese, vi auguro ogni felicità e vi dico: nel vostro lavoro attuale, che è lo studio, e nelle attività future, siate uomini per gli uomini, coltivando in voi e negli altri la dignità della persona, ricordando sempre che Dio desidera che tutti formino una famiglia umana; e sia Cristo, modello ci lavoratore e Redentore dell'uomo, la luce del vostro cammino nella vita! Nell'impartire la benedizione apostolica, scorgo in voi i vostri amici e familiari.

Di cuore saluto anche gli studenti di lingua tedesca. Il tema del vostro Congresso; "Lo studio come lavoro" racchiude aspetti così importanti della vostra vita di cristiani e cittadini che desidero augurarvi un pieno successo delle vostre riflessioni e dei vostri incontri. Che il modo nel quale ciascuno di voi studia e più tardi applicherà la sua formazione nella professione prescelta divenga un piccolo contributo al benessere del più gran numero possibile di uomini del vostro Paese e alla pace tra i popoli.

Questo io impetro per voi con la mia particolare benedizione.

Data: 1983-03-29 Data estesa: Martedi 29 Marzo 1983




GPII 1983 Insegnamenti - Lettera al Vescovo di Novara - Città del Vaticano (Roma)