GPII 1983 Insegnamenti - Al Convegno del "Movimento Umanità Nuova" - Eur (Roma)

Al Convegno del "Movimento Umanità Nuova" - Eur (Roma)

Titolo: Il Vangelo è vita per le anime e per l'intera società

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Vi esprimo tutta la mia gioia nel trovarmi qui oggi in mezzo a voi, che offrite un'immagine tanto palpitante e persuasiva della Chiesa, e di quell'autentica comunione interpersonale che essa, pur nella molteplicità delle origini e delle condizioni sociali dei suoi membri, permette di sperimentare. "Ecco quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme" (Ps 133,1), poiché la promessa di Gesù è sicura: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt


18,20). E io so che tutti voi, tutti noi qui presenti siamo riuniti nel suo nome.

Dunque, facciamo spazio a lui, alla sua misteriosa e confortante presenza, al suo Spirito di verità e di forza, che tutti ci unisce in un unico vincolo di fede e di amore.

Voglio innanzitutto ringraziare la signorina Chiara Lubich per le parole rivoltemi a nome di tutti voi, e intendo manifestarle il mio vivo compiacimento per il provvidenziale accrescersi del Movimento dei Focolari non solo in estensione ma soprattutto in intensità.

Nello stesso tempo, saluto di cuore voi tutti, che siete convenuti a Roma, sede di Pietro, tanto numerosi. Nella varietà della vostra provenienza geografica si rispecchia l'universalità della Chiesa, che si realizza a tutte le latitudini con una inesauribile e sempre seducente spinta al superamento di tutte le barriere naturali e storiche. E nell'estrema diversità delle vostre professioni - poiché rappresentate le più svariate categorie sociali - si pone in evidenza la genuina fraternità della Chiesa, nella quale, come autorevolmente si esprime l'apostolo Paolo, "non esiste più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Ga 3,28).

Sono lieto, in particolare, di prendere contatto con il "Movimento Umanità Nuova", da voi rappresentato. Il suo scopo di dare un'anima cristiana a tutti gli strati della società contemporanea, concorrendo al rinnovamento di uomini e di strutture, non può che incontrare la mia approvazione e il mio incoraggiamento. Occorre, infatti, che l'iniziativa di amore vivificante, partita dal Padre celeste e culminante in Gesù Cristo, si estenda e quasi dilaghi a dimensione universale, per coinvolgere tutta l'umanità in una nuova creazione, in una vera "palingenesi" (Tt 3,5 Mt 19,28). C'è forse un ideale più grande, più entusiasmante, più divino e insieme più umano? Proprio su questo progetto, che si direbbe utopico se non fosse concepito dalla volontà salvifica di Dio stesso, vorrei fare qualche considerazione.


2. La Lettera agli Efesini si apre con questi solenni ed esultanti accenti: "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo... predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo" (Ep 1,


3.5). Dio-Amore ha voluto stabilire con l'uomo un rapporto da padre a figlio. Per questo interviene nella storia di lui, personale e collettiva, in diversi modi.

Un modo particolare di presenza è il patto che egli ha stipulato con Israele, liberandolo dall'oppressione e costituendolo come popolo. Questa paternità verso Israele è come un segno della paternità più ampia e realissima, che egli intende dimostrare all'umanità intera e che manifesta compiutamente nel dono che ci fa del Figlio: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito (Jn 3,16). E' un Padre premuroso che si rivela; un Padre che si interessa non solo della nostra salvezza spirituale: egli, che veste i gigli del campo e vigila sulla sorte del più piccolo fra gli uccelli (cfr. Mt 6,26-29), ha cura anche dei problemi materiali quotidiani dell'uomo (cfr. Mt 6,31-34).

Questa universale paternità divina si specifica ulteriormente in rapporto ai battezzati, in quanto essi, partecipando all'unica e incomparabile filiazione di Gesù (cfr. Ga 4,1-7 Col 1,13), diventano realmente a nuovo titolo figli di Dio (cfr. 1Jn 3,1). Ne deriva che, essendo Cristo "primogenito fra molti fratelli" (Rm 8,29), tutti coloro che sono inseriti in lui si ritrovano ad essere fratelli fra di loro (cfr. Mt 23,8) e in più stanno sotto una nuova esigenza di amore nei confronti di tutti gli uomini (cfr. Mt 5,43-48).

Il Vangelo, quindi, non è solo una notizia che riguardi il rapporto tra Dio e l'uomo, ma riguarda anche i rapporti degli uomini fra di loro. Al comandamento di amare Dio con tutto se stesso è affiancato e dichiarato simile quello di amare il prossimo come se stesso (cfr. Mt 22,39). E' un amore che deve realizzarsi nella reciprocità, e che va al di là di ogni misura umana. Gesù ci chiede di perdonare e amare il nemico, ponendoci come modello la perfezione del Padre (cfr. Mt 5,48); Gesù ci indica come misura dell'amore reciproco tra fratelli il suo stesso amore, che lo porta a dare la vita: "Questo è il mio comandamento; che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Jn 15,12-13).

Il Vangelo, dunque, non annuncia una realtà che debba rimanere intimisticamente chiusa nelle anime dei credenti, ma si traduce immediatamente nella trasformazione radicale dei loro rapporti interpersonali, in un rinnovamento della rete delle relazioni sociali. Il Vangelo non è vissuto veramente se non produce, nei seguaci del Cristo, un capovolgimento del loro modo di vivere nel concreto della società.


3. Nel rivelare all'uomo la sua figliolanza divina, il Vangelo rivela all'uomo anche la risposta, che egli deve dare all'amore del Padre per vivere da figlio.

Questa risposta è duplice, verso Dio stesso e verso l'altro uomo.

La prima risposta, verso il Padre, dice che cosa significa vivere da figlio, quale comportamento mettere in atto, così che la bontà del Padre si manifesti nella vita dei figli. "Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia" (Mt 6,33): allora l'amore del Padre darà ai suoi figli il centuplo e la vita eterna (cfr. Mc 10,29-30).

La seconda risposta è verso il fratello, nel quale Gesù stesso si identifica (cfr. Mt 25,31-46). E' una risposta, per la cui attuazione il Cristo ci indica molteplici vie: le sue parole, pero, conducono tutte a quella centrale, che è il comandamento nuovo, la condizione affinché l'unità, che è essenza del Vangelo (cfr. "Insegnamenti di Paolo VI", XI (1973), 56), sia vissuta fra gli uomini, "Il Signore Gesù quando prega il Padre, perché "tutti siano uno, come anche noi siamo uno" (Jn 17,21-22) mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine fra l'unione delle persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità" (GS 24).

La paternità di Dio, che ci viene rivelata e partecipata dal Cristo nello Spirito, è il rapporto stesso tra il Padre e il Figlio. Allora il dono del Padre, che ci viene fatto nel Cristo, esige che tutta la vita umana, compresa la struttura profonda del rapporto sociale, sia in tensione verso la sua sorgente e verso il suo dover essere, che è la vita stessa della Trinità.

Cristo assunse l'umanità e la sua reale condizione, eccetto il peccato.

Nel fare questo, egli stesso uni la vocazione immanente e quella trascendente di tutti gli uomini. I Padri della Chiesa ripetevano sovente: "Ciò che non è assunto (dal Cristo) non è salvato" (S. Gregorio di Nazianzo, "Ep. III a Cledonio"): il rapporto sociale è assunto - e salvato - dal Cristo nel suo corpo mistico. La sfida per il cristiano, allora, è di tradurre questa "socialità redenta, in tutte le dimensioni della vita umana, come fecero i primi cristiani, i quali in mezzo alla società, in cui si trovavano a vivere, portarono e mostravano un nuovo stile di vita, un'autentica solidarietà fraterna, un nuovo tipo di società, una comunità, nella quale agivano le radici trinitarie della convivenza umana.


4. I seguaci di Cristo, per essere fedeli alla loro vocazione, devono dare prova concreta che il Vangelo è vita sia per le anime che per l'intera società. La comunione dei fedeli nello Spirito deve prendere forma in una comunità tale che, spezzando l'unico Pane di vita, condivida anche il pane della terra, operando con forme concrete di incarnazione, secondo le situazioni sociali e culturali, in cui i cristiani si trovano a vivere. Di conseguenza, l'unità vissuta come corpo mistico del Cristo non farà forse dei cristiani coloro che rivelano e mettono in evidenza quel tipo di solidarietà, per la quale soltanto si ha un vero corpo sociale? La libera articolazione dei molti secondo tutta l'ampiezza delle espressioni umane, ma nell'ambito dell'unico corpo di Cristo, dimostra luminosamente la possibilità della pace più profonda nella convivenza civile e internazionale. La carità, che compagina tra loro le membra del corpo di Cristo, modellata sulla misura dell'amore misericordioso di Dio, non può non indicare i più giusti e fecondi meccanismi per il dialogo della pace.

Il comandamento dell'amore, nella luce dell'universalità della vocazione cristiana (cfr. Ga 3,28), si estende allora alla comunità dei popoli, rendendo possibile amare non solo la patria, ma la stessa identità altrui come la propria.

La libera condivisione dei beni tra i membri della comunità cristiana, là dove viene evangelicamente praticata, mostrerà efficacemente la possibilità della partecipazione ai beni della terra da parte di tutti i membri della comunità politica, a livello nazionale e internazionale; si contribuirà così a trovare quei "meccanismi e strumenti di autentica partecipazione nel campo economico e sociale, con la possibilità offerta a tutti di accedere ai beni della terra, con la possibilità di realizzarsi nel lavoro; in una parola, con l'applicazione della dottrina sociale della Chiesa", come ho detto nel mio recente viaggio in America Centrale (al "Metro Centro" di San Salvador, 6 marzo 1983, n. 7).

La piena realizzazione dell'uomo, diventato membro del corpo di Cristo, diventa allora modello per il riconoscimento della dignità dell'uomo, con i suoi diritti e i suoi doveri, all'interno del corpo sociale.

Ma già in Maria santissima questo progetto è concretizzato, ed ella stessa ce ne dà, nello Spirito Santo, come la "magna charta". In particolare, "il Magnificat è lo specchio dell'anima di Maria. In questo poema culmina la spiritualità dei poveri di Jahvè e il profetismo dell'antica alleanza. E' il canto che annuncia il nuovo Vangelo di Cristo, è il preludio del Discorso della Montagna. Maria ci si manifesta qui vuota di sé, ponendo tutta la sua fiducia nella misericordia del Padre. Nel Magnificat si presenta come modello "per coloro che non accettano passivamente le avverse circostanze della vita personale e sociale", né sono vittime della "alienazione", come si dice oggi, ma proclamano con lei che Dio è "vendicatore degli umili" e, se ne è il caso, "rovescia i potenti dal trono"..." (Discorso al Santuario di Zapopan, Messico, 30 gennaio


1979, n. 4).

5. Carissimi fratelli e sorelle! Voi e il vostro Movimento siete chiamati in special modo a rendere questa incisiva testimonianza. In comunione con tutta la Chiesa e con i suoi legittimi Pastori, voi dovete tenere alta la luce del Vangelo, come città sul monte, come lucerna sul moggio (cfr. Mt 5,14-15). Sappiate mantenere sempre inalterato l'entusiasmo del vostro impegno, congiungendolo costantemente all'umiltà di colui che sa che chi semina non sempre miete e che, anzi, quello che si ha la santa fortuna di mietere spesso dipende da una semina fatta da altri, come opportunamente ci ricorda il Signore (cfr. Jn 4,36-38).

Date, quindi, alla Chiesa un salutare esempio di ascolto incessante della Parola di Dio, di preghiera, di comunione vicendevole, di gioia spirituale, di profondo rispetto per i carismi altrui, di inserimento armonioso e fruttifero nella grande compagine del corpo di Cristo, in una parola, di autentica maturità cristiana.

Ho visto dal programma dei vostri lavori che avete trascorso una giornata molto intensa. Soprattutto, la molteplicità delle voci che si sono susseguite hanno toccato un ventaglio amplissimo di problemi, di ambienti, di situazioni, dove è necessario deporre il seme trasformante del Vangelo. Chissà quanti stimoli avete ricevuto, quanti propositi avete formulato, quale generosa disponibilità avete rinnovato.

Che il Signore illumini, confermi, purifichi e corrobori le vostre menti e i vostri cuori. Da parte mia, vi assicuro uno speciale ricordo nella preghiera.

Siate certi che seguo la vostra attività e che da voi mi aspetto molto sul piano di una feconda testimonianza evangelica "per una nuova umanità", secondo il tema del vostro Convegno.

E, insieme al mio affetto, vi accompagni sempre la benedizione apostolica, che sono lieto di impartirvi di gran cuore e che amo estendere ai vostri cari, ai vostri amici e a tutti coloro che incontrerete sul vostro cammino per le strade del mondo.

Data: 1983-03-20 Data estesa: Domenica 20 Marzo 1983

A religiose e religiosi Paolini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La carità della Verità rivelata, linea vitale della vostra missione




1. Accogliere la Famiglia Paolina, ricevendo voi carissimi fratelli e sorelle, è per me motivo di viva gioia. E ciò non solo per la circostanza immediata, e pur tanto significativa, che ha suggerito questo incontro - e cioè ricordare l'inizio del centenario della nascita del Fondatore, il sacerdote don Giacomo Alberione e celebrare il venticinquesimo o il cinquantesimo di sacerdozio o di professione religiosa di numerosi suoi figli e figlie -, ma anche per una ragione di ordine generale che è quella di un più diretto contatto e di una più intensa comunione "in fide et caritate" tra ciascuno di voi e il successore di Pietro.

I Paolini e le Paoline, ormai sono presenti in tutto il mondo con le loro molteplici opere, con le loro iniziative apostoliche, con l'inventiva delle loro realizzazioni nel vasto settore dei mezzi di comunicazione sociale. Siete parte viva della Chiesa ed è, perciò, naturale che non solo siate conosciuti, ma seguiti ed incoraggiati nel vostro proficuo ministero da chi nella Chiesa ha la più grave responsabilità in ordine all'adempimento del mandato supremo di Cristo: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15); "Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni...". (Mt 28,19).


2. Albero dai molti rami: scorrendo l'elenco delle varie Congregazioni, Istituti e Associazioni, in cui si articola la Famiglia Paolina, alla quale con inesauribile fecondità diede origine l'anima ardente del Fondatore, io ritengo che possa essere questa la sua definizione più appropriata e comprensiva. Essa è un albero dai molti rami, perché dalla prima Congregazione dei sacerdoti e discepoli Paolini, sorta nel lontano agosto 1914, alla più recente Congregazione delle Suore Apostoline, fondata verso la fine degli anni Cinquanta, sono nove le sue propaggini, a cui si può anche aggiungere la numerosa e fiorente Associazione degli ex alunni. E mi piace qui ricordare che uno di questi rami, quello delle Pie Discepole del Divin Maestro, ha una Comunità che presta servizio alla Santa Sede in Vaticano.

Essa è un albero, perché in questa molteplicità di ramificazioni, unico è stato e resta il ceppo di origine e - quel che più conta - unica è la linfa vitale che l'alimenta e la fa sviluppare. Invariata, infatti, e costante fu l'idea che via via suggeriva a don Alberione di studiare e di attuare le possibili vie di penetrazione e i nuovi modi di presenza nelle pieghe della società contemporanea, per fare in essa spazio al Vangelo. Fu appunto questa sua ricerca, durata per tutto l'arco della sua lunga vita, che lo rese assai caro ai Sommi Pontefici e in maniera particolare - come è noto - al mio predecessore Paolo VI.


3. Denominando da san Paolo le sue fondazioni, evidentemente il vostro Padre non si limitava ad una scelta onomastica o verbale, ma intendeva rifarsi all'inconfondibile spirito e stile dell'Apostolo delle genti. In effetti, non solo il nome né solo il patrocinio, ma anche e soprattutto l'ispirazione ideale e la spirituale alimentazione don Alberione volle prendere da san Paolo, proponendo a se stesso e a quanti già lo seguirono nelle prime iniziative, come a voi che le seguite al presente, una linea di apostolato aperto, aggiornato, moderno, secondo gli insegnamenti e gli esempi del medesimo Apostolo. Come Paolo fu sempre alla ricerca di nuove forme e di metodi coraggiosi per annunciare alle genti Cristo e il suo mistero (cfr. Ep 3,2-10), e in questo contesto si collocano i suoi viaggi missionari, le sue lettere, il suo prodigarsi infaticabile, così conviene che a lui voi riguardiate elettivamente, per confermarvi nella vostra specifica vocazione e perseverare nel vostro impegno di azione originale, generosa, senza risparmio di forze e di sacrifici.

E', dunque, evidente quale sia la linfa interiore, che deve alimentare il vostro ministero nella Chiesa e nella società: è la carità della Verità rivelata da Cristo e da lui; fidata agli Apostoli e ai loro successori, e cioè alla Chiesa, che ne è garante e la trasmette e la difende con il suo Magistero autentico e perenne.


4. Ma c'è un settore, al quale i Paolini si dedicano con particolare impegno: quello della stampa, per la preparazione e la diffusione di edizioni di libri e di periodici cristianamente orientati e rispondenti, pertanto, ad una finalità pedagogico-formativa. Questo settore è quanto mal vasto e importante, perché, da una parte, si estende e collega con quello degli audiovisivi e, dall'altra, tocca molto da vicino - anche in rapporto a tanta produzione moralmente equivoca e dannosa - il problema dell'educazione cristiana della gioventù.

La vostra missione nel campo specifico dell'editoria è di impressionante attualità e necessità. Il vostro ideale e la vostra preoccupazione siano sempre eminentemente la formazione umana, cristiana e cattolica. La vostra è una vera missione evangelico-ecclesiale: per questo siete stati chiamati, seguendo le orme di don Alberione. Valga il suo alto esempio a stimolarvi e a sostenervi in un impegno vigile e attivo, disinteressato e generoso, sempre ispirato da autentico spirito evangelico.

Nel settore delle comunicazioni sociali - come in ogni altro - vi animi sempre un autentico spirito di apostolato, così che sia costantemente vostra guida non il criterio dell'interesse o di altri vantaggi di ordine temporale che una determinata iniziativa può suscitare, ma unicamente quello del bene che potrà seminare nella società. Ho definito all'inizio la vostra Famiglia come un albero dai molteplici rami: questo non è che un riconoscimento di quel che voi siete e rappresentate. Ma a me piace concludere con un auspicio: nella ribadita fedeltà allo spirito e alle direttive del vostro Fondatore io auguro che, per la molteplicità delle iniziative e per la ricchezza dei buoni risultati, essa sia anche e soprattutto un albero dai molti frutti! Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1983-03-21 Data estesa: Lunedi 21 Marzo 1983



Apertura della Porta Santa - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Questa è la porta del Signore




1. "Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele", perché Dio è con noi (cfr. Is 7,14). Queste parole del profeta esprimono il segno che il Signore darà alla casa di Davide: "il Signore stesso vi darà un segno".

Ed è il Segno, che il re Acaz non voleva chiedere da Dio, perché i suoi pensieri e il suo cuore non tenevano conto delle assicurazioni del Signore manifestate nella promessa fatta a Davide (cfr. 2S 7,16). E' il Segno che, contrariamente al re, proclamo alla casa di Davide il profeta Isaia, l'Evangelista dell'Antico Testamento. E' il Segno in cui si realizza la Promessa e viene "la pienezza del tempo" (Ga 4,4). Il Dio della maestà infinita diventa Emmanuele: "Dio con noi". E' il Segno in cui ha inizio la Redenzione del mondo ("exordia salutis nostrae"), perché già nel grembo purissimo della Vergine Maria l'Emmanuele è il nostro Redentore. In questo Segno ha oggi inizio l'Anno Santo della Redenzione.


2. Ecco, viene aperta la porta del Giubileo straordinario ed entriamo per essa nella Basilica di San Pietro.

E' un simbolo. Entriamo non soltanto in questa veneratissima Basilica romana. Entriamo anche nella più santa dimensione della Chiesa, nella dimensione di grazia e di salvezza che essa sempre attinge dal Mistero della Redenzione.

L'attinge sempre e senza intervallo. Tuttavia, in questo anno che inizia oggi, desideriamo che la Chiesa intera sia particolarmente consapevole del fatto che la Redenzione perdura in essa come dono del suo Sposo divino.

Che sia particolarmente sensibile a questo dono; aperta e disponibile più profondamente del solito all'accoglienza di questo dono. Che la Chiesa, la nostra Chiesa, pellegrinante sulla terra, possa, in questa apertura salvifica, essere immersa in modo speciale nel mistero della Comunione dei Santi in Cristo.

Che ancora più profondamente del solito respiri con i polmoni del perdono e della misericordia di Dio. Che con una gioia più grande del solito, si converta e creda al Vangelo. Che tutti i suoi figli più fortemente aderiscano al Redentore divino, a lui che è la porta, attraverso la quale bisogna entrare per essere salvi (Jn


10,9).

3. Con questi pensieri e voti, viene aperta la porta del Giubileo straordinario ed entriamo attraverso di essa nella Basilica di San Pietro, e contemporaneamente in tutte le cattedrali vescovili, in tutte le chiese parrocchiali, e in tutte le cappelle anche nelle terre piu lontane, e specialmente in quelle delle missioni.

Entriamo in tutte le comunità cristiane, quali che siano e dovunque esse siano al mondo, specialmente nelle catacombe del mondo contemporaneo. Il Giubileo straordinario della Redenzione è l'Anno Santo di tutta la Chiesa.

Da questa soglia, oggi, noi vediamo aprirsi un'ampia prospettiva su tutto un tempo di Grazia, che perdurerà fino alla Pasqua dell'Anno prossimo.

Dall'Incarnazione alla Pasqua.


4. Alla soglia dell'Anno Giubilare della Redenzione, la liturgia dell'odierna Solennità ci proclama il compimento di quel Segno che, secondo le parole del profeta Isaia, doveva essere dato alla Casa di Davide: "Ecco: la Vergine concepirà e partorità un figlio, che chiamerà Emmanuele". E così avviene. Il Segno è compiuto e prende forma nel mistero dell'Annunciazione.

Conosciamo bene questa forma. Noi amiamo profondamente l'Annunciazione angelica. Ritorniamo ad essa tre volte al giorno con la preghiera dell'Angelus.

Essa è l'invocazione delle nostre labbra. E' il canto dei nostri cuori. Essa ci riporta continuamente a quella Annunciazione a Maria, nella cui Solennità, che associa il Figlio e la Madre nel mistero dell'Incarnazione, vediamo pure il momento più adatto per dare inizio all'Anno della Redenzione.

Nell'Annunciazione infatti si è avuto l'inizio della Redenzione del mondo: l'Emmanuele, Dio con noi, è quel Cristo che nella Lettera agli Ebrei parla al Padre: "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà" (He 10,5-7).

Così dice Cristo, Verbo Eterno del Padre, Figlio suo prediletto. In queste parole sta l'inizio della Redenzione del mondo e tutto il suo disegno fino alla fine. La Redenzione del mondo è legata al quel corpo ricevuto da Maria e offerto nei sacrificio della Croce, divenuto poi il corpo della risurrezione: del "primogenito dei morti" (Ap 1,5).

E perciò, nel suo stesso inizio, la Redenzione del mondo è legata ad una parola che fa echeggiare la mirabile obbedienza di Cristo nella santa obbedienza della Vergine di Nazaret. Proprio a lei si rivolge l'annunciazione di Gabriele.

Proprio lei sente la decisiva risposta dell'Angelo alla principale domanda: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio" (Lc


1,35). E proprio lei, Maria di Nazaret, accoglie questa risposta ed accoglie nel suo grembo e nel suo cuore il Figlio di Dio come Figlio dell'uomo. E in lei il Verbo si fece carne dopo quella sua parola d'obbedienza in sintonia con Cristo: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che ha detto (Lc 1,38).

Di lei - prima Redenta - Dio fece la porta di ingresso del Redentore nel mondo.


5. Oggi noi tutti, qui riuniti nella Basilica di San Pietro a Roma, o nelle Comunità del Popolo di Dio disseminate in tutto il mondo, accogliamo questa Annunciazione come il compimento del Segno della profezia di Isaia.

Accogliamo in quel Segno l'Emmanuele. Professiamo la nostra fede nell'inizio della Redenzione del mondo. Da questo inizio desideriamo proseguire per tutte le tappe del Giubileo straordinario. Desideriamo ottenere che questo Anno che, nella storia dell'umanità, è marcato col segno dell'anniversario della Redenzione, diventi per noi, giorno per giorno, l'"Anno di grazia del Signore" (Lc 4,19).

(Prima di concludere, il Papa ha così pregato:) "Anno di grazia" che io, successore di Pietro, invoco da te Signore di ogni epoca e di tutta la storia, che ci hai amato fino alla morte per darci in abbondanza la vita:


6. Gesù Cristo, Figlio del Dio Vivente, / che hai preso il tuo corpo dalla Vergine Maria / e ti sei fatto Uomo per opera dello Spirito Santo! / Gesù Cristo, Redentore dell'uomo! / Tu che sei lo stesso ieri ed oggi e per i secoli! / Accogli questo Anno del Giubileo straordinario, / che ti offre la tua Chiesa / per celebrare il millenovecentocinquantesimo / anniversario della tua Morte e Risurrezione / per la Redenzione del mondo. / Tu, che dell'opera della Redenzione hai fatto la sorgente / di un dono sempre nuovo per la tua Sposa terrena, / fa penetrare la sua forza salvifica in tutti, i giorni, / le settimane, e i mesi di questo Anno, / affinché esso diventi per noi veramente / l'"Anno di grazia del Signore".


7. Fa' che noi tutti in questo tempo d'elezione, / ancor più amiamo te rivivendo in noi stessi / i misteri della tua vita, / dal concepimento e dalla nascita / fino alla croce e alla risurrezione, / Sii con noi mediante questi misteri, / sii con noi nello Spirito Santo, / non ci lasciare orfani! / Ritorna sempre a noi (cfr. Jn 14,18).


8. Fa' si che tutti si convertano all'Amore, / vedendo in te, Figlio dell'eterno Amore, / il Padre che è "ricco di misericordia" (Ep 2,4). / Nel corso di quest'anno la Chiesa intera / risenta l'abbondanza della tua Redenzione, / che si manifesta nella remissione dei peccati, / e nella purificazione dai loro residui / che gravano sulle anime chiamate ad una vita immortale. / Aiutaci a vincere la nostra indifferenza / e il nostro torpore! / Donaci il senso del peccato. / Crea in noi, o Signore, un cuore puro, / e rinnova uno spirito saldo / nella nostra coscienza (cfr. ).


9. Fa' o Signore che questo Anno Santo / della tua Redenzione diventi / pure un appello al mondo contemporaneo, / che vede la giustizia e la pace / sull'orizzonte dei suoi desideri, / e tuttavia, concedendo sempre maggiore spazio, / al peccato, vive, giorno per giorno, in mezzo / a crescenti tensioni e minacce, / e sembra avviarsi / verso una direzione pericolosa per tutti! / Aiutaci tu a cambiare la direzione / delle crescenti minacce e sventure nel mondo contemporaneo! / Risolleva l'uomo! / Proteggi le nazioni e i popoli! / Non permettere l'opera di distruzione / che minaccia l'umanità contemporanea!


10. O Signore Gesù Cristo, / si dimostri più potente l'opera della tua Redenzione! / Questo implora da te, in questo Anno, / la Chiesa mediante tua Madre, / che tu stesso hai dato come Madre di tutti gli uomini. / Questo implora da te la Chiesa / nel mistero della Comunione dei Santi. / Questo implora con insistenza la tua Chiesa: o Cristo! / Si dimostri più potente - nell'uomo e nel mondo - l'opera della tua Redenzione! / Amen.

Data: 1983-03-25 Data estesa: Venerdi 25 Marzo 1983

Giornata delle comunicazioni sociali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Informazione serena e imparziale contributo alla causa della pace

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo.


1. La promozione della pace: è questo il tema che la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali propone quest'anno alla vostra riflessione. Tema di estrema importanza e di palpitante attualità.

In un mondo che, grazie allo spettacolare progresso e alla rapida espansione dei mass-media, è divenuto sempre più interdipendente, la comunicazione e l'informazione rappresentano oggi un potere che può servire efficacemente la grande e nobile causa della pace, ma può anche aggravare le tensioni e favorire nuove forme di ingiustizia e di violazione dei diritti umani.

Pienamente consapevole dei ruolo degli operatori della comunicazione sociale, nel mio recente Messaggio per la Giornata mondiale della pace (1 gennaio 1983), che aveva come tema: "Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo" (cfr. n. 11), ho creduto necessario rivolgere un particolare appello a quanti lavorano nei mass-media per incoraggiarli a pesare la loro responsabilità e a mettere in luce col massimo di obiettività i diritti, i problemi e le mentalità di ognuna delle parti al fine di promuovere la comprensione e il dialogo fra i gruppi, i paesi e le civiltà. In che modo la comunicazione sociale potrà promuovere la pace?


2. Anzitutto mediante la realizzazione, sul piano istituzionale, di un ordine della comunicazione che garantisca un uso retto, giusto e costruttivo dell'informazione, rimuovendo sopraffazioni, abusi e discriminazioni fondate sul potere politico, economico e ideologico. Non si tratta qui in primo luogo di pensare a nuove applicazioni tecnologiche, quanto piuttosto di ripensare i principi fondamentali e le finalità che devono presiedere alla comunicazione sociale, in un mondo che è divenuto come una sola famiglia e dove il legittimo pluralismo deve essere assicurato su una base comune di consenso intorno ai valori essenziali della convivenza umana. A questo fine si esige una sapiente maturazione della coscienza tanto per gli operatori della comunicazione quanto per i recettori e si rendono necessarie scelte oculate, giuste e coraggiose da parte dei pubblici poteri, della società e delle istituzioni internazionali. Un retto ordine della comunicazione sociale e un'equa partecipazione ai suoi benefici, nel pieno rispetto dei diritti di tutti, creano un ambiente e condizioni favorevoli per un dialogo mutuamente arricchente tra i cittadini, i popoli e le diverse culture, mentre le ingiustizie ed i disordini in questo settore favoriscono situazioni conflittuali. così, l'informazione a senso unico, impostata arbitrariamente dall'alto o dalle leggi del mercato e della pubblicità; la concentrazione monopolistica; le manipolazioni di qualsiasi genere non sono solo attentati al retto ordine della comunicazione sociale, ma finiscono anche per ledere i diritti all'informazione responsabile e mettere in pericolo la pace.


3. La comunicazione, in secondo luogo, promuove la pace quando nei suoi contenuti educa costruttivamente allo spirito di pace. L'informazione, a ben riflettere, non è mai neutra, ma risponde sempre, almeno implicitamente e nelle intenzioni, a scelte di fondo. Un intimo nesso lega comunicazione ed educazione ai valori. Abili sottolineature o forzature, come pure dosati silenzi rivestono, nella comunicazione, un profondo significato. Pertanto, le forme e i modi con cui sono presentati situazioni e problemi quali lo sviluppo, i diritti umani, le relazioni tra i popoli, i conflitti ideologici, sociali e politici, le rivendicazioni nazionali, la corsa agli armamenti, per fare solo alcuni esempi, influiscono direttamente o indirettamente nel formare l'opinione pubblica e creare mentalità orientate nel senso della pace o aperte invece verso soluzioni di forza.

La comunicazione sociale, se vuole essere strumento di pace, dovrà superare le considerazioni unilaterali e parziali, rimuovendo pregiudizi, creando invece uno spirito di comprensione e di reciproca solidarietà. L'accettazione leale della logica della pacifica convivenza nella diversità esige la costante applicazione del metodo del dialogo, il quale, mentre riconosce il diritto all'esistenza e all'espressione di tutte le parti, afferma il dovere che esse hanno di integrarsi con tutte le altre, per conseguire quel bene superiore, che è la pace, a cui oggi si contrappone, come drammatica alternativa, la minaccia della distruzione atomica della civiltà umana.

Come conseguenza, si rende oggi tanto più necessario ed urgente proporre i valori di un umanesimo plenario, fondato sul riconoscimento della vera dignità e dei diritti dell'uomo, aperto alla solidarietà culturale, sociale ed economica tra persone, gruppi e nazioni, nella consapevolezza che una medesima vocazione accomuna tutta l'umanità.


4. La comunicazione sociale, infine, promuove la pace se i professionisti dell'informazione sono operatori di pace. La peculiare responsabilità e gli insostituibili compiti che i comunicatori hanno in ordine alla pace si deducono dalla considerazione sulla capacità ed il potere che essi detengono di influenzare, talora in modo decisivo, l'opinione pubblica e gli stessi governanti.

Agli operatori della comunicazione dovranno certamente essere assicurati, per l'esercizio delle loro importanti funzioni, diritti fondamentali, quali l'accesso alle fonti di informazione e la facoltà di presentare i fatti in modo obiettivo. Ma, d'altro canto, è anche necessario che gli operatori della comunicazione trascendano le richieste di un'etica concepita in chiave meramente individualistica e soprattutto non si lascino asservire ai gruppi di potere, palesi e occulti. Essi devono invece tener presente che, al di là e al di sopra delle responsabilità contrattuali nei confronti degli organi di informazione e delle responsabilità legali, hanno anche precisi doveri verso la verità, verso il pubblico e verso il bene comune della società.

Se nell'esercizio del loro compito, che è una vera missione, i comunicatori sociali sapranno promuovere l'informazione serena e imparziale, favorire le intese e il dialogo, rafforzare la comprensione e la solidarietà, essi avranno dato un magnifico contributo alla causa della pace.

Affido a voi, carissimi fratelli e sorelle, queste mie considerazioni proprio all'inizio dell'Anno Santo straordinario, con cui intendiamo celebrare il


1950° anniversario della Redenzione dell'uomo, operata da Gesù Cristo, "Principe della pace (cfr. Is 9,6), Colui che è la "nostra pace" ed è venuto ad "annunciare pace" (cfr. Ep 2,14 Ep 2,17).

Mentre invoco su di voi e sugli operatori della comunicazione sociale il dono divino della pace, che è "frutto dello Spirito" (cfr. Ga 5,22), imparto di cuore la mia benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 25 marzo 1983.

Data: 1983-03-25 Data estesa: Venerdi 25 Marzo 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Al Convegno del "Movimento Umanità Nuova" - Eur (Roma)