GPII 1983 Insegnamenti - Al Consiglio pontificio per la Famiglia - Città del Vaticano (Roma)

Al Consiglio pontificio per la Famiglia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Verità ed ethos della comunione coniugale

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Ringrazio il signor Cardinale Opilio Rossi per le amabili parole che, anche a vostro nome, ha voluto rivolgermi in questo incontro, che si svolge in occasione della prima assemblea plenaria del Pontificio consiglio per la Famiglia, da me istituito il 9 maggio del 1981, in sostituzione del Comitato per la Famiglia.

In questo momento desidero ricordare, in modo particolarmente affettuoso, il vostro presidente, il signor Cardinale James Robert Knox, che ho visitato giorni fa al Policlinico Gemelli, ove si trova tuttora in gravi condizioni. Eleviamo al Signore per lui la nostra preghiera.

Sono sinceramente lieto di questo mio primo incontro ufficiale con voi tutti, che saluto di vero cuore: nella mia vita di sacerdote e di Vescovo una delle preoccupazioni più assillanti è sempre stata quella della pastorale a favore dei nuclei familiari, convinto della realtà di quella incisiva affermazione di sant'Agostino, secondo il quale l'unione dell'uomo e della donna "quantum attinet ad genus mortalium quoddam seminarium est civitatis" ("De Civitate Dei" XV, 16,3: PL 41, 459). E certamente tra i ricordi più belli e più consolanti del mio servizio sacerdotale ed episcopale sono quelli degli innumerevoli contatti avuti con le famiglie, per pregare con loro e per approfondire insieme il significato e la dignità del matrimonio cristiano.


2. L'attività del Pontificio consiglio per la famiglia, che inizia i suoi primi passi, mi sta molto a cuore. Sono fermamente persuaso - e lo siamo tutti - che l'avvenire del mondo passa attraverso la famiglia. La coscienza dell'importanza che riveste la famiglia per il futuro della Chiesa e della società è stata presente anche in passato, ma oggi essa è diventata più chiara e più forte, non tanto per i pericoli riguardanti l'istituto familiare connessi col processo di trasformazione della società e della cultura, ma perché nuove possibilità sollecitano la famiglia a riscoprire i suoi valori, le sue esigenze, le sue responsabilità.

La famiglia poi occupa un posto centrale nell'evangelizzazione dell'umanità: "La famiglia cristiana... è la prima comunità chiamata ad annunciare il Vangelo alla persona umana in crescita e portarla, attraverso una progressiva educazione e catechesi, alla piena maturità cristiana (FC 2).


3. Nel contesto della missione della Chiesa, il Pontificio consiglio per la Famiglia occupa un posto preciso per il compito che gli è stato affidato, quello cioè di "promuovere la cura pastorale delle famiglie e l'apostolato specifico della famiglia, realizzando la dottrina e l'insegnamento del Magistero ecclesiastico, perché le famiglie cristiane adempiano il dovere, a cui son tenute, di educare, evangelizzare e svolgere apostolato" (cfr. AAS 73 (1981) 443).

La famiglia - come altre volte ho avuto occasione di dire - è la prima e fondamentale scuola di umanità e di fede per l'uomo e, in questo senso, è la cellula sia del corpo sociale sia della Chiesa. E' questa la ragione per cui essa ha diritto ad essere aiutata affinché possa svolgere i suoi compiti essenziali. Il Pontificio consiglio per la Famiglia è l'organismo centrale nella Chiesa, al quale è affidato questo tipico servizio per le famiglie.

Opportunamente avete scelto come tema della vostra prima assemblea plenaria: "I compiti della famiglia cristiana", prendendo come base e orientamento dei vostri lavori l'esortazione apostolica "Familiaris Consortio" (Parte terza FC 18-65).

Alla luce della fede, e tenendo conto delle situazioni in cui vive oggi la famiglia, è necessario che la vostra attenzione si concentri soprattutto su alcuni punti.

La menzionata esortazione apostolica ha sottolineato che "la famiglia, fondata e vivificata dall'amore, è una comunità di persone: dell'uomo e della donna sposi, dei genitori e dei figli, dei parenti. Suo primo compito è di vivere fedelmente la realtà della comunione nell'impegno costante di sviluppare un'autentica comunità di persone" (n. 18). Ebbene, al principio di ogni azione pastorale per la famiglia, deve porsi la verità e l'ethos della comunione personale dell'amore coniugale e familiare. perciò, il primo compito del Pontificio consiglio per la famiglia è di operare perché questa verità e questo ethos siano sempre più profondamente e diffusamente conosciuti nella Chiesa e vissuti nella famiglia, difendendoli, anche, contro le ricorrenti tentazioni di ridurne il significato. Al riguardo, esistono oggi alcune urgenze che il Pontificio consiglio per la famiglia deve fare oggetto di particolare attenzione.


4. La prima riguarda il rapporto inscindibile fra amore coniugale e servizio alla vita. E' assolutamente necessario che l'azione pastorale delle comunità cristiane sia totalmente fedele a quanto è insegnato dalla enciclica "Humanae Vitae" e dalla esortazione apostolica "Familiaris Consortio". Sarebbe un grave errore contrapporre esigenze pastorali e insegnamento dottrinale, dal momento che il primo servizio che la Chiesa deve compiere nei confronti dell'uomo è di dirgli la verità: quella di cui essa non è né l'autrice né l'arbitra. Si apre quindi un vasto campo di impegno pastorale, soprattutto per quanto concerne la preparazione dei giovani al matrimonio.

La seconda riguarda il rapporto inscindibile fra servizio alla vita e missione educativa. Alla famiglia compete il dovere originario di educare la persona umana. Nell'esercizio di questo dovere, essa non può essere sostituita da nessuno, ma ha il diritto di essere aiutata da ogni Istituzione pubblica e privata, nel rispetto della libertà dei genitori di educare i propri figli secondo le loro convinzioni.

La terza riguarda il compito che la famiglia ha nei riguardi sia della società civile sia della Chiesa. Per quanto riguarda il primo, la famiglia deve essere difesa da ogni tentativo di ridurre arbitrariamente il suo "spazio" nella vita umana. E' essa - come ho già ricordato - la prima scuola di formazione dell'uomo e, quindi, la società civile trova nella famiglia - quando ne riconosce la verità intera - uno dei più importanti momenti costruttivi della civiltà. Per ciò che attiene, poi, ai rapporti con la Chiesa, alla missione ecclesiale della famiglia, è necessario educare sempre maggiormente gli sposi alla responsabilita che hanno, in forza dello stesso sacramento del matrimonio, di edificare, nel modo loro proprio, il Corpo di Cristo.


5. Tale edificazione del Corpo di Cristo - l'apostolato cioè dei coniugi cristiani - deve svolgersi anzitutto e in maniera privilegiata all'interno della loro famiglia e delle altre famiglie. In seno alla Chiesa è la famiglia il contesto nativo nel quale nuove vite sono destinate alla rigenerazione mediante il Battesimo. I coniugi cristiani hanno il compito di preparare persone che saranno purificate e rigenerate dal lavacro sacramentale, divenendo membra del Corpo mistico. In tale prospettiva acquistano un ricco significato le affermazioni del Concilio Vaticano II: "Il vero culto dell'amore coniugale e tutta la struttura familiare che ne nasce, senza trascurare gli altri fini del matrimonio, a questo tendono che i coniugi, con fortezza d'animo, siano disposti a cooperare con l'amore del Creatore e del Salvatore, che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua Famiglia. Nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla, che deve essere considerata come loro propria missione, i coniugi sanno di essere cooperatori dell'amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti" (GS 50).

I coniugi cristiani debbono annunciare, con la loro vita esemplare, il disegno di Dio sulla famiglia; debbono contribuire a far prendere coscienza ad ogni famiglia della multiforme e straordinaria ricchezza di valori e di compiti, che essa porta in sé, in ordine alla continua costruzione di se stessa, della società umana, della Chiesa.

Ad ogni cristiano incombe il dovere della testimonianza del messaggio del Vangelo. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato come in questo compito appaia "di grande valore" lo stato di vita matrimoniale e familiare: "Là i coniugi hanno la propria vocazione per essere l'uno all'altro e ai figli testimoni della fede e dell'amore di Cristo. La famiglia cristiana proclama ad alta voce sia le virtù presenti del regno di Dio sia la speranza della vita beata. così col suo esempio e con la sua testimonianza accusa il mondo di peccato e illumina quelli che cercano la verità" (LG 35).

I coniugi cristiani devono testimoniare con la loro vita che soltanto con l'accoglienza del Vangelo trova piena realizzazione ogni speranza, che l'uomo legittimamente pone nel matrimonio e nella famiglia.


6. Carissimi fratelli e sorelle! E' la prima volta che vi riunite in assemblea plenaria e, forse, per molti di voi è la prima volta che vi incontrate.

I membri del Pontificio consiglio per la famiglia - caso unico nella Curia Romana - sono tutti laici sposati: voi già mettete in atto quel servizio ecclesiale di cui ho appena parlato, mettendovi direttamente a disposizione del successore di Pietro.

La vostra collaborazione, tuttavia, non deve limitarsi ai giorni dell'assemblea plenaria, ma essere continua. I vostri rapporti con i responsabili del Pontificio consiglio devono essere costanti; informandoli, proponendo iniziative, attirando l'attenzione sui problemi che ritenete più importanti e urgenti. Prodigatevi con instancabile dedizione per il raggiungimento dei fini per i quali è stato istituito il Pontificio Consiglio. Nelle vostre diocesi poi date tutta la vostra generosa collaborazione ai vostri Vescovi e ai vari movimenti impegnati nella pastorale familiare, distinguendovi per il vostro dinamismo e zelo, e cercando di favorire una reale comunione di intenti e di programmi.

La Madre di Dio, che abbiamo onorato in un modo del tutto particolare in questo mese di maggio, vi protegga in un servizio così prezioso per la Chiesa che voi prestate come coppie di sposi e che ha le sue radici nel sacramento del matrimonio.

Vi accompagni la mia benedizione apostolica, che estendo di cuore alle vostre famiglie e in modo speciale ai vostri figli e anche a quanti collaborano al vostro apostolato.

Data: 1983-05-30 Data estesa: Lunedi 30 Maggio 1983



Festa del Corpo e Sangue di Cristo - San Giovanni in Laterano (Roma)

Titolo: Portiamo sulle strade del mondo il dono dell'Eucaristia




1. "Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso" (1Co

11,23). La testimonianza di Paolo, poc'anzi ascoltata, è la testimonianza degli altri Apostoli: hanno trasmesso quello che hanno ricevuto. E come essi, anche i loro successori hanno continuato a trasmettere fedelmente quello che avevano ricevuto. Di generazione in generazione, di secolo in secolo, senza soluzione di continuità, fino ad oggi.

Ed è così che stasera, nella trepida atmosfera di questa celebrazione che vede raccolte in preghiera le varie componenti della Chiesa di Roma, il successore di Pietro che vi parla si fa eco fedele di quella medesima testimonianza: "Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso".

E quello che gli Apostoli ci hanno trasmesso è Cristo stesso e il suo comandamento di ripetere e tramandare a tutte le genti ciò che egli, il Divin Maestro, ha detto e ha fatto nell'ultima Cena: "Questo è il mio corpo, che è per voi" (1Co 11,24).


2. Inserendoci in una tradizione che dura da quasi duemila anni, anche noi ripetiamo oggi il gesto dello "spezzare il pane". Lo ripetiamo nel 1950° anniversario di quel momento ineffabile, in cui Dio si trovo vicinissimo all'uomo, testimoniando nel dono totale di sé la dimensione "incredibile" di un amore sconfinato.

"Questo è il mio corpo, che è per voi". Come non provare nell'animo una vibrazione profonda al pensiero che, pronunciando quel "voi", Cristo intendeva riferirsi anche a ciascuno di noi e per ciascuno di noi offriva alla morte se stesso? E come non sentirci intimamente commossi al pensiero che quell'"offerta del proprio corpo" per noi non è un fatto lontano, consegnato alle pagine fredde della cronaca storica di un avvenimento che rivive anche ora, benché in modo incruento, nel Sacramento del Corpo e del Sangue, posti sulla mensa dell'altare? Cristo torna ad offrire ora, per noi, il suo Corpo e il suo Sangue, perché sulla miseria della nostra realtà di peccatori si effonda ancora una volta l'onda purificatrice della misericordia divina, e nella fragilità della nostra carne mortale sia posto il germe della vita immortale.


3. "Io sono il pane vivo disceso dal cielo - dice il Signore -; chi mangia di questo pane vivrà in eterno" (Acclamazione al Vangelo). Chi non desidera vivere eternamente? Non è questa forse l'aspirazione più profonda che pulsa nel cuore di ogni essere umano? Ma è aspirazione che l'esperienza quotidiana smentisce in modo brutale ed inappellabile.

Perché? La risposta ci è data nella parola della Scrittura: "Il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte" (Rm 5,12). Dunque, non v'è più speranza per noi? Non v'è speranza fin che domina il peccato; ma la speranza può rinascere una volta che il peccato sia vinto. Ed è proprio questo che è avvenuto con la redenzione di Cristo. E' scritto infatti: "Se per la caduta di un solo uomo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo" (Rm 5,17).

Ecco perché Gesù dice: "Chi mangia di questo pane vivrà in eterno".

Sotto le apparenze di quel pane è presente lui in persona, il vincitore del peccato e della morte, il Risorto! Chi si nutre di quel cibo divino, oltre a trovare la forza per sconfiggere in se stesso le suggestioni del male lungo il cammino della vita, riceverà con esso anche a caparra della vittoria definitiva sulla morte - "l'ultimo nemico ad essere annientato", come dice l'apostolo Paolo (1Co 15,26) - così che Dio possa essere "tutto in tutti" (Rm 15,28).


4. Quanto si comprende, riflettendo sul mistero, l'amore geloso con cui la Chiesa custodisce questo tesoro di valore inestimabile! E come appare logico e naturale che i cristiani, nel corso della loro storia, abbiano sentito il bisogno di esprimere anche all'esterno la gioia e la gratitudine per la realtà di un così grande dono. Essi hanno preso coscienza del fatto che la celebrazione di questo divino mistero non poteva ridursi entro le mura di un tempio, per quanto ampio e artistico esso fosse, ma che bisognava portarlo sulle strade del mondo, perché Colui che le fragili specie dell'Ostia velavano era venuto sulla terra proprio per essere "la vita del mondo" (Jn 6,51).

Nacque così la processione del Corpus Domini, che la Chiesa celebra da molti secoli ormai con solennità e gioia del tutto particolari. Anche noi tra poco ci avvieremo in processione per le vie della nostra città. Ci avvieremo tra canti e preghiere, portando con noi il Sacramento del Corpo e del Sangue del Signore.

Andremo fra le case, le scuole, le officine, i negozi; andremo dove ferve la vita degli uomini, dove si agitano le loro passioni, dove esplodono i loro conflitti, dove si consumano le loro sofferenze e fioriscono le loro speranze. Andremo per testimoniare con umile gioia che in quella piccola Ostia candida vi è la risposta agli interrogativi più assillanti, v'è il conforto di ogni più straziante dolore, vi è, in pegno, l'appagamento di quella sete bruciante di felicità e di amore che ognuno si porta dentro, nel segreto del cuore.

Usciremo attraverso la città, passeremo in mezzo alla gente assillata dai mille problemi di ogni giorno, andremo incontro a questi nostri fratelli e sorelle e a tutti mostreremo il sacramento della presenza di Cristo: "Ecco il pane degli angeli, / pane dei pellegrini, / vero pane dei figli".

Ecco: il pane che l'uomo guadagna col proprio lavoro, pane senza cui l'uomo non può vivere né mantenersi in forza, ecco, questo pane è diventato la testimonianza viva e reale della presenza amorosa di Dio che ci salva. In questo Pane l'Onnipotente, l'Eterno, il tre volte Santo si è fatto vicino a noi, è diventato il "Dio con noi", l'Emmanuele. Mangiando di questo pane ciascuno può avere la caparra della vita immortale.

L'augurio nostro, anzi l'appassionata preghiera, è che nei cuori di quanti incontrate possa sbocciare il sentimento espresso mirabilmente nella Sequenza dell'odierna Liturgia: "Buon Pastore, vero pane, / o Gesù, pietà di noi: / nutrici e difendici, / portaci ai beni eterni / nella terra dei viventi. / Tu che tutto sai e puoi, / che ci nutri sulla terra, / conduci i tuoi fratelli / alla tavola del cielo / nella gioia dei tuoi santi". Amen!

Data: 1983-06-02 Data estesa: Giovedi 2 Giugno 1983

Ai Vescovi del Ciad in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Solidarietà e aiuto dei missionari per il futuro della Chiesa

Cari fratelli nell'Episcopato.

Accogliendovi oggi tutti insieme, desidero esprimervi molto semplicemente l'emozione che ho provato leggendo gli appunti preparati da voi in vista di questo incontro. Ho potuto così rendermi conto di quali prove abbia passato la giovane Chiesa del Ciad. Ho potuto inoltre valutare, nella rievocazione, per quanto discreta, dei vostri lutti, delle vostre angosce troppo spesso ripetute, delle vostre numerose fatiche, di quale zelo pastorale voi siate animati! E so di poter unire ugualmente in questo elogio i vostri sacerdoti, che con i religiosi, i laici missionari e i catechisti hanno preso parte intimamente al vostro lavoro. Agli uni e agli altri va la riconoscenza della Chiesa e la mia.

Questa fedeltà, fino al rischio della vita, verso il popolo che il Signore vi ha affidato, è un esempio di ciò che la grazia di Dio può fare nei nostri poveri cuori. So che le autorità del Paese, come i vostri numerosi amici del Ciad, cristiani o no, vi sono grati di essere rimasti con loro, o per quei vostri collaboratori che sono stati costretti ad allontanarsi, di essere tornati non appena possibile.


2. Nei vostri rapporti si possono ugualmente trovare segni di speranza per l'avvenire della Chiesa. Infatti, malgrado la disorganizzazione generale, le vostre comunità non si sono disperse, contribuendo inoltre a portare a tutti, nel tormento, un sostegno morale e materiale. Se l'influenza del paganesimo rimane viva, la fede, vissuta nelle prove, si è rafforzata molto. Se deplorate il fatto che le strutture ecclesiali siano ancora molto dipendenti dalle Chiese occidentali, il numero delle vocazioni sacerdotali si è pero accresciuto, i giovani manifestano un gusto per gli studi e i membri dei movimenti che avete fatto sorgere sono attivi. Tutto questo, poco a poco, rende il vostro ministero più agevole, attraverso la condivisione progressiva e più spontanea delle vostre responsabilità. Mi sono permesso di ricordare velocemente questi diversi elementi di valutazione, perché non vi scoraggiate davanti all'immensità del compito in cui siete impegnati.


3. Quest'ultimo resta infatti molto pesante: al lavoro pastorale ordinario, per così dire, si aggiunge la necessità di provvedere alla ricostruzione morale, spirituale e materiale delle vostre comunità in un Paese che, oltre alle distruzioni della guerra, conosce da una dozzina d'anni gli effetti catastrofici di una siccità quasi endemica. Occorre con urgenza che sacerdoti e religiose vi affianchino, e allo stesso modo altre persone di buona volontà.

Cosa può fare il Papa per aiutarvi? Approfittare di questo incontro per lanciare un appello che mi auguro sia ampiamente diffuso e ascoltato. Auguro vivamente che sacerdoti e religiose, e così anche i laici, si chiedano, con l'aiuto dello Spirito Santo, se non potrebbero consacrare qualche anno della loro vita al servizio di Dio tra i fratelli del Ciad. Non si pentiranno. Perché io ho potuto ugualmente leggere, nelle vostre relazioni quinquennali, che le prove hanno avuto come effetto di unire ancora di più gli operai apostolici con voi e tra di loro, rendendoli anche interiormente più liberi e più disponibili ad adattarsi ai bisogni della Chiesa. così dunque, quelle e quelli che verranno a raggiungervi sono sicuri di essere fraternamente accolti in una comunità veramente apostolica, povera, semplice e vera. Possa il Signore suscitarne a misura dei vostri bisogni!


4. Occorre aggiungere che, nel vostro spirito, come nel mio, questo necessario ricorso ad un aiuto missionario non esclude il desiderio di veder sorgere vocazioni sacerdotali e religiose tra la gioventù del Ciad. Questo desiderio si concretizza nel vostro lodevole impegno di realizzare strutture che accolgano le giovani vocazioni con il seminario inferiore o altri metodi appropriati. Desidero incoraggiare in modo particolare i vostri seminaristi che si preparano al ministero a Garoua o in altri luoghi. Li invito a camminare sulla strada del progresso spirituale e ad impegnarsi in una formazione intellettuale che può aiutarli sin da ora, ma soprattutto più avanti, a "pensare con la Chiesa", ad acquistare su tutte le cose un giudizio di uomini di Chiesa, nel senso forte del termine, e allo stesso modo a far proprie, lucidamente, tutte le esigenze del sacerdozio, in particolare il celibato, segno della loro consacrazione totale alla missione di amministratori dei misteri di Dio. Infatti, i problemi delicati nati dall'incontro del cristianesimo con la cultura africana, nel contesto di una modernità invadente, richiedono che essi siano colmi della parola di Dio e della Tradizione della Chiesa, la quale ha valore d'universalità.


5. Inoltre, incoraggio di tutto cuore gli studenti del Ciad, che, malgrado le innumerevoli difficoltà, cercano di proseguire i loro studi. Auguro che, là dove devono recarsi a studiare, vengano accolti e sostenuti da comunità cristiane in grado di comprenderli e aiutarli.

Giustamente vi dichiarate preoccupati davanti al rischio che i cristiani si accontentino di una fede superficiale e di una morale accomodante. Ho potuto tuttavia apprezzare il fatto che, in molti luoghi, avete incoraggiato la costituzione di équipe che permettano ai fedeli di affrontare insieme i problemi cruciali per la loro fede - nell'incontro con l'Islam, per esempio - e penso qui tra l'altro all'alcolismo e alla corruzione. Bisogna proseguire su questa strada.

Condividendo le difficoltà che incontrano in questi ambiti, e riflettendovi alla luce del Vangelo, essi saranno più uniti e più forti. Se il loro impegno spirituale e morale è sostenuto con tenacia, sapranno insieme rimettere in gioco atteggiamenti troppo passivi, aiutare i più deboli e perfino modificare delle tendenze che sembrerebbero irreversibili.

Questo suppone evidentemente che i vostri sacerdoti veglino costantemente verificando senza compiacenza il proprio impegno spirituale, la qualità della loro preghiera liturgica o personale. Essi veglino ugualmente affinché la loro predicazione, nonostante il necessario e frequente ritorno al primi rudimenti della fede, presenti una dottrina più ricca per tutti coloro che sono in grado di riceverla.


6. Per terminare, vorrei sottolineare ancora l'importanza degli sforzi congiunti che voi mettete in atto per contribuire ad apportare alle vittime della siccità l'aiuto urgente di cui hanno bisogno, e più in generale, fornire alla popolazione i mezzi per uno sviluppo autonomo. Che si tratti per esempio di scavare dei pozzi, di introdurre metodologie agricole più efficaci, o di sollecitare l'apertura di farmacie di villaggio, la vostra azione è volta al profitto di tutti, senza distinzione, e merita giustamente alla Chiesa la simpatia di tutti. Voglio aggiungere qui che quale sia il carattere tecnico, cioè materiale, di questa "diakonia", essa riguarda l'evangelizzazione. Cosa varrebbe infatti la proclamazione delle beatitudini evangeliche, se non fosse accompagnata dall'amore disinteressato di tutti, e soprattutto dei più poveri? Penso specialmente a questi ultimi benedicendo le vostre persone, e con voi, tutti coloro che sono vostri immediati collaboratori, i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i catechisti, le famiglie, e anche i bambini, tutti coloro che sono uniti nell'amore di Cristo Gesù e compongono le vostre comunità.

Possa il Principe della Pace assistere tutto il popolo del Ciad nel suo cammino verso la riconciliazione e la libertà autentica alle quali esso aspira, affinché sia assicurato il suo progresso sociale e spirituale!

Data: 1983-06-03 Data estesa: Venerdi 3 Giugno 1983

A Moran Mar Baselius Marthoma Mathews I - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Saluto al Catholicos della Chiesa siro-ortodossa dell'India

Vostra Santità.

E' con grande calore e gioia che oggi do il benvenuto a voi e alla vostra illustre delegazione in questa città nella quale gli apostoli Pietro e Paolo hanno coronato la loro testimonianza.

Nella vostra persona io saluto una Chiesa che fa risalire le sue origini alla predicazione dell'apostolo Tommaso e alla sua testimonianza a Gesù Cristo. La fraternità apostolica ci unisce allo stesso mistero di Gesù Cristo che gli Apostoli hanno seguito e ascoltato. Dopo la sua Risurrezione dai morti, essi lo hanno confessato dinanzi al mondo.

"Mio Signore e mio Dio" (Jn 20,28) ha esclamato l'apostolo Tommaso, indicando una confessione di fede in Cristo valida per ogni tempo, proclamando la sua divinità, la sua signoria salvifica, la sua Risurrezione nel corpo, così reale che si poteva vedere e toccare (cfr. Jn 20,27). E' in questa fede che ci viene dagli Apostoli fino ai nostri giorni che ci incontriamo qui oggi.

Le nostre due Chiese proclamano insieme questa fede mediante la formula niceno-costantinopolitana: "Credo in unum Dominum Iesum Christum, Filium Dei Unigenitum".

L'evoluzione della storia, nella sua complessità, ha portato le nostre Chiese a vivere separatamente per molto tempo, in una reciproca mancanza di conoscenza e anche, a volte, in opposizione. Una mancanza di conoscenza del linguaggio culturale e religioso l'uno dall'altro, così come dei fattori storici, geografici e politici, ha purtroppo causato un dannoso estraneamento reciproco che ha progressivamente approfondito non solo le diversità, ma anche le divergenze, portando talvolta a una confusione tra l'una e l'altra, e rendendo ancora più pesante il fardello e le sue conseguenze.

L'approfondimento degli studi teologici e, soprattutto, i nostri contatti diretti stanno rischiarando l'orizzonte e ci stanno ora facendo vedere con più chiarezza la comunione profonda che già esiste tra le nostre due Chiese.

Ricordo la tribuna degli osservatori delle varie Chiese, delegati al Concilio Vaticano II. Tra di loro vi erano i rappresentanti della Chiesa Siro-Ortodossa Malankarese, per i quali la Chiesa cattolica esprime ancora la sua gratitudine profonda e permanente. La loro presenza silenziosa ma attenta in un momento in cui la Chiesa cattolica stava delineando la sua posizione rispetto agli altri cristiani, era un appello vivente al rispetto fraterno, alla ricerca obiettiva della comunione di fede di fatto già esistente, alla serena identificazione delle reali divergenze e degli strumenti atti a confrontarle e a risolverle. Credo che le deliberazioni del Concilio debbono molto a questa presenza fisica e spirituale.

Il Concilio non solo ha richiamato a un atteggiamento fraterno verso gli altri cristiani, ma ha anche mostrato il fondamento della fede e della dottrina comune. In riferimento alle Chiese orientali, il Concilio ha affermato che esse hanno "veri sacramenti e soprattutto, in virtù della successione apostolica, il sacerdozio e l'Eucaristia, per mezzo dei quali restano uniti con noi da strettissimi vincoli", aggiungendo di conseguenza che "mediante l'Eucaristia in ognuna di queste Chiese, la Chiesa di Dio è costruita e cresce" (UR 15).

E' in questa riscoperta comunione di fede e di sacramenti, che va al di là di ogni contingente interpretazione o non-comprensione, che il Concilio Vaticano II ha stabilito ulteriori relazioni tra la Chiesa cattolica e le Chiese orientali.

Lo studio e contatti diretti hanno reso possibile vedere in modo nuovo una realtà che la polvere del tempo aveva quasi sepolto e che occhi offuscati non riuscivano più a vedere. Sia benedetto Dio che riscalda il cuore dell'uomo e illumina la sua mente per comprendere al momento giusto la sua volontà e che dà anche la forza di compierla.

Il nostro incontro odierno è certamente benedetto dal Signore, poiché noi desideriamo essere attenti alla sua volontà che ordina ai suoi discepoli di essere una cosa sola affinché il mondo creda (Jn 17,21). Gesù Cristo è morto sulla Croce "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Jn 11,52).

Alla sua preghiera e alla sua opera salvifica noi vogliamo rimanere fedeli. Ed è mia speranza che lo spirito di questo nostro incontro fraterno e duraturo raggiungerà i fedeli della Chiesa cattolica e della Chiesa Siro-Ortodossa Malankarese, particolarmente dove essi vivono fianco a fianco. Possa là crescere la comprensione reciproca. Possano là crescere il rispetto e l'amore reciproco e trovare espressione in una collaborazione fraterna e costruttiva, secondo le possibilità concrete del luogo, sia nel campo sociale e culturale che, soprattutto, nella sfera pastorale, al fine di testimoniare presso il nostro prossimo che Gesù Cristo è il nostro Dio e il nostro unico Signore.

L'ecumenismo a livello locale ha importanza decisiva per la generale promozione dell'unità di tutti i cristiani.

L'unità è una nota distintiva della comunità cristiana. La divisione, nelle sue varie espressioni, la offusca, talvolta la compromette. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato che questo "danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura (UR 1). Sia presso tutti coloro che ancora non conoscono il nome di Gesù Cristo, sia tra quelle Nazioni tradizionalmente cristiane ma che stanno vivendo una crisi di identità e corrono il pericolo di rifiutare la fede cristiana, o almeno di sminuirla, là emerge l'urgenza di un crescente impegno nella ricerca dell'unità.

Desidero dare assicurazione a Sua Santità, da parte della Chiesa cattolica, che non sarà risparmiato alcuno sforzo per dare dovuta attenzione a tutto ciò che e necessario fare. Useremo della ricerca teologica, esamineremo aree di interesse pastorale, e ci impegneremo in conversazioni teologiche e nel dialogo. Soprattutto faremo ricorso alla preghiera, poiché siamo certi che l'unità, proprio come la salvezza stessa, è un dono di Dio e perciò "non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia" (Rm 9,16).

La Chiesa cattolica è dunque disposta a un'intensa collaborazione ecumenica nella ricerca della perfetta unità, al fine di rendere comune testimonianza al nostro unico Signore e al fine di servire insieme le genti del nostro tempo, proclamando loro che Gesù Cristo nostro Salvatore è la vita del mondo.

Vostra Santità, con questi sentimenti la saluto con rispetto e amore fraterno. Benedetto sia Dio che ha reso possibile questo incontro. Che egli faccia in modo che, dopo aver superato ogni residua difficoltà, noi c'incontreremo un giorno in piena unità ne concelebrazione dell'Eucaristia. "A lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù in tutte le generazioni nei secoli e secoli. Amen" (Ep 3,21).

Data: 1983-06-03 Data estesa: Venerdi 3 Giugno 1983

A vent'anni dalla morte di papa Giovanni - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Resti viva la memoria del Papa che ha ringiovanito la Chiesa

Carissimi fratelli e sorelle.


1. Al termine di questa commossa e commovente veglia di preghiera in occasione del XX anniversario del transito alla beatitudine eterna di Papa Giovanni XXIII, di indelebile e felice memoria, non posso fare a meno di unire la mia voce alla vostra, che ho sentito salire, orante, al cielo. Vi esprimo il mio compiacimento per tale devota manifestazione, che si ricongiunge idealmente a quella della sera del 3 giugno del 1963, allorché alla fine di una affollata celebrazione eucaristica in questa stessa piazza, Papa Giovanni si addormentava nel Signore, con la maestà e la pace di un Patriarca biblico.

Sono grato a voi, rappresentanti dell'Azione cattolica italiana, e a quanti si sono uniti a questo incontro di preghiera nell'affettuoso ricordo di quell'ammirabile Servitore della Chiesa, tanto amato e venerato.


2. Sento che l'atmosfera che è venuta a crearsi è tale da indurci ad un gesto reciproco di amore in noi per lui e di lui per noi, ad uno scambio di doni spirituali nella comunione dei Santi. Sento che questo è un momento davvero privilegiato, in cui siamo invitati ad entrare in confidente colloquio con lui, ad ascoltare la sua voce paterna e sapiente, ad accogliere il suo fascino di maestro di vita interiore e a metterci alla sua scuola di uomo ricco, quant'altri mai, di mente e di cuore; di sacerdote ardente di zelo apostolico; di fedele e intelligente rappresentante della Santa Sede in vari Paesi dell'Oriente e dell'Occidente; di infaticabile Pastore di anime a Venezia e, infine, di Pastore universale sulla Cattedra di Pietro, che tutti abbiamo ammirato per la docilità alle ispirazioni dello Spirito Santo e per la costante volontà di essere il Servo dei servi di Dio.

Le dimensioni universali che il suo magistero ha assunto nella storia contemporanea, ci invitano a tener desta la sua memoria nei nostri cuori e nelle nostre menti per capire sempre più e sempre meglio l'autentico carisma da lui posseduto e diffuso a piene mani nella Chiesa a edificazione dei fedeli e di ogni uomo di buona volontà.


3. Sono note a tutte le straordinarie espressioni del suo breve, ma intenso pontificato. In particolare, l'iniziativa profetica del Concilio Vaticano II, fece di questo Papa un interprete sagace dei segni dei tempi e un illuminato maestro nella famiglia dei figli di Dio, capace di trarre dalle sue ricchezze, come lo scriba sapiente della parabola evangelica, "cose nuove e cose antiche" (Mt 13,52).

E come non ricordare, poi, accanto alla convocazione inattesa del Concilio, l'influsso che egli esercito mediante le encicliche, rimaste giustamente celebri, "Mater et Magistra" e "Pacem in Terris"? Certamente si deve a lui un nuovo cammino più sciolto e rapido, ma sempre diritto ed egualmente sorretto dall'unica forza, che sospinge interiormente la Chiesa verso le sue mete. Di questo egli ebbe chiara e consapevole volontà, come leggiamo nel suo prezioso "Giornale dell'anima"(n. 481) che è la cronaca trasparente della sua vita interiore: "Ben si può dire - scriveva - che tutti ci sentiamo al traguardo di un'epoca nuova, fondata sulla fedeltà al patrimonio antico, che si dischiude alle meraviglie di un vero progresso spirituale: e questo solo da Cristo, re glorioso e immortale dei secoli e dei popoli, può attendere dignità, prosperità e benedizione.


4. Resti in voi viva la memoria di questo Papa, che ha saputo ringiovanire la Chiesa, irrorandola con le acque perenni delle verità del Vangelo; che ha saputo aprire il cuore ai fratelli separati da antiche e dolorose fratture, e riallacciare con accenti di cordiale familiarità il dialogo col mondo moderno, riappassionandolo ai problemi di Dio e della Chiesa.

Si, resti in benedizione la sua memoria! Ci assista la sua intercessione presso Dio per la vita della Chiesa e il buon esito delle sue imprese apostoliche.

Sia per tutti di incitamento e di sostegno nel coraggioso impegno di testimonianza a Cristo di fronte al mondo.

Con questi pensieri e sentimenti imparto di cuore a ciascuno di voi e ai vostri cari una speciale benedizione.

Data: 1983-06-03 Data estesa: Venerdi 3 Giugno 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Al Consiglio pontificio per la Famiglia - Città del Vaticano (Roma)