GPII 1983 Insegnamenti - Visita all'Ospedale "Cristo Re" - Roma

Visita all'Ospedale "Cristo Re" - Roma

Titolo: Valore e significato della sofferenza dei disegno divino

Carissimi tutti nel Signore.


1. E' per me una grande gioia e uniintima consolazione incontrarmi con voi, oggi, "Ottava di Pasqua", in questo Ospedale di Cristo Re nella significativa ricorrenza del venticinquesimo della sua attività.

Ringrazio anzitutto coloro che mi hanno invitato a compiere questa visita pastorale, nella quale posso manifestare personalmente il mio affetto a voi, ammalati, e a coloro che vi curano e vi assistono.

Porgo il mio saluto riconoscente al Presidente dell'Unità sanitaria locale, la diciannovesima della circoscrizione; al Vescovo Monsignor Fiorenzo Angelini, responsabile dell'assistenza religiosa negli ospedali della città di Roma; alla Superiora generale e a tutte le Suore "Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario" che qui fin dall'inizio prestano la loro opera con amore e dedizione; al Cappellano e ai membri del Consiglio pastorale; ai primari e ai medici delle varie specialità, che hanno la responsabilità diretta sui singoli degenti: al personale, così necessario per il buon andamento dell'Istituto. Ma soprattutto desidero salutare voi, malati, per cui sono espressamente venuto; desidero esprimervi il mio affettuoso augurio di guarigione, assicurarvi il mio ricordo costante nella preghiera, porgervi la mia parola di conforto e di incoraggiamento, farvi presente la sollecitudine e la sensibilità della Chiesa nei riguardi di tutti coloro che soffrono.

Questa mia visita a voi infermi è per me un momento di intenso impegno pastorale, che sono felice di compiere a vostra consolazione, confermandovi nella fede e nella confidenza in Cristo crocifisso e risorto, che a tutti è vicino e tutti ama, specialmente coloro che sono colpiti dal male e forse si sentono smarriti e angosciati. A tutti Gesù dice: "Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente! Io ero morto, ma ora vivo per sempre... Io sono l'Alfa e l'Omega, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente! (cfr. Ap 1, passim).


2. Voglio pero anche esprimere in questa occasione il mio vivo compiacimento e il mio sincero apprezzamento per l'attività svolta con tanta diligenza da questo Ospedale, in venticinque anni di vita. La Casa di cura "Cristo Re", inaugurata il 30 marzo 1958 e ampliata successivamente a motivo dell'aumento della popolazione, nel 1975, dopo il passaggio delle competenze sanitarie dello Stato alle Regioni, venne classificata come "Ospedale generale di zona" allo scopo di sovvenire ai bisogni dei malati in modo più corrispondente alle direttive della Riforma sanitaria e agli insegnamenti della Chiesa. Dopo tale classificazione e dopo l'equiparazione dei titoli e dei servizi del personale dipendente a quelli corrispettivi degli Ospedali pubblici, è stato un continuo progredire di lavori di adeguamento nelle attrezzature e negli impegni finanziari, cosicché oggi l'Ospedale "Cristo Re" offre un totale di 240 posti-letto con una encomiabile struttura di reparti e di servizi, con laboratorio di analisi chimico-cliniche e ambulatori per tutte le specialità del nosocomio. Inoltre nell'Ospedale si svolge pure un'intensa attività didattica e di aggiornamento professionale con corsi di educazione sanitaria e infermieristica. E', insomma, un organismo ben strutturato e dinamico, che onora i responsabili della direzione e si presta per una cura più precisa ed efficace dei malati.

Mentre ammiro e lodo il lavoro compiuto in questi venticinque anni, tutti esorto all'impegno di un ulteriore perfezionamento, e soprattutto a sentimenti di sempre più umana e cristiana sensibilità verso chi soffre, in modo che l'ospedale diventi ognor più un luogo dove si esercita la reciproca carità in un'atmosfera di comprensione e di familiarità.


3. Il tempo pasquale che stiamo vivendo in questo Anno Giubilare della Redenzione mi suggerisce una riflessione che intendo lasciarvi come ricordo di questa mia visita e come proposito.

La Chiesa nella Liturgia di questi giorni ripete sovente con profonda letizia: "Cristo è Risorto, alleluia!" e invita alla gioia e alla riconoscenza. Il motivo di tanto fervore è, al tempo stesso, semplice e fondamentale: la risurrezione di Cristo è la prova ultima e decisiva della sua divinità, e quindi della assoluta verità del suo messaggio e della nostra salvezza. Gesù ha affermato categoricamente: "Io sono la risurrezione, la verità e la vita!" (cfr. Jn 11,25


14,6). Gesù ha detto a Pilato senza nessun timore: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità" (Jn 18,37).

La risurrezione è la garanzia finale della sua missione rivelatrice e redentrice; e quindi la conclusione pratica e concreta è solamente la fede nella sua Parola.

Aver fede in Cristo crocifisso e risorto significa credere nel valore della vita e quindi della salute. E' triste pensare come molti purtroppo oggi rovinano la loro salute e sprecano o rifiutano la vita! Se manca la luce del Risorto tutto diventa tragicamente possibile! Gesù risorto afferma che la vita viene da Dio ed è un dono prezioso che dobbiamo amministrare, di cui siamo responsabili e di cui dovremo rendere conto. "Pasqua" significa "vita" e amore alla vita.

Aver fede in Cristo crocifisso e risorto significa credere nella presenza continua ed amorevole della Provvidenza nelle nostre singole esistenze come nel corso tumultuoso della storia. perciò in questa fede nel disegno provvidente di Dio, assumono valore e significato anche la malattia e la sofferenza. E' logico ed è normale, quando si soffre, dire come Gesù nel Getsemani: "Padre, se è possibile, passi da me questo calice!" (Mt 26,39). La passione del Venerdi Santo spaventa e angoscia tutti. Ma Gesù risorto ci spinge a ripetere con lui con coraggio e fiducia: "Tuttavia, non sia fatta la mia, ma la tua volontà!" (Lc 22,42). Cristo risorto ci fa vedere gli avvenimenti nella prospettiva della Redenzione e dell'eternità, e col suo amore misericordioso e la sua presenza eucaristica ci aiuta ad accettare il mistero, con piena fiducia nell'Altissimo.

Davanti alla sofferenza, più che ogni parola, vale il silenzio adorante e fiducioso in Cristo flagellato, coronato di spine, crocifisso, trafitto e poi risorto glorioso per noi. Pasqua significa "amore" di Dio e certezza nell'amore provvidente, proprio in mezzo alle pene e alle tribolazioni; significa trionfo della vita sulla morte, trionfo del bene sul male.


4. Carissimi, l'Anno Giubilare che abbiamo iniziato è un invito alla riflessione sull'avvenimento centrale e risolutivo della Redenzione realizzatosi millenovecentocinquanta anni fa ed offre il grande dono dell'Indulgenza, che dopo il perdono dei peccati, ottenuto mediante la Confessione sacramentale, e dopo l'incontro eucaristico con Cristo, cancella anche la pena dovuta per le nostre mancanze.

Il mio auspicio è che voi tutti abbiate ad approfondire la meditazione del grande mistero della nostra salvezza, impegnandovi in una sincera conversione interiore, per una vita autenticamente cristiana. A questo infatti mira l'Anno Santo.

Cristo Re, per l'intercessione di Maria santissima, nostra Madre, presente sul Calvario e poi radiosa nella luce della Pasqua, illumini sempre questo Ospedale a lui consacrato, guidi e sorregga i sentimenti dei medici e del personale, conforti e consoli tutti gli ammalati.

E vi accompagni sempre anche la mia propiziatrice benedizione, che con grande affetto ora vi imparto!

Data: 1983-04-10 Data estesa: Domenica 10 Aprile 1983

A Vescovi dello Zaire in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Infondete nelle popolazioni speranza e audacia evangeliche

Cari fratelli nell'Episcopato.

Ringrazio il Cardinale Joseph Malula per le parole e i sentimenti di fiducioso attaccamento che mi ha appena espresso a nome di tutti, attirando la mia attenzione su alcuni punti che vi stanno particolarmente a cuore. Infatti, come anche voi avete appena detto, ritrovandovi ora a Roma, io ricordo con grande gioia gli incontri che ho potuto avere nel vostro Paese circa tre anni fa: con voi e con tutto il popolo di Dio, con i sacerdoti, le religiose, le famiglie, con le autorità civili, con il mondo universitario, il mondo rurale, con i luoghi di missione. Ho potuto così fare esperienza della bella vitalità cristiana della Chiesa dello Zaïre.

E oggi, siete voi che mi restituite la visita, come per fortificare il legame della vostra Chiesa con quella che ha la responsabilità, fin dalle origini, di presiedere alla carità, sulle orme degli postoli Pietro e Paolo che avevano ricevuto dal Signore una missione senza eguale, prima di dare qui la loro suprema testimonianza. Il servizio della Sede Apostolica - con l'autorità che vi corrisponde - è infatti quello di contribuire affinché la fede dei cristiani rimanga autentica man mano essa viene annunciata, celebrata e vissuta, affinché la loro unità sia salvaguardata attraverso la comunione dei Vescovi, e affinché la Chiesa prosegua il suo cammino, con l'armonia, la saggezza, l'audacia e la prudenza necessarie, in mezzo alle prove e alle nuove circostanze.


2. Noi abbiamo dunque celebrato insieme il centenario della seconda evangelizzazione dello Zaïre, dell'evangelizzazione decisiva. Pur avendo ben chiare le difficoltà e l'immenso lavoro che deve essere ancora compiuto, penso che occorra innanzitutto e sempre rendere grazie a Dio per l'opera meravigliosa realizzata da coloro che, pieni di amore per voi e per Cristo, sono venuti da lontano a condividere con i vostri padri la fede che avevano essi stessi ricevuto e da voi, africani, che avete così bene dato loro il cambio, assunto le vostre responsabilità, continuando pero ad accettare la collaborazione delle altre Chiese o delle congregazioni religiose. Ci si stupisce constatando che nello spazio di un secolo tanti progressi siano stati compiuti, tante anime convertite e battezzate, tante comunità fondate, su tutto il territorio del vostro immenso Paese nel cuore dell'Africa. E' quindi importante prendere innanzitutto in considerazione l'aspetto positivo di tutta questa vitalità, riconoscere con benevolenza il merito e gli sforzi della vostra Chiesa, lo slancio delle sue ricerche, il suo cammino generalmente entusiasta in alcuni campi, viste le difficoltà e le imperfezioni provvisorie, insomma, le promesse di una giovane Chiesa che la Chiesa universale e la Santa Sede in particolare guardano con stima, amore e fiducia, formulando per essa voti ferventi, nella speranza anche di uno scambio benefico e di un aiuto reciproco,


3. La seconda tappa dell'evangelizzazione, come ho detto a Kinshasa, senza smettere di essere contraddistinta dall'annuncio missionario per quegli ambienti che non sono ancora stati toccati dal Vangelo, dovrebbe essere anche caratterizzata dalla perseveranza, o meglio, dal rafforzamento della fede, dalla maturazione della Chiesa, dalla conversione in profondità degli animi e delle mentalità, dall'espressione tipica, a tutti i livelli, della fede vissuta. Si, è proprio questo lo scopo che bisogna prefiggersi, prima ancora di parlare di mezzi, di tecniche, di metodi, di strutture che hanno anch'essi sicuramente la loro importanza: far vivere il Vangelo, tutto il Vangelo alla popolazione dello Zaïre.


4. E' un'opera misteriosa, che fa appello alla grazia, alla profonda disponibilità degli annunciatori e di coloro che accolgono il Vangelo. L'impegno da proporre al popolo di Dio, è un impegno per la santità della vita, che suppone un annuncio, una catechesi, una predicazione, un'azione pastorale adattata alle persone e agli ambienti, ma più ancora l'esempio vissuto di una tale santità, nei diversi campi che Gesù ha indicato come tipici dei comportamenti cristiani, in particolare attraverso le beatitudini: amore, perdono, sacrificio, giustizia, verità, purezza.

Non è questo forse che voi domandate costantemente al popolo cristiano, e particolarmente a coloro che, con voi, hanno una speciale missione nella comunità: sacerdoti, religiosi, religiose, catechisti? I cristiani devono, per questo, conservare il senso dei propri limiti, delle proprie debolezze, dei propri peccati, dunque della conversione che deve essere operata senza posa, con il desiderio di promuovere prima di tutto il progresso morale e spirituale, contando sulla misericordia di Dio; senza questo, essi rischiano di cadere nell'illusione e nell'ipocrisia. Ma essi nello stesso tempo devono dare prova di una grande speranza, e dunque d'audacia evangelica: come già dicevo il giorno di Pasqua di quest'anno, non bisogna aver paura di sottomettere tutto alla potenza di Cristo al quale niente è impossibile per il rinnovamento delle nostre anime, delle nostre mentalità, delle nostre strutture di vita.


5. E' dunque questa fede autentica in Cristo che bisogna approfondire, rafforzare, diffondere, attingendone la linfa nella Chiesa, il "luogo" in cui si è dispiegata e senza tregua si dispiega la potenza dello Spirito di Cristo, attraverso un'ininterrotta tradizione, una riflessione sulla fede che ha già elaborato soluzioni a molti difficili problemi, forme di preghiera e di vita comunitaria che sono fiorite in corrispondenza con i loro ambienti e di cui la Chiesa ha sanzionato il valore. Come potrebbe una fede veramente matura, profonda e convinta non arrivare ad esprimersi in un linguaggio, in una catechesi, in una riflessione teologica, in una preghiera, in una liturgia, in un'arte, in istituzioni che corrispondano veramente all'anima africana dei vostri compatrioti? E' qui che si trova la chiave del problema importante e complesso che mi avete sottoposto a proposito della liturgia, per non ricordarne oggi altri. Un progresso soddisfacente in questo campo non potrà che essere il frutto di una maturazione progressiva nella fede, che riunisca il discernimento spirituale, la lucidità teologica, il senso della Chiesa universale in un'ampia concertazione. La preghiera certo deve poter zampillare dai cuori dei vostri compatrioti dello Zaïre con la facilità, il calore, la spontaneità che corrispondono alla loro cultura.

Essi dovranno allo stesso tempo comprendere tutta la profondità del rito cristiano che deve mantenere il suo significato originale ricevuto da Cristo, e il suo legame sostanziale con la liturgia cattolica, universale.

Il suo carattere di festa, di festa comunitaria, è particolarmente vivo, e deve essere incoraggiato; c'è bisogno di aggiungere che è inseparabile, nella liturgia cristiana, dall'aspetto di mistero che unisce la comunità e ciascuna persona alla Passione e alla Risurrezione del suo Signore? Tutto questo, ancora una volta, richiede maturità e riflessione, in stretto contatto con i competenti Dicasteri della Santa Sede.


6. Lo dicevo a Kinshasa, in questo campo come in tutti gli altri, la Santa Sede non vi libererà da nessuna responsabilità; vi inviterà, invece, vi aiuterà ad andare fino in fondo alle vostre responsabilità. Questo cammino passa necessariamente attraverso la cooperazione, la coesione, l'unità. Questa convinzione, la Chiesa la trae dal suo messaggio e dalla sua esperienza. Lo ricordavo recentemente in America Centrale, tra l'altro a Managua.

C'è un'unità da promuovere e da perfezionare innanzitutto al livello del vostro presbiterio, tra sacerdoti africani e sacerdoti venuti da altre Chiese, religiosi o secolari, tutti chiamati a cooperare alla stessa missione e a testimoniare l'aiuto reciproco fraterno in spirito di servizio; e, certamente, è fondata sull'unita primaria tra ogni Vescovo e i suoi sacerdoti.

Questo si realizza sempre meglio quando i sacerdoti si sentono più vicini al Pastore della loro diocesi che li visita e si interessa alle loro opinioni, e quando essi sono pronti, a loro volta, ad accettare un Vescovo nominato per le sue differenti qualità intellettuali, spirituali o pastorali, anche se appartiene ad un'etnia differente. L'accoglienza di un Pastore venuto da fuori, che cerca di adattarsi e di parlare la lingua, rappresenta anche una possibilità di apertura e uno scambio che ha sempre caratterizzato la Chiesa cattolica.

A livello nazionale, so che la vostra Conferenza è dotata di strutture che permettono un buon lavoro collegiale. Questo lavoro, che richiede un ritmo sostenuto di riunioni, o per lo meno di assemblee generali, deve rimanere prima di tutto un lavoro proprio degli stessi Vescovi con l'aiuto eventuale di segretariati che rimangono al loro servizio - al loro posto subordinato - e io dico: di tutti i Vescovi dello Zaïre, soprattutto quando la loro responsabilità pastorale è impegnata in gravi questioni riguardanti la teologia, la liturgia, l'etica familiare, le decisioni in campo scolastico.

Questa responsabilità delle Commissioni episcopali competenti e soprattutto dell'insieme dell'Episcopato permetterà di giungere alle soluzioni di quelle questioni, molto più che non attraverso progetti di esperti elaborati in astratto. Penso anche che, per i grossi problemi ricordati, un accordo con i vicini episcopati d'Africa rappresenti una garanzia supplementare di saggezza e di prudenza, e allo stesso tempo possa preparare pastorali simili o convergenti sullo stesso continente.

Nella dinamica dell'unità, c'è bisogno forse di aggiungere la necessità di porsi nella Chiesa universale, i cui apporti sono chiarificatori per ciascuno, come lo si vede nei Sinodi molto rappresentativi tenuti a Roma? E quando parlo dell'insieme della Chiesa, io penso alle comunità ecclesiali attuali dei diversi Paesi, ma anche a quelle della Chiesa antica, la cui esperienza è insostituibile.

Quanto alla Santa Sede, si potrebbe dire che essa c'è proprio per assicurare l'espressione di tutte queste possibilità di approfondita riflessione, di prospettive a lunga scadenza, di una concertazione più ampia. La sua ottica universale non traduce solamente una preoccupazione di fedeltà e di unità di tutta la Chiesa - di cui il successore di Pietro ha la responsabilità come primo capo -, ma garantisce il valore delle esperienze a beneficio del Paese che le vive, e la piena responsabilità dei Pastori locali. Per questa opera, e in particolare per determinare i criteri di giudizio di queste esperienze, voi sapete che il Papa conta naturalmente sui Dicasteri della Curia, con i quali vi invita sempre a cooperare con fiducia.

Lo studio e la messa in opera dei documenti della Santa Sede sono ancora dei modi per promuovere l'unità d'azione e di pensiero nei campi fondamentali.

Penso per esempio al nuovo Codice di diritto canonico, che ho promulgato dopo un'ampia consultazione di Pastori e di esperti di tutta la Chiesa, o ancora all'esortazione "Familiaris Consortio", in cui ho sviluppato i frutti del Sinodo dei Vescovi.

E' in tali condizioni, cari fratelli, che la Chiesa nello Zaïre potrà con l'aiuto del Signore e in comunione con le altre comunità della Chiesa, tracciare il suo cammino, il cammino di cui ha bisogno, affinché i suoi figli siano evangelizzati in profondità, e possano esprimere la loro fede, il loro culto, la loro vita comunitaria, con le fibre del loro essere e delle loro tradizioni culturali che il cristianesimo avrà aiutato a purificare e ad elevare, come fa per tutte le culture, che esso trascende. E apporteranno nello stesso tempo il loro contributo al multiforme progresso della Chiesa a gloria del Signore.

Portate ai vostri sacerdoti, al catechisti, alle famiglie, ai bambini, ai giovani, ai religiosi e alle religiose, a coloro che sono nella prova, il saluto cordiale del Papa che si ricorda di loro con emozione. E anche la mia benedizione apostolica, che vi imparto con particolare affetto, una grande fiducia e i miei vivi incoraggiamenti a essere quei buoni Pastori di cui parlava san Pietro nella sua lettera. Che lo Spirito Santo vi rafforzi nella sua luce, nella sua forza e nel suo amore!

Data: 1983-04-12 Data estesa: Martedi 12 Aprile 1983

Lettera al Cardinale Joseph Höffner - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per il XXV della "Misereor"

Al mio illustre fratello, Cardinale Joseph Höffner, Presidente della Conferenza episcopale tedesca.


1. In queste settimane di preparazione alla Pasqua, Festa della redenzione e riconciliazione, vi indirizzo, cari fratelli e sorelle, Vescovi e fedeli della Repubblica federale di Germania, una sincera parola di apprezzamento e ringraziamento. Ne è motivo la Campagna quaresimale denominata "Misereor", che voi compite per la venticinquesima volta in questo periodo penitenziale di Pasqua.

Venticinque anni fa avete chiamato "Misereor" questa vostra Campagna.

Nella scelta di questo nome voi esprimete il vostro desiderio di concepire profondamente il vostro contributo allo sviluppo umano, al superamento del bisogno, dell'ingiustizia, della fame e della malattia nel mondo come un'opera della vostra fede e come partecipazione alla infinita misericordia divina, che ci è stata donata in Gesù Cristo. Questo radicamento della vostra opera nella fede e la sua connessione con la tradizione cristiana della Quaresima è stata una scelta indicativa. Essa fu condizione necessaria affinché il vostro aiuto, che trae la sua forza dalla conversione del cuore e dalla riflessione sulla vera dignità dell'uomo, rivelata in Cristo, potesse divenire una testimonianza cristiana di speranza per molti milioni di bisognosi e oppressi.

La venticinquesima Campagna quaresimale "Misereor" coincide con l'apertura dell'Anno Santo straordinario. L'Anno Giubilare della Redenzione, che noi celebriamo in memoria della morte e risurrezione di Cristo avvenute 1950 anni fa, deve essere per tutta la Chiesa un anno di riflessione sulla forza riconciliatrice ed unificante del messaggio cristiano. Deve renderci pronti alla penitenza e alla conversione, a un movimento mondiale volto alla riconciliazione e alla pace.

Quanto più noi ci immergiamo nel mistero della redenzione, nel mistero di Gesù Cristo, della sua incarnazione, della sua morte e risurrezione, tanto più diveniamo consci di quanto infinitamente grande sia la misericordia divina con ogni singolo uomo e con tutta l'umanità. In misura sovrabbondante ricolmati dei doni di Dio, ci sentiamo al tempo stesso sollecitati e invitati a far parte dei suoi doni anche ai nostri fratelli e sorelle. Cristo stesso ci ha insegnato "che l'uomo non soltanto riceve e sperimenta la misericordia di Dio, ma che è pure chiamato a "usar misericordia" verso gli altri; "Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia"" (DM 14).

In numerose occasioni, ma soprattutto nei miei viaggi pastorali, ho potuto convincermi che la vostra offerta quaresimale e il lavoro della vostra opera episcopale di carattere assistenziale "Misereor" ha portato ricchi frutti.

Il vostro servizio fraterno dona a molti uomini un nuovo coraggio di vivere. La vostra solidarietà aiuta le Chiese sorelle a meglio rispondere al compito affidato dal Vangelo.

Congiuntamente a molte altre iniziative quaresimali e opere assistenziali e in stretta collaborazione con il Pontificio Consiglio Co Unum, voi portate un inestimabile contributo affinché più uomini sappiano della dignità donata loro da Dio e possano giungere a nuova speranza e gioia di vivere. Questo serve anche alla giustizia sociale, alla riconciliazione e alla pace e favorisce l'unità fra i popoli e nella Chiesa. Di ciò vorrei ringraziarvi di cuore.

In molti Paesi il bisogno degli uomini è indicibilmente grande e in alcuni luoghi esso cresce di giorno in giorno. Non venite meno dunque alla vostra disponibilità ad assistere chi è debole, affamato, malato e il fratello ferito nella sua dignità. Non venite meno alla vostra disponibilità alla condivisione fraterna, anche quando, nel vostro stesso Paese, difficoltà economiche, disoccupazione e alcune altre necessità vi assillano. Ricordatevi sempre di questo: a chi dà, sarà dato in abbondanza.

Siate perciò sempre aperti alla saggezza e ai valori degli altri popoli.

Lasciatevi rafforzare da loro anche nella vostra fede. Vi prego, lasciamoci interpellare insieme e in ogni tempo dalla misericordia di Dio e annunciamola incessantemente in parole ed opere, ma soprattutto in questo tempo penitenziale di Pasqua e durante l'Anno Santo che comincia ora.

"Misereor super turbam" - "Sento compassione di questa folla" (Mc 8,2).

Possa, colui che una volta ha pronunciato queste parole, dischiuderci il senso profondo della misericordia e aiutarci ad essere degni della sua misericordia.

perciò di cuore imparto a voi, miei fratelli nel servizio episcopale e a tutti i fedeli nella Repubblica federale di Germania, che in passato avete sostenuto la preziosa opera assistenziale "Misereor" mediante la vostra offerta personale e anche ora continuate generosamente a promuoverla, la mia particolare benedizione apostolica.

Data: 1983-04-13 Data estesa: Mercoledi 13 Aprile 1983



A Vescovi italiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Annunciate con gioia questo "Anno di grazia del Signore"




1. "Lo Spirito del Signore è sopra di me..." (Lc 4,18). Le parole del profeta Isaia, che Gesù lesse nella sinagoga di Nazaret annunciandone il compimento nella sua persona, offrono a noi, venerati fratelli, la migliore prospettiva dalla quale cogliere appieno, ancora una volta, il significato e il valore di questo nostro incontro. Noi siamo qui raccolti per confessare con rinnovata fede, a nome dell'intera Chiesa italiana, che Cristo è il Messia annunciato dai profeti, consacrato dall'unzione dello Spirito di Dio, mandato nel mondo dal Padre per instaurare l'era nuova e definitiva della salvezza.

Noi perciò riconosciamo, a nome nostro e dei fedeli affidati alle nostre cure pastorali, che ogni uomo ha bisogno di essere salvato. Lo ammetta o non lo ammetta, ogni essere umano appartiene alla categoria dei poveri, dei ciechi e degli oppressi, di cui parla il testo del profeta. Egli deve infatti fare i conti con la povertà radicale della sua condizione di creatura, stretta fra limiti di ogni sorta; egli deve altresi brancolare fra le dense ombre che ostacolano il cammino sul quale s'affatica la sua intelligenza assetata di verità; egli soprattutto sperimenta i vincoli pesanti d'una fragilità morale, che lo espone ai più umilianti compromessi.

L'uomo è prigioniero del male, lo riconosciamo senza ipocrite tergiversazioni. Al tempo stesso, pero, noi testimoniamo davanti al mondo di oggi l'Evento glorioso che ha segnato la svolta decisiva nella storia dell'umanità: Cristo "messo a morte per i nostri peccati, è stato risuscitato per la nostra giustificazione" (cfr. Rm 4,25). In Cristo Signore, l'uomo è liberato dalle sue molteplici schiavitù ed è ammesso alla gioia della piena riconciliazione con Dio.


2. Questo è il senso profondo di quest'Anno Giubilare: a 1950 anni dal compiersi di quell'Evento che ha ridato al mondo la speranza, era giusto che la Chiesa si ponesse con più intensa adorazione e gratitudine ai piedi del suo Signore, per contemplare il "segno dei chiodi" e la ferita del "costato" (cfr. Jn 20,20 Jn 20,25 Jn 20,27) e riconoscere nel Sangue sgorgato da quelle divine scaturigini il "lavacro" che l'ha "purificata", togliendole ogni "macchia, ruga o alcunché di simile" e rendendola "santa e immacolata" (cfr. Ep 5,26-27).

In fondo ogni Anno Santo porta con sé questa coscienza ravvivata della Redenzione operata da Cristo e il conseguente, acuito desiderio di poter attingere più abbondantemente all'onda purificatrice del Sangue da lui versato sulla Croce.

Lungo la storia, a partire dal primo Anno Santo del 1300, la celebrazione di queste ricorrenze sacre, pur con forme abbastanza diverse fra loro, ha avuto una dimensione costante: quella dell'anelito alla grazia del perdono totale in virtù di una più copiosa applicazione dei meriti del Redentore.

Alla radice di tale anelito v'è una fede vigorosa nell'infinita misericordia, manifestata da Dio sul Calvario mediante il sacrificio dell'Unigenito suo Figlio. E v'è altresi la fiducia nel "ministero della riconciliazione" (2Co 5,18), da Cristo affidato alla sua Chiesa per la rigenerazione spirituale dell'umanità. L'essenza più intima di ogni Anno Santo sta proprio in questo movimento spirituale di fede e di speranza, che fa convergere i fedeli con rinnovato slancio verso Cristo redentore che, mediante la sua Chiesa, continua a sciogliere dai vincoli del peccato quanti ne sono trattenuti prigionieri.


3. Questa sia dunque, venerati fratelli, la vostra prima preoccupazione durante i prossimi mesi: annunciare con gioia alle Comunità che vi sono affidate questo "anno di grazia del Signore" (Lc 4,19). Torni ad echeggiare sulle vostre labbra la parola pronunciata da Cristo nella sinagoga di Nazaret. La nostra generazione ha bisogno di sentirsi ridire, con la forza che viene dallo Spirito, la parola profetica dell'accusa e della promessa, la parola del richiamo e della speranza.

Ha bisogno, in particolare, di sentir proclamare con rinnovato vigore che in Cristo "si è adempiuta la Scrittura" (cfr. Lc 4,21), perché lui è il Salvatore preannunciato negli antichi oracoli ed ansiosamente atteso, magari senza saperlo, da ogni cuore umano oppresso dal peccato.

Non abbiate paura di richiamare gli uomini di oggi alle loro responsabilità morali! Tra i tanti mali, che affliggono il mondo contemporaneo, quello più preoccupante è costituito da un pauroso affievolimento del senso del male. Per alcuni la parola "peccato" è diventata un'espressione vuota, dietro la quale non devono vedersi che meccanismi psicologici devianti, da ricondurre alla normalità mediante un opportuno trattamento terapeutico. Per altri il peccato si riduce all'ingiustizia sociale, frutto delle degenerazioni oppressive del "sistema" ed imputabile pertanto a coloro che contribuiscono alla sua conservazione. Per altri, ancora, il peccato è una realtà inevitabile, dovuta alle non vincibili inclinazioni della natura umana e non ascrivibile perciò al soggetto come personale responsabilità. Vi sono, infine, coloro che, pur ammettendo un genuino concetto di peccato, interpretano in modo arbitrario la legge morale e, distaccandosi dalle indicazioni del Magistero della Chiesa, si allineano pedissequamente alla mentalità permissiva del costume corrente.

La considerazione di questi diversi atteggiamenti rivela quanto sia difficile arrivare a un autentico senso dei peccato, se ci si chiude alla luce che viene dalla Parola di Dio. Quando si poggia unicamente sull'uomo e sulle sue limitate e unilaterali vedute, si raggiungono forme di "liberazione" che finiscono per preparare nuove e spesso più gravi condizioni di schiavitù morale. E' necessario rimettersi in ascolto della Parola con la quale Dio pone dinanzi a noi "la vita e il bene, la morte e il male" e ci invita a "camminare per le sue vie, ad osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme", così da poter giungere alla vita, noi e quanti verranno dopo di noi (cfr. Dt 30,15ss).


4. Nel richiamare le coscienze dei fedeli ad un più vivo senso del peccato, noi dobbiamo altresi proporre loro l'annuncio della misericordia, che Dio ci ha testimoniato nel dono del proprio Figlio. Come non sottolineare, a questo proposito, l'esempio paradigmatico che ci è offerto dalla catechesi di Pietro nei discorsi al popolo di Gerusalemme e ai membri dello stesso Sinedrio? La pericope del Libro degli Atti, ora ascoltata, ci presenta il Capo del Collegio apostolico nell'atto di richiamare i maggiorenti alle loro responsabilità nella morte di Gesù: "Voi l'avete ucciso appendendolo alla croce" (cfr. 5,30). L'imputazione del peccato è senza mezzi termini; ma altrettanto chiaro e immediato è l'annuncio del perdono: "Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore, per dare ad Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati" (Ac 5,31).

In questo Anno Giubilare dobbiamo farci messaggeri particolarmente solleciti dell'impazienza con cui Dio desidera di poter riabbracciare, nel Figlio unigenito, i figli adottivi che si sono allontanati da lui. Ci stimola a ciò l'approssimarsi del Sinodo dei Vescovi, durante il quale la Chiesa si soffermerà a riflettere, appunto, sul tema della Riconciliazione e della Penitenza, nell'intento di esplorare le vie migliori sulle quali farsi incontro all'umanità di oggi, per recare ad essa il dono inestimabile del perdono divino, di cui l'ha fatta ministra il suo Signore risorto (cfr. Jn 20,23).

Ministri della misericordia di Dio, quale sublime missione! E quale servizio improrogabile per un'autentica crescita delle nostre Comunità! Coloro che sanno rientrare in se stessi sentono infatti "la necessità - come ha ben detto il vostro Presidente - di essere perdonati per imparare a perdonare, la necessità di ricuperare la vita divina per essere difensori e promotori della vita in tutte le sue manifestazioni e, infine, la necessità di essere ricondotti nella comunione col Padre per essere costruttori di comunione vera, senza esclusioni di sorta e senza limitazione alcuna".


5. Costruttori di comunione. Il termine evoca il tema intorno al quale s'è affaticata in questi giorni la vostra assemblea: "Eucaristia, comunione, comunità". Sono certo che il testo da voi elaborato raccoglie grande dovizia di dottrina e di esperienza, e confido perciò che le varie componenti ecclesiali potranno trovare in esso stimolanti indicazioni per giungere a celebrare e a vivere in modo sempre più degno il Mistero eucaristico, partecipando al quale si costruisce quella comunione nella carità, che è l'anima della comunità ecclesiale.

Come non riandare col pensiero a quell'intima connessione, spinta fino all'identificazione, che i Padri hanno visto tra il corpo eucaristico e il corpo mistico di Cristo? Tornano alla memoria, con tutta la loro carica di suggestioni teologiche, le ardite espressioni con le quali sant'Agostino si rivolgeva ai suoi cristiani: "Si ergo vos estis corpus Christi et membra, mysterium vestrum in mensa dominica positum est: mysterium vestrum accipitis... Estote quod videtis et accipite quod estis" ("Sermo 272").

Sulla "mensa dominica" si rinnova l'oblazione sacrificale con cui Cristo ci ha redenti. Partecipandovi, i cristiani di tutti i tempi e di tutti i luoghi sanno di impegnarsi a condurre un'esistenza immolata, grazie alla quale potranno giungere, nell'ultimo compimento, al mattino pasquale della risurrezione.

La celebrazione eucaristica è presieduta dal presbitero "in persona Christi", in adempimento del compito affidato agli apostoli nell'ultima Cena: "Hoc facite in meam commemorationem" (Lc 22,19 cfr. 1Co 11,26). Come non riconoscere in ciò il riflesso della struttura gerarchica della Chiesa, edificata da Cristo sul fondamento degli apostoli (cfr. Ep 2,20) e organicamente differenziata in ministeri distinti, pur nell'unità di un medesimo Corpo (cfr. 1Co 12)? Nel banchetto eucaristico il Pane è spezzato e dato, perché tutti se ne nutrano con rendimento di grazie. Sulla scorta di san Paolo (1Co 10,6-7), la Chiesa ha sempre visto in tale mistero di comunione ia sorgente dinamica della sua unità anche esterna, deducendone, come conseguenza, l'impossibilità di perseverare nella condivisione del cibo eucaristico con coloro che avessero infranto la piena compattezza della compagine comunitaria.

E infine, quando Gesù nel Cenacolo annuncia che "non berrà più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrà nuovo nel regno di Dio" (cfr. par.), sottolinea la dimensione escatologica del mistero eucaristico, dimensione che la Chiesa sa bene essere componente essenziale della propria vita durante il presente eone, posto tra il "già" delle promesse compiute e il "non ancora" della realtà definitive. La Chiesa perciò celebra l'Eucaristia fra le alterne vicende di questo mondo che passa (cfr. 1Co 7,31), come "annuncio della morte del Signore, finché egli venga" (cfr. 1Co 11,26), e conforta quanti lungo il cammino, sono "affaticati e oppressi" (Mt 11,28) consegnando loro il "pegno della gloria futura".


6. Anche noi, raccolti stasera in questa Basilica che custodisce le spoglie dell'apostolo Pietro, "spezziamo il Pane" in fraterna comunione di spiriti, proiettando lo sguardo del cuore verso la meta ove già sono giunti i tanti nostri fratelli, e preghiamo il Redentore del mondo perché "si ricordi della sua Chiesa, la liberi da ogni male, la renda perfetta nella carità e la raccolga dai quattro venti nel regno che le ha preparato" (cfr. Didachè 10,5).

Conosciamo la nostra debolezza, ma confessiamo con le parole della Liturgia: "Sei tu, Signore, la forza dei deboli" e non ci abbattiamo per le difficoltà che ostacolano il nostro cammino, ma proclamiamo anzi con invitta costanza: "Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l'uomo che in lui si rifugia" (Salmo responsoriale).

E' questa la testimonianza che vi invito a recare ai vostri fedeli, venerati fratelli della diletta Chiesa italiana. Mai come nell'Anno Santo il popolo cristiano può fare l'esperienza di "quanto sia buono il Signore"! Celebrando l'Eucaristia nelle comunità a voi affidate, richiamate tutti al riconoscimento delle proprie colpe, per poter comunicare a ciascuno la gioia del perdono di Dio e invitarlo ad unirsi agli altri fratelli intorno alla "mensa del Signore", ove nella partecipazione al "pane spezzato" si costruisce la Chiesa di Cristo.

Predicate a tutti questo "anno di grazia del Signore", offrendo ad ogni uomo e donna di buona volontà la possibilità di incontrarsi con Cristo e di scoprire nell'"oggi" della propria esistenza la presenza salvatrice di Colui nel quale si sono adempiute tutte le Scritture. così sia!

Data: 1983-04-14 Data estesa: Giovedi 14 Aprile 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Visita all'Ospedale "Cristo Re" - Roma