GPII 1983 Insegnamenti - Consegna degli anelli ai neo-Cardinali - Città del Vaticano (Roma)

Consegna degli anelli ai neo-Cardinali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Prendete sulle vostre mani quel "segno di contraddizione" che è Cristo




1. Oggi è la festa della Presentazione del Signore al tempio. Presentazione di Gesù, il quale "doveva rendersi in tutto simile ai fratelli" (He 2,17). Proprio per questo egli viene presentato al tempio il quarantesimo giorno dopo la sua nascita a Betlemme, così come ogni primogenito in Israele.

Questa Presentazione così vicina nel tempo alla nascita, simultaneamente porta in sé, in un certo senso, il primo annunzio della morte, come ne scrive l'Autore della lettera agli Ebrei. Gesù divenne simile "ai fratelli" mediante la Presentazione al tempio. E diventerà simile ad essi mediante la morte subita "per ridurre all'impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo" (He 2,14).

La Presentazione al tempio è l'annunzio della morte, ma è anche il primo annunzio della vittoria sulla morte. Ecco, si sta già delineando la prospettiva del mistero pasquale. Ecco, Cristo "si prende cura della stirpe di Adamo" (He 2,16).


2. Egli viene nel tempio gerosolimitano, portato come un bambino sulle mani di Maria e di Giuseppe, il quarantesimo giorno dopo la nascita. E contemporaneamente entra nel tempio come Colui che è stato preannunziato dal profeta Malachia. Come il Signore atteso dall'intero popolo di Dio.

E benché nessuno dei presenti - tranne soltanto Simeone e la profetessa Anna - lo sappia e ne renda testimonianza, tuttavia nel momento della sua venuta dovrebbe risonare il Salmo 23, così come viene proclamato oggi dalla liturgia: "Sollevate, porte, i vostri frontali, / alzatevi, porte antiche, / ed entri il re della gloria. / Chi è questo re della gloria? / Il Signore degli eserciti è il re della gloria" ().

Dovrebbe risonare questo Salmo. E' stato scritto proprio per questo momento. Per questa venuta. Il tempio di Gerusalemme doveva saperlo. Invece il tempio tace, e il Salmo non risuona.

Soltanto Maria e Giuseppe, in conformità con la Legge del Signore, offrono "una coppia di tortore o di giovani colombi": il sacrificio di purificazione. In questo sacrificio vi è l'annunzio di "un'oblazione secondo giustizia" (Ml 3,3), che il popolo di Dio inizierà un giorno ad offrire al Signore proprio per opera di questo bambino che oggi ha quaranta giorni.

Egli, infatti, "doveva rendersi in tutto simile ai fratelli per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo" (He 2,17).

Celebriamo la festa della Presentazione del Signore. In essa è racchiuso il contenuto del Natale, e nello stesso tempo si svela già la prospettiva pasquale.


3. Mentre tace il tempio gerosolimitano, mentre non si fa sentire il Salmo di saluto al Signore degli eserciti e al re della gloria, chiedo a voi, cari fratelli e sorelle, di concentrarvi sulle parole che pronuncio il vecchio Simeone in tale circostanza.

Chiedo in particolare a voi, miei venerabili fratelli che oggi siete venuti per la prima volta alla Basilica di San Pietro come nuovi Cardinali della Santa Chiesa che è a Roma, chiedo in particolare a voi che oggi, nel giorno della vostra elevazione alla dignità cardinalizia, guardiate Gesù nel mistero della sua Presentazione al tempio con gli occhi di Simeone.

Chiedo che - così come lui - prendiate quaranta giorni e che - così come lui -pronunciate con tutta la fede di cui sono pieni i vostri cuori, come lo era il cuore di Simeone: "I miei occhi han visto la tua salvezza, che tu hai preparato davanti a tutti i popoli: luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele" (cfr. Lc 2,30-32).

Si. I miei occhi vedono la tua salvezza. Vedono in te la salvezza dell'uomo e del mondo, Gesù Cristo, nato a Betlemme, Redentore dell'uomo e del mondo! I miei occhi vedono la salvezza in te. Tu sei tutta la speranza della mia vita, così come sei stato la speranza delle generazioni di Israele. Per te ho vissuto fino ad ora, e per te voglio vivere da questo momento in poi. Tu sei la fede, la speranza e l'amore del mio cuore, di tutte le mie opere, aspirazioni e desideri...


4. Vi prego, venerabili e cari fratelli Cardinali, affinché, insieme con Simeone del tempio gerosolimitano, ripetiate questa verità su Gesù Cristo, che da quel giorno non ha mai cessato di essere vera nella storia dell'umanità.

Vi prego di confessare oggi questa verità con una particolare emozione: la verità della Presentazione del Signore: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele segno di contraddizione" (Lc 2,34).

Si. Questa è verità su Gesù Cristo, che non è mai passata in prescrizione: segno a cui contraddiranno. In questo "segno" siete stati chiamati dalla Chiesa romana al vostro ministero cardinalizio. Questo "segno" si manifesta nella tradizione di questa Chiesa apostolica legata al sangue dei martiri. Insieme con questa tradizione esso vi è affidato in modo particolare. E si manifesta perfino nel colore delle vostre vesti.


5. Le parole che racchiudono questa penetrante verità su Gesù Cristo come "segno di contraddizione", il vecchio Simeone le pronuncio nel tempio di Gerusalemme dirigendosi a Maria, sua Madre. E perciò aggiunse, rivolgendosi a lei: "E anche a te una spada trafiggerà l'anima", perché "siano svelati i pensieri di molti cuori" (cfr. Lc 2,35).

Ripetete anche voi, venerabili e cari fratelli, questa verità su Cristo davanti a Maria, sua Madre. Affidate a lei il vostro nuovo ministero nella santa Chiesa romana. E soprattutto a lei, a Maria che va sotto la croce, dite con la sincerità più profonda: che davanti a te, Madre, sempre vengano alla luce i pensieri del mio cuore affinché Dio sia adorato in tutto.


6. Gloria a Dio. Ecco, oggi, nella festa della Presentazione del Signore, la liturgia proclama la gloria di Dio, che riempie il tempio gerosolimitano, quando entra in esso il Signore. "Sollevate, porte, i vostri frontali, / alzatevi, porte antiche, / ed entri il re della gloria" ().

"Ecco viene... Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? egli è come il fuoco del fonditore..." (Ml 3,1-2).

Venerabili e cari fratelli! Auspico di cuore che, mediante la vostra chiamata al nuovo servizio nella Chiesa, si estenda la gloria di Dio su tutta la terra.

Che il tempio si riempia con la presenza di Colui che è la sua eterna attesa, di Colui che è il suo Signore e il suo Sposo. "Luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele" (Lc 2,32).

Amen.

Data: 1983-02-02 Data estesa: Mercoledi 2 Febbraio 1983

Presentazione del nuovo Codice di diritto canonico - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Le leggi sono dono di Dio e la loro osservanza è vera sapienza

Venerati fratelli Cardinali e Vescovi, Eccellentissimi membri del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, Illustri Professori ed Alunni delle Università Pontificie e Facoltà Ecclesiastiche, Carissimi figli e figlie!


1. Ho desiderato grandemente l'incontro di oggi per favorire la solenne presentazione del nuovo Codice di diritto canonico e dar così ufficialmente inizio al cammino, non certo breve, ma - come tutti ci auguriamo - ordinato e spedito, che esso dovrà compiere nella Chiesa, a servizio della Chiesa.

Questa è, dunque, una circostanza importante, perché si pone in linea di corrispondenza, cioè in relazione diretta con l'importanza stessa del Corpus, riveduto ed aggiornato, contenente le norme della legislazione generale canonica.

E vorrei anche aggiungere che tanto più significativa è la circostanza, perché, seguendo al rito religioso di ieri, durante il quale è stato opportunamente integrato il Sacro Collegio dei Cardinali con l'inserimento in esso di diciotto nuovi Porporati, vede qui presenti, felicemente riuniti, numerosi nostri fratelli e insigni Pastori.

A tutti voi, che siete qui convenuti, e con la vostra stessa partecipazione conferite all'odierna assemblea un qualificato valore di rilevanza e di rappresentatività, io desidero esprimere un grazie cordiale che vuol essere, ed è, segno di stima, di considerazione, di comunione, di reciproco conforto nei rispettivi impegni culturali, ecclesiali e sociali. Sia che il vostro lavoro si svolga qui a Roma, presso la Sede di Pietro, sia che esso abbia luogo in regioni vicine o remote, a tutti e a ciascuno di voi mi è caro rivolgere ora un reverente, affettuoso saluto, nella consapevolezza che a Roma, non solo come madre del diritto, ma anche e soprattutto come centro della Chiesa, edificata su Pietro, (cfr. Mt 16,18), nessuno è mai estraneo e lontano, ma tutti - dico tutti - sono come "a casa loro", quasi all'interno di un amato focolare spirituale. "Roma patria communis"!


2. Il diritto nella Chiesa: già sottoscrivendo il 25 gennaio scorso la costituzione apostolica "Sacrae Disciplinae Leges", ho avuto modo di riprendere e di approfondire una riflessione a me consueta intorno a un'espressione, semplice solo in apparenza, nella quale è riassunta la funzione che la legge, in quanto tale, anche nella sua esterna formulazione, ha nella vita della "societas sui generis", fondata da Cristo Signore per continuare nel mondo intero, lungo il corso dei secoli, la sua opera salvifica: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole... insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19-20).

Che cos'è - ci si chiede - il diritto nella Chiesa? Risponde esso alla perenne e universale missione, che queste parole supreme del Vangelo assegnano, nella persona degli Apostoli, proprio alla Chiesa? Si adegua esso alla sua natura genuina di Popolo di Dio in cammino? E perché il diritto nella Chiesa? A che serve?


3. Una prima risposta, al riguardo, può venire dalla considerazione della storia.

Ciò dicendo, non mi riferisco soltanto alla storia ormai bimillenaria della Chiesa, durante la quale, in tanti secoli di indefesso lavoro e di ribadita fedeltà a Cristo, si scopre in essa, tra altri elementi di spicco, l'esistenza di un'ininterrotta tradizione canonica di prestigioso valore dottrinale e culturale, la quale va dalle prime origini dell'era cristiana fino ai nostri giorni, a cui il Codice, testé promulgato, costituisce un nuovo, importante e sapiente capitolo.

No: non solo a questo io guardo; ma, risalendo indietro nel tempo, mi riferisco alla storia dei Popolo di Dio nell'Antico Testamento, allorché il patto d'alleanza del Dio d'Israele si configuro in precise disposizioni culturali e legislative, e l'uomo cui fu affidato il ruolo di mediatore e profeta tra Dio e il suo popolo, cioè Mosè, ne divenne simultaneamente il legislatore. E' proprio da allora, cioè dall'alleanza del Sinai, che appare, per assumere via via progrediente rilievo, il nesso tra "foedus" e "lex".

Notate: già secondo l'antico Israele (e questo varrà ancor più per san Paolo) la grazia di Dio precede la legge e sussiste anche senza di essa (cfr. Ex 20,2 Dt 7,7-9 Ga 3,15-29 Rm 3,28-4,22), tanto da manifestarsi continuamente come perdono delle trasgressioni (cfr. Dt 4,31 Is 1,18 Is 54,8). In ogni caso, pero, permane tra il Signore e Israele il vincolo d'amore, sanzionato dal reciproco impegno di Dio che promette, e del popolo che s'impegna alla fedeltà. Si tratta di un vincolo, che deve trovare espressione nella testimonianza della vita quotidiana, mediante l'osservanza dei comandamenti (cfr. Ex 24,3), da Dio stesso affidati a Mosè perché li trasmettesse al popolo. Da tutto ciò scaturi un tipico modo di vita giuridicamente e liturgicamente ordinata, che diede unità e coesione a quel popolo nella sua comunione con Dio.

Leggi e comandamenti erano considerati munifico dono di Dio, e la loro osservanza vera sapienza (cfr. Si 24); e pur se a tale elevata impostazione corrispose - com'è noto - una serie di infedeltà e tradimenti, non per questo il Signore venne mai meno al suo patto d'amore e per mezzo dei profeti non manco di richiamare il suo popolo al rispetto del medesimo patto e all'osservanza delle leggi (cfr. Os 4,1-6 Jr 2). Ma c'è di più: egli fece anche intravedere la possibilità, anzi l'opportunità e l'urgenza di un'osservanza interiorizzata, annunciando di iscrivere la sua legge nel cuore (cfr. Jr 31,31-34 Ez 36,26-27).

In questo rapporto tra "foedus" e "lex" e, segnatamente, nell'accennata accentuazione della "religione del cuore" era già un'anticipazione dei tempi nuovi, anche questi preannunciati ed ormai maturi secondo il disegno divino.


4. Viene Gesù, il novello Mosè, il mediatore e legislatore supremo (cfr. 1Tm 2,5), ed ecco che l'atmosfera d'improvviso si innalza e purifica. E se proclama nel discorso programmatico della Montagna di "non esser venuto per abolire, ma per dare compimento" all'antica Legge (Mt 5,17), egli, pero, dà subito un'impostazione nuova, o, meglio, infonde uno spirito nuovo ai precetti di essa: "E' stato detto agli antichi..., ma io vi dico" (cfr. Mt 5,21-48). Rivendicando per sé una pienezza di potestà, valida in cielo e in terra (cfr. Mt 28,18), egli la trasmette ai suoi Apostoli. Potestà - si badi - universale e reale, che è in funzione di una legislazione che, come comandamento generale, ha l'amore (cfr. Jn 13,34), del quale egli stesso offre per primo l'esempio nella massima sua dimensione del dare la vita per i fratelli (cfr. Jn 15,13). Ai suoi Apostoli e discepoli chiede l'amore, anzi la permanenza nell'amore, dicendo loro che una tale "permanenza" è condizionata all'osservanza dei suoi precetti (cfr. Jn 15,10). Dopo la sua Ascensione, egli invia loro lo Spirito Santo, e per questo dono la legge - proprio come aveva predetto l'antico profeta (cfr. Jl 3,1-5) - trova il suo sigillo e vigore nel cuore dell'uomo.

Una tale prospettiva vale tuttora per tutti i credenti: mossi dallo Spirito, essi sono in grado di instaurare in se stessi questo nuovo ordine, che Paolo chiama la legge di Cristo (cfr. Ga 6,2): Cristo, cioè, vive nel cuore dei fedeli in una comunione, per la quale ciascuno instaura in se stesso il mistero della carità e dell'obbedienza del Figlio. Riappare così il nesso tra "foedus" e "lex", e i fedeli, congiunti a Cristo nello Spirito, hanno non solo la forza, ma anche la facilità e la gioia di ubbidire ai precetti.

Di tutto ciò troviamo conferma nelle prime Comunità cristiane, costituite in Oriente e in Occidente dagli Apostoli e dai loro immediati discepoli. Ecco, ad esempio, san Paolo che, con l'autorità ricevuta dal Signore, imparte ordini e disposizioni, perché nelle singole Chiese locali tutto avvenga con la necessaria disciplina (cfr. 1Co 11,2 1Co 14,40 Col 2,5).


5. Costruita sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti (cfr. Ep 2,20), la Chiesa di Cristo - la Chiesa della Pasqua e della Pentecoste - inizio presto il suo pellegrinaggio nel mondo; ed è ben naturale che, nel corso dei secoli, esigenze emergenti, necessità pratiche ed esperienze via via maturate nell'esercizio congiunto dell'autorità e dell'obbedienza, in un variare assai differenziato di circostanze, venissero a creare in seno ad essa, come realtà storica e vivente, un complesso di leggi e di norme, che già nel primo Medioevo divenne ampia ed articolata legislazione canonica. A questo riguardo mi sia consentito, fra le tante figure di canonisti e giuristi, meritatamente famosi, nominare almeno il monaco Graziano, l'autore del "Decretum" ("Concordia discordantium canonum"), che Dante colloca nel quarto suo cielo, tra gli spiriti sapienti, in compagnia di sant'Alberto Magno, di san Tommaso d'Aquino e di Pietro Lombardo, esaltandolo perché "l'uno e l'altro foro / aiuto si che piace in paradiso" ("Paradiso" X, 104-105).


6. Ma, omettendo le posteriori vicende fino alla codificazione del 1917, converrà ora passare dalla prospettiva storica a quella propriamente teologica ed ecclesiologica, per ritrovare - sulla scorta di quel che ci ha insegnato il Concilio Vaticano II - le motivazioni più profonde e più vere della legislazione ecclesiastica: al variare delle disposizioni particolari, infatti, fa riscontro l'esigenza, alla Chiesa connaturale, di avere le sue leggi. Ieri come oggi.

Perché? Nella Chiesa di Cristo - ci ha ripetuto il recente Concilio - accanto all'aspetto spirituale e interno c'è quello visibile ed esterno; in essa c'è unità, se è vero com'è vero che è questa una delle fondamentali sue note, ma tale unità lungi dall'escludere si compone e si intreccia con la "diversità delle membra e degli uffici" (cfr. LG 7-8).

In effetti, essa, Popolo di Dio e Corpo di Cristo, non è stata indistintamente fondata soltanto come comunità messianica ed escatologica "soggetta al suo Capo", ma "come compagine visibile" e "costituita e organizzata quale società, è stata edificata sopra la pietra (cfr. Mt 16,18), e dal Signore stesso è stata divinamente arricchita di "doni gerarchici" (cfr. LG 4) e di vari istituti, che sono da considerare effettivamente suoi elementi costitutivi. La Chiesa, insomma, nella sua viva unità è anche struttura visibile con precise funzioni e poteri ("sacra potestas").

Pertanto, benché tutti i fedeli vivano in modo che "comune è la dignità delle membra per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la chiamata alla perfezione, una la salvezza, una la speranza e indivisa la carità", tuttavia questa generale e mistica "eguaglianza" implica la già menzionata "diversità delle membra e degli uffici", sicché "grazie ai mezzi appropriati di unione visibile e sociale" vengono a manifestarsi la divina costituzione e l'organica "diseguaglianza" della Chiesa. Bisogna dire, dunque, che "il Popolo di Dio non soltanto si raccoglie da popoli diversi, ma che al suo interno, altresi, si compone di vari ordini. Difatti, tra le sue membra esiste una diversità a seconda sia degli uffici... sia della condizione e della forma di vita" (LG 32 LG 8 LG 13).


7. E' senz'altro di diritto divino questa "diversità delle membra", e "in effetti la distinzione che il Signore ha posto tra i sacri ministri e il resto del Popolo di Dio" (LG 32), comporta nella Chiesa un duplice e pubblico modo di vivere.

Di qui consegue anche l'altra "diversità": quella "degli uffici" o funzioni sociali, perché "tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio" (Col 2,19): "ché le membra non svolgono tutte la medesima funzione" (Rm 12,4).

Benché, dunque, tutti i fedeli cristiani partecipino dell'ufficio regale, profetico e sacerdotale del Capo, tuttavia i chierici e i laici ricevono distinte funzioni in ordine alla loro sociale attività, funzioni regolate e tutelate per volontà di Cristo dal "sacro diritto" ("ius sacrum"), in modo che si provveda al bene comune di tutta quanta la Chiesa.

Di qui - dico della realtà intima della Chiesa -, secondo quella diversità delle membra e degli uffici, scaturiscono i diritti e i doveri, corrispondenti alle singole persone o agli stessi gruppi, che la Chiesa, peraltro, salvo il diritto divino e nativo, ha avuto cura di regolare emanando leggi e precetti a seconda delle circostanze, cioè secondo la necessità o esigenze dei tempi e del luoghi.

Sappiamo, appunto, che il corpo visibile della Chiesa, soggetto a Cristo suo capo, nel corso dei secoli si è sviluppato dilatandosi in visibili parti integranti, cioè - secondo il linguaggio conciliare - in "più raggruppamenti organicamente collegati, che, senza pregiudizio dell'unica fede e dell'unica divina costituzione della Chiesa" (LG 23), sono a buon diritto chiamati "Chiese particolari", in ciascuna delle quali "realmente è presente e opera l'una, santa, cattolica e apostolica Chiesa di Cristo" (CD 11).


8. Ecco, fratelli carissimi, è da questa mirabile realtà ecclesiale, invisibile e visibile, una e insieme molteplice, che dobbiamo riguardare il "ius sacrum", che vige e opera all'interno della Chiesa: è prospettiva che, evidentemente, trascende quella meramente storico-umana, anche se la conferma e avvalora.

Se la Chiesa-Corpo di Cristo è compagine organizzata, se comprende in sé detta diversità di membra e di funzioni, se "si riproduce" nella molteplicità delle Chiese particolari, allora tanto fitta è in essa la trama delle relazioni che il diritto c'è già, non può non esserci. Parlo del diritto inteso nella sua globalità ed essenzialità, prima ancora delle specificazioni, derivazioni o applicazioni di ordine propriamente canonico. Il diritto, pertanto, non va concepito come un corpo estraneo, né come una superstruttura ormai inutile, né come un residuo di presunte pretese temporalistiche. Connaturale è il diritto alla vita della Chiesa, cui anche di fatto è assai utile: esso è un mezzo, è un ausilio, è anche - in delicate questioni di giustizia - un presidio.

A spiegare il nuovo Libro, che oggi viene presentato, non c'è, dunque, la semplice e, in definitiva, contingente considerazione che son passati ormai tanti anni dal lontano 1917, quando il mio predecessore Benedetto XV di venerabile memoria promulgo il Codice Canonico, rimasto in vigore fino ai nostri giorni. C'è piuttosto e preliminarmente, la ragione che il diritto ha un suo posto nella Chiesa, ha in essa diritto di cittadinanza.

Naturalmente - come negarlo? - resta valida anche l'accennata ragione che da quell'anno tutto un mondo, sia per l'apporto conciliare, sia per il progresso degli studi e anche psicologicamente, è cambiato tanto all'interno quanto al di fuori della Chiesa. C'è stato - giova rilevare - soprattutto il Concilio Vaticano II, che ha introdotto accentuazioni e impostazioni, talora nuove ed innovatrici, in non pochi settori: né solo - come ho detto finora - in quello dell'ecclesiologia, ma anche nel campo della pastorale, nell'ecumenismo e nel ribadito impegno missionario. Chi non sa, ad esempio, che l'attività pastorale viene oggi giustamente concepita secondo una più vasta e incisiva visione che, come è aperta al contributo dei laici, vivamente sollecitato con rigorose motivazioni teologiche, così si avvale di specifici strumenti, quali la psicologia e la sociologia, ed è più saldamente collegata alla liturgia e alla catechesi? E in riferimento all'attività delle Missioni Cattoliche non si è avvertita, forse, quasi un'impressione di felice riscoperta, quando il Concilio ha perentoriamente stabilito: "La Chiesa è per sua natura missionaria" (AGD 2)? Per mancanza di tempo, debbo purtroppo limitarmi a fare solo degli accenni; ma certo è che i postulati conciliari, come le direttive pratiche tracciate al ministero della Chiesa, trovano nel nuovo Codice esatti e puntuali riscontri, a volte perfino verbali. Vorrei solo invitarvi, a titolo di saggio, a mettere in parallelo il capitolo III della "Lumen Gentium" e il libro II del Codex: comune ad entrambi, anzi identico ne è il titolo: "De Populo Dei". Sarà - credetemi - un confronto assai utile, e illuminante risulterà, a chi voglia fare un esame più accurato, la collazione esegetica e critica dei rispettivi paragrafi e canoni.

Per tutte queste ragioni si comprende agevolmente come l'espressione-quesito, da me posto all'inizio, possa ricevere risposta e risposta ampiamente positiva. Il legittimo posto, spettando al diritto nella Chiesa, si conferma e giustifica nella misura in cui esso si adegua e rispecchia la nuova temperie spirituale e pastorale: nel servire la causa della giustizia, il diritto dovrà sempre più e sempre meglio ispirarsi alla legge-comandamento della carità, in esso vivificandosi e vitalizzandosi. Animato dalla carità e ordinato alla giustizia, il diritto vive!


9. Questo è il senso vero della riforma canonica, fratelli, e così va giudicato il nuovo testo, che l'ha attuata. Si è concluso in questi giorni un iter letteralmente generazionale; essendo trascorsi ventiquattro anni esatti dal primo annuncio che l'indimenticabile Papa Giovanni diede della riforma del Codice, unitamente a quello dell'indizione del Concilio.

Quanti ringraziamenti dovrei ora rivolgere? L'ho già fatto nel menzionato Documento di promulgazione; ma mi piace rinnovare pubblicamente questo sentimento, elevando innanzitutto un memore pensiero ai venerati Cardinali Pietro Ciriaci, che inizio l'opera, e Pericle Felici, che ne curo lo svolgimento fino all'anno scorso. Ricordo, poi, i Segretari della Pontificia Commissione, Monsignor Giacomo Violardo, poi Cardinale, e il Padre Raimondo Bigador, della Compagnia di Gesù; ricordo ancora e ringrazio il Pro-Presidente della Commissione, Monsignor Rosalio Castillo Lara e Monsignor Willy Onclin insieme con tutti gli altri componenti della Commissione stessa, Cardinali, Vescovi, officiali, nonché i consultori e gli esperti, che tutti in varia misura, con esemplare "spirito collegiale", hanno tra loro cooperato nel non facile lavoro redazionale fino alla stesura definitiva.

Oggi questo Libro contenente il nuovo Codice, frutto di approfonditi studi, arricchito da tanta vastità di consultazioni e di collaborazioni, io lo presento a voi e, nella vostra persona, lo consegno ufficialmente a tutta quanta la Chiesa, ripetendo a ciascuno l'agostiniano "Tolle, Lege" ("Confessioni" VIII, 12,29; PL 32, 762). Questo nuovo Codice io consegno ai Pastori e ai Fedeli, ai Giudici e agli Officiali dei Tribunali Ecclesiastici, ai Religiosi e alle Religiose, ai Missionari e alle Missionarie, come anche agli studiosi e ai cultori di diritto canonico. Io l'offro con fiducia e speranza alla Chiesa, che si avvia ormai al suo terzo millennio: accanto al Libro contenente gli Atti del Concilio c'è ora il nuovo Codice Canonico, e questo mi sembra un abbinamento ben valido e significativo. Ma sopra, ma prima di questi due Libri è da porre, quale vertice di trascendente eminenza, il Libro eterno della Parola di Dio, di cui centro e cuore è il Vangelo.

Concludendo, vorrei disegnare dinanzi a voi, a indicazione e ricordo, come un ideale triangolo: in alto, c'è la Sacra Scrittura; da un lato, gli Atti del Vaticano II e, dall'altro, il nuovo Codice Canonico. E per risalire ordinatamente, coerentemente da questi due Libri, elaborati dalla Chiesa del secolo XX, fino a quel supremo e indeclinabile vertice, bisognerà passare lungo i lati di un tale triangolo, senza negligenze ed omissioni, rispettando i necessari raccordi: tutto il Magistero - intendo dire - del precedenti Concili Ecumenici e anche (omesse, naturalmente, le norme caduche ed abrogate) quel patrimonio di sapienza giuridica, che alla Chiesa appartiene.

Possa così il Popolo di Dio, aiutato da questi essenziali parametri, procedere sicuro nel suo cammino, testimoniando con la fiducia animosa dei primi Apostoli (Ac 2,29 Ac 28,31 2Co 3,12) Gesù Cristo il Signore e l'eterno messaggio del suo Regno "di giustizia, di amore e di pace" (Praefatio nella Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell'universo).

A tutti la mia benedizione.

Data: 1983-02-03 Data estesa: Giovedi 3 Febbraio 1983



Ai pellegrini del Libano - Al seguito del neo-Cardinale Antoine Pierre Khoraiche


Cari fratelli e sorelle.

Come sono felice di vedere Sua Beatitudine Antoine Pierre Khoraiche, nuovo Cardinale, circondato da sacerdoti, religiosi e fedeli maroniti e da molti compatrioti libanesi! L'importanza dell'avvenimento è stata sottolineata sul piano civile dalla presenza di due delegazioni ufficiali, quella del governo e quella del parlamento.

Si, Beatitudine, la fiducia dei Vescovi maroniti vi aveva designato alla vostra carica patriarcale, che voi assolvete con merito, in condizioni difficili e particolarmente spossanti per tutto il popolo libanese. Il fatto che voi ormai siate Cardinale della Santa Chiesa romana significa, nel rispetto delle tradizioni, della disciplina e delle responsabilità proprie alle vostre comunità orientali, che voi condividete anche la sollecitudine di tutte le Chiese di cui ha la responsabilità, a special titolo, il successore di Pietro al seggio di Roma.

Nella vostra persona, io esprimo alla Chiesa maronita intera il mio affetto e i miei incoraggiamenti ad operare affinché il Vangelo di cui essa possiede la luce, brilli veramente su questa terra del Medio Oriente, con tutto quello che comporta di pietà, di azione pastorale, di spirito di giustizia e di amore fraterno. Questa comunità, di cui voi siete il Padre e il Capo, attende molto da voi, in questo campo, per poter realizzare la sua unità e stimolare il suo dinamismo al servizio di tutta la nazione libanese.

E io saluto tutti gli altri cattolici libanesi, che condividono la medesima responsabilità di testimonianza, e anche i cristiani delle altre confessioni. Saluto infine le altre comunità religiose e tutti i cittadini, affinché tutti coloro che formano il Libano o che vi vivono si consacrino alla pace e alla ricostruzione, superando insieme gli ostacoli e le lentezze.

Da parte mia, io continuo a pensare a voi, a pregare per voi e con voi, e di tutto cuore vi benedico.

Data: 1983-02-03 Data estesa: Giovedi 3 Febbraio 1983

Ai pellegrini francesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Al seguito dei neo-Cardinali Lustiger e de Lubac

Attorno ai cari Cardinali Jean-Marie Lustiger e Henri de Lubac, sono felice di salutare i loro compatrioti e i loro amici. Vedo che sono convenuti qui numerosi, ma ancora più numerosi sono coloro che si uniscono da lontano alla vostra gioia.

Penso a coloro che hanno tratto beneficio del ministero evangelico di Monsignor Lustiger: vecchi studenti del Centro Richelieu, pellegrini della Palestina o di Chartres, parrocchiani di Sainte-Jeanne di Chantal, diocesani di Orléans e di Parigi. E io penso a tutti quelli che, nella Compagnia di Gesù, a Lione, in Francia e ben al di fuori, nell'ascoltare o nel leggere padre de Lubac, o nel conversare con lui, hanno vivamente apprezzato la sua profondità spirituale, teologica e patristica, la sua saggezza, il suo amore per la Chiesa; e voi sapete che io sono uno di questi.

Cari fratelli e sorelle, il vostro affetto, la vostra riconoscenza e la vostra venerazione per questi nuovi membri del Sacro Collegio devono ancora aumentare, e anche la vostra preghiera, affinché essi continuino, con un'accresciuta autorità, a promuovere l'unità, la fedeltà e il dinamismo della Chiesa, in una stretta collaborazione con il successore di Pietro, considerati, lo dicevo ieri, come punti di sicuro riferimento, e in caso di bisogno punti di contraddizione con la loro coraggiosa testimonianza, sempre uomini di vera pace.

Auguro che essi siano di aiuto per i loro compatrioti di Parigi e della Francia intera affinché accolgano sempre più o ritrovino il Dono di Dio, il dono del loro battesimo.

A ciascuno di voi, Eminenze, vadano i miei auguri fraterni e calorosi.

Ringrazio vivamente le personalità e le delegazioni ufficiali che hanno voluto onorarvi della loro presenza a Roma. A tutti, sacerdoti, religiosi e fedeli, ripeto i miei incoraggiamenti e imparto la mia benedizione apostolica.

Data: 1983-02-03 Data estesa: Giovedi 3 Febbraio 1983

Ai pellegrini statunitensi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Al seguito del neo-Cardinale Bernardin

Siete venuti a Roma, cari fratelli e sorelle, da Chicago, da Cincinnati e da altre città, per essere presenti alla cerimonia della elevazione al Collegio dei Cardinali del vostro Ordinario e Pastore, del vostro stimato amico, l'Arcivescovo Joseph Bernardin. Do a tutti il benvenuto oggi nella carità e nella pace del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.

Il mistero che abbiamo celebrato in questi giorni è profondo: è il mistero dell'unità della Chiesa cattolica che si esprime in una dinamica spirituale e in una comunione visibile delle Chiese locali con la Sede di Pietro; è il mistero di quella unità desiderata da Cristo ed esemplificata così bene nella Chiesa apostolica dove "la comunità dei credenti era un cuor solo e un'anima sola" e dove "con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù, e tutti essi godevano di grande stima" (Ac 4,32-33).

Durante il Concistoro di ieri ho già parlato ai nuovi Cardinali, ricordando loro la "grande responsabilità" che ricade su ciascuno di loro. In particolare ho detto loro: "Il popolo di Dio guarda a voi come sicuri punti di riferimento. Presso di voi i fedeli e gli stessi Pastori delle Chiese particolari sparse nel mondo cercano luce e orientamento per vivere più a fondo la comunione con la Sede romana".

E oggi vorrei incoraggiare il generoso sostegno di tutti voi, miei fratelli Vescovi, amati sacerdoti, suore e laici, nella promozione della grande causa dell'unità della Chiesa. Lavorando insieme, professando la fede cattolica nell'unità e nella carità, potremo rendere una potente testimonianza al Signore risorto e offrire un servizio autenticamente cristiano nel suo nome. Oggi la Chiesa di Chicago è legata ancor più strettamente all'apostolo Pietro nella persona del suo successore e, mediante lui, all'unico "Pastore Supremo", nostro Signore Gesù Cristo.

Possa egli, il Pastore Supremo, il Buon Pastore, aver sempre cura del la Chiesa di Chicago e di tutti gli Stati Uniti.

Data: 1983-02-03 Data estesa: Giovedi 3 Febbraio 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Consegna degli anelli ai neo-Cardinali - Città del Vaticano (Roma)