GPII 1983 Insegnamenti - A pellegrini dell'arcidiocesi di Kampala - Città del Vaticano (Roma)

A pellegrini dell'arcidiocesi di Kampala - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Portate l'annuncio dell'amore di Cristo ai vostri compatrioti

Miei fratelli e sorelle, sono lieto di darvi oggi il benvenuto e di esprimervi la mia gioia nel celebrare con voi l'unità che ci unisce tutti insieme come Corpo di Cristo. Estendo i miei saluti al Cardinale Nsubuga che ha guidato il vostro pellegrinaggio a Roma e che si adopera con tanta dedizione per la Chiesa. A lui e a ciascuno di voi esprimo la mia gratitudine per la vostra presenza qui.

Questo è l'Anno Giubilare della Redenzione e voi state osservando questo Anno Santo straordinario venendo a Roma per beneficiare dei tesori spirituali che il nostro Signore benedetto vi offre in questo tempo attraverso la Chiesa. Prego affinché siate profondamente toccati dall'incontro di Cristo lungo il vostro viaggio di pellegrini. Tornando a casa vi esorto a portare la Buona Novella dell'amore di Cristo ai vostri compatrioti, specialmente a coloro che in questo momento della storia portano la croce tanto pesante della sofferenza. Presso di loro possa la vostra testimonianza alla fede, come quella dei martiri ugandesi, essere coraggiosa e forte, rendendo testimonianza al significato della vita che avete trovato in Cristo, il Redentore.

Data: 1983-06-27 Data estesa: Lunedi 27 Giugno 1983

Per il Giubileo della Curia romana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cristo alimenti il nostro servizio d'amore, d'unità e di pace

Venerati Cardinali, fratelli e sorelle della Curia romana!


1. "Rimanete in me e io in voi - dice il Signore - chi rimane in me porta molto frutto" (Jn 15,4-5).

Celebriamo il Giubileo straordinario della Redenzione con questa Eucaristia, a cui partecipano, insieme con me, i membri di tutti gli ordini e gradi della Curia romana e i dipendenti delle varie amministrazioni della Santa Sede. Vi saluto con affetto, collaboratori carissimi nell'esercizio dell'universale servizio che la Chiesa di Roma rende alla Chiesa universale; e con commozione vi vedo oggi strettamente uniti a me, in questa Liturgia di riconciliazione e ci lode.

Celebriamo il Giubileo alla vigilia della solennità dei Santi Pietro e Paolo, le colonne incrollabili su cui poggia l'intera Chiesa, e quella di Roma in particolare. Lo celebriamo nella cornice sacra e stupenda di questa Basilica, che nella sua mole grandiosa, sormontata dalla Cupola di Michelangelo, racchiude il "trofeo" glorioso del sepolcro di Pietro. Celebriamo inoltre il Giubileo in questa memoria di sant'Ireneo, Vescovo di Lione, l'assertore incomparabile e incisivo del primato della Sede di Pietro, quella che egli chiama "la più grande, la più antica Chiesa, a tutti nota e fondata dai gloriosi apostoli Pietro e Paolo, la Chiesa di Roma" (cfr. "Adversus Haereses" 3,3, 1-2).

Celebriamo questo Giubileo nella gioia intima e grande che a noi tutti infonde la consapevolezza di essere chiamati a far parte, in modo più stretto e particolare, direi quasi in forma familiare, degli organismi centrali della Chiesa. La mia gioia si accresce per il fatto che sono associate a questo Rito anche le vostre carissime famiglie, che saluto anch'esse con particolare affetto.


2. E' un momento di grazia. Siamo entrati tutti insieme attraverso la Porta Santa dando anche plasticamente l'immagine di quella unione di cuori nella fede e nell'amore a Cristo, nella quale deve svolgersi il comune lavoro al servizio della Chiesa universale. Mediante il Sacramento della Penitenza o Riconciliazione, e nel ricevere la Santissima Eucaristia, noi vogliamo entrare tutti insieme in quel grande flusso di grazia, che è l'Anno Giubilare per tutta la Chiesa. Vogliamo entrare in comunione più intima con Cristo, passando per mezzo suo all'intimità di vita e di grazia col Padre: Gesù, infatti, è "la porta delle pecore... Io sono la porta - egli ha detto -: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo... Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,


7.9-10). Questo significa il Giubileo. Questo significa l'acquisto dell'Indulgenza. E' la nostra appropriazione, in forma straordinaria, di quell'ordinaria ricchezza della Redenzione di cui vive la Chiesa: è certamente, per ciascuno di noi, un impegno perché la Redenzione lasci nel nostro profondo la sua impronta, affinché - come ho scritto nella Bolla di indizione - sappiamo "riscoprire nella (nostra) esperienza esistenziale tutte le ricchezze insite nella salvezza a (noi) comunicata fin dal Battesimo". Momento di grazia, dunque, che ci fa riflettere sull'intima necessità di essere e di rimanere uniti a Cristo per dare fecondità soprannaturale alla nostra vita e al nostro lavoro quotidiano, nel cuore della Chiesa.

"Rimanete in me e io in voi - dice il Signore -, chi rimane in me porta molto frutto".


3. Ma è anche un momento di riflessione. Momento di presa di coscienza. Momento di verità. Il mio amato predecessore Paolo VI, nell'analoga occasione dell'Anno Santo celebrato per la Curia, il 22 febbraio 1975, richiamava i collaboratori al dovere di interrogarsi nell'intimo: "Noi siamo la Curia, l'organo centrale e complesso dei dicasteri, dei tribunali e degli uffici, che coadiuvano il pastorale governo generale della Chiesa cattolica; e tanto basta per generare in noi tutti non già un senso di superiorità e di orgoglio... quanto piuttosto la coscienza d'una assai grave e delicata funzione, che comporta responsabilità e fatiche tanto maggiori quanto più prossima è la sua derivazione dalle esigenze costituzionali del ministero apostolico" ("Insegnamenti", XIII (1975) 173).

Ecco, fratelli e sorelle. La nostra ragion d'essere è quella di "coadiuvare il pastorale governo generale della Chiesa". Ma a che cosa tende questo governo, a cui, con la grazia di Dio, vanno le mie quotidiane sollecitudini, che hanno assolutamente bisogno della vostra collaborazione, senza la quale non potrebbero diventare concrete ed efficaci? A che cos'altro esso mira, se non a stabilire il Regno di Dio nel mondo? A dare voce al Vangelo? A preparare le vie al Cristo? Ad aprire le porte al Redentore? Che cos'altro vuole il mio e vostro lavoro, se non l'estensione della Redenzione nel mondo? Questo il nostro impegno, questo il nostro vanto, questa la nostra responsabilità, a cui tanto ci sentiamo impari e indegni.

La Curia ha il suo primo titolo di onore nella collaborazione che, a titolo unico, essa presta all'opera del Papa. E quest'opera - nel doveroso rispetto della sussidiarietà di tutte le componenti della Chiesa - è per questo strettamente associata alla Redenzione. "Difatti - ho ancora scritto all'inizio della citata Bolla - il ministero universale, proprio del Vescovo di Roma, trae origine dall'evento della Redenzione operata da Cristo con la sua morte e risurrezione, e dallo stesso Redentore esso è stato messo a servizio di quel medesimo evento, il quale in tutta la storia della salvezza occupa il posto centrale" (AAS 75 (1983) 89-90). Ecco ciò che deve distinguere tutti i membri della Curia, a qualunque funzione appartengano: la certezza, la convinzione, la responsabilità di essere al servizio di quell'opera di salvezza a favore del genere umano, che Cristo ha portato a compimento col Mistero pasquale, e che ha affidato in modo tutto particolare al suo Vicario in terra. "Pasce agnos meos, pasce oves meas" (Jn 21,15-16).


4. Il vostro è perciò un servizio di amore. Perché anzitutto la Redenzione è mistero di amore, è opera di amore. "L'amore si deve amare - ha scritto sant'Agostino -. Ci ha amati, affinché lo potessimo riamare, egli ci ha visitati col suo Spirito" ("Enarr. in Ps. 127", 8). Su questo dovere d'amore nel servizio ha ancora insistito Paolo VI presso tutta la Curia romana, nella menzionata occasione, dicendo: "Noi abbiamo conosciuto e creduto all'amore-carità che Dio ha per noi; e questa è sempre una scoperta originale per il nostro pensiero in cerca del vertice della verità: Dio ci ha amato!... E' di qui che nasce l'impulso più forte e più diretto al compimento del sommo mandato evangelico dell'amore: amore al Dio che ci ha amati fino a darci come vittima e salvatore, come maestro e come fratello, il Figlio suo" ("Insegnamenti" XIII (1975) 175). Se il servizio di Pietro e dei suoi successori è, come dice sant'Agostino, un "dovere di amore", "amoris officium" ("In Ioann. Ev." 123,5), altra migliore definizione non può trovare la collaborazione che la Curia, per sua destinazione e struttura, presta al Papa: "amoris officium", servizio di amore, dunque, il vostro.


5. Ma esso è anche un servizio di unità. Da compiere nello spirito delle esortazioni paoline a Timoteo, nella lettura che abbiamo ascoltato: "Carissimo, cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro" (2Tm 2,22).

Da compiere nello spirito di ardente fusione dei cuori, per cui Gesù ha pregato nell'Ultima Cena, come ci ha ricordato il Vangelo che è stato proclamato: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21). L'unità a cui mira l'azione della Chiesa, è un bene anzitutto da vivere nell'esperienza e nel proposito quotidiano di quanti, come noi tutti, siamo impegnati in quest'opera.

Opera di unità, perché, come ho detto prima, è opera d'amore: "Ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo faro conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro" (Jn 17,26). così abbiamo pregato stamani per l'intercessione di Ireneo di Lione: "Fa' che ci rinnoviamo nella fede e nell'amore, e cerchiamo sempre ciò che promuove l'unità e la concordia" (Colletta).


6. Il vostro è perciò anche un servizio di fede. Dalla fede vissuta nasce la coscienza di appartenere alla Chiesa - e a un privilegiato servizio di Chiesa -.

Dalla fede nasce l'esigenza di purificarsi continuamente per meritare il dono della Redenzione, il dono della grazia, ed esserne gli umili tramiti nel mondo.

Ancora in questa Messa, chiederemo al Signore l'aiuto necessario "perché custodiamo intatta la fede" (sulle offerte); perché con la fede viva "diventiamo anche noi veri discepoli del Cristo" (dopo la Comunione).

Abbiamo bisogno di implorare questo dono della fede viva, perché il nostro lavoro non diventi abitudine, non si trascini con stanchezza, non si svuoti esistenzialmente del suo primario valore ecclesiale. La fede deve tenere alta la nostra volontà, chiara la nostra mente, luminoso il nostro occhio interiore per vedere - anche nei più umili e nascosti lavori, che pur Dio vede e giudica e premia - l'apporto che Cristo ci chiede per aiutarlo a salvare il mondo. Essa deve dare ali al nostro zelo, nella piena coscienza - come vi dicevo nel nostro incontro di giugno dello scorso anno - che il "servizio della Sede Apostolica comporta una specificità propria, che trae il suo valore dall'essere appunto tutti chiamati a partecipare alla stessa missione che il Papa svolge a favore della Chiesa" ("Insegnamenti", V,2 (1982) 2482).


7. Venerati Cardinali, fratelli e sorelle, miei collaboratori! Tale intensità di intenzione e di impegno non potrebbe realizzarsi senza l'aiuto di Cristo, senza l'intima fusione di grazia con lui e per lui. "Rimanete in me e io in voi - dice il Signore -, chi rimane in me porta molto frutto". Dobbiamo portare frutto.

La riconciliazione con Dio, a cui ci chiama il Giubileo, ne è la premessa. L'incontro eucaristico con Cristo, unendoci strettamente a lui, ce ne dà la possibilità e la forza. Portiamo molto frutto. Non stanchiamoci di tendere sempre al meglio.

Anche nell'inappariscenza della quotidianità logorante, Cristo ci dà la linfa vitale, per cui diventiamo fecondi nella Chiesa. Il Signore ha bisogno di noi. La Chiesa ci guarda e aspetta da noi. Il mondo, assetato di unità e di ordine, attende anch'esso da noi un apporto concreto al suo cammino di crescita nella giustizia e nella verità.

Sant'Ireneo continui a "confermare la Chiesa nella verità e nella pace" (Colletta). I santi Pietro e Paolo ci aiutino a mantenere intatta la nostra fede, per la quale hanno dato la vita. E Maria Santissima, in questo cammino di avvento, di preparazione al terzo millennio - di cui il Giubileo della Redenzione è segno e preparazione - ci sia vicina, ci assista, ci presenti il Cristo, Figlio del Padre e Figlio suo, affinché come lei, seguendo lei, imitando lei, possiamo anche noi essere i collaboratori della Redenzione, con il nostro "si" quotidiano, con la nostra fedeltà alla Parola di Dio, con la nostra disponibilità. Maria ancor oggi ci ripete: "Fate tutto quello che egli vi dirà" (Jn 2,5).

Fratelli! Qui il segreto dell'efficacia del nostro lavoro. Lo deponiamo nelle mani della Madre, perché vogliamo essere, sempre, i generosi servitori del Figlio e della Chiesa. Perché vogliamo fare quello che il Signore ci chiede.

Quello che egli esige da noi tutti, membri della Curia romana: da voi, collaboratori miei: da me, Vicario del Figlio. Sempre, con l'aiuto di Dio, per l'intercessione della Madre. Amen.

Data: 1983-06-28 Data estesa: Martedi 28 Giugno 1983

Omelia per i Santi Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Pietro è il punto di sostegno e di unità

"Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).


1.\ Cari fratelli e sorelle! Questa aperta confessione di fede, pronunciata dall'apostolo Simon Pietro a nome dei dodici, conferisce la sua impronta specifica alla festività odierna, in cui celebriamo la beata memoria dei santi Pietro e Paolo. Si, anche Paolo di Tarso è accomunato al pescatore di Betsaida nella medesima fede cristologica; infatti egli scrive: "Colui che... mi chiamo con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani" (Ga 1,15-16).

Ebbene, anche noi, oggi, vogliamo fare nostra e ripetere la medesima confessione, che a partire da quel lontano giorno nei dintorni di Cesarea di Filippo risuona ormai da due millenni: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!". Lo diciamo a quel Gesù di Nazaret, Verbo Incarnato del Padre, che visse e mori per amore dell'uomo, in totale obbedienza a Dio. Lo diciamo a lui con tutto il cuore, poiché egli, nostro Redentore, è l'unico degno di una tale proclamazione: egli è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E lo diciamo tutti insieme noi qui presenti, fratelli nell'Episcopato, fedeli di Roma e di varie parti del mondo convenuti nella Città eterna per l'Anno Santo.

E così facendo, siamo uniti alla fede delle venerande Chiese Orientali, il cui Patriarcato ecumenico di Costantinopoli è qui rappresentato dal Metropolita di Calcedonia e decano del Santo Sinodo, Melitone, che saluto con fraterno affetto. Tutti coloro che sono cristiani si riconoscono in queste parole di Simon Pietro, che qualificano ed esaltano il loro comune Signore. Sicché Gesù Cristo sta al di sopra di tutti noi, e in qualche modo tutti noi, al di là delle incresciose divisioni storiche, ritroviamo solo in lui la nostra superiore e più profonda unità.


2. Confessare Gesù come "Cristo" significa riconoscere e accettare la sua funzione di Messia. Questo è un titolo che lo colloca in un particolare rapporto con la storia, sia di Israele che dell'umanità intera, in quanto egli ne compie le attese, ne libera le tensioni, in una parola ne costituisce il traguardo. Egli è colui che doveva venire (cfr. Mt 11,3); in quanto tale, egli "tornerà" (Ac 1,11).

Infatti, secondo il Veggente dell'Apocalisse, egli è "il Primo e l'Ultimo e il Vivente" (Ap 1,17-18). perciò, quando diciamo: "Tu sei il Cristo", non solo poniamo Gesù al di sopra dell'umana vicenda, ma soprattutto proclamiamo la sua incomparabile relazione col divenire quotidiano e insieme secolare della stessa vicenda umana su questa terra; di essa egli, oltre che farsi partecipe, costituisce il dinamismo segreto, è la soluzione delle sue molteplici inquietudini, l'approdo sicuro di ogni suo incerto errare. A ciascun uomo, perciò, come già avvenne per il vecchio Simeone che aspettava il conforto d'Israele, noi auguriamo nella preghiera di non vedere la morte "senza prima aver veduto il Messia del Signore" (Lc 2,26), e che ognuno possa dire con interiore esultanza, come Andrea: "Abbiamo trovato il Messia" (Jn 1,41).

Nello stesso tempo, insieme a Pietro, noi lo confessiamo "Figlio del Dio vivente". E questo titolo lo pone in un rapporto specialissimo con Dio stesso, che egli più e più volte chiamo "Padre", anzi "Padre mio" (cfr. per es. Mt 11,25-27).

Dio infatti lo ha mandato come segno del suo amore per il mondo (cfr. Jn 3,16); ed egli non ebbe altro cibo che fare la sua volontà (cfr. Jn 4,31), proclamandosi "una cosa sola" con lui (Jn 10,30). Davvero, in Gesù, "Dio è con noi" (Mt 1,23), essendo Dio egli stesso. perciò, quando diciamo: "Tu sei il Figlio del Dio vivente", riconosciamo in Gesù non solo colui che dà un senso alla storia, ma anche colui che essenzialmente la supera, perché il suo essere più profondo è irriducibile ad essa. Egli infatti partecipa della divinità, e proprio per questo ci apre uno spiraglio sull'inesauribile mistero di comunione, che caratterizza la vita divina e che, da parte nostra, può soltanto essere oggetto di contemplazione e di adorazione.


3. Tutte queste cose, Pietro confesso a Cesarea di Filippo, quando Gesù chiese ai dodici: "Voi chi dite che io sia?". E, ottenuta la risposta, Gesù lo chiamo "beato" a motivo dell'origine non umana della sua dichiarazione. In particolare, Matteo riporta alcune solenni parole di investitura, con cui il Signore, attribuendo a Simone il singolare epiteto di "pietra-roccia", ne lego inscindibilmente la funzione e il destino alla configurazione della Chiesa e alla sua soprannaturale e insieme storica vicenda. Per la sua confessione di fede, Simone divento la roccia di fondamento su cui Cristo perennemente edifica la sua Chiesa, divenendo così punto di sostegno e di unità di tutte le linee di forza che innervano la comunità cristiana; insieme, ricevette la responsabilità di "legare e sciogliere", cioè di precisare con matura decisione ciò che attiene o no all'identità propria della Chiesa, che pur resta sempre "di Cristo" (Rm 16,16 cfr. Ga 1,22 Ep 1,22-23 Ep 5,25). Si tratta di un servizio dato dal Signore, come si esprime l'apostolo Paolo, "per edificare e non per distruggere" (2Co 13,10 cfr. 2Co 10,8), conformemente alle altre parole pronunciate dal Signore al momento dell'Ultima Cena: "Simone, Simone... io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu... conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,31-32).

Questo ministero petrino continua oggi in particolare connessione con la Sede episcopale di Roma, dove Pietro rese la sua suprema testimonianza (cfr. Clemente romano, "I lettera ai Corinzi" 5,4). E il connubio di fede e sofferenza gli è tipico. Già a Gerusalemme, secondo quanto abbiamo ascoltato dalla prima lettura biblica, Pietro ebbe a soffrire il duro carcere, mentre la Chiesa pregava incessantemente per lui (cfr. Ac 12,5). E, al termine della vita, nonostante i suoi antichi e già purificati rinnegamenti, avrebbe potuto dire insieme a Paolo, come ci attesta la seconda lettura odierna: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede" (2Tm 4,7). così, i due gloriosi Apostoli sono uniti nella medesima, chiara e forte confessione di fede, e anche nel destino di un'incrollabile testimonianza fino al martirio, affrontato con assoluta disponibilità per colui, nel quale soltanto è dato agli uomini sotto il cielo di essere salvati (cfr. Ac 4,12).


4. Durante questa celebrazione, quest'anno avviene la benedizione e l'imposizione dei pallii ad alcuni Arcivescovi, recentemente nominati. La collazione del pallio, presso la tomba di Pietro e per mano del suo successore, è sempre stata vista nella storia di questo atto liturgico come una partecipazione del "pasce oves meas", detto da Gesù a Pietro (cfr. Duchesne, "Origines du culte chrétien", p. 386).

Il fatto che al Vescovo di Roma, da tempi secolari, sia dato di compiere tale gesto e che oggi lo compia nel contesto di una solenne celebrazione liturgica, sta a significare che il pallio a voi imposto, diletti fratelli nell'Episcopato, è simbolo di comunione privilegiata col successore di Pietro, principio e fondamento visibile di unità nel campo della dottrina, della disciplina, della pastorale. Il pallio significa un maggiore impegno d'amore per Cristo e per le anime. Tale amore per il gregge di Cristo, pastore e guardiano delle nostre anime (cfr. 1P 2,25), vi aiuti a svolgere il vostro ministero di servizio. La dottrina che proporrete sarà feconda, se nutrita di amore. E questo è anche il mio voto, per voi, cari confratelli, secondo l'augurio espresso da antiche formule: "Sit vobis honor pallii ornamentum animae, et unde advenit fastigium visibile, inde florescat amor invisibilis" (Pontificale romano-germanico del X secolo).

E vi sostenga l'intercessione dei Santi Pietro e Paolo, di cui celebriamo il ricordo con particolare solennità, in quest'Anno Giubilare della Redenzione, in cui i pellegrini che vengono a Roma per l'acquisto del Giubileo amano recarsi a pregare in special modo presso le tombe dei due massimi Apostoli.

Sono gli Apostoli che noi, come i primi pellegrini, chiamiamo Beati: per la loro diretta chiamata da parte del Signore Gesù; per la loro vita di generoso e fecondo ministero apostolico; per la loro illuminata predicazione, che ancora e sempre ci nutre; per il loro ultimo sacrificio, che sigillo meravigliosamente un'esistenza tutta consacrata al Signore, al Vangelo e alle comunità cristiane da essi suscitate.

E noi, "edificati sopra il fondamento degli Apostoli" (Ep 2,20), anzi di tali Apostoli, ringraziamo il Signore perché si manifesta grande nei suoi santi, e accogliamo con gioia e umiltà l'invito dell'Agiografo: Quorum intuentes exitum conversationis imitamini fidem (He 13,7). così sia!


(Saluto ai presenti da varie Nazioni:) Indirizzando un cordiale saluto ai pellegrini di lingua francese, auguro loro di trarre dalla commovente celebrazione di oggi, così come dal cammino giubilare dell'Anno Santo, il coraggio e la gioia di vivere e di diffondere le esigenze del Vangelo di Cristo, là dove si svolge la loro vita quotidiana. I Santi Pietro e Paolo siano loro d'aiuto! A tutti i pellegrini di lingua inglese che si sono radunati qui presso la tomba dell'apostolo Pietro, indirizzo i miei saluti di grazia e di pace. Do il benvenuto in modo particolare ai membri dell'associazione "Catholic Physicians Guilds", guidati dall'Arcivescovo Elko, che sono diretti a Lourdes. Saluto anche i gruppi di pellegrini della Nigeria, dell'Indonesia, dell'Uganda. Prego affinché tutti voi siate rafforzati nella vostra fede in Gesù Cristo il Figlio del Dio vivente.

Di tutto cuore saluto anche i pellegrini di lingua tedesca nell'odierna festività dei santi apostoli Pietro e Paolo. "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Con questa confessione resa a Cristo Pietro è divenuto roccia della Chiesa e anche della nostra fede. Testimoniamo anche noi Cristo col coraggio dell'apostolo delle genti Paolo presso gli uomini del nostro tempo! Salutando cordialmente voi, pellegrini di lingua spagnola, che avete assistito a questa cerimonia religiosa nella festività degli Apostoli Pietro e Paolo, vi invito a riflettere fedelmente nella vostra vita quotidiana la fede cristiana che essi ci hanno trasmesso come dono permanente. così vi sentirete veri membri della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

Un saluto particolare al gruppo proveniente dal Cile, che accompagna il nuovo Arcivescovo di Conception giunto a Roma per ricevere il Pallio".

Tra i numerosi gruppi italiani presenti a questa celebrazione, desidero rivolgere un saluto speciale a quanti sono qui convenuti da Bologna, Firenze e Modena, per accompagnare i loro nuovi Arcivescovi, ai quali ho imposto il pallio.

Carissimi, vi esorto a corrispondere, con una vita cristiana sempre più generosa, alle ansie pastorali dei vostri Presuli, e mentre vi assicuro del mio affetto, benedico di cuore voi e le comunità diocesane che rappresentate.

Data: 1983-06-29 Data estesa: Mercoledi 29 Giugno 1983

Alla delegazione di Costantinopoli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'unione dei cristiani rende credibile l'annuncio del Vangelo

Eminenza e cari fratelli nel Cristo.

La presenza a Roma di una delegazione della Chiesa sorella di Costantinopoli aumenta ancor più la nostra gioia in questo giorno in cui celebriamo i santi apostoli Pietro e Paolo. Voglio dirvi la mia viva gratitudine.

Questa nuova tradizione di festeggiare insieme, qui, a Roma, i santi Pietro e Paolo, e presso il Patriarcato ecumenico, sant'Andrea, fratello di Pietro, colma in un certo modo il vuoto che la loro comunione incompleta ha instaurato tra le nostre Chiese. E lo colma attraverso il desiderio che essa esprime e la speranza che suscita di arrivare al giorno in cui noi potremo finalmente celebrare insieme l'Eucaristia come discepoli fedeli attorno al loro comune Signore. Questa partecipazione reciproca alla festa degli Apostoli è l'espressione del nostro comune impegno di preparare, nell'unità e nella carità, questa cena di comunione che il Signore vuole che noi celebriamo come memoriale della sua morte e della sua risurrezione, come pegno di vita eterna.

La celebrazione di questo giorno ricorda la vocazione dei primi discepoli: "Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: "Seguitemi, vi faro pescatori di uomini". Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono" (Mt 4,18-20). Da allora, Pietro e Andrea furono uniti più profondamente che non attraverso i legami di sangue, in una vocazione che va oltre le necessità contingenti, ma anche imperiose, del loro lavoro quotidiano.

Il Signore li ha chiamati a seguirlo per affidare loro una missione in mezzo agli uomini; si tratta di rendere tutte le nazioni seguaci del Signore (cfr. Mt 28,19). E' la vocazione e la missione permanente, anche nella nostra epoca, di tutti coloro che discendono dagli Apostoli e si considerano loro successori in una linea ininterrotta che attraversa i secoli. Il nostro tempo, ricco di diversi dinamismi, di nuove e imprevedibili conquiste dello spirito umano, ma anche gravato da profonde inquietudini interiori e offuscato da tragiche tentazioni di morte, ha bisogno più che mai di una viva testimonianza di fede, di unità e d'amore; questa testimonianza, l'attende da noi che crediamo in colui che ha donato la sua vita per la salvezza del mondo. Infatti, l'unità che, obbedendo alla volontà del Signore, cerchiamo di ristabilire tra le nostre Chiese, è in vista dell'annuncio di questa Buona Novella all'umanità intera "affinché il mondo creda" (Jn 17,21), abbia la pace e la sua gioia sia piena. L'unità dei credenti in Cristo è una condizione della credibilità del nostro annuncio del Vangelo nel nostro tempo.

Ogni anno, la nostra celebrazione comune degli Apostoli ci permette, certamente, di approfondire la conoscenza che abbiamo gli uni degli altri e la carità fraterna che ci anima, ma ci offre anche l'occasione di ringraziare insieme il Signore che ci fa progredire, lentamente ma sicuramente, verso la piena comunione ecclesiale.

Tra le nostre Chiese si sviluppa anche un'attenta solidarietà, frutto di un sentimento di comunione che si estende tra i Cattolici e gli Ortodossi a tutti i livelli. Questi sentimenti dovrebbero concretizzarsi sempre più in atti di collaborazione nel campo degli studi come anche in certi settori dell'azione pastorale, là dove Cattolici e Ortodossi vivono insieme nel medesimo luogo.

In queste iniziative tendenti a ristabilire tra noi lo spirito che deve regnare tra fratelli, il dialogo teologico prosegue il suo corso. Con gioia, apprendo che dopo la seconda sessione plenaria della commissione mista del dialogo che si è tenuta esattamente un anno fa, le sottocommissioni di studio hanno già compiuto il loro lavoro e che il comitato misto di coordinamento si è già riunito per preparare la convocazione della terza sessione. Con devozione e competenza, Vescovi e specialisti, cattolici e ortodossi, animati da un medesimo zelo, si sono impegnati in questo dialogo con tutte le risorse della loro intelligenza e del loro cuore. Numerose volte, ho domandato che tutti pregassero per questo dialogo, affinché il Signore lo renda fecondo, perché "è lui solo che fa crescere" (1Co 3,7). La preghiera di tutti è necessaria per eliminare quelle reticenze diffuse che possono ancora esistere qua e là e soprattutto per superare tutte le difficoltà dottrinali che il dialogo dovrà inevitabilmente affrontare.

In questi sentimenti di gioia e di comunione, di impegno e di speranza, noi vi accogliamo, voi, Eminenza, e la delegazione che il Patriarca Dimitrios ha voluto, quest'anno, inviare a Roma.

Vi prego di portare a Sua Santità l'espressione della mia fraterna gratitudine e di dirgli il vivo ricordo che io conservo della visita che gli feci in occasione della festa di sant'Andrea.

Dio faccia che ancora una volta possiamo unirci nella recita di una preghiera comune! Io e la Chiesa di Roma saremo felici che questo possa aver luogo a Roma sulla tomba dei santi Pietro e Paolo.

Data: 1983-06-30 Data estesa: Giovedi 30 Giugno 1983

A vescovi di Cuba in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Attiva presenza della Chiesa nella storia del popolo cubano

Cari fratelli nell'Episcopato.


1. Avete insieme intrapreso il cammino verso Roma, amati Pastori della Chiesa di Dio che è in Cuba, per incontrarvi col successore di Pietro in questa visita "ad limina", che da dieci secoli costituisce una caratteristica dei contatti più significativi dell'Episcopato cattolico col Papa.

La scadenza ogni cinque anni, di questa visita è un momento privilegiato perché i Pastori e, attraverso di loro, le Chiese particolari, rivivano e fortifichino i vincoli di comunione che le uniscono col centro della cattolicità, con la Chiesa che "le presiede nella carità".

In questo spirito di rinnovata esperienza del mistero della Chiesa, che in Cristo diviene segno e strumento di intima unione col Padre e di unità del genere umano (cfr. LG 1), vi ricevo con gioia profonda. Non solo voi, ma uniti dagli stessi vincoli di affetto ecclesiale, anche i vostri sacerdoti, religiosi, religiose e laici, che nelle diverse diocesi di Cuba vivono la loro fede cristiana con autentico spirito di fedeltà al comune Maestro e Signore.

Questa accoglienza si fa tanto più cordiale, perché so bene che, anche tra sacrifici, la comunità ecclesiale cubana conserva la sua ferma adesione alla Sede di Pietro, vive unita intimamente col Vescovo della Chiesa e cerca di seguire le sue indicazioni con obbedienza rispettosa e filiale nella fede.

Senza pretendere di esaurire la tematica che si riferisce alle vostre comunità ecclesiali, delle quali ci siamo occupati nei precedenti colloqui individuali con ciascuno di voi, desidero ora mettere in comunione alcune riflessioni che giudico di speciale interesse per la vostra missione di guide di quel concreto Popolo di Dio che la Provvidenza vi ha affidato.


2. Il mio primo pensiero si rivolge ai vostri sacerdoti e religiosi che con vero zelo e impegno consacrano le loro migliori energie alla formazione nella fede e all'animazione pastorale delle vostre comunità ecclesiali.

Sono ben conscio delle non piccole difficoltà che essi incontrano nel loro ministero. E conosco la generosità di spirito che pongono nel loro compito, aggravato dalla scarsità di ministri della pastorale, nella quale solo il maggior impegno supplisce la mancanza di personale. Desidero dunque partecipare alla vostra gioia di Pastori che si sentono giustamente felici per questo esempio di dedizione da parte dei loro sacerdoti. Desidero affidarvi lo speciale incarico di esprimere loro il mio compiacimento a nome della Chiesa. Portate loro anche la mia parola di incoraggiamento e la certezza del mio ricordo nella preghiera, affinché continuino nella loro generosa e gioiosa attitudine di servizio al popolo fedele.

Con grande affetto li incoraggio a rimanere forti nella fede (2P 5,9 Ep 6,16), gioiosi nella speranza (1Jn 2,28 1P 4,13), esemplari nella testimonianza al gregge (Ga 6,9-10 2P 5,2-4), affinché questo stesso esempio animi altri giovani a rispondere alla chiamata di Dio alla vita consacrata.

E affinché i vostri sacerdoti mantengano questa fedeltà gioiosa alla loro vocazione, invitateli a ricercare il costante rinnovamento di spirito che procura una vita interiore intensa, alimentata senza posa nella preghiera e nelle fonti di una sana spiritualità. Senza di essa, il ministero sacerdotale perde la sua base e ispirazione, o può trasformarsi in attivismo esteriore che, alla lunga, si inaridisce.

Su questa linea, lodo gli sforzi che si stanno compiendo a Cuba per favorire un rinnovamento della formazione intellettuale e spirituale dei sacerdoti, ed esorto a promuovere corsi appropriati o altri mezzi che siano di aiuto adeguato a questo cammino.


3. Insieme ai sacerdoti, religiosi e seminaristi, raccomando alla vostra particolare guida le religiose che operano a Cuba. Sono una parte importante della Chiesa, che in loro rende ammirevolmente presente l'opera salvifica di Cristo nella società cubana attuale. Nella vita contemplativa, dedite ai valori dello spirito in ambienti che spesso si basano su altri parametri di vita, o dedite al lavoro diretto nella pastorale e nelle opere di assistenza sociale, sono una stupenda testimonianza e una ricchezza ecclesiale senza pari, che si trasforma in amore ed efficace servizio al popolo, il quale giustamente le ammira e le apprezza.

Guidatele e sostenetele, poi, nella loro vita personale e apostolica, come vi ho detto parlando dei sacerdoti e dei religiosi. Il leggero incremento stesso che si va notando nelle vocazioni femminili, deve essere uno stimolo per rinnovare l'impegno nella formazione vocazionale, il cui elemento primario sarà sempre la testimonianza di una vita consacrata colma di entusiasmo e di gioia.


4. So che voi, Vescovi della Chiesa di Cuba, apprezzate profondamente l'encomiabile contributo che prestano tanti laici, coscienti delle esigenze del loro Battesimo (cfr. AA 23) e impegnati nelle diverse responsabilità ecclesiali. So anche che valorizzate in tutto il suo significato la loro presenza attiva nei compiti sociali del vostro ambiente sociale.

La mia voce desidera oggi unirsi alla vostra, per manifestare ai laici cattolici di Cuba il mio vivo riconoscimento nel nome di Cristo, per la loro coscienza ecclesiale e sociale. Che non si scoraggino nel loro impegno, nonostante gli sforzi necessari, nonostante i richiami che possono venire da un comprensibile desiderio di vantaggi materiali, soprattutto se questi sottomettono o compromettono la loro condizione cristiana.

Unisco inoltre il mio desiderio al vostro, per incoraggiare una maggiore presenza attiva del laicato nella vita sociale, avendo cura che preservi sempre la sua identità cattolica.


5. Un campo concreto nel quale il laicato cattolico cubano deve far sentire la sua presenza attiva è quello della famiglia che deve essere oggetto di attenzione particolare da parte della Chiesa e di coloro che collaborano all'apostolato. La famiglia continua ad essere, infatti, un campo di importanza primaria per la Chiesa e per la società, ed è nello stesso tempo oggetto, al giorno d'oggi, di una crisi che oltrepassa i vostri confini locali.

Non posso, perciò, trascurare di attirare anche la vostra sollecitudine di Pastori, al fine di cercare di dare ad essa la solidità, la coesione, la dinamica interna e sociale - nei suoi aspetti umani e cristiani - della quale ho tracciato ampie linee direttive nella "Familiaris Consortio".

Ciò vi porterà a guardare con debita ponderazione al fenomeno del divorzio, purtroppo tanto frequente, che trova le sue radici nella mancanza di riflessione prima del matrimonio, nella carenza di volontà di impegno perseverante, nella separazione dei coniugi per motivi di lavoro, nella scarsezza di abitazioni e altre cause.

Ai tanti danni causati dal divorzio, vengono ad assommarsi a volte quelli provocati dalla mancanza di rispetto per la vita appena concepita, con grave violazione dell'ordine morale, e dall'attentare contro l'esistenza di esseri innocenti; tanto nel caso di donne sposate come quando il problema interessa il frutto di relazioni extra e pre-matrimoniali. Sono questioni alle quali il vostro zelo pastorale e la sensibilità dei vostri fedeli più impegnati vi aiuteranno ad offrire progressivamente i rimedi possibili.


6. Non minore impegno da parte delle vostre comunità ecclesiali, parrocchie, agenti dell'apostolato, laici e famiglie, merita l'educazione nella fede dei bambini; e parallelamente anche degli adolescenti e dei giovani.

Qui trova un posto di rilievo la missione della famiglia, tanto più quando le condizioni esterne non permettono l'educazione cristiana in altri ambienti, o quando i bambini si vedono esposti a possibili pressioni dal punto di vista religioso o morale.

E' degno di apprezzamento tutto lo sforzo inteso a ottenere la massima ampiezza possibile della formazione intellettuale. Essa non può pero distaccarsi dalla corrispondente e corretta educazione etica, civile e religiosa. Si tratta - come ho indicato in diverse occasioni e ambiti - di veri diritti delle persone e delle famiglie, in conformità al principio della libertà religiosa come elemento riconosciuto nei testi internazionali e nella prassi ordinaria; allo stesso modo nelle norme ammesse nella vostra società che confidiamo divengano sempre più effettive. Ciò favorisce la società civile stessa, nel consolidare le basi della moralità, dalla quale non si può prescindere senza grave danno per il bene di tutti.

Per quanto riguarda l'educazione nella fede dei vostri fedeli, non si potrà trascurare un'adeguata attenzione alla pietà popolare, per purificarla e darle tutto il suo valore come "memoria cristiana del vostro popolo" (cfr. Puebla, 457ss). Sarà perciò necessario applicare una buona pedagogia evangelizzatrice alla pietà cattolica, che trova speciali espressioni nel culto del Sacro Cuore di Gesù, della Vergine Maria e dei Santi.


7. Su questa linea di evangelizzazione in profondità si dovrà situare la riflessione ecclesiale che sta compiendo la Chiesa di Cuba. Si tratta di un corretto discernimento della missione di questa Chiesa nel concreto contesto socio-economico e politico nel quale vive. Partendo dal Vangelo e in comunione profonda con la Chiesa intera, dovrà porsi il compito della evangelizzazione della cultura, alla quale il Documento di Puebla ha dedicato particolare attenzione (cfr. nn. 408ss, specialmente 434-436).

Con ciò, la Chiesa di Cuba non farà che essere fedele alla sua tradizione di essere attivamente presente nella storia del popolo cubano. Come lo fece alle origini della nascita della nazionalità cubana, con figure insigni come il sacerdote Felix Varela, autentico maestro per quanto riguarda le possibilità del pensiero umano, i valori della libertà, l'indipendenza, la giustizia in ogni sua dimensione, e soprattutto vero uomo di Chiesa e coltivatore dei valori dello spirito.

Nel compiere questo sforzo, la Chiesa desidera solamente l'ambito di libertà di cui ha bisogno per favorire la causa del benessere e delle aspirazioni profonde del suo popolo, del quale sa di essere gioiosamente parte e collaboratrice, all'interno della sua missione particolare.

In questo senso è aperta al dialogo con la società. E apprezza tutti i segni di collaborazione e buona volontà che riceve da parte delle autorità della Nazione, come il permesso recentemente concesso ad alcuni religiosi, giunti dall'estero, di porsi al servizio stabile della comunità cubana. Dio voglia che questo gesto sia un segno carico di speranza per il futuro.

La Chiesa di Cuba, con i 200 sacerdoti e religiosi e le 230 religiose di cui dispone oggi, è cosciente di servire - anche se in una eccessiva sproporzione del personale dedito alla Pastorale e al servizio assistenziale rispetto alla popolazione attuale - il bene profondo del suo popolo, contribuendo a preservare i valori che l'hanno animato e che si sono plasmati nell'anima e nelle espressioni vitali di questo popolo. Da parte mia, penso spesso a questa Chiesa, seguo i suoi passi con particolare sollecitudine e prego insistentemente Dio, affinché essa sia sempre fedele alla sua missione nelle condizioni concrete nelle quale vive.


8. Nello svolgimento della sua missione, la Chiesa di Cuba tiene ben presente non solo il contesto interno nel quale vive, ma anche l'altro, più vasto, che riguarda l'area geografica nella quale è inserita la vita e la storia dei suoi fedeli.

perciò non può fare a meno di tenere sempre conto del fatto che Cuba si inscrive in un contesto latino-americano; che è vincolata storicamente, socialmente e culturalmente all'America Latina; e che, con le sue caratteristiche peculiari, il popolo cubano ha un'anima latino-americana.

Questo popolo ha sperimentato non poche difficoltà per raggiungere, conservare e consolidare la sua indipendenza e la sua identità culturale, tante volte minacciata. Non può dimenticare, comunque, che la fede cattolica è stata un elemento positivo e aggregante dell'identità culturale e dell'indipendenza della Nazione cubana.


9. Non posso concludere questo incontro senza esprimere ancora una volta la mia profonda stima alla vostra comunità ecclesiale e alla vostra Nazione.

Alla Madre comune, che il popolo di Cuba invoca con fervore come Nostra Signora della carità del Cobre, affido le vostre intenzioni e le vostre persone, così come i vostri fedeli. La prego di esservi di conforto; che vi protegga e vi infonda forza; che vi ottenga la pace e il progresso integrale per la vostra Patria e che vi corrobori come solida comunità di fede. Con la mia cordiale Benedizione all'amato popolo di Cuba, ai suoi Pastori, anime consacrate, seminaristi e laicato cattolico.

Data: 1983-06-30 Data estesa: Giovedi 30 Giugno 1983


GPII 1983 Insegnamenti - A pellegrini dell'arcidiocesi di Kampala - Città del Vaticano (Roma)