GPII 1983 Insegnamenti - A oltre cinquemila studenti italiani - Città del Vaticano (Roma)

A oltre cinquemila studenti italiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La parabola del figlio prodigo invita alla meditazione quaresimale

Carissimi! Con gioia e affetto grande vi saluto oggi, nella Basilica Vaticana, in questa udienza a voi riservata, giovani e ragazzi, unitamente ai vostri superiori, insegnanti e genitori. Vi ringrazio di cuore per la vostra presenza, che è segno di viva fede. E' sempre una grande festa il trovarsi con la gioventù ed è per me un particolare conforto vedere la vostra vivacità e la vostra buona volontà: mantenete sempre così puri i vostri occhi e generosi i vostri animi! Questo desidera il Papa e questo vi augura! In modo speciale desidero salutare i docenti e gli alunni delle due scuole del Trentesimo circolo di Roma: quella elementare "XXI Aprile", da me visitata durante l'incontro pastorale con la parrocchia di San Giuseppe al Forte Boccea, e quella elementare di Via Sorriso, che si è voluta intitolare al mio nome. Grazie per questa gentile iniziativa, che dimostra la vostra sensibilità verso la Chiesa e il suo Capo visibile.


2. La maggior parte di voi è venuta a Roma per visitare la "Città Eterna": siete giunti in pellegrinaggio nella Basilica Vaticana, sulla tomba di san Pietro, nel periodo quaresimale, che ci prepara alla solennità della Pasqua. Mi preme lasciarvi un breve pensiero tratto dalla parabola del figlio prodigo, meditata nella Liturgia della scorsa quarta domenica di Quaresima. In essa, Gesù mette in evidenza tre tipi di esperienze, che sono sempre attuali.

La prima esperienza descritta da Gesù è quella dell'"autonomia", cioè di quella volontà di pensare e di agire come pare e piace, senza obbedire a nessuna autorità, nemmeno a quella della propria coscienza illuminata e formata. E' ciò che vuol fare il figlio prodigo: vuole i beni che gli spettano, vuole andarsene di casa, per seguire le sue passioni. Ma dove lo porta questo atteggiamento? Alla solitudine e all'amarezza! Ecco, cari ragazzi, la prima esortazione che, in nome di Gesù, voglio farvi: non lasciatevi sedurre e trascinare dalla tentazione dell'autonomia intellettuale e morale! Il Signore ha dato all'uomo l'intelligenza per conoscerlo, amarlo, servirlo e la volontà per mettere in pratica la legge morale: in questo sta la vera felicità! Studiate a fondo la dottrina cristiana per giungere a ferme e stabili convinzioni; fortificate la vostra volontà con i mezzi della "grazia", cioè la preghiera e i sacramenti, e dell'ascetica, per temprare il carattere e prepararvi alla lotta contro il male! L'esperienza del figlio prodigo, narrata da Gesù, vi sia sempre di ammonimento e di ammaestramento! La seconda esperienza descritta da Gesù è quella della "nostalgia" e del "pentimento". Il figlio prodigo ad un certo momento rientra in se stesso, capisce di aver sbagliato: ha abbandonato la casa, il padre, la gioia dei veri affetti e della vera amicizia, la pace della coscienza pura e innocente; ne risente la nostalgia, e si pente; ha il coraggio di riconoscere l'errore; sa di doversi convertire e riscopre la fiducia in suo Padre, anche se non merita più di esserne ritenuto figlio: "Mi levero e andro da mio padre e gli diro: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te!". Con questa scena, Gesù vuole insegnarci che se, per disgrazia, qualcuno avesse anche tradito la verità e l'innocenza, fuggendo dalla casa del Padre, non deve mai disperare dell'amore di Dio, deve pentirsi al più presto e convertirsi. Dio vuole la salvezza e la felicità di tutti gli uomini! Questo deve darci grande sicurezza e fiducia, sempre! Finalmente, la terza esperienza è quella della "misericordia" e del "perdono". "Quando era ancora lontano - dice la parabola - il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si getto al collo e lo bacio... E disse ai servi: presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato" (cfr. Lc 15,20ss). Con queste espressioni, Gesù indica l'immenso amore di Dio "ricco di misericordia" verso le sue creature, e ci stimola alla confidenza, alla fiducia, all'abbandono all'amore misericordioso del Padre, che vuole la risposta del nostro amore, espresso anche con il pentimento e la conversione. Non dimenticatelo mai e nell'avvicinarsi della Pasqua, in questo Anno Santo, che tra poco inizierà, siate anche voi i testimoni e gli apostoli della misericordia di Dio nei vostri ambienti, nelle vostre famiglie e parrocchie.

La Vergine santissima vi protegga e vi accompagni la mia benedizione.

Data: 1983-03-16 Data estesa: Mercoledi 16 Marzo 1983



Messa per gli universitari - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: In Gesù è Dio a lottare con l'uomo perché accetti la rivelazione

Cari fratelli e sorelle!


1. Ci troviamo ormai al centro stesso della Quaresima 1983. Tra pochi giorni inizierà il Giubileo straordinario dell'Anno Santo della Redenzione. In questo momento la vostra presenza nella Basilica di San Pietro assume una eloquenza particolare. A tutti porgo cordialmente il mio saluto: sono grato all'Onorevole Franca Falcucci, Ministro della Pubblica Istruzione, per la sua presenza; saluto i Rettori delle varie Università italiane; saluto i professori provenienti in gran parte da Roma, ma anche da Milano, da Pavia e da Brescia.

Saluto voi tutti cari studenti, esprimendovi la mia sincera gioia di trovarmi con voi. I nostri incontri nel corso della Quaresima - così come quelli nel corso dell'Avvento - sono diventati già una prassi annuale. Desideriamo in questo modo rispondere all'invito, che questo tempo liturgico ci indirizza a partire dal primo giorno - cioè dal Mercoledi delle Ceneri.

Proprio in quel giorno, nel momento della imposizione delle ceneri, abbiamo ascoltato le parole: "Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai" (cfr. Gn 3,19) - ma pure le altre parole: "Convertitevi e credete al Vangelo (Mc 1,15). Queste ultime parole in un certo senso completano il severo significato delle prime. Vivendo nella prospettiva del termine terrestre, dobbiamo utilizzare bene il tempo donato a noi. E la buona utilizzazione del tempo si manifesta in tutto ciò che serve all'opera della conversione. Sempre dobbiamo convertirci di nuovo, e sempre di nuovo dobbiamo "credere al Vangelo". Questo comporta la necessità di una continua catechesi. La Quaresima è proprio il periodo di una catechesi particolarmente intensiva. Il nostro incontro in questo tempo lo deve manifestare.


2. Nella catechesi quaresimale facciamo riferimento alle letture bibliche della liturgia quotidiana. Oggi le parole del Vangelo secondo Giovanni ci introducono in uno dei momenti di quella disputa, che Cristo condusse con i suoi contemporanei sulla autenticità della propria missione messianica. L'azione si svolge sullo sfondo della guarigione di uno zoppo nei pressi della piscina di Betzata. Questa guarigione, compiuta in giorno di sabato, suscito una reazione da parte degli osservanti della Legge mosaica. Gesù difende la giustezza del suo operato, sostenendo che in ciò si manifesta la potenza di Dio stesso, la quale non può essere limitata dalla lettera della Legge. Proprio questa potenza di Dio stesso rende testimonianza a Cristo.

"Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera; ma c'è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace" (Jn 5,31-32).

Dio Padre dà testimonianza a Cristo. Una conferma dell'autenticità della sua missione messianica sono i segni, come questo appena fatto, che possono essere compiuti soltanto con la potenza di Dio.

Questo giudizio di Dio stesso su Cristo ha trovato un'eco fedele nella testimonianza data su di lui da Giovanni Battista nei pressi del Giordano: Cristo lo ricorda ai suoi ascoltatori, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse un profeta. Tuttavia aggiunge: "Io pero ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me" (Jn 5,36-37).


3. Ci troviamo nel centro stesso di quella disputa, che Gesù di Nazaret conduce con i suoi contemporanei, rappresentanti di Israele. Proprio essi, più di qualsiasi altro, potevano riconoscere in Cristo la testimonianza di Dio stesso.

Infatti, erano a ciò particolarmente preparati. Cristo dice: "Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza. Ma voi non volete venire a me per avere la vita" (Jn 5,39-40).

Non volete... La controversia, che Cristo svolge con i suoi contemporanei in Israele, riguarda la promessa che quel popolo eletto aveva ricevuto nell'antica alleanza: Cristo viene come compimento di quella Promessa. Ed ecco, non vogliono accoglierlo. Quindi, egli disputa con essi, richiamandosi all'autorità che per essi era la più grande: Mosè. Dice: "Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me, perché di me egli ha scritto" (Jn 5,46). E perciò aggiunge: "Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c'è già chi vi accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza" (Jn 5,45).

Così, dunque, si svolge una sorta di lite. Essa ha in un certo senso le caratteristiche di un processo giudiziario. Cristo si richiama ai testimoni.

Testimone è Mosè e tutto il Vecchio Testamento fino a Giovanni Battista. Testimone è la Scrittura e testimone è tutta l'attesa del Popolo eletto. Ma, soprattutto, testimone sono le "opere" che Cristo compie per intervento del Padre. Dinanzi a questa testimonianza, i testimoni dell'antica alleanza, e soprattutto Mosè, assumono ancora un nuovo carattere: si prestano nel ruolo di accusatori. Sembrano dire: perché non accogliete Gesù di Nazaret, dato che tutto indica che proprio egli è Colui che Dio ha mandato conformemente alla Promessa? Con questa domanda, quei testimoni sembrano pero non soltanto chiedere, ma addirittura accusare!


4. Su che cosa, tuttavia, si svolge questa lite? Soltanto sulla soggettiva autenticità della missione di Gesù di Nazaret come Messia promesso? Indubbiamente si. Pero la controversia va più in profondità e la liturgia odierna pure ce lo dimostra. La controversia giunge più a fondo, e riguarda lo stesso contenuto messianico della missione di Cristo. Si tratta qui di quel contenuto, in cui si manifesta la Verità sostanziale della Rivelazione. Infatti, la parola essenziale della Rivelazione è Dio nella sua stessa Verità Divina. "Rivelazione" vuol dire che Dio parla agli uomini di se stesso. Che comunica se stesso, in modo ovviamente accessibile agli uomini, adattandosi alle loro possibilità e facoltà conoscitive.

Ma: comunica se stesso. E vuole che l'uomo lo accolga tale quale egli è. Che pensi a lui come a Colui che egli - Dio - è veramente!


5. E proprio su questa Verità della storia della Rivelazione si svolge la controversia. La liturgia odierna ci incammina innanzitutto sulle orme particolari di questa lite già nell'antica alleanza. Ecco il momento importante: il momento in cui Mosè è stato chiamato dinanzi alla Maestà Divina per ricevere i Comandamenti.

Nel Decalogo, Dio si presenta al Popolo eletto come Signore e Legislatore, sollecito per tutto ciò di cui è composta la vita e la condotta di Israele. La Legge Divina dei Comandamenti manifesta la volontà di Dio e, allo stesso tempo, lo scopo di assicurare i fondamentali beni dell'uomo e della comunità umana. Li rileggiamo dopo tanti secoli, e sempre arriviamo alla stessa conclusione. Il Legislatore si manifesta nella sua Legge come il sollecito Signore, Pastore e Padre del suo Popolo.

E, proprio in questo momento sublime, il Popolo stordito per l'assenza di Mosè, lasciato a se stesso, commette il peccato di idolatria. Al posto del Dio invisibile... "si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: Ecco il tuo Dio, Israele; colui che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto" (Ex 32,8). La lettura del Libro dell'Esodo è piena di una tensione drammatica. Ci troviamo al limite dell'elezione e del rifiuto da parte del popolo eletto. Soprattutto, pero, siamo testimoni di come il Dio della Redenzione combatte con la limitatezza degli uomini, che al posto dell'Invisibile Signore e Padre, Pastore e Legislatore, mettono un'altra divinità e sono pronti a renderle adorazione. Al posto dell'Assoluto spirituale - che è Fonte dell'esistenza e della vita, della verità e del bene - sono pronti a deificare l'immagine sensibile di una forza primitiva simbolizzata in un animale.


6. Quando ormai sono passate tante generazioni dai tempi di Mosè e della Rivelazione sul monte Sinai, Gesù Cristo parla - secondo il testo del Vangelo di Giovanni - con i figli del Popolo eletto, suoi contemporanei. E non soltanto lui stesso disputa con loro sull'autenticità della propria missione messianica. Non soltanto lui. In Gesù Cristo, lo stesso Dio della Rivelazione - che è Padre e Figlio e Spirito Santo - continua, in un certo senso e in una nuova tappa, a lottare con l'uomo, perché questi accetti la Divina Verità della Rivelazione.

Questa verità è il Mistero definitivo di Dio. Mediante essa egli è, in un certo senso, "racchiuso" più profondamente nella sua Divinità. E contemporaneamente, mediante la comunicazione di questo suo Mistero definitivo, il Dio della Rivelazione è più largamente "aperto" verso l'uomo e verso il mondo.

Egli, infatti, è quel Dio che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16).

Ecco: questo Dio, Padre eterno, che viene verso il mondo e parla all'uomo nell'Unigenito Figlio, lotta nelle parole di Gesù di Nazaret con gli uomini d'allora, perché accolgano la verità su di lui! Perché coloro che già credono che egli è, che è Creatore, supremo Legislatore e giusto Giudice, accettino anche la verità che egli è Padre, il quale nell'Unigenito Figlio dà al mondo il suo Amore infinito: l'Amore che è misericordia!


7. Nell'odierna Liturgia quaresimale della Parola di Dio si svolge, quindi, una disputa sul contenuto messianico stesso della missione di Cristo. Dobbiamo forse soffermarci su questo? Dobbiamo riconoscere questa sorta di lite soltanto come uno splendido avvenimento che appartiene al passato, così come ad un passato ancor più remoto appartiene la lite di Mosè col popolo, di cui fu capo nel deserto? No. Non possiamo fermarci qui. In tal caso, non avremmo letto fino in fondo il testo liturgico. Il testo liturgico ci fa passare sempre dal passato al tempo presente. La Chiesa lo legge, come se si riferisse contemporaneamente a noi: oggi e qui.

Infatti, Cristo non disputa forse - oggi e qui, cioè nella nostra epoca, nella nostra generazione - con l'uomo, con ciascuno in modo diverso, sul contenuto messianico della sua missione? Il Dio della Rivelazione non disputa forse in Cristo, che "è lo stesso ieri, oggi e sempre" (He 13,8), con ogni uomo sull'accettazione dell'intera Verità di questa Rivelazione? Non aspetta forse categoricamente che l'uomo pensi a lui secondo questa Verità e che lo professi in essa?


8. La Liturgia della Quaresima è una particolare sfida in tale senso. Essa grida la profondità della nostra relazione con Dio, grida l'intimità con lui nella verità, in tutta la verità della Rivelazione. In un'epoca, in cui il mondo sembra chiudersi in se stesso e l'uomo chiudersi nel mondo, staccando la propria esistenza dalle sorgenti fondamentali del proprio senso, Cristo sembra dire con una nuova forza: "Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste. E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate ia gloria che viene da Dio solo?" (Jn 5,43-44).

Ecco: così, cari fratelli e sorelle, in questa meditazione quaresimale tocchiamo i punti più profondi del nostro rapporto con Dio in Gesù Cristo.

Soffermiamoci su questi punti più profondi. Apriamoci alla Verità della Divina Rivelazione. Confessiamo nel Sacramento della Penitenza i nostri peccati. Uniamoci con Cristo nell'Eucaristia. Entriamo nel tempo beato della Pasqua. Incominciamo l'Anno Santo della Redenzione. Amen.

Data: 1983-03-17 Data estesa: Giovedi 17 Marzo 1983

A Vescovi jugoslavi in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dialogo, ascolto, impegno pastorale, ecumenismo

Cari fratelli nell'Episcopato!


1. In questi giorni siete venuti a Roma in visita "ad limina Apostolorum", per venerare i gloriosi sepolcri degli apostoli e martiri Pietro e Paolo e per incontrarvi con il successore di Pietro. Ho avuto la gioia di intrattenermi in privata udienza con ciascuno di voi, che mi avete manifestato le gioie, le speranze, l'impegno, l'ardore cristiano e, insieme, i problemi, le preoccupazioni e le difficoltà delle Chiese particolari che in diverse Nazioni e Repubbliche di Jugoslavia sono affidate alle vostre cure, cioè le Province Ecclesiastiche di Lubiana e di Sarajevo, l'arcidiocesi di Bar, la diocesi di Dubrovnik e l'Amministrazione apostolica del Banato Jugoslavo.

Con piacere vi accolgo e vi ringrazio della vostra visita; sono anche grato a Monsignor Alojzij Sustar, Arcivescovo di Lubiana, il quale, come Vicepresidente della Conferenza Episcopale Jugoslava, si è fatto interprete dei sentimenti di voi tutti in questa circostanza.

In questa occasione, desidero ricordare anche i vostri Confratelli, Pastori delle altre diocesi della Jugoslavia, che ho ricevuto collegialmente, in analoga circostanza, il 18 febbraio scorso; le mie parole oggi intendono essere una continuazione ideale di quanto ho detto ad essi in quell'incontro.

Nel porgere il mio fraterno e affettuoso saluto a voi, intendo rivolgerlo anche ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai seminaristi, ai fedeli delle vostre Comunità diocesane e dell'intera Jugoslavia anche come segno di compiacimento per la loro testimonianza di esemplare adesione al messaggio del Vangelo, così profondamente radicato, che a volte giunge ad autentiche forme di eroismo.


2. Questa vostra presenza, nel centro della cattolicità, vuole essere ed è di fatto una manifestazione dei vincoli di comunione ecclesiale, che esistono fra voi e il Romano Pontefice; voi intendete dare una prova concreta della solenne affermazione del Concilio Vaticano II: "Il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della totalità dei fedeli. I singoli Vescovi, invece, sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari formate a immagine della Chiesa universale, e in esse e da esse è costituita l'una e l'unica Chiesa Cattolica. perciò i singoli Vescovi rappresentano la propria Chiesa, e tutti, insieme col Papa, rappresentano tutta la Chiesa in un vincolo di pace, di amore e di unità" (LG 23).

Questo "vincolo di pace, di amore e di unità" deve essere confermato e vissuto sempre più profondamente a tutti i livelli, all'interno delle singole diocesi, mediante la promozione di un continuo, paziente, sincero dialogo, fruttuoso e fraterno, tra Vescovi e Sacerdoti diocesani e religiosi; moderato sempre dal Pastore della Comunità diocesana, e sempre con lo scopo di procurare il vero ed autentico bene spirituale dei fedeli.

Questo dialogo tra il Vescovo e i suoi sacerdoti acquista una importanza particolare ai fini anche del sereno sviluppo della "pastorale d'insieme". I Vescovi - ci ha raccomandato il Concilio Vaticano II - "trattino sempre con particolare carità i sacerdoti come coloro che, nella sfera dei loro poteri, si assumono i loro ministeri e le loro preoccupazioni, e li attuano nella vita quotidiana con tanta premura. Li considerino come figli e amici, e perciò siano disposti ad ascoltarli, e a trattarli con fiducia e benevolenza allo scopo di incrementare l'attività pastorale globale di tutta la diocesi" (CD 16).

Analogo, fraterno dialogo sia continuato e intensificato dai Pastori delle diocesi con i religiosi sacerdoti e con gli altri religiosi, sia uomini che donne. A tutti i religiosi, secondo la particolare vocazione di ciascun Istituto, incombe l'obbligo di lavorare con ogni impegno e diligenza per l'edificazione e l'incremento del Corpo Mistico di Cristo e per il bene delle Chiese particolari (cfr. CD 33). Sia pertanto favorita tra i vari Istituti religiosi e tra questi e il clero diocesano una ordinata collaborazione, facendo in modo che tutte le opere e l'attività apostolica siano ben coordinate; e ciò dipende in maniera particolare dalla soprannaturale disposizione di menti e di cuori, radicata e fondata sulla carità (cfr. CD 35 § 5). Il recente Documento "Mutuae Relationes" ha dato preziose e concrete indicazioni al riguardo.

Tale forma di dialogo deve essere promossa anche tra le varie diocesi di Jugoslavia, in modo che fra tutte si sviluppi sempre più una attiva, costante, generosa solidarietà, che faccia si che quelle, in cui la Chiesa vive quasi in condizioni di "diaspora", possano ricevere aiuto, personale e materiale, da quelle diocesi in cui le Comunità cattoliche sono più fiorenti per numero di fedeli, di sacerdoti e di religiosi.


3. Come "Padri e Pastori" delle vostre Comunità diocesane, continuate ad impegnarvi, con rinnovato vigore, in quelle iniziative e in quegli strumenti e metodi pastorali, che possano favorire i migliori frutti di vita cristiana. A tal fine occorrerà dare importanza primaria alla catechesi specialmente dei bambini, degli adolescenti e dei giovani. Ne ho trattato ampiamente nella esortazione apostolica circa la catechesi del nostro tempo, che riprendeva nella sostanza le considerazioni preparate da Paolo VI di venerata memoria e la documentazione lasciata dalla quarta assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, del 1977. La continua, permanente formazione catechistica dei fanciulli, degli adolescenti e dei giovani è di importanza fondamentale per l'armonioso sviluppo della loro vita cristiana. Bisognerà assicurare ad essi - nonostante le eventuali ed immancabili difficoltà - i mezzi adatti per una solida educazione religiosa. Occorre presentare e proporre ad essi Gesù Cristo, Dio fatto uomo, e presentarlo e proporlo favorendo una conoscenza ogni giorno sempre più approfondita e più luminosa della sua persona, del suo messaggio, del disegno di Dio che egli ha voluto svelare. Si tratta di un dovere sacrosanto e gravissimo dei Pastori che, a tale scopo, debbono ricercare e mettere in atto tutti i mezzi a disposizione.

"Che l'impegno di promuovere una catechesi attiva ed efficace non ceda per nulla a qualsiasi altra preoccupazione - ho detto rivolgendomi proprio ai Vescovi nella citata esortazione apostolica -. Questo impegno vi spingerà a trasmettere voi stessi ai vostri fedeli la dottrina della vita... Il vostro ruolo principale sarà quello di sfruttare e di mantenere nelle vostre Chiese un'autentica passione per la catechesi, una passione che si incarni in una organizzazione adeguata ed efficace, che metta in opera le persone, i mezzi, gli strumenti, come pure tutte le risorse economiche necessarie" (CTR 63).


4. Un particolare impegno pastorale non mancherete certo di continuare a rivolgere alla famiglia, che nei tempi odierni è stata, forse, più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. "Il primo responsabile della pastorale familiare nella diocesi è il Vescovo - ho scritto nella esortazione apostolica circa i compiti della famiglia cristiana nel mondo d'oggi -. Come Padre e Pastore egli dev'essere particolarmente sollecito di questo settore. Avrà particolarmente a cuore il proposito di far si che la propria diocesi sia sempre più una vera "famiglia diocesana", modello e sorgente di speranza per tante famiglie che vi appartengono" (FC 63). Bisognerà difendere l'istituto familiare, ancorandolo ai principi della fede cristiana, mediante un'adeguata preparazione dei futuri sposi, ai quali, fra le esigenze del sacramento del matrimonio, converrà ricordare e sottolineare il loro diritto-dovere, molto grave, di assicurare l'educazione cristiana dei figli, personalmente o con l'aiuto della Comunità cristiana, e altresi la loro formazione catechistica, senza badare a possibili difficoltà o conseguenze.

I fedeli siano sempre incoraggiati e confermati nella loro pratica religiosa, che si fonda e si esprime nella vita cristiana, animata e fecondata dai Sacramenti, in particolare l'Eucaristia e la Riconciliazione; dalla consapevole e attiva partecipazione alla Liturgia; dalla carità concreta, fattiva e operosa, verso i fratelli più poveri e bisognosi; dalle loro autentiche tradizioni cristiane, ancorate alla secolare storia del Paese, facendo in modo che non si affievoliscano e tanto meno si perdano quelle devozioni, alle quali si è intimamente radicati, quali l'Adorazione al Santissimo Sacramento, il Rosario mariano, la "Via Crucis", le varie Litanie e tutte le altre forme di pietà popolare, in sintonia con l'autentica spiritualità e religiosità.


5. Nelle vostre care Nazioni convivono cristiani cattolici ed ortodossi. Questo fa percepire al vostro animo di Pastori, con particolare e dolorosa acutezza, la tragedia storica della divisione dei cristiani, come pure l'urgenza di fare ogni sforzo perché la volontà di Cristo sulla sua Chiesa trovi piena attuazione: "...tutti siano una sola cosa" (cfr. Jn 17,20-21).

La vostra proposta di istituire nel vostro Paese una commissione mista cattolico-ortodossa nasce dalla passione di riscoprire, ristabilire ed estendere l'unità donata da Dio in Cristo: la croce di Cristo, infatti, è la sorgente inestinguibile di ogni unità, perché essa è il luogo dove Dio riprende a parlare con l'uomo peccatore. Dalla stessa passione per l'unità nascono tutte le altre iniziative da voi intraprese per far progredire la realtà presente verso una maggiore verità.

A questo proposito mi piace ricordare gli incontri tra Facoltà teologiche cattoliche e ortodosse. Le relazioni tra la Sede di Roma e la Chiesa sorella di Serbia dal Concilio in poi conoscono un progresso ininterrotto. La serietà dei contatti stabiliti e il clima di carità fraterna e aperta alla speranza, che in essi ha regnato, rendono testimonianza della presenza dello Spirito del Signore, che indica alla Chiesa la via da percorrere. L'avvicinamento fra i cristiani di diverse confessioni è, senza dubbio alcuno, opera dello Spirito Santo e richiede da noi particolare docilità. Il passato, illuminato dal mistero pasquale, è un patrimonio per accedere alla verità ed essere da essa profondamente posseduti e liberati.

Il mio pensiero si rivolge anche, con autentica stima, ai Musulmani dell'intera Jugoslavia, con l'auspicio che sia esercitata sinceramente la vicendevole comprensione e che - come ha esortato il Concilio Vaticano II - si difendano e si promuovano insieme, a favore di tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, nonché la pace e la libertà (cfr. NAE 3).


6. Carissimi fratelli! Fra alcuni giorni apriro la Porta Santa per l'inizio dell'Anno Giubilare, in occasione del 1950° anniversario della Redenzione. Nella Lettera, che in data 25 gennaio scorso ho indirizzato a tutti i Vescovi del mondo, scrivevo (nn.


1.4) che tale evento "dovrà lasciare... un'impronta su tutta la vita della Chiesa e dei cristiani, perché dovrà sfociare in un rinnovato proposito di quella carità che fa la verità e promuove la giustizia". Auspico che nelle vostre diocesi l'Anno Santo straordinario sia vissuto con intenso impegno spirituale secondo la particolare ricchezza di tradizioni della loro storia e della loro prassi cristiana e sacramentale. "Ciascun Vescovo vorrà curare che in tutte le parrocchie, anche le più piccole nelle quali è presente la Chiesa di Cristo, ogni fedele sia aiutato a prendere coscienza che tutti abbisogniamo di redenzione, e che per tutti è stato sparso il sangue di Cristo".

Affido questi miei voti e queste mie riflessioni al Cuore Immacolato della Vergine santissima, alla quale i vostri fedeli sono legati da vincoli di particolare e speciale venerazione.

E su tutti voi, su tutti i membri delle vostre Comunità diocesane invoco dal Signore l'effusione di abbondanti grazie, in pegno delle quali imparto la mia apostolica benedizione.

Data: 1983-03-18 Data estesa: Venerdi 18 Marzo 1983

Ai lavoratori - San Salvo (Chieti)

Titolo: Il lavoro associa gli uomini all'opera del Creatore

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Sono particolarmente lieto di trovarmi oggi, solennità di san Giuseppe, in mezzo a voi in questo incontro che vede riuniti i lavoratori con le loro famiglie, accompagnati anche da numerosi sacerdoti e dai Vescovi della Regione abruzzese. E' un incontro col mondo del lavoro e, in pari tempo, con tutte le altre componenti di San Salvo e con le rappresentanze dell'Abruzzo.

Vi saluto tutti con grande affetto: operai e dirigenti, uomini e donne, giovani e adulti, ammalati e persone nel pieno vigore delle forze. A ciascuno desidero assicurare che è profondamente caro al mio cuore e che gli sono vicino con sinceri sentimenti di comunione umana e cristiana, condividendo le sue pene e le sue gioie, le sue ansie e le sue legittime aspirazioni. A tutti desidero dire che sono qui per farmi eco della voce di Cristo, che ha amato ogni uomo fino a donare la propria vita sulla croce.

Ringrazio le autorità civili e religiose per la cordiale accoglienza, che mi hanno voluto riservare all'arrivo in questa terra tanto ospitale, che ben a ragione è stata definita "forte e gentile". Esprimo la mia gratitudine, in particolare, al Signor Ministro Remo Gaspari, al caro Arcivescovo Monsignor Vincenzo Fagiolo, al Sindaco Rinaldo Altieri e ai rappresentanti della Fabbrica Magneti-Marelli e a tutti i lavoratori per le cortesi e insieme impegnative parole, che mi hanno indirizzato, a nome anche di tutti i presenti.

Ho ascoltato con vivo interesse i vari interventi, che hanno sollevato problemi vasti ed urgenti. E vero che molto è cambiato e che molto sta cambiando nella compagine sociale ed economica dell'Abruzzo e del Molise, ma è anche vero che il progresso non è giunto dappertutto e con eguale distribuzione di risorse. A nessuno sfuggono, fra l'altro, gli squilibri tra la fascia costiera e la montagna, che costituisce gran parte del territorio; tra i centri industrializzati e quelli agricoli, che sono rimasti un po' al margine di un effettivo progresso. Questi e altri problemi non possono lasciare indifferenti e si impongono ai responsabili della cosa pubblica con drammatica evidenza; ma interpellano, in pari tempo, le coscienze di tutti gli operatori in campo industriale, sociale ed economico e di tutti i cittadini, perché si avveri quella necessaria "cooperazione fra tutte le forze sociali" auspicata poco fa dall'Arcivescovo Monsignor Fagiolo.


2. Da questa cittadina che prende il nome dal monaco san Salvo, del quale conserva la tomba, il mio pensiero si estende a tutti i carissimi abitanti delle due regioni d'Abruzzo e Molise, che sono qui largamente rappresentate. Li raggiungo dovunque essi si trovino, nelle popolose città e nei paesi più piccoli, sulle montagne e in riva al mare. E non dimentico coloro che hanno dovuto lasciare questa terra per motivi di lavoro. Vorrei che tutti si sentissero cordialmente abbracciati dal mio benedicente saluto, che ad ognuno rivolgo da questo luogo suggestivo, dove ancora sembra risuonare l'eco del motto "Ora et labora", dei monaci benedettini che qui si stabilirono fin dalla metà dell'VIII secolo, provenienti dalla non lontana abbazia di Montecassino. Essi posero le loro prime costruzioni precisamente sul luogo dove oggi sorge la chiesa di San Giuseppe, e all'insegna della croce e dell'aratro operarono una vasta bonifica e trasformazione del territorio, allora ricoperto dalla foresta, dando l'avvio a fiorenti coltivazioni agricole.

In questa primitiva ispirazione cristiana, che attraverso i secoli non è mai venuta meno, affonda le sue radici l'odierna cittadina di San Salvo. Essa ha saputo trarre stimolo dalla sua nobile tradizione e nel suo impegno per la realizzazione di una società più umana e più giusta e per il raggiungimento di traguardi prestigiosi nel settore industriale.

Questa ridente cittadina di San Salvo, che si distingue per la varietà del lavoro umano e per le molteplici attività ortofrutticole che le conservano il volto della civiltà contadina, con le industrie del vetro affiancate da iniziative collaterali, e con quelle metalmeccaniche offre in questa realtà una eloquente testimonianza della laboriosità degli Abruzzesi.

Accanto a questa virtù, consentitemi di ricordare pure le altre che caratterizzano queste popolazioni; la bontà e la gentilezza dell'indole, la generosità del cuore, il senso della moralità, l'attaccamento alla famiglia, il sentimento della solidarietà, l'onestà del costume; in una parola, il culto dei valori spirituali e morali.

Nel susseguirsi delle vicende storiche, dalle più remote a quelle contemporanee, questo ricco patrimonio, tenuto costantemente vivo grazie anche alla sensibilità e dedizione pastorale di zelanti sacerdoti, operanti spesso in situazioni di povertà e di isolamento, ha alimentato il tessuto della civiltà e della vita cristiana. Esso è stato stimolo per un ordinato progresso e ha impedito il proliferare di fenomeni di violenza e di deviazione morale e sociale.


3. E' a questo stesso patrimonio civile e religioso che mi riferisco nel mettere in luce lo scopo principale della mia venuta. Vengo infatti ad onorare il lavoro umano il quale, come è stato ora costi suggestivamente rievocato nella proclamazione del brano della Genesi (Gn 2,4-9 Gn 2,15) associa gli uomini all'opera del Creatore. Iddio, infatti, dopo aver plasmato l'uomo a sua immagine e somiglianza, libero e intelligente, lo pose nel giardino dell'universo, perché "lo coltivasse e lo custodisse", cioè perché mediante il lavoro, trasformasse la terra e condividesse con lui il dominio sulla natura, facendone sprigionare le risorse. Ma vengo soprattutto ad onorare voi, carissimi lavoratori e lavoratrici che ne siete i diretti protagonisti. Vengo per attestare la sollecitudine della Chiesa per il mondo del lavoro e per la dignità della persona di ogni lavoratore.

Non vi nascondo che sto rivivendo con voi, ancora una volta, come mi è capitato in altre simili circostanze, l'esperienza del lavoro manuale che la Provvidenza mi riservo durante la mia gioventù. Fu un momento difficile della mia vita; difficile, si, ma felice. E ciò non soltanto per la soddisfazione che si prova nel piegare la materia al dominio dell'intelligenza, ma anche e soprattutto per la rete di amicizie e per i vincoli di solidale partecipazione con quanti sono affratellati nella medesima fatica.

Potete dunque comprendere come sgorghi dalle profondità del mio cuore l'effusione con cui mi rivolgo in questo momento a voi, alle vostre famiglie, ai vostri colleghi e a quanti lavorano, sudano e soffrono per le condizioni, talora difficili, in cui svolgono la propria attività.


4. Oggi celebriamo l'umile e sapiente figura di san Giuseppe, modesto carpentiere, sposo di Maria Vergine e padre putativo di Gesù; di quel Gesù, che fu anche lui lavoratore, per la maggior parte della sua esistenza terrena, nel silenzio della casa di Nazaret.

Come ho scritto nell'enciclica "Laborem Exercens", la dottrina e l'atteggiamento della Chiesa verso il mondo del lavoro, traggono la loro essenziale ispirazione da quello che ho chiamato il "Vangelo del lavoro". Esso contiene un messaggio di profonda e vasta incidenza: il primato dell'uomo sul lavoro.

Il mio predecessore Paolo VI proclamo solennemente durante il suo viaggio apostolico a Ginevra il 10 giugno 1969, nel discorso all'assemblea generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro: "Nel lavoro - egli disse - è l'uomo che è il primo. Sia artista o artigiano, imprenditore, operaio o contadino, manovale o intellettuale, è l'uomo che lavora, è per l'uomo ch'egli lavora. E' dunque finita la priorità del lavoro sui lavoratori, la supremazia delle esigenze tecniche ed economiche sui bisogni umani. Mai più il lavoro al di sopra del lavoratore, mai più il lavoro contro il lavoratore, ma sempre il lavoro per il lavoratore, il lavoro a servizio dell'uomo, di ogni uomo e di tutto l'uomo" ("Insegnamenti di Paolo VI", VII (1969), 369-370).

Questa non è una pura e semplice enunciazione di principio, ma una presa di posizione, un vigoroso criterio pratico, che riflette con chiarezza il pensiero e l'azione della Chiesa. La Chiesa non ha interessi né, tanto meno, privilegi da difendere. Essa, pienamente consapevole della sua vocazione, non si stanca di proporre le vie della salvezza eterna, in qualsiasi luogo e in qualsiasi ambiente culturale. Ma è parimenti sollecita della dignità e del benessere, anche materiale, dell'uomo perché in ogni uomo, specialmente in quello più indigente e sofferente, vede scolpita l'immagine del Cristo.

Nel prospettare le realtà celesti, verso cui tutti siamo incamminati, la Chiesa non dimentica le esigenze terrene, che ad esse costituiscono il transito obbligato. La visione religiosa e soprannaturale del lavoro è in perfetta armonia con il progresso umano. E' una luce, un ideale, una forza che tiene al riparo da egoistici interessi di parte e fa servire fedelmente l'uomo e induce a porsi a servizio dell'uomo. Essa fa condividere i sentimenti del lavoratore, le condizioni in cui egli presta la sua opera, i suoi problemi, le sue ansie, le sue difficoltà e le sue aspirazioni.

perciò nell'enciclica "Laborem Exercens" ho ancora affermato che "il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista dell'uomo" (LE 3).

Nel proporre questi obiettivi, non intendo fare un'analisi in chiave classista quasi per contrapporre un'ideologia all'altra, perché, come bo detto nel messaggio indirizzato a tutti gli operai dell'America Centrale, "la Chiesa parla partendo da una visione cristiana dell'uomo e della sua dignità: essa è convinta che non vi è bisogno di ricorrere a ideologie o proporre soluzioni violente, ma di impegnarsi a favore dell'uomo... partendo dal Vangelo, presupponendo per questo il valore umano e spirituale dell'uomo in quanto lavoratore, che ha diritto a che il prodotto del suo lavoro contribuisca equamente al suo proprio benessere e al benessere comune della società".


5. L'"umanizzazione" del lavoro ha compiuto notevoli progressi nella società moderna, e la Chiesa se ne rallegra. Rimangono tuttavia problemi e tensioni preoccupanti, di fronte ai quali la concezione cristiana conserva tutta la sua validità e tutta la funzione di stimolo e di fermento.

Se il lavoro è un "bene dell'uomo", un bene "corrispondente alla dignità dell'uomo, un bene che esprime questa dignità e la accresce" (. 9), esso è pure un diritto della persona umana, che deve essere reso accessibile a tutti. La piena occupazione, prima ancora che un problema economico, è un obiettivo altamente umano. Ogni società bene ordinata, non può non annoverarlo tra le sue primarie sollecitudini.

Viene in mente subito, a questo riguardo, il fenomeno della disoccupazione giovanile, qualunque sia il tipo di attività professionale a cui si riferisce. Esso va considerato in tutte le sue componenti, cominciando da quella iniziale della adeguata formazione e degli strumenti idonei a consentirla, fino alle conseguenze, a cui la mancanza di lavoro può portare un giovane lasciato in balia di se stesso, mortificato nella freschezza delle sue energie, deluso nel fervore delle sue speranze.

Un altro fenomeno, a cui desidero accennare, è quello dell'emigrazione che continua ad essere in troppo larga misura il prezzo - e quale prezzo! - pagato alla mancanza di occupazione in patria. Essa lascia tracce difficilmente cancellabili nel cuore e si ripercuote dolorosamente sui nuclei familiari.

E' vero che disoccupazione ed emigrazione, anche per l'accresciuta interdipendenza delle risorse economiche, hanno assunto dimensioni internazionali, ma l'allargamento dell'orizzonte non solleva le istanze nazionali dalle loro responsabilità. La collaborazione che giustamente si richiede a livello internazionale, va messa in opera sul piano locale. Questo criterio vale anche per gli altri problemi che affliggono il mondo del lavoro: la stabilità e la sicurezza dell'occupazione, la prevenzione infortunistica, l'equità e la giustizia del salario, il perfezionamento professionale, la tutela di particolari categorie in particolari circostanze, come per esempio il lavoro della donna, il lavoro notturno, il lavoro a cottimo e così via.

Come già ho detto agli operai dell'America Centrale: "Il giusto salario... considera in primo luogo e prima di tutto il soggetto, vale a dire il lavoratore. Lo riconosce come socio e collaboratore nel processo produttivo e lo rimunera per ciò che egli è in detto processo, oltre che per ciò che ha prodotto.

Esso deve tener conto, naturalmente, dei membri della sua famiglia e dei loro diritti, affinché possano vivere in modo degno nella comunità e possano così avere le debite opportunità per il proprio sviluppo e il mutuo aiuto... Il suo salario deve essere tale che il lavoratore e la sua famiglia possano godere i benefici della cultura, dando loro anche la possibilità di contribuire alla elevazione della cultura della nazione e del popolo".

A mano a mano che la tecnica progredisce e mette a disposizione nuovi strumenti, porta sul tappeto questioni nuove. Ideologie e movimenti di ispirazione materialistica vi trovano talora facile esca per alimentare conflittualità che non giovano certo a promuovere il senso del rispetto per la dignità dell'uomo e la necessaria intesa fondata su un dialogo schietto e costruttivo, condotto con pari impegno da tutte le parti interessate.

I lavoratori cristiani perseguono con convinzione la via del dialogo e della solidarietà con tutti i membri della comunità lavorativa e con l'intera compagine del mondo del lavoro; una solidarietà, questa, a cui spetta il nome più preciso e più vincolante di fraternità universale.

Come è noto, la Chiesa è contraria, decisamente, al gioco della gretta conservazione. La Chiesa è per il riconoscimento pieno ed effettivo dei diritti del lavoratore, e vuole che questo fine sia raggiunto con mezzi onesti e limpidi, basati sulla reciproca comprensione e cooperazione, tali da assicurare il conseguimento di un autentico progresso, che offra al lavoratore la possibilità non soltanto di avere di più, ma di essere di più: più uomo, più libero, e quindi maggiormente in grado di mettere a profitto le sue qualità umane e professionali.

In tal modo gli ideali cristiani saranno di forte stimolo per un serio e generoso impegno nella promozione della giustizia sociale.


6. perciò, carissimi fratelli e sorelle, vi rivolgo un pressante invito a rendere sempre più vive e vivificanti le vostre tradizioni cattoliche. La fede non è un deposito da custodire passivamente, ma domanda di essere vissuta in continua novità: e sempre in armonia con le esigenze del lavoro, il quale, se accettato con spirito di fede, come espressione della condizione umana orientata verso Dio, costituisce un atto meritorio.

Ma questa elevazione del lavoro, non dispensa da momenti di riflessione e di preghiera, da vere e proprie soste dello spirito, che consentano un dialogo con Dio e con la coscienza personale. Ecco l'importanza della festa, del "giorno del Signore" dedicato sia al riposo fisico che alle celebrazioni comunitarie e alle opere di carità.

Ecco la necessità della frequenza ai Sacramenti per restaurare - con la Confessione - i vincoli con Dio spezzati dal peccato, per alimentare - alla mensa del Pane Eucaristico - la propria anima.

Ecco l'esigenza di approfondire la conoscenza delle verità della fede mediante un'adeguata istruzione catechetica, destinata a illuminare la mente in un momento, in cui ideologie contrastanti seminano dubbi e incertezze.

Ecco l'urgenza che l'ambiente stesso del lavoro, mediante una presenza autenticamente cristiana, diventi un luogo sereno e costruttivo, in cui Cristo e il suo messaggio di pace e di liberazione siano testimoniati da una coerente ed esemplare condotta di vita.

Siamo a pochi giorni dall'inizio dell'Anno Santo della Redenzione. Il 25 marzo, festa dell'Annunciazione, avro la gioia di aprire la Porta Santa, simbolo di un nuovo accesso a Cristo Redentore dell'uomo, che chiama tutti a partecipare alla grazia della Redenzione.

Vi auguro di cuore, miei cari, che questa singolare stagione spirituale sia particolarmente fruttuosa per voi, per le vostre famiglie, per i vostri bambini, per i vostri malati, per la cara gioventù, per tutti gli uomini di buona volontà. Affido voi e i vostri cari alla protezione della Vergine santissima e di san Giuseppe, suo sposo, e tutti vi benedico nel nome di Cristo, nostra felicità e speranza.

Data: 1983-03-19 Data estesa: Sabato 19 Marzo 1983


GPII 1983 Insegnamenti - A oltre cinquemila studenti italiani - Città del Vaticano (Roma)