GPII 1983 Insegnamenti - Ai parroci e al clero di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Ai parroci e al clero di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Famiglia e Anno Santo al centro della vita della Chiesa di Roma




1. Pur avendo a disposizione un testo già preparato, non vorrei utilizzarlo, ma "reagire" brevemente alle voci che abbiamo sentito e ai temi che sono stati posti dinanzi a noi.

Parliamo innanzitutto della famiglia. Io porto ancora nei miei occhi e nelle mie orecchie il Sinodo dei Vescovi del 1980, una grande esperienza pastorale nella dimensione della Chiesa universale. Paolo VI disse una volta che per lui partecipare a queste riunioni plenarie del Sinodo contava più di molte letture e di altri atti del pontificato, perché poteva conoscere la Chiesa così come essa vive, la Chiesa nella sua esperienza vissuta. Qui noi abbiamo oggi una circostanza e una opportunità simile: la Chiesa romana, come un'esperienza vissuta, si svela e si dimostra tramite voi, le vostre voci e i vostri interventi. Una grande ricchezza: molte constatazioni, molte domande, molti incoraggiamenti, molte esperienze particolari, molti suggerimenti.

Tutto questo si doveva notare per avere il senso pieno e completo della ricchezza di questo incontro e io devo dire che preferisco questo modo di incontrare il clero di Roma: ascoltandolo. Naturalmente il dovere del Vescovo è anche quello di parlare al clero così come ai fedeli, a tutta la Chiesa. Ma ascoltare vuol dire anche parlare, sia pure in un altro senso, perché nella Chiesa vi è la comunione e la prima realtà della comunione è l'ascolto, come punto di partenza delle proprie parole.

Vi ringrazio per tutte queste osservazioni, domande, suggerimenti. Molti di questi, è vero, sono andati fuori dei due temi previsti, ma tutti appartengono a questa realtà alla quale io sono tanto profondamente legato, cioè alla Chiesa di Roma.


2. Tornando ancora al Sinodo del 1980, voglio riferirmi al documento che scaturi da quel Sinodo, la "Familiaris Consortio". Si deve dire che il problema della famiglia nell'ultimo Sinodo non fu soltanto discusso, studiato, affrontato; esso fu anche in un certo senso sofferto. Questo perché c'è una realtà umana, la famiglia, che da una parte ci affascina con la sua bellezza e con la sua grandezza se si guarda all'ideale, al disegno divino della famiglia che noi dobbiamo predicare e proporre al nostri fratelli e alle nostre sorelle. Dall'altra parte, tale realtà, la famiglia, ci fa soffrire quando si guarda alle diverse esperienze umane, alle varie difficoltà e ai molteplici conflitti. Non vorrei soffermarmi troppo su questo punto, ma vorrei dire solamente che il documento, la "Familiaris Consortio", che è uscito da quel Sinodo, costituisce veramente l'"abc" della pastorale della famiglia, e deve essere assiduamente letto e studiato. Si deve fare una lettura di questo documento. Penso infatti che una efficace pastorale della famiglia, in ogni diocesi, e poi in ogni parrocchia, consista nella sempre più approfondita lettura della "Familiaris Consortio". Lettura non soltanto nel senso meccanico e intellettuale della parola, ma lettura pastorale, lettura tramite un certo compito, il compito pastorale.

Questo compito pastorale è affidato alla Chiesa, è affidato a noi. Per la famiglia, questo compito è affidato a lei stessa, ma con il nostro aiuto: noi dobbiamo aiutare la famiglia ad essere evangelizzatrice di se stessa, apostola di se stessa, catechista di se stessa, guida di se stessa. Il programma fondamentale della pastorale della famiglia è questo: aiutare la famiglia ad essere lei stessa a svolgere quei compiti, a scoprire la sua identità umana e cristiana, a scoprire la sua vocazione. Tutto questo si trova nella "Familiaris Consortio" e noi dobbiamo sempre guardare - ai diversi livelli della Chiesa di Roma, a cominciare dal centri del Vicariato per passare poi alle prefetture, alle parrocchie e alle altre comunità responsabili - noi dobbiamo sempre guardare e seguire la dottrina della "Familiaris Consortio" nella sua integrità: tutti i problemi, tutti i principi morali che vi si trovano, tutta la dottrina dogmatica ed etica che è espressa in questo documento. E poi dobbiamo cercare le strade e i modi per affrontare questi problemi: come affrontarli noi e che cosa fare per rendere la famiglia soggetto attivo di questo apostolato, di questa missione, di questa pastorale.

Certamente - e questa è una idea della "Familiaris Consortio" - l'apostolato della famiglia si fa tramite la famiglia; famiglia per famiglia, ogni famiglia per se stessa e ciascuna per le altre. Il nostro compito è di suscitare tutto questo, evocare questo, assecondare questo. In questo senso noi possiamo salutare i genitori, gli sposi, le comunità familiari a vivere profondamente questo magnifico disegno di Dio sulla famiglia.


3. Sul tema dell'Anno Santo della Redenzione ho ascoltato con grande interesse i diversi interventi. Ho visto che ci sono molte esperienze, molte idee, molti suggerimenti su come vivere l'Anno Santo a Roma. C'è tutta una potenzialità pastorale, una creatività pastorale, che si dimostra tramite le vostre voci e devo dire che ho ascoltato tutti gli interventi con grandissimo interesse; ho imparato molto perché tra i componenti di questa assemblea vi sono persone che hanno vissuto l'Anno Santo del 1933 e anche l'Anno Santo del 1925. Ma noi dobbiamo vivere l'Anno Santo 1983, con l'esperienza del nostro tempo, approfittando delle esperienze passate.

Non vorrei entrare nei particolari - perché per la diocesi di Roma c'è un comitato che si occupa di questi problemi e spero che esso proporrà un programma adeguato -, ma vorrei dire che l'Anno Santo della Redenzione, così come è programmato nei documenti di partenza e particolarmente nella Bolla d'indizione, è visto soprattutto come una realtà ordinaria vissuta in modo straordinario, per la circostanza del "kairos", per la circostanza dell'anno. Penso che il principio deve essere questo: l'Anno Santo deve essere vissuto dal basso, non dall'alto. Non si deve partire dalle grandi celebrazioni papali: si, il Papa serve tutti. Ma l'Anno Santo deve essere vissuto cominciando dalla parrocchia. Questo si è cercato di sottolinearlo nei documenti, nella Bolla, nelle allocuzioni, e io intendo sottolinearlo anche nella lettera ai sacerdoti per il Giovedi Santo. Si deve partire dalla base della parrocchia: la parrocchia deve vivere l'Anno Santo in se stessa, anche se, naturalmente, in relazione con la diocesi, in relazione con la Chiesa di Roma, ma partendo da se stessa, dalla sua propria sostanza.

Non è un progetto straordinario o progetto di una cosa che rimane supplementare; al contrario, deve essere inquadrato nella vita della parrocchia, deve emergere dalla vita della parrocchia e manifestarsi nella sua vita ordinaria.

Così io vedo l'Anno Santo in Roma, celebrato nelle 310 parrocchie, come Anno Santo delle parrocchie. Qui a Roma, naturalmente, abbiamo speciali punti di riferimento: le basiliche, San Pietro, il Papa, la Porta Santa; tutte le ricchezze e tesori che ci provengono dal passato e che appartengono alla realtà dell'Anno Santo. Queste ricchezze avranno la loro propria vita nella Chiesa di Roma, nella diocesi di Roma, se ci saranno tanti Anni Santi, tanti Giubilei, quante sono le parrocchie.

Poi tutte queste parrocchie confluiranno in quei punti di riferimento e così potremo dire che la nostra diocesi, Roma, ha vissuto l'Anno Santo e così vedo l'Anno Santo vissuto in ogni diocesi del mondo.

Se in questo momento io non fossi Vescovo di Roma e fossi Vescovo di Cracovia, cercherei di organizzare così, di realizzare così: passando per le parrocchie. Tante parrocchie, tante celebrazioni o tante esperienze vissute dell'Anno giubilare della Redenzione.


4. Voglio ringraziarvi per l'opportunità che mi avete offerta oggi di incontrarmi con la vostra comunità, con il presbiterio di Roma. Devo sottolineare che per me è molto prezioso ogni incontro con la mia Chiesa, la Chiesa di Roma, con ogni parrocchia di Roma; è preziosa ogni visita pastorale che cerco di compiere quando è possibile, come preziosi sono tutti gli altri incontri e le altre esperienze fatte con i fedeli, con i sacerdoti, con i religiosi e le religiose della diocesi di Roma.

Roma è una diocesi molto ricca e quando la diocesi è ricca, il Vescovo deve essere molto povero per poter affrontare questa ricchezza. Penso che tra tutti i Vescovi del mondo, il più povero deve essere il Papa, perché la sua diocesi è così ricca.

Data: 1983-02-17 Data estesa: Giovedi 17 Febbraio 1983

A Vescovi jugoslavi in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Fedeltà a Cristo, alla Chiesa e al suo magistero

Cari fratelli nell'Episcopato.


1. Dopo essermi intrattenuto separatamente con ognuno di voi nei giorni scorsi e ancor stamane, ora ho la profonda gioia di poter dare un fraterno e cordiale benvenuto a tutti voi insieme, cari Presuli che, essendo in maggioranza croati, costituite in pratica circa la metà dei Vescovi di Jugoslavia e avete cura delle varie diocesi delle Province ecclesiastiche di Zagabria, di Split-Makarska e di Rijeka-Senj, delle arcidiocesi di Belgrado e di Zadar, e della diocesi di Subotica.

Sono lieto di accogliervi. Siete giunti guidati dall'Arcivescovo di Zagabria e Presidente della Conferenza Episcopale Jugoslava, Sua Eminenza il Cardinale Franjo Kuharic, che ho avuto il piacere ci elevare alla dignità cardinalizia il 2 febbraio scorso e che ringrazio vivamente per le sentite parole che ha voluto rivolgermi a nome di tutti.

Nel porgervi il mio fraterno saluto, ho presenti pure i vostri confratelli delle altre diocesi di Jugoslavia, che verranno prossimamente per compiere, come voi fate ora, il dovere di rendere la visita "ad limina Apostolorum" e venerare i sepolcri degli Apostoli Pietro e Paolo. So bene - e l'ho potuto verificare nelle nostre conversazioni di questi giorni - che, più che il senso del dovere, vi spinge il desiderio profondo, che si fa sentito bisogno, di testimoniare e di corroborare anche in questo modo i vincoli di comunione ecclesiale, in forza dei quali "sicut, statuente Domino, sanctus Petrus et ceteri Apostoli unum Collegium apostolicum constituunt, pari ratione Romanus Pontifex, successor Petri et Episcopi, successores Apostolorum, inter se coniunguntur" (cfr. LG 22). Bisogno da voi particolarmente sentito in quanto è anche espressione della fedeltà sincera, a volte eroica, alla Chiesa e all'attaccamento profondo dei fedeli delle vostre diocesi al successore di Pietro. Ad essi, insieme con i sacerdoti, i religiosi e le religiose delle vostre diocesi e dell'intera Jugoslavia va ora il mio pensiero con particolare, paterno affetto.

Il nostro incontro odierno è complemento e culmine degli incontri personali che ho avuto con ognuno di voi, i quali mi hanno offerto la possibilità di conoscere i vostri sforzi per attuare nelle singole diocesi il rinnovamento della Chiesa voluto dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Voi mi avete fatto anche presenti le gioie e le preoccupazioni provate nel vostro lavoro pastorale, i propositi e le speranze per l'avvenire. Molto mi era già noto grazie alle vostre relazioni quinquennali, ma i particolari da voi riferiti direttamente sono stati utili per farmi un'idea più precisa della situazione delle vostre rispettive comunità. Condividendo la vostra sollecitudine pastorale, desidero insieme con voi che le speranze diventino realtà consolatrice di una vita ecclesiale ogni giorno più viva e più conforme ai desideri di Cristo.


2. Le notizie incoraggianti che voi mi avete fornito circa molti aspetti della vita della Chiesa nelle vostre diocesi mi inducono ad elevare un sentimento di lode e di ringraziamento al Signore, datore di ogni bene, per l'abbondanza con cui i suoi doni hanno fruttificato nel gregge a voi affidato, nella traccia del rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II. Non dubito che altrettanto mi potranno dire prossimamente i vostri confratelli. Mi congratulo dunque con voi, venerati e cari fratelli nell'Episcopato, perché è grazie al lavoro per il vostro popolo e alla vostra preghiera che si diffonde in molteplici forme e abbondantemente la pienezza della santità di Cristo (cfr. LG 26).

Così, è anche grazie a voi e all'opera dei sacerdoti - vostri necessari ed immediati collaboratori nel ministero pastorale - che la fede delle vostre popolazioni continua a fare onore alla loro più che millenaria tradizione cristiana: una fede che - radicata saldamente nel cuore dei fedeli - si esprime connaturalmente nelle celebrazioni liturgiche e in altre cerimonie religiose; una fede che è altresi consapevole delle esigenze pratiche che essa comporta e spinge i credenti a conformarvi l'intera vita nelle sue manifestazioni individuali, familiari e sociali; una fede che li rende pure disponibili per contribuire al bene della società civile in cui vivono, in spirito di rispettoso dialogo, di comprensione e di fattivo impegno per il miglior svolgimento della vita sociale, come cittadini esemplari che corrispondono alle esigenze della loro identità cristiana e vogliono sinceramente il superamento delle difficoltà congiunturali di diversa indole, in cui la comunità civile può venire a trovarsi.


3. Con intima soddisfazione ho potuto poi verificare che questa fede attiva è alimentata e sostenuta anche dal grande amore e dalla profonda devozione che i vostri fedeli nutrono verso la Madonna, venerata in tutte le parrocchie e anzitutto in tanti Santuari delle vostre diocesi.

Mi auguro con voi che questi sentimenti di amore e di devozione, che si fanno preghiera riconoscente e fiduciosa alla Madre di Dio e Madre della Chiesa, continuino a manifestarsi pubblicamente mediante la partecipazione fervente alle celebrazioni liturgiche nelle feste della Madonna e ai pellegrinaggi affollati ai suoi santuari, in particolare a quello di Marija Bistrica, che vi accoglierà l'anno prossimo per la celebrazione del Congresso Eucaristico Nazionale; prego anche Maria, Madre di ognuno di noi, perché a detti sentimenti corrispondano sempre i frutti di una vita cristiana autentica e disponibile all'impegno apostolico che spetta ai fedeli.


4. Senza voler né poter ora essere esauriente nel ricordare i motivi di legittima soddisfazione inerenti alla realtà delle vostre comunità, dovrei anche accennare ad alcune delle preoccupazioni che voi, da Pastori zelanti, sentite e che io condivido.

Noi tutti, ed anche i vostri fedeli, siamo consapevoli della necessità che la comunità cristiana possa disporre di un numero sufficiente di sacerdoti, essendo il loro ministero - esercitato in comunione con voi, che assicurate l'unità del presbiterio diocesano - indispensabile per alimentare, sostenere e far progredire la vita dei figli di Dio. Siamo anche consapevoli dell'importantissimo contributo ecclesiale recato da coloro che scelgono una delle numerose forme di vita consacrata, testimoniando così la ricchezza e varietà della vita della Chiesa e procurando oltre alla loro preghiera, un valido aiuto per tante attività di formazione e di animazione cristiana.

Ora, ho appreso con preoccupazione che le vocazioni sacerdotali e religiose sono meno numerose che alcuni anni fa. So che il problema vi assilla e che vi studiate di dargli un'adeguata soluzione: vi incoraggio caldamente a non risparmiare sforzi in questo settore e a stimolare i sacerdoti, le anime consacrate e le famiglie ad assumere la responsabilità vocazionale che spetta loro, senza che nessuno debba considerarsi libero dal dovere di dare il proprio contributo a questo fine. Raccomando a tutti di pregare incessantemente perché il Signore mandi nuovi operai alla sua messe (cfr. Lc 10,2). Vi chiedo anche di presentare gioiosamente ai giovani la vocazione sacerdotale o religiosa come un dono di Dio, una grazia per la persona e per la comunità, senza peraltro nascondere l'esigenza di fedeltà totale e irrevocabile che comporta la libera risposta affermativa alla chiamata divina. Sono certo che molti giovani sapranno rispondere a tale appello.


5. Nutro poi fiducia che le vostre Comunità sapranno far fronte ai molti pericoli che in Jugoslavia, come in quasi tutti i Paesi, si propagano nel nostro tempo nei confronti della fede cristiana. Mi riferisco alla desacralizzazione, al materialismo, al consumismo e all'edonismo, che danno la parvenza di una vita più facile perché più libera, mentre in realtà rendono l'esistenza meno umana, perché meno attenta e meno rispondente alle aspirazioni più profonde dell'uomo. Sono sicuro che la conoscenza della situazione concreta delle vostre diocesi vi permetterà di trovare le soluzioni pastorali più atte per riuscire al superamento di detti pericoli. Vorrei nondimeno suggerirvi la convenienza di promuovere, a mezzo della catechesi dei fanciulli e dei giovani e della cura continua dei fedeli nelle famiglie, nelle parrocchie e nelle altre comunità, una formazione solida ai criteri evangelici, affinché essi impegnino davvero la vita: in particolare, l'apertura allo spirituale e al mistero, la tendenza all'austerità, la disponibilità, la solidarietà fraterna, il perdono.


6. A tale scopo, occorre anche che voi continuiate ad assicurare con generoso impegno il servizio episcopale, massimamente nel garantire che la fede cristiana venga presentata senza ambiguità, poiché i fedeli hanno il diritto e il bisogno di ricevere il messaggio di Cristo nella sua verità e nella sua integrità, in conformità al Magistero della Chiesa. Consapevoli della vostra grave responsabilità, proseguite nella vostra azione intesa a promuovere l'ortodossia dell'insegnamento religioso nei vari centri di formazione ecclesiastica, nei diversi settori dell'attività pastorale, nella predicazione e nelle pubblicazioni.

La fedeltà a Cristo - autore e perfezionatore della fede (cfr. He 12,4) - e al suo messaggio, implica infatti la fedeltà alla Chiesa; e la fedeltà alla Chiesa comporta, a sua volta, la fedeltà al suo Magistero. E questa fedeltà deve essere costantemente assicurata da voi, che avete anche il compito di promuovere l'applicazione corretta delle disposizioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, tenendo conto delle indicazioni apportate dai documenti pontifici posteriori, fra i quali quelli che rappresentano il frutto dei singoli Sinodi dei Vescovi.


7. Sono queste le riflessioni che ho voluto parteciparvi, pensando all'intera comunità cattolica che è in Jugoslavia. Quando ricevero gli altri confratelli della Conferenza Episcopale, mi rivolgero ad essi nella medesima prospettiva. Sono certo che le accoglierete come espressione del mio desiderio e del mio dovere di confermarvi e di incoraggiarvi nell'esercizio del ministero pastorale che vi è stato affidato, affinché "quando apparirà il Supremo Pastore voi riceviate la corona incorruttibile della gloria" (1P 5,4).

Prima di congedarmi da voi, venerati e cari fratelli, vi chiedo di portare a tutti i vostri concittadini il mio saluto cordiale e i miei più fervidi voti di bene.

Insieme con voi benedico tutti i membri delle vostre comunità diocesane, invocando da Dio abbondanti grazie ed assicurandoli del mio sincero e profondo affetto.

Data: 1983-02-18 Data estesa: Venerdi 18 Febbraio 1983

Ai Vescovi del Gabon in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Riaffermate in spirito fraterno i valori morali e spirituali

Cari fratelli nell'Episcopato.


1. Lasciate che vi dica quanto sono felice di ritrovarvi, tutti insieme, in questa casa, dopo l'accoglienza così commovente che mi avete riservato durante il mio breve soggiorno a Libreville. Ancora una volta, voglio ringraziarvi per questo, voi e tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita di questo incontro.

Se non ho potuto visitare ciascuna delle vostre diocesi, ciò che ho intravisto della realtà del Gabon, insieme alle sostanziali informazioni contenute nei vostri rapporti, mi fa sentire vicino alle vostre preoccupazioni pastorali.

Vedo che avete attribuito una grande importanza ai quattro obiettivi che sottolineavo un anno fa: la formazione e la responsabilità dei laici, la pastorale della famiglia, le vocazioni sacerdotali e religiose, la corresponsabilità tra vescovi, e tutto questo nella speranza che il Signore lavori con noi nella misura stessa della disponibilità che noi manifestiamo al suo Spirito. Tutti questi punti devono continuare a suscitare la vostra sollecitudine.


2. Nello spirito della vostra preghiera alle tombe degli Apostoli, voi sapete che questo spirito fraterno è infatti un dato essenziale della vita apostolica tale quale viene descritta negli Atti. E il motto degli Atti degli Apostoli "cor unum et anima una" vivifica gli scritti e l'azione dei primi vescovi: penso a Policarpo di Smirne - che festeggiamo in questi giorni - o al suo contemporaneo: Ignazio di Antiochia. Se volete, questo motto guiderà le mie riflessioni sul futuro della vostra Chiesa E' un fatto che i sacerdoti originari del Paese siano da voi poco numerosi. E' questa una ragione in più per rendere sempre più stretti i legami che vi uniscono ai collaboratori che il Signore vi ha affidato. In molti modi concreti, mostrate loro la vostra accoglienza, come un Padre, la vostra vicinanza, non solamente sul piano delle preoccupazioni pastorali, ma anche su quello dell'amicizia, sia da voi sia nel corso delle visite che fate a coloro che, in posti lontani, possono essere tentati, in certi momenti, dallo scoraggiamento.

Così il vostro stile di vita quotidiana, come le priorità della vostra azione pastorale, discusse e decise insieme, ne risulteranno rinnovate, grazie allo spirito di umile servizio fraterno che guida il vostro ministero apostolico.

Questo clima di amicizia tra sacerdoti e vescovi sarà il miglior cemento della coesione che deve realizzarsi ugualmente in tutti coloro che sono impegnati nell'azione apostolica, siano religiosi o religiose, catechisti, insegnanti, e tutti coloro che partecipano in qualche maniera al compito della Chiesa. Perché è, sicuramente, nell'unità di sentimento e di decisione che si trova la forza di cui la Chiesa del Gabon ha bisogno per affrontare le dure realtà in cui si dibattono gli uomini d'oggi.


3. Tra le difficoltà, penso alla persistenza o anche ad un certo ritorno del paganesimo e all'influenza paralizzante che ha su coloro che sono ancora troppo deboli per lasciarsi guidare, nel loro cuore, dalla grazia di Cristo, sola vera sorgente di libertà. Si potrebbe ugualmente ricordare la difficoltà di vivere nell'unità, al di là dei particolarismi etnici che, a loro modo, ostacolano anche la libertà cristiana e producono giudizi passionali, quando non addirittura la violenza. Penso ancora ad una certa atmosfera laicista nell'insegnamento, dovuta al miraggio di una modernità fittizia, quando essa non è addirittura frutto di un partito preso anti-religioso sistematico, nutrito da interessi egoistici. Ricordo infine la diffusione del materialismo che, avendo come fine solamente l'accumulazione di ricchezze materiali, fa presto a corrompere i cuori e impedisce loro di aprirsi alla generosità propria della fede.


4. Questi diversi problemi, che io qui non posso che abbozzare, troveranno tanto meglio una risposta pastorale adeguata quanto più voi continuerete sulla strada, già tracciata, di una condivisione sempre più grande delle responsabilità tra tutti gli operatori apostolici, e di una gerarchizzazione, stabilita di comune accordo, delle urgenze pastorali al servizio della predicazione della Parola di Dio e della santificazione della vita delle famiglie e degli individui.

Voi stessi, come già vi dicevo a Libreville, tentate di liberarvi dagli incarichi unicamente amministrativi, per consacrarvi a questo fine che è fondamentale. Certo, la gestione dei beni della Chiesa è necessaria per sostenere efficacemente le opere apostoliche; essa è delicata e difficile, stando alle vostre risorse limitate. Ma sforzatevi sempre più di trovare e di formare persone competenti per affidare loro questa gestione, in stretto rapporto con voi così come il diritto della Chiesa invita a scegliere un "economo". così apparirà ancora meglio la preoccupazione fondamentale, l'attività prioritaria del vescovo: l'opera di evangelizzazione.

Si, cari fratelli, dovete, nel contesto attuale, riaffermare senza posa i valori morali e spirituali, e l'Anno Santo della Redenzione sarà una buona occasione. Bisogna educare a questo il popolo cristiano, nella pazienza e nella speranza, perché, mentre noi ricordiamo le esigenze del Vangelo, dobbiamo anche mostrare che esso è una Buona Novella, salvezza per le persone e per la società, e soprattutto dobbiamo sempre dare al popolo cristiano l'assicurazione che, malgrado le sue debolezze e la sua fragilità, può vivere grazie ai doni dello Spirito Santo ricevuti con fede, nel battesimo e negli altri sacramenti, a misura della sua preghiera e della sua carità.

In questa prospettiva, bisogna aiutare innanzitutto gli evangelizzatori a condurre una vita santa: i genitori, gli insegnanti cristiani, i catechisti, per i quali voi avete fatto molti sforzi, gli animatori dei movimenti, e soprattutto i sacerdoti, i fratelli religiosi, le religiose.

Penso, tra questi, alla fedeltà al celibato sacerdotale e religioso, che, benché si riferisca innanzitutto alla responsabilità personale di coloro che si sono liberamente impegnati, è allo stesso tempo una ricchezza che distingue la comunità cristiana tutta intera, alla quale, di conseguenza, incombe il dovere di sostenere coloro che hanno risposto alla chiamata del Signore.


5. Affronto ora un problema che giustamente vi preoccupa: l'educazione.

Grazie ai vostri sforzi, molto spesso assai meritori, la Chiesa offre al Gabon, con le sue scuole, un contributo di pregio per la costruzione del futuro dell'intera nazione. Ho già parlato su questo tema durante il mio viaggio, e particolarmente allo stadio di Libreville. E' importante che sia ben messo in rilievo, agli occhi di tutti, come voi del resto siete impegnati a fare, il carattere proprio di questa opera di Chiesa. Non si tratta solo di ricercare nelle scuole cattoliche un insegnamento profano di qualità. Si tratta di una scelta con la quale le famiglie si impegnano a far maturare i propri figli nello spirito cristiano, sicuri che essi vi attingeranno per il domani un'energia spirituale capitale per il loro proprio arricchimento, per le loro responsabilità e il loro servizio agli altri. Sottolineo volentieri la fondatezza della vostra azione volta a fare in modo che i maestri di questo insegnamento siano i primi ad essere convinti della grandezza della loro missione e si impegnino, dopo un'adeguata formazione, a rinnovarsi senza posa sia sul piano spirituale che su quello professionale. Con voi, io invito ugualmente i giovani ad abbracciare generosamente e con competenza una eventuale carriera di insegnamento. Rinunciando a professioni forse più renumerative, essi otterranno la gioia di realizzare una vocazione autentica, pienamente umana e cristiana. Infine, voglio incoraggiare i sacerdoti e le religiose che lavorano per portare a tutti questi maestri il sostegno spirituale e pedagogico di cui hanno bisogno. La scuola cattolica deve apparire chiaramente come una responsabilità comune dell'intera Chiesa. Il frutto principale di un'educazione autenticamente cristiana è evidentemente di elevare il livello morale e spirituale degli adulti, che i vostri allievi saranno in futuro. Questo è particolarmente rilevante nell'ambito della famiglia. Gli allievi devono poter contare sull'esempio della vita familiare dei loro maestri, e apprezzare attraverso il loro insegnamento e il loro comportamento i benefici che arreca la realizzazione dell'ideale cristiano del matrimonio e della famiglia. In particolare, questi maestri non devono temere, davanti alle diverse sollecitazioni dell'opinione pubblica nel campo dei costumi, di dare una formazione sull'amore umano chiara e autentica, per permettere ai giovani di costituirsi un giudizio morale sano e di acquisire una padronanza di sé insieme esigente e costruttiva.

Infine, c'è bisogno di sottolinearlo, la vostra responsabilità pastorale nei confronti dei giovani non si limita alla scuola cattolica. Si estende alla catechesi dei bambini cristiani che frequentano le scuole primarie e i licei di Stato, senza dimenticare la riflessione cristiana che deve essere offerta agli studenti dell'università. Non si tratta solamente della formazione dottrinale, ma della loro partecipazione attiva alla liturgia, e ad un'azione cristiana, in particolare all'interno dei movimenti. Vi ricordate di quello che dicevo a questi giovani nello stadio di Libreville. La Chiesa deve assumere per ciascuno di essi il volto concreto di una comunità cristiana calorosa e formativa, nel quadro della parrocchia, presso gli assistenti spirituali o nei movimenti.


6. Non voglio dilungarmi, in questo incontro, su altri temi di cui ho già parlato durante la mia visita in Gabon. Ma vorrei almeno assicurarvi dell'interesse che ho nei confronti del vostro lavoro pastorale. Il mio più caro augurio per voi è che continuiate a trovare presso i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i catechisti e tutti i membri della Chiesa in Gabon un sostegno unanime e cordiale. Dite loro il mio buon ricordo, il mio affetto, la fiducia che ripongo in loro. Possiate voi tutti insieme rendere grazie a Dio, particolarmente nelle assemblee eucaristiche, del fatto che formate il Corpo di Cristo che ogni giorno di più si ingrandisce nel Gabon, così come nelle altre Chiese particolari.

E' a Cristo, nostro Redentore, sorgente della nostra forza e della nostra gioia, che io domando di benedirvi, voi e tutti coloro il cui ricordo è presente nel vostro cuore di Pastori!

Data: 1983-02-19 Data estesa: Sabato 19 Febbraio 1983

Omelia nella Parrocchia di Santa Maria della Mercede - Roma

Titolo: Con lo spirito di sacrificio evitiamo alle tentazioni di prevalere

Cari fratelli e sorelle!


1. Abbiamo iniziato la Quaresima per seguire l'esempio di Cristo che all'inizio della sua attività messianica in Israele "per quaranta giorni fu tentato dal diavolo", e "non mangio nulla in quei giorni" (Lc 4,


1.2). Ce lo dice l'evangelista Luca nell'odierna prima domenica di Quaresima, il quale dopo aver detto che Cristo "fu tentato dal diavolo", descrive poi dettagliatamente questa tentazione.

Ci troviamo dinanzi a un avvenimento che ci tocca profondamente. La tentazione di Gesù nel deserto ha costituito per molti uomini - per i santi, per i teologi, per gli scrittori e per gli artisti - un tema fecondo di riflessione e di creatività. così profondo è il contenuto di questo avvenimento! Esso dice tanto di Cristo: il Figlio di Dio che si è fatto vero uomo. Dà tanto da meditare ad ogni uomo.


2. La descrizione della tentazione di Gesù, che rileggiamo in questa domenica di Quaresima, ha una sua particolare eloquenza. Infatti in questo periodo, ancor più che in qualsiasi altro, l'uomo deve rendersi consapevole che la sua vita scorre nel mondo tra il bene e il male. La tentazione non è altro che l'indirizzare verso il male tutto ciò di cui l'uomo può e deve fare buon uso.

Se egli ne fa cattivo uso, lo fa perché cede alla triplice concupiscenza: concupiscenza degli occhi, concupiscenza della carne e superbia della vita. La concupiscenza, in un certo senso, deforma il bene che l'uomo trova in sé e intorno a sé, e falsa il suo cuore. Il bene distorto in questo modo, perde il suo senso salvifico, e invece di condurre l'uomo a Dio, si trasforma in strumento di soddisfazione dei sensi e di vanagloria.

Non si intende sottoporre qui a un'analisi particolareggiata la descrizione della tentazione di Cristo, ma richiamare l'attenzione sul dovere che ognuno la mediti convenientemente. Conviene soprattutto nel periodo di Quaresima che ognuno entri in se stesso e riconosca come questa tentazione venga specificamente da lui percepita. E impari da Cristo a superarla.


3. La tentazione ci distoglie da Dio, e ci indirizza in modo disordinato a noi stessi e al mondo. E perciò, insieme con la lettura del Vangelo odierno, cerchiamo pure di comprendere le altre letture della liturgia odierna.

La prima lettura del libro del Deuteronomio invita ad offrire a Dio in sacrificio le primizie dei frutti del suolo. Se la tentazione ci indirizza in modo disordinato verso noi stessi e il mondo, occorre che noi superiamo questo modo disordinato proprio col sacrificio. Coltivando il sacrificio, o meglio, lo spirito di sacrificio, non permettiamo alle tentazioni di prevalere nel nostro cuore, ma manteniamo questo nostro cuore in clima di interiorità e di ordine.


4. Il salmo responsoriale ci insegna ia fiducia in Dio e a rimetterci alla sua santa Provvidenza. Si tratta di quel meraviglioso salmo 90(91), che è bene conoscere e, a volte, pregare con le sue parole: "Tu che abiti al riparo dell'Altissimo e dimori all'ombra dell'Onnipotente, di' al Signore: "Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido"" (). così dice l'uomo.

E Dio risponde: "Lo salvero, perché a me si è affidato; lo esaltero, perché ha conosciuto il mio nome. Mi invocherà e gli daro risposta; presso di lui saro nella sventura, lo salvero e lo rendero glorioso" ().

Sembrano dire le letture dell'odierna Liturgia: se non vuoi cedere alle tentazioni, se non vuoi lasciarti guidare da esse verso le vie sbagliate, sii uomo di preghiera! Abbi fiducia in Dio, e manifestala nella preghiera.


5. E poi ancora dice a noi questa odierna Liturgia quaresimale: Sii uomo di profonda e viva fede! Ecco le parole della lettera di san Paolo ai Romani: "Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore; cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza" (Rm 10,8-10).

E quindi sii uomo di fede! Soprattutto adesso, nel periodo di Quaresima, rinnova la tua fede in Gesù Cristo: Crocefisso e Risorto. Medita l'insegnamento della fede! Medita le sue verità divine! E soprattutto: penetra con la fede il tuo cuore, e la tua vita ("con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia").

Professa questa fede con la mente e con il cuore: con la parola e con le opere ("la professione di fede conduce alla salvezza").


6. Alla luce di questi pensieri, attinti dalla liturgia della prima domenica di Quaresima, desidero oggi incontrarmi spiritualmente con la vostra parrocchia di Santa Maria della Mercede e Sant'Adriano Martire.

Sono lieto di salutare non solo tutti voi qui presenti, ma anche coloro che sono stati trattenuti a casa per motivi di salute o per altri impegni.

Una menzione particolare va al Cardinale Poletti, al Vescovo Monsignor Alessandro Plotti, al Parroco Padre Pasquale Barontini, ai sacerdoti suoi collaboratori e a tutti i Padri Mercedari della Provincia romana, che si sono impegnati ad assicurare la cura pastorale in questa Parrocchia di Santa Maria della Mercede e Sant'Adriano Martire, quest'ultimo già venerato a Roma per lunghi anni in una storica Chiesa a lui dedicata nel Foro Romano.

Saluto poi i membri delle varie Congregazioni religiose maschili e femminili, che hanno sede nell'ambito della Parrocchia, come pure gli appartenenti alle Associazioni, al Movimenti e ai Gruppi che si adoperano per animare cristianamente l'ambiente dei giovani e degli adulti, favorendone una formazione interiore sempre più profonda e matura. Tra questi ricordo, in particolare, la Comunità di Maria, le due Comunità neo-catecumenali, gli Scouts, il Gruppo adulti di Azione cattolica, il Terz'Ordine Mercedario, la Legio Mariae, il Gruppo Vangelo, i volontari e le volontarie di San Vincenzo e il Consiglio pastorale.

Una parola speciale di saluto vorrei far giungere a coloro che si sentissero spiritualmente lontani dalla Comunità parrocchiale per indifferenza o per un certo individualismo. Sappiano essi che è mio vivo desiderio, come del resto di tutti i Sacerdoti della Parrocchia, aprire con loro un amichevole dialogo che possa consentire una migliore conoscenza reciproca e un discorso approfondito, su Gesù di Nazaret e sul suo Vangelo.


7. "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4).

Cari fratelli e sorelle! Ritornate, a volte, con la mente su queste parole dell'odierno Vangelo: sia nel periodo di Quaresima, sia pure in tutta la vita! Infatti dobbiamo pregare ogni giorno per il pane quotidiano. Ma allo stesso tempo dobbiamo vivere per l'eternità.

Amen.

(Durante l'incontro con i giovani della Parrocchia, ha detto loro:) Voglio soprattutto ringraziare per questo bellissimo discorso fatto a noi tutti da una delle vostre amiche. Condivido pienamente le idee espresse in questo discorso, esse sono certamente rappresentative di tutti voi. I giovani si trovano nella ricerca del bene ma - come abbiamo sentito nella liturgia odierna - tutti coloro che si trovano nella cerchia del bene sono sottoposti alle tentazioni. Ci troviamo infatti tra il bene e il male. Si deve vincere il male e - dice l'Apostolo - si deve vincere il male con il bene: questo è il programma che vi lascio, per ogni giorno, per ogni settimana, per la vostra vita in casa, in famiglia; per la vostra vita nella scuola, per la vostra vita nei diversi ambienti e per la vostra vita in questa parrocchia, in questa chiesa in cui siete presenti.

Anzi, voi siete questa chiesa.

Ecco, vi lascio questa consegna; vincere il male con il bene. Imparate bene questo. Tutto il cristianesimo, tutto il Vangelo ha questo programma e si costruisce con questo programma. Possiamo dire che la Quaresima è una sfida speciale in quel senso: imparare.

Imparare, giorno per giorno, nelle cose piccole e poi nelle grandi (ma le cose piccole sono anche grandi), imparare a vincere il male con il bene. Questo ci ha insegnato Cristo con il suo esempio e specialmente con l'esempio che abbiamo ascoltato con profonda commozione nella liturgia di oggi.

Vi auguro di vivere bene questa Quaresima, vi auguro di profittare bene di questa Quaresima. E' un periodo specifico, che si dice "forte".

Prima si diceva "forte" anche per le pratiche esterne, della penitenza, specialmente del digiuno; oggi queste pratiche sono più ridotte per le diverse circostanze e poi anche perché sono state più adattate a ciascuno di noi: si deve digiunare durante la Quaresima secondo le proprie possibilità, e dovrei dire, di propria iniziativa. Deve contare di più un certo spirito di sacrificio personale piuttosto che un certo comandamento della Chiesa. La Chiesa ci lascia più liberi ma, se in queste pratiche ci lascia più liberi, ci impegna di più nello spirito della Quaresima e questo spirito della Quaresima tocca tutta la nostra vita umana, la nostra vita quotidiana. Ogni giorno dobbiamo vincere il male con il bene: queste vittorie costituiscono la vera Quaresima, queste vittorie ci preparano al mistero pasquale di Cristo. Il mistero pasquale di Cristo era appunto una grande vittoria, una vittoria assoluta, sul male fino alla morte. Ogni male, inclusa la morte, è stato vinto da Cristo. Da Cristo tentato, da Cristo crocifisso.

Ecco il grande programma: Cristo. Il grande programma della vita cristiana, il grande programma della Quaresima: Cristo. Cerchiamo di imparare Cristo in questo suo mistero pasquale, di impararlo meglio durante questa Quaresima; di uscire da questi quaranta giorni più spiritualmente maturi, più spiritualmente ricchi, più cristiani. E, così, potremo anche trasformare il mondo.

Perché, carissimi, il mondo non si trasforma con gli slogans, non si trasforma con le sole parole.

Naturalmente, c'è la Parola di Dio che guida la trasformazione del mondo, ma infine il mondo si trasforma con le opere e con quello che è l'uomo: la trasformazione del mondo la compie l'uomo maturo, il cristiano maturo, il santo. E così, con ogni persona spiritualmente matura, con ogni cristiano maturo, con ogni santo il mondo viene trasformato. Se mancano questi - i santi, i cristiani maturi - il mondo non si trasformerà, non lo trasformeranno le sole strutture esterne, i sistemi e neanche le ideologie. Questo è il nucleo stesso del Vangelo, e io vi trasmetto questo nucleo nella prima domenica di Quaresima invitandovi a riflettere su questo e a operare su questa linea.

Data: 1983-02-20 Data estesa: Domenica 20 Febbraio 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Ai parroci e al clero di Roma - Città del Vaticano (Roma)