GPII 1983 Insegnamenti - Ad un gruppo di scienziati - Città del Vaticano (Roma)

Ad un gruppo di scienziati - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nessun limite sia posto alla nostra comune ricerca del sapere

Signore e Signori.


1. Indirizzandomi a voi, che rappresentate con onore i ricchi orizzonti della scienza moderna, desidero innanzitutto ringraziarvi cordialmente per la vostra visita e dirvi che la vostra presenza qui questa mattina assume ai miei occhi un valore altamente simbolico, perché testimoniate che tra la Chiesa e la scienza si sta approfondendo un fecondo dialogo.

E non sono solo ad accogliervi. I miei confratelli, i Cardinali della Santa Chiesa romana presenti a Roma, e altre personalità della Santa Sede - che sono felice di salutare con voi e che ringrazio ugualmente per la loro presenza - dimostrano l'importanza che la Chiesa attribuisce a questo dialogo.

Abbiamo presente un'epoca in cui tra la scienza e la fede si erano sviluppate gravi incomprensioni, risultate da malintesi o da errori, che solo umili e pazienti revisioni riuscirono progressivamente a dissipare. così dobbiamo gioire insieme per il fatto che il mondo della scienza e la Chiesa cattolica abbiano imparato a superare questi momenti di conflitto, senza dubbio comprensibili, ma nondimeno spiacevoli. Questo fu il risultato di una più precisa comprensione dei metodi propri ai diversi ordini di conoscenza e il frutto di una più rigorosa disposizione di spirito alla ricerca.

La Chiesa e la scienza stessa ne hanno tratto un grande profitto, scoprendo attraverso la riflessione e l'esperienza, talvolta dolorosa, quali sono le vie che conducono alla verità e alla conoscenza oggettiva.


2. A voi, che vi apprestate a ricordare il 350° anniversario della pubblicazione della grande opera di Galileo Galilei, "Dialoghi sui due massimi sistemi del mondo", vi diro che l'esperienza vissuta dalla Chiesa, in occasione e in seguito all'affare "Galileo" ha permesso una maturazione e una comprensione più giusta della sua propria autorità. Ripeto davanti a voi quello che dicevo il 10 novembre


1979 davanti all'Accademia pontificia delle scienze: "Auguro che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione, approfondiscano l'esame del caso Galileo e, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano, rimuovano le diffidenze, che quel caso ancora frappone, nella mente di molti, alla fruttuosa concordia tra scienza e fede, tra Chiesa e mondo. Offro tutto il mio appoggio a questo compito, che potrà onorare la verità della fede e della scienza e aprire la porta a future collaborazioni" (AAS 71 (1979), 1464-1465).

Come sapete, ho chiesto che un'équipe di ricerca interdisciplinare venga formata per studiare attentamente tutta la questione. I suoi lavori progrediscono in modo molto incoraggiante e c'è buona speranza che essa apporti un importante contributo all'esame di tutto il problema.


3. La Chiesa, anch'essa, impara con l'esperienza e la meditazione e comprende meglio ora il senso che bisogna dare alla libertà di ricerca, come dicevo al rappresentanti delle università spagnole, il 3 novembre 1982: "La Chiesa appoggia la libertà della ricerca, uno degli attributi più nobili dell'uomo. Tramite la ricerca l'uomo giunge alla Verità: uno dei nomi più belli che Dio ha dato a se stesso. Perché la Chiesa è convinta che non può esserci contraddizione reale tra scienza e fede, dal momento che tutta la realtà procede in ultima istanza da Dio creatore. così è stato affermato dal Concilio Vaticano II (cfr. GS 36). Io stesso l'ho ricordato in varie occasioni a uomini e donne di scienza. E' certo che scienza e fede costituiscono due diversi ordini della conoscenza, autonomi nei loro processi, pero infine convergenti nella scoperta della realtà integrale che trae origine da Dio" (cfr. Discorso nella Cattedrale di Colonia, 15 novembre 1980).

Si comprende così più chiaramente che la Rivelazione divina, di cui la Chiesa è garante e testimone, non comporta per sé stessa alcuna teoria scientifica dell'universo e l'assistenza dello Spirito Santo non garantisce le spiegazioni che professiamo riguardo la costituzione fisica della realtà.

Che la Chiesa abbia potuto avanzare con difficoltà in un campo così complesso, non ci deve sorprendere o scandalizzare. La Chiesa, fondata da Cristo che si è dichiarato la Via, la Verità e la Vita, resta tuttavia costituita da uomini limitati e legati alla loro epoca culturale. così essa riconosce di essere sempre interessata alla conoscenza dell'universo fisico, biologico o psichico. E' solamente con uno studio umile e assiduo che impara a distinguere l'essenziale della fede dai sistemi scientifici di un'epoca, soprattutto in un momento in cui l'abituale lettura della Bibbia appariva come legata ad una cosmogonia obbligata.


4. Per ritornare al caso di Galileo, noi riconosciamo certamente che egli abbia sofferto da parte degli organismi della Chiesa. Ma a quell'epoca non mancavano centri cattolici che coltivavano già con grande competenza, oltre alla teologia e alla filosofia, discipline quali la storia, la geografia, l'archeologia, la fisica, la matematica, l'astronomia e l'astrofisica, e queste ricerche erano considerate necessarie per meglio conoscere l'evoluzione storica dell'uomo e i segreti dell'universo.

Precursori di genio avevano anche messo in guardia i cattolici, premendo perché non venissero opposte scienze e fede. E' ciò che ho voluto già affermare il


15 dicembre 1979 all'Università Gregoriana le cui ricerche e i cui professori erano un tempo conosciuti da Galileo: "E se dobbiamo riconoscere che gli studiosi del tempo non furono esenti dal condizionamenti culturali dell'ambiente, possiamo anche constatare che non mancarono geniali anticipatori e spiriti più liberi, i quali, come san Roberto Bellarmino nel caso di Galileo Galilei, auspicava che si evitassero inutili tensioni e irrigidimenti dannosi nei rapporti tra fede e scienza" (ASS 71 (1979), 1541).

Questi fatti ci confermano nella necessità indispensabile di un dialogo franco e aperto tra i teologi, gli specialisti della scienza e i responsabili della Chiesa.


5. Da allora vediamo che i rapporti secolari della Chiesa e della scienza hanno portato i cattolici a una più giusta comprensione del campo della loro propria fede, a una sorta di purificazione intellettuale e alla convinzione che lo studio scientifico merita un impegno di ricerca disinteressata che, in ultima analisi, è servizio della verità e dell'uomo stesso. Aggiungiamo che la Chiesa considera con riconoscenza tutto ciò che deve alla ricerca e alla scienza. Ho avuto l'occasione di dirlo davanti al Consiglio pontificio per la cultura il 18 gennaio 1983: "Pensiamo infatti ai risultati delle ricerche scientifiche per una migliore conoscenza dell'universo, per un approfondimento del mistero dell'uomo, pensiamo ai benefici che possono procurare alla società e alla Chiesa i nuovi mezzi di comunicazione e di incontro tra gli uomini, la capacità di produrre innumerevoli beni economici e culturali, e soprattutto di promuovere l'educazione delle masse, di guarire le malattie considerate una volta incurabili. Quali ammirevoli realizzazioni. Tutto questo va in onore all'uomo. E tutto questo ha recato enorme beneficio alla Chiesa stessa, nella sua vita, nella sua organizzazione, nel suo lavoro e nell'opera che la contraddistingue".


6. E se ci volgiamo ora più direttamente verso il mondo scientifico, non vediamo oggi come la più grande sensibilità degli scienziati e dei ricercatori per i valori dello spirito e della morale offre alle vostre discipline una dimensione nuova e una generosa apertura all'universale? Questo atteggiamento ha molto facilitato e arricchito il dialogo tra la scienza e la Chiesa.

Certamente, vi è domandato di adottare un metodo di alta specializzazione per portare sempre più avanti le vostre scoperte e le vostre esperienze, e non si può che ammirare il rigore e l'onestà intellettuali, il disinteresse e l'abnegazione di cui testimoniano quei ricercatori che si dedicano ai loro studi con un vero spirito di missione.


7. Del resto, il mondo scientifico; divenuto ora uno dei principali settori di attività della società moderna, scopre anch'esso, alla luce della riflessione e dell'esperienza, l'ampiezza e allo stesso tempo la gravità delle sue responsabilità. La scienza moderna e la tecnica che ne deriva sono diventate un vero potere e sono oggetto di politiche o di strategie socio-economiche, che non sono neutre per l'avvenire dell'uomo.

Signore e Signori, voi che coltivate le scienze, avete un potere e una responsabilità considerevoli che possono diventare determinanti nell'orientamento del mondo di domani. Numerose volte ho voluto dire tutta la stima della Chiesa per lo sforzo collettivo intrapreso dagli scienziati al fine di far prevalere gli obiettivi urgenti che sono richiesti dalla prosecuzione dello sviluppo dell'uomo e della pace. Sapete che si impone un rinnovamento morale se si vuole che le risorse scientifiche e tecniche di cui il mondo dispone attualmente siano realmente messe al servizio dell'uomo. A Hiroshima, davanti all'Università delle Nazioni Unite, ricordavo, il 25 febbraio 1981, che "i popoli del nostro tempo possiedono, in primo luogo, straordinarie risorse scientifiche e tecnologiche. Noi siamo convinti che queste risorse potrebbero essere usate con molta più efficacia per lo sviluppo e la crescita dei popoli... Tutto questo presuppone ovviamente alcune scelte politiche e, più profondamente ancora, opinioni morali. Si avvicina il momento in cui si dovranno ridefinire le priorità. Secondo alcune stime, per esempio, circa la metà dei ricercatori del mondo sono impegnati per scopi militari. E' morale che la famiglia umana continui ancora in questa direzione?".

Signore e Signori, possedete un immenso credito morale per poter valorizzare gli obiettivi umanistici e culturali della scienza. Impegnatevi a difendere l'uomo e la sua dignità presso i centri decisionali che determinano le politiche scientifiche e le pianificazioni sociali. Troverete sempre un'alleata nella Chiesa, ogni volta che vi adopererete nella promozione dell'uomo e del suo vero sviluppo.


8. E' così dall'interno, sicuramente, che la Chiesa si interessa ai vostri lavori.

Perché niente di ciò che può approfondire la nostra conoscenza dell'uomo, della natura, dell'universo, ci può lasciare indifferenti. Ogni progresso scientifico, perseguito con rettitudine, onora l'umanità ed è un tributo al Creatore di tutte le cose. Le vostre ricerche costituiscono la continuazione dell'ammirabile rivelazione che Dio ci ha offerto nella sua opera creatrice. La Chiesa non si volge innanzitutto verso le vostre scoperte per fondarvi facili argomenti apologetici per confortare i credenti. Essa cerca piuttosto, grazie a voi, di ampliare l'orizzonte della sua contemplazione e della sua ammirazione per la trasparenza del Dio infinitamente potente che risplende nella sua creazione.

Per il credente, la ricerca più specializzata può così diventare un atto altamente etico e spirituale. Per i santi, lo studio era preghiera e contemplazione.


9. Si, la Chiesa fa appello alle vostre capacità di ricerca perché non vi sia alcun limite al nostro comune desiderio di conoscere. La vostra specializzazione vi impone, certamente, alcune regole e delimitazioni indispensabili nell'investigazione, ma oltre queste frontiere epistemologiche, lasciate che l'inclinazione del vostro spirito vi porti verso l'universale e l'assoluto. Il nostro mondo ha bisogno più che mai di intelligenze capaci di abbracciare il tutto e di far progredire il sapere verso la conoscenza umanizzata e verso la saggezza.

Insomma, la vostra scienza deve sfociare nella saggezza, cioè diventare sviluppo dell'uomo e di tutto l'uomo. Aprite totalmente le vostre intelligenze e i vostri cuori agli imperativi del mondo d'oggi, che aspira alla giustizia e alla dignità fondate sulla verità. E voi stessi siate disponibili alla ricerca di tutto ciò che è vero, convinti che le realtà dello spirito fanno parte del reale e della Verità integrale.

Signore e Signori, il vostro compito è nobile e gigantesco. Il mondo vi guarda e aspetta da voi un servizio che sia all'altezza delle vostre capacità intellettuali e delle vostre responsabilità etiche.

Dio, Creatore di tutte le cose, presente nell'immensità dell'universo, come in ciascuno dei nostri cuori, vi accompagni nei vostri lavori e ispiri il vostro ammirevole compito.

Data: 1983-05-09 Data estesa: Lunedi 9 Maggio 1983



In occasione del 450° anniversario dell'erezione della diocesi Santiago

Titolo: Lettera al Vescovo di Santiago, Capo Verde

Al venerabile fratello Paulino Livramento Evora, Vescovo di Santiago, Repubblica Isole Capo Verde.


1. Stanno per concludersi le commemorazioni del 450° anniversario dell'erezione canonica della diocesi di Santiago, Isole di Capo Verde, della quale fu costituito il Vescovo, perché li "pascesse la Chiesa di Dio, acquistata da lui col proprio sangue" (Ac 20,28). Fu di fatto nel 1533 che il mio predecessore, Papa Clemente VII, con la Bolla "Pro Eccellenti Prominentia" creo questa diocesi. Ed è per me fatto oltremodo gradito prendere conoscenza che la chiusura delle celebrazioni commemorative siano fissate per la Domenica di Pentecoste, che quest'anno cade il prossimo 22 maggio.

Per questa ricorrenza, voglio confermare la mia presenza spirituale alla diletta Comunità diocesana, in un giorno tanto significativo e speciale, con essa e per essa implorando il dono dello Spirito Santo: quello stesso Spirito che il divino Redentore ha promesso e costantemente comunica alla sua Chiesa e che questa invoca senza fine. E, con grande affetto in Cristo - avendo accompagnato le chiare manifestazioni religiose e culturali che hanno evocato lo storico avvenimento - che comincio a congratularmi con questa parte del Popolo di Dio: Pastore diocesano, Sacerdoti, Religiosi e Religiose e tutti gli amati fedeli che appartengono alla diocesi.

E' certamente da più di quattro secoli e mezzo che la chiamata alla salvezza ha iniziato ad avere eco in queste Isole Atlantiche, da quando esse furono scoperte, perché è tradizione che quando il navigatore mise piede sulla sabbia bagnata dal mare, si sia fatto il segno della Croce; e la presumibile invocazione di Dio, Trinità Santissima, ha accompagnato il gesto di segnare con la Croce Redentrice, queste nuove terre; allora ha avuto inizio l'evangelizzazione che, passati meno di due secoli, ha portato il noto santo oratore padre Antonio Vieira, S.J., a scrivere che li esisteva una cristianità fiorente, servita da clero locale "essendo il materiale umano il più possibile disposto a trattenere tutti gli insegnamenti (Lettera del 1652).

Per questo passato, benedetto sia Dio che, per l'azione santificatrice dello Spirito Santo, anche qui ha disposto i beni della Redenzione per i capoverdiani! E oggi, con amore misericordioso, continua a chiamare la generazione di oggi ad obbedire a Cristo Gesù e ricevere l'aspersione del suo sangue. Con le parole dell'apostolo san Pietro, in questa ricorrenza e in questo Anno Santo della Redenzione, desidero che la "grazia e la pace vi siano date in abbondanza" (Pr 1,2).

2. "Grazia e pace" sono la linfa che sgorgando dalle "fonti del Salvatore, (cfr. Is 12,3), per il suo Spirito di Verità e di Amore, lungo i secoli si è effusa nelle anime delle generazioni di capoverdiani e ha permesso loro di proclamare nelle Isole, in parole e opere, che "Gesù Cristo è Signore" e ha permesso di coltivare nelle isole il "campo di Dio" e di strutturare l'edificio di Dio, sotto l'impulso e l'orientamento dei "collaboratori" dello stesso Signore: i missionari e quelli che furono "scelti fra gli uomini e costituiti in favore degli uomini nelle relazioni con Dio" (cfr. He 5,1), nativi di questo Paese, i cui toponimi sono in se stessi un inno alla Chiesa, che risplende nei Santi.

Così grati a Dio, io, con tutti gli amati capoverdiani, mando un pensiero di grato omaggio anche alla memoria e alla benemerita attività di tutti i servitori del Vangelo, perché servitori degli uomini coi quali Cristo Redentore si è voluto unire in modo stabile, perché fosse possibile incontrare l'uomo (cfr. GS 22). Sia onore a quanti si sono prodigati collaborando all'"opera di Dio", "piantando" e "sarchiando" perché egli possa in seguito far "crescere" (1Co 3,9).


3. E oggi, cosciente del mistero divino che la circonda e cosciente della propria missione umana, la Chiesa che è in Capo Verde, tacendo riflettere su se stessa la luce del passato, certamente è attenta a quanto lo Spirito Santo continua a voler dire, anche ad essa, inserita com'è nella Chiesa una e unica, assistita e guidata da questo Spirito. Con certezza il Divino Consolatore è con la Chiesa dal giorno in cui Cristo Signore, con la sua "pace, una pace che il mondo non può dare", invio i suoi primi "missionari, incontro agli uomini di tutti i tempi e latitudini (cfr. Mt 28,19) a portare loro, in fraterno convito e come dono, una risposta a tutto quello che in essi esiste di profondamente umano: la ricerca della verità, l'aspirazione al bene, la fame di libertà, l'anelito alla bellezza e l'ineluttabile appello costante della coscienza (RH 18).

Con tale mandato, nell'impegno di incontrarsi con gli uomini e vederli con "gli occhi di Cristo" nella loro piena dignità di persone e con la propria singolarità, la Chiesa, mantenendo "in primo luogo il Regno di Dio e la sua giustizia" (Mt 6,33), conosce bene la luce del mistero della Creazione e della Redenzione, che è tesoro di umanità che avvolge ogni persona; la Chiesa solo allora si rivestirà di tutto il suo splendore, quando si sarà verificata l'accoglienza e il cosciente modo di vivere come figliolanza divina, mediante la quale tutti i "fratelli" chiamano Dio "Padre" (Ga 4,6) e da qui assumono i dettami dell'amore fraterno; la Chiesa sa che in questo esiste e consiste la forza potente che conferisce unità al corpo e che dà il senso a tutta la sua attività di famiglia di figli di Dio.

Con questo punto di riferimento sono certo, avverrà il processo di riflessione della diocesi di Capo Verde, in attitudine di ascolto dello Spirito e della presa di coscienza del passato per un futuro continuo e sempre migliore. La felice coincidenza dell'Anno Santo della Redenzione - che vorrei costituisse per tutti gli uomini veramente "anno di grazia da parte del Signore" (Lc 4,19) - mi consente di indirizzare ai cari capoverdiani il ripetuto appello: "aprite le porte a Cristo" Redentore dell'uomo per la riconciliazione, e riconciliati con Dio e con i fratelli, in quanto membri della famiglia umana, sarete nelle migliori condizioni per unire gli sforzi con tutti gli uomini di buona volontà, nella costruzione, anche in Capo Verde, di un mondo più umano, più fraterno e più riconciliato per il raggiungimento unanime e concorde del bene comune senza lasciarvi affascinare da proposte materialiste per la soluzione totale dei bisogni dell'uomo e della società intera.


4. Sono conosciute le difficoltà che si presentano a questa nuova Nazione, in questo suo momento storico, aggravate ciclicamente dalle siccità prolungate e dalla disoccupazione che determinano una migrazione non raramente avventurosa dei suoi figli; sono ugualmente conosciute le molteplici difficoltà della diocesi per affermare una sua più piena e vivace attività. Tutto questo ci porta a vedere in non pochi abitanti di questo Paese quei "piccoli" con cui si voleva identificare lo stesso Cristo Signore (Mt 25,40).

Questa "presenza-richiamo" del Signore in fratelli bisognosi di aiuto, in ogni momento sarà campo aperto all'autentica misericordia, a dettare una solidarietà umana, non codificata in termini di diritti e di doveri, ma voluta da una visione corretta di quella "interdipendenza, ogni volta più stretta e progressivamente estesa a tutto il mondo, il cui frutto è il bene comune - ossia, un insieme di situazioni di vita sociale che permettano, tanto al singoli come ai gruppi, di raggiungere più pienamente e più facilmente la propria perfezione - diventi oggi, ancora una volta, più universale" (GS 26); il che implica, come è ovvio, obblighi di rispetto al genere umano tutto.

Tali obblighi, non essendo norme di stretta giustizia, hanno consistenza in forze ben profonde dello spirito umano e condizionano un proprio ordine della giustizia, reclamando affinché torni vivibile la "civiltà dell'amore", programmi aperti a una prospettiva di sviluppo universale e in solidarietà agli uomini tutti, nell'unica famiglia dell'umanità.

E se tale "presenza-richiamo" del Signore reclama amore misericordioso per fratelli in umanità da parte di tutti gli uomini, con maggiore ragione interpella l'amore dei discepoli di Cristo, l'amore delle Chiese più favorite, a manifestarsi in attitudini di "buon samaritano", a curvarsi su chi si "trova ai margini del cammino", privo di forze e di mezzi, a volte minacciato nella stessa sopravvivenza.


5. Ma rivolgendomi alla Comunità ecclesiale di Santiago di Capo Verde, con una intensità di affetto pari a quella che sperimenterei se fossi fisicamente presente - desidero che vi sia manifestato - vorrei dirle: Coraggio! Il Padre celeste, provvidente e buono, sa che necessitate di molte cose (cfr. Mt 6,32). Per questo, con indelebile fiducia, non si turbi il cuore di nessuno nella continuazione del cammino e del compito della Chiesa di questa Nazione.

Questo compito, la ragione di essere Chiesa, come sappiamo, sta nel rivelare Dio, cioè il Padre, che ci permette di vederlo in Gesù Cristo (cfr. Jn


14,9); per quanto forti si possano presentare le resistenze della storia umana, Cristo con la sua Risurrezione è sempre più forte, se noi lo manifesteremo nella sua autentica immagine: Cristo che salva, Cristo che infonde speranza, Cristo che è l'incarnazione dell'amore misericordioso; infine Cristo morto e risorto, nostra Pasqua, che tutti chiama verso il suo Regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace (cfr. Prefazio della domenica di Cristo-Re).

Con ardenti voti perché la Chiesa che è in Capo Verde rifletta e segua una volta ancora tali beni del Regno per ogni capoverdiano, imploro, per l'intercessione della Nostra Signora della Grazia, come li è invocata la Madre della Nostra fiducia, Maria santissima, che la gloria di Dio che risplende sul volto di Cristo, sia luce in tutti per opera dello Spirito Santo, con ampia e propiziatrice benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 9 maggio 1983

Data: 1983-05-09 Data estesa: Lunedi 9 Maggio 1983



A Sua Beatitudine Ignace IV Hazim - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Trovare occasioni di collaborare nel servizio a Dio e agli uomini

Beatitudine e carissimo fratello in Cristo.

E' con intensa emozione che vi accolgo, voi e i fratelli nell'Episcopato che vi accompagnano nella vostra visita alla Chiesa di Roma, la Chiesa di Pietro e di Paolo. Questi "maestri dell'oikumene", come li chiama la liturgia, dopo aver predicato lungamente la parola di Dio ad Antiochia (cfr. Ac 11,26 Ga 2,11), sono venuti in questa città, in cui, con il loro sangue versato, hanno reso al Signore l'ultima testimonianza.

Una profonda emozione suscitano in noi il pensiero di questi avvenimenti della Chiesa primitiva e il fatto che voi venite proprio da Antiochia, questa città in cui la comunità cristiana ricevette il suo proprio nome, nome che, fino ad oggi, è la sua fierezza: "E' ad Antiochia che, per la prima volta, il nome di "cristiani" fu dato ai discepoli" (Ac 11,26).

Oggi, quando sono trascorsi ormai quasi duemila anni da questi avvenimenti, è con la stessa fede, con la stessa carità che animava già la prima Chiesa di Antiochia, chi vi ricevo, venerabile fratello, che venite tra noi nel nome del nostro solo Signore Gesù Cristo. La Chiesa di Roma che si è sviluppata attraverso la predicazione degli stessi apostoli, vi accoglie in uno spirito di preghiera e di calorosa fraternità ecclesiale: "Sii benedetto tu, o Padre, sii benedetto, perché tu solo compi meraviglie!".

La vostra presenza fra noi, Beatitudine, ci ricorda gli sviluppi ulteriori della vita cristiana nella regione di Antiochia e il contributo che questa Chiesa ha apportato all'intera Chiesa. Come non ricordare in questo momento sant'Ignazio, questo maestro di fede e di vita, che, nel momento in cui si preparava ad offrire l'ultima testimonianza del martirio, indirizzo "nel nome di Gesù Cristo" una lettera di comunione alla Chiesa di Roma, lettera che essa ha conservato con venerazione? Come non pensare alla scuola esegetica di Antiochia e alla sua fisionomia particolare? Come non ricordare san Giovanni di Damasco, questo campione della fede ortodossa? Quando si sviluppa la riflessione teologica sui temi di capitale importanza per la vita della Chiesa, come quello dell'Eucaristia, del ruolo del Vescovo nella Chiesa locale, della comunione nella Chiesa locale e tra le Chiese locali, l'insegnamento di sant'Ignazio resta di importanza decisiva, non solamente per la soluzione di questioni e di tensioni proprie di quest'epoca e di questi luoghi, ma soprattutto per il pensiero cristiano di tutti i tempi. "Che questa Eucaristia sola sia considerata legittima, quella che si fa sotto l'autorità del Vescovo, o di colui che egli avrà incaricato. Là dove c'è il Vescovo, là c'è la comunità, così come là dove c'è Gesù Cristo, c'è la Chiesa cattolica" ("Ad Smyrnenses" VIII, 2). Come non essere toccati da tali affermazioni che, oggi, dopo quasi duemila anni, vengono prese come base del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, dialogo che ha come fine quello di ristabilire la piena comunione tra le nostre Chiese? E come non essere pieni di ammirazione constatando che, in questo testo, sant'Ignazio di Antiochia è il primo nella storia ad attribuire al termine profano "katoliki", unito a "ekklesia" un significato completamente nuovo, esprimente la comunione universale di coloro che credono in Cristo? Questa comunione universale, comunione delle Chiese particolari, comunione dei Vescovi che, "stabiliti fino alle estremità della terra", hanno lo stesso pensiero di Cristo (cfr. "Ad Ephesinos" III, 2), questa comunione universale nella carità alla quale presiede la Chiesa di Roma ("Ad Romanos", proemio), è il Corpo di Cristo che riunisce in sé tutti i popoli. In questo contesto, il consiglio che egli dà ai cristiani di Efeso è valido per i cristiani di tutti i tempi: "Che ciascuno di voi diventi un cuore solo, affinché, nell'armonia del vostro accordo, voi cantiate con una sola voce in Gesù Cristo un inno al Padre" ("Ad Ephesinos" V, 1).

Il nostro incontro di oggi vuole contribuire concretamente alla creazione di una tale armonia tra le Chiese d'Occidente e d'Oriente. Per la prima volta nella storia, un Patriarca ortodosso dell'antica sede di Antiochia fa visita a Roma. Di tutto cuore vi ringrazio di questo segno di comunione, e prego il Signore di fare in modo che le nostre relazioni si sviluppino, perché insieme possiamo trovare le strade più adatte che conducono alla piena unità. L'unità è un'esigenza evangelica e, per i cristiani del nostro tempo, è un'urgenza storica.

Abbiamo numerosi motivi di rendere grazie al Signore per tutto ciò che ci permette di vedere e di fare nel nostro impegno per essere fedeli, su questo punto anche, alla sua volontà.

Il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa si sviluppa in una maniera organica e costruttiva, e i suoi primi risultati rafforzano la nostra comune speranza che, progressivamente, le divergenze che ancora sussistono tra di noi verranno affrontate e che noi potremo pervenire ad un pieno accordo nella fede, in vista di una vita comune, di nuovo organicamente articolata (cfr. "Ad Colossenses" II, 9). Mentre il dialogo teologico prosegue, accompagnato dalla preghiera e dall'attenzione di tutti, è particolarmente opportuno intensificare le relazioni fraterne. La profonda fede comune permette ai cattolici e agli ortodossi di collaborare nei diversi campi, quello della cultura, dell'attività sociale, ma ancora e soprattutto nel campo pastorale.

Nel nostro tempo, i cristiani sono chiamati a testimoniare insieme, in maniera sempre più coerente, i valori cristiani in una società che ha sempre più bisogno che le vengano richiamati il primato dell'amore e dello spirituale, la dignità dell'uomo e il senso della sua vita, così come sono stati rivelati nella risurrezione di Cristo.

Oltre a queste esigenze valide ovunque, vi sono quelle che nascono dalle circostanze locali e dalle possibilità concrete che esse offrono, là ove cristiani di diverse tradizioni vivono fianco a fianco e vicino ad altri uomini che aderiscono ad altre fedi religiose o si dicono non credenti.

L'ecumenismo sul piano locale si trova di fronte a bisogni e situazioni specifiche e a sue risorse proprie. Vi è un certo tipo di iniziativa che gli è propria e il suo ruolo è più originale rispetto a quello di una semplice applicazione limitata di direttive ecumeniche destinate al mondo intero (cfr. UR 12).

Le iniziative locali viste nella prospettiva della comunione universale, non solamente sono necessarie sul posto, ma possono anche essere molto feconde per una crescita più generale della comunione. Tuttavia è sul piano locale che dovranno essere eliminate ogni traccia di opposizione preconcetta e ogni attività ingiusta o ispirantesi ad un proselitismo di bassa lega. Ancor più, è soprattutto sul piano locale che si trovano le occasioni di collaborare nel servizio di Dio e degli uomini e i mezzi adatti a realizzare questa collaborazione.

Beatitudine, voi venite da una regione provata dalla guerra e dalle sue conseguenze che sono insicurezza e incertezza. Questa situazione non manca di avere influenze negative sulla vita della Chiesa. E questo non solamente a causa delle perdite materiali, ma anche a motivo delle lacerazioni spirituali che essa ingenera. Ogni volta che ne ha avuto la possibilità, questa Sede Apostolica ha sempre insistito presso tutti gli organismi responsabili, con i quali è stata in contatto, sulla necessità di risolvere la crisi libanese, di rispettare pienamente le esigenze di giustizia e di salvaguardare concretamente l'indipendenza e l'integrità di questi Paesi. Solamente così tutte le componenti sociali e religiose di questa nazione potranno ricominciare a vivere insieme pacificamente, liberamente, in un comune impegno di ricostruzione e di rinnovamento. E' in queste prospettive che sono orientati gli sforzi. Sollecito in ogni occasione la buona volontà degli uomini e, soprattutto, la mia preghiera supplica il nostro unico Signore, il maestro della storia, affinché si trovi una soluzione giusta e venga realizzata al più presto. In questo contesto, ancora, un accordo armonioso tra i cristiani è più che mai necessario, non per opporsi a chicchessia, ma per essere un fermento potente di apertura e di fraternità con tutti gli uomini di buona volontà, pronti a edificare insieme un mondo migliore. Il Libano così caro al nostro cuore, pienamente e fraternamente integrato nel mondo culturale che gli è proprio, potrebbe così ritrovare un'influenza che superi largamente le sue frontiere, conservando la propria fisionomia tra i paesi fratelli.

Beatitudine, la ricerca della piena comunione tra le nostre Chiese si compie nel concreto contesto della situazione del mondo d'oggi. La vostra visita mi riempie di gioia vera e profonda, perché è un manifesto segno della volontà di piena riconciliazione in un momento in cui i fattori di smembramento e di disgregazione sembrano aver assunto nuova forza. Questo incontro mi offre l'occasione di dire, di nuovo e con ancora più insistenza, che la Chiesa cattolica è disposta a fare tutto ciò che le è possibile perché progredisca ed abbia buon esito la ricerca della piena unità, sia attraverso il dialogo teologico che attraverso la cooperazione pratica e la collaborazione pastorale. E' insieme che noi dobbiamo camminare sulla strada che conduce all'unità ritrovata, a quel momento tanto desiderato in cui noi potremo concelebrare l'Eucaristia del Signore.

Ci siamo impegnati con decisione su questa strada. La via può essere lunga, ma la carità deve farsi inventiva nell'ascolto di colui che ha cominciato in noi la sua opera di riconciliazione e che saprà condurci fino al suo compimento.

E' con lo stesso cuore, fratello amatissimo, che possiamo oggi implorare la benedizione del Signore sulle Chiese al servizio delle quali egli ci ha consacrato. "A colui che in tutto ha potere di fare molto di più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo, per tutte le generazioni nei secoli dei secoli! Amen" (Ep 3,20-21).

Data: 1983-05-12 Data estesa: Giovedi 12 Maggio 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Ad un gruppo di scienziati - Città del Vaticano (Roma)