GPII 1983 Insegnamenti - Al pellegrinaggio di Lucca - Città del Vaticano (Roma)

Al pellegrinaggio di Lucca - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nuovo impegno di testimonianza dalla rinnovata adesione a Cristo

Cari fratelli e sorelle!


1. Sono lieto di salutarvi pellegrini a Roma per l'Anno Giubilare della Redenzione, insieme al vostro benemerito Arvivescovo Giuliano Agresti. Voi rappresentate l'arcidiocesi di Lucca, e io estendo molto volentieri il mio saluto all'intera Comunità diocesana, che, se non conosco personalmente, so pero vivace e impegnata, oltre che ricca di una gloriosa storia civile e religiosa. La vostra odierna presenza, del resto, testimonia quanto ardente e profonda sia la devozione che nutrite verso il successore di Pietro e quanto convinta l'adesione a tutto ciò che egli significa per la vita e la crescita della santa Chiesa di Dio. Vi incoraggio a procedere con entusiasmo su questa strada di alta sensibilità ecclesiale, che è una connotazione caratteristica e indispensabile per il cristiano.


2. Il vostro pellegrinaggio è essenzialmente motivato dalla ricorrenza dell'Anno Santo, che commemora e celebra il 1950° anniversario della nostra Redenzione. E questo avvenimento ci confronta immediatamente con la croce di Gesù, che si staglia nettamente davanti agli occhi della nostra fede come fonte e garanzia di salvezza sicura. E' stato disegno provvidenziale di Dio porre la morte di Cristo al centro del processo redentivo, che ha una storia di preparazione nelle vicende dell'antico popolo d'Israele, ma che raggiunge il suo culmine luminoso non solo nella venuta di Gesù, ma ancor più nella sua morte e risurrezione. Veramente, "dalla sua pienezza mnoi tutti abbiamo ricevuto, e grazia su grazia" (Jn 1,16).

Ciò che importa fare, specialmente in questo anno, ma anche in tutta la nostra vita, è di scoprire sempre di nuovo e lasciarsi investire con sempre rinnovato stupore dall'onda meravigliosa della grazia di Dio, che passa attraverso il totale dono di sé fatto da Gesù, nostro Signore. Egli "mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Ga 2,20), Forti di questo amore, cosa dovremmo ancora temere? Quale ostacolo potrebbe fermare o anche solo impedire il nostro cammino nel mondo? Nulla, infatti, è più forte di questo amore divino e misericordioso; al contrario, in ogni cosa "noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati" (Rm 8,37).


3. Cari fratelli e sorelle! Se questo è il fondamento della nostra identità cristiana, come non dovrbbe essere spedita, forte, gioiosa, la nostra vita di ogni giorno, al di là di qualunque interiore debolezza o esteriore difficoltà! Ecco per voi un frutto di prim'ordine di questo Anno Giubilare: riconfermarvi in una incrollabile adesione a Cristo per riprendere con maggiore speditezza e capacità d'irradiazione l'impegno della vostra testimonianza sulla base del Vangelo.

A Roma voi potete visitare le tombe dei gloriosi apostoli Pietro e Paolo e di fronte all'esempio della forza della loro fede rinsaldare vigorosamente la vostra: essa soltanto, infatti, "è la vittoria che ha sconfitto il mondo" (1Jn 5,4).

Tornando alle vostre case, voi ritroverete gli impegni e le preoccupazioni di tutti i giorni. Ma cercate di portare fin dentro al tessuto più minuto della vostra esistenza di battezzati questa confortante certezza: il Signore cammina con noi, condivide le nostre gioie e le nostre sofferenze, dà slancio alle nostre stanchezze.

Sappiate che da pare mia vi ricordo a lui, alla potenza della sua grazia redentrice. In particolare, voglio assicurare il mio affetto ai malati, la mia solidarietà a chi è in cerca di lavoro, la mia speranza nei giovani. A loro e a tutti voi imparto di cuore una particolare benedizione apostolica, in pegno di abbondanti favori celesti.

Data: 1983-09-03 Data estesa: Sabato 3 Settembre 1983

Ai ricoverati dell'ospedale "Villa Albani" - Anzio (Roma)

Titolo: Guardate la vostra sofferenza alla luce della fede cristiana

Carissimi fratelli e sorelle ammalati!


1. Con profonda commozione mi trovo in mezzo a voi per questa mia visita, breve ma intensa: sono voluto venire per porgervi personalmente il mio saluto affettuoso e per sottolineare che voi siete sempre presenti nel mio pensiero e nella mia preghiera.

Insieme con voi desidero pure salutare il Pastore della diocesi, Monsignor Dante Bernini, Monsignor Emanuele Clarizio, Arcivescovo titolare di Anzio, il Sindaco della città, il Presidente dell'Unità sanitaria locale, il Presidente del Comitato genitori dei degenti, i vostri parenti, amici e tutti quanti sono oggi presenti in questo luogo di dolore e di speranza; un particolare pensiero di deferente ossequio rivolgo ai responsabili dell'Ospedale, ai primari, ai medici, al personale paramedico, a tutti i collaboratori nelle varie specializzazioni, come pure ai religiosi e alle religiose, che prestano servizio, e a tutti coloro che assistono e aiutano gli infermi, con amore e dedizione.

Ben ricordando l'esclamazione del Divin Maestro: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi!" (cfr. Mt 11,28). anch'io sento il bisogno e il dovere di incontrarmi con i malati, con gli anziani, e con tutte le persone che soffrono. Io sono qui con voi, in questo ospedale di Anzio, prima di tutto per augurarvi la guarigione: per questo motivo siete qui accolti e per questo si industriano i medici e i loro collaboratori; e questo attendete voi, malati, insieme ai vostri familiari, con ansia e trepidazione. Preghiamo con piena fiducia e chiediamo al Signore che questo desiderio si adempia al più presto.

Nello stesso tempo, sono qui anche per portarvi la parola dell'incoraggiamento e della fede cristiana. E che cosa dice il messaggio di Cristo in modo peculiare nei riguardi della sofferenza e della malattia? Gesù con la sua parola divina, e perciò assoluta e decisiva, e altresi con l'esempio della sua passione e morte in Croce, proclama che la sofferenza non è mai inutile: essa, misteriosamente, ma realmente entra nel disegno provvidenziale della creazione e della Redenzione dell'umanità, come purificazione dal peccato che investe la natura umana; come insegnamento circa i valori trascendenti ed eterni; come anelito alla vera e autentica vita felice in Dio e con Dio. Per questo motivo san Paolo, scrivendo ai Romani, diceva: "Io ritengo... che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi!" (Rm 8,18).


2. Certamente si rimane sconvolti sia davanti alla presenza del male, quando intacca la nostra vita, sia davanti all'immenso oceano di dolore, che avvolge la storia umana, passata e presente. Eppure, la luce della fede ci fa vedere al centro di questo calvario della storia la Croce di Cristo: nessuno mai è dimenticato, abbandonato, emarginato dall'Altissimo! E nessuno - dice ancora san Paolo - ci può separare dall'amore di Cristo! (cfr. Rm 8,35 Rm 8,39). perciò, cari malati e voi che mi ascoltate, rimanete nell'amore e nella luce di Cristo! Tenete accesa la lampada della fiducia e della confidenza! "Voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno - assicura l'apostolo -; noi non siamo della notte, né delle tenebre!... Dio ci ha destinati... all'acquisto della salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui" (1Th 5,


5.9-10).

Ho ancora viva nella memoria la visione dei tanti malati incontrati alcuni giorni or sono presso la Grotta di Massabielle, a Lourdes. Maria santissima apparve per diciotto volte alla piccola Bernadette e opero tanti miracoli e tante conversioni, unicamente per confortare e confermare la nostra fede in Dio, in Cristo, nella Chiesa; unicamente perché manteniamo sempre accesa la lampada della fede, anche nei momenti della sofferenza, anche nella desolazione del mondo moderno, che si sente così deluso e minacciato. Abbandoniamoci con totale fiducia a Dio, che ama e guida le sorti della storia umana.


3. Sono venuto qui anche per conferire il sacramento della Confermazione ad alcuni fratelli, circondati dal nostro comune affetto e dalla nostra solidarietà e comunione cristiana. Essi riceveranno tale Sacramento, che rappresenta una tappa di particolare importanza nella "Iniziazione cristiana", durante l'Anno Giubilare della Redenzione, che ci ricorda il Sacrificio compiuto da Cristo per noi e per la nostra salvezza. Mediante questo Sacramento essi verranno vincolati più perfettamente alla Chiesa, alla quale erano già stati incorporati con il Battesimo; saranno arricchiti di una speciale forza dello Spirito Santo, e in tal modo saranno più strettamente impegnati a diffondere e a difendere la fede come veri testimoni di Cristo (cfr. LG 11).

Dobbiamo sentire, in questa significativa circostanza, la gioia e la fierezza della crescita continua della Chiesa, la quale vede oggi in questi nuovi cresimandi coloro che, rinvigoriti dalla virtù dello Spirito Santo, saranno di esempio agli altri con la loro bontà, con la loro semplicità, ma soprattutto con la loro sofferenza, che li accomuna in modo speciale a Cristo crocifisso.

Auspico di vero cuore che questo storico ospedale "Villa Albani" di Anzio, con sempre maggiore prestigio e rinnovato vigore, continui la sua magnifica opera di assistenza e di cura dei sofferenti, mediante l'apporto e il contributo generoso e disinteressato di tutte le categorie e a tutti i livelli. E vi accompagni sempre la mia benedizione apostolica, che con grande affetto vi imparto, ed estendo a tutte le persone a voi care.

Data: 1983-09-03 Data estesa: Sabato 3 Settembre 1983

Dopo la recita del Santo Rosario - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Saluto agli ammalati e ad alcuni gruppi

Voglio ora rivolgere il mio cordiale saluto ai cari fratelli e sorelle dell'Opera assistenza malati impediti, che hanno voluto salire quassù per recitare con me il Santo Rosario: siano i benvenuti! Intendo altresi ringraziare per la visita i Vescovi e i sacerdoti che li hanno accompagnati, come pure le religiose e i volontari che li assistono.

Quale conforto è per me il sapere che voi, e tante altre persone come voi, pregano e offrono disagi e sofferenze a sostegno del mio ministero apostolico. La Redenzione ha avuto il suo momento culminante nella passione, morte e risurrezione di Gesù, che in questo Anno Giubilare ricordiamo particolarmente.

Ogni impegno per attualizzarne l'efficacia tocca il suo vertice nell'offerta della sofferenza di ciascuno in comunione amorosa col Cristo morto e risorto.

Possa ognuno di voi vivere ogni istante della propria esistenza in questa luminosa prospettiva, traendone incentivo sempre rinnovato ad amare e servire Cristo nei fratelli. Vi sono vicino con grande affetto e benedico voi, gli altri assistiti dell'Opera e quanti per voi si prodigano con santa generosità e spirito evangelico.

Rivolgo un cordiale saluto al pellegrinaggio di Würzburg guidato dal Vescovo Paul Werner Scheele. Vi auguro di fare una profonda esperienza della vostra comunione e della vostra appartenenza alla Chiesa intera.

Con gioia particolare saluto, in vista della mia imminente visita pastorale, un gruppo proveniente dall'Austria, la "Corale San Filippo". Il vostro bel servizio, mediante il quale, si può dire, voi date ali alla preghiera della comunità, possa rafforzarvi nella fede, nella speranza e nella carità e approfondirsi sempre più.

Data: 1983-09-03 Data estesa: Sabato 3 Settembre 1983

Radiomessaggio ai Paesi di lingua tedesca - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Affidiamo a Maria la Chiesa e il mondo

Cari fratelli e sorelle dei Paesi di lingua tedesca! La preghiera del Rosario, che è diffusa anche nell'area di lingua tedesca, è di grande aiuto per l'uomo del nostro tempo. Essa procura pace e raccoglimento; introduce la nostra vita nei misteri di Dio e porta Dio nella nostra vita. Pensieri e sentimenti si liberano a poco a poco dall'angustia e dalla temporalità dei nostri problemi e interessi e si aprono sempre più all'azione di Dio.

Le parole che recitiamo possono occupare tutta la nostra attenzione; ma esse si fanno indietro di buon grado e divengono una cornice esterna che fuga fatica e distrazione, una melodia di sottofondo che fa vibrare molto in noi.

Sarebbe per me una grande gioia se la partecipazione alla recita del Rosario in comunione col successore di San Pietro divenisse per molti di voi occasione per impegnarsi seriamente in questa forma di preghiera raccolta. Essa rappresenta anche una buona occasione per vivere la comunione. In tempi di bisogno dà forza e chiarezza alla nostra preghiera.

Per intercessione di Maria, "Regina del Santo Rosario", di cuore imploro su voi tutti la ricca benedizione di Dio.

Data: 1983-09-03 Data estesa: Sabato 3 Settembre 1983

Omelia nella Solennità del Patrono - Castel Gandolfo, Domenica 4 Settembre 1983

Titolo: Fede e carità espressioni del dono della "sapienza del cuore"

"Donaci, o Dio, la sapienza del cuore!".


1. Con le parole di questa breve e intensa preghiera, mi rivolgo a voi, carissimi fratelli e sorelle di Castel Gandolfo, nella festa del vostro patrono, san Sebastiano.

E' la preghiera in cui la Liturgia odierna sintetizza il contenuto teologico del Salmo responsoriale, che è una meditazione, semplice e profonda, sul significato autentico della nostra esistenza umana: l'uomo, fatto di polvere, è simile all'erba che germoglia al mattino: al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e dissecca (cfr. ). Sorge pertanto, dall'animo dell'Autore ispirato, una trepida preghiera al Signore: "Insegnaci a contare i nostri giorni / e giungeremo alla sapienza del cuore". Si attende dal Signore la sua grazia e la sua bontà perché siamo resi capaci di avere una visione serena, globale, religiosa della nostra realtà umana.

Molto spesso nella Sacra Scrittura dell'Antico Testamento si domanda insistentemente a Dio il dono della sapienza, che viene considerata non come una conoscenza puramente astratta e teorica, ma come un singolare tipo di conoscenza che ci mette in rapporto vitale con Dio, con la sua volontà, con la sua misericordia, con il suo progetto di salvezza, al fine di essere resi capaci di giudicare, alla luce di tale esperienza, tutti i problemi fondamentali del nostro essere umano e delle cose che ci circondano.

In questa prospettiva, la prima Lettura ci ha presentato un brano del libro della Sapienza, che è una meditazione e una interpretazione dell'episodio, narrato nel Primo libro dei Re (1R 3,4-15): a Dio, che gli appare in sogno dicendogli di chiedere quale dono voglia ricevere, il giovane re Salomone implora solo il dono della saggezza e del discernimento. E Dio glielo offre in maniera munifica, insieme agli altri doni non richiesti.

Riflettendo sull'antico episodio del successore di Davide, il libro della Sapienza ribadisce l'oscurità da cui è avvolta la nostra esistenza e altresi la debolezza della intelligenza umana, quando è abbandonata alle sole sue forze: "A stento ci raffiguriamo le cose terrestri, / scopriamo con fatica quelle a portata di mano; / ma chi può rintracciare le cose del cielo? / Chi ha conosciuto (o Dio) il tuo pensiero, / se tu non gli hai concesso la sapienza / e non gli hai inviato il tuo santo spirito dall'alto?" (Sg 9,16-17).

Noi sappiamo che Dio s'è degnato di venire incontro a questa debolezza dell'intelligenza umana mediante la sua divina Rivelazione, culminata nell'incarnazione del suo Figlio diletto.


2. Il dono della "sapienza del cuore" è necessario, in modo particolare, al cristiano, a colui cioè che intende porsi generosamente alla sequela di Cristo", quale ci è presentata nel brano evangelico di san Luca, testé ascoltato: Gesù ci offre una stupenda lezione di saggezza divina, indispensabile per essere veri e autentici suoi discepoli.

Egli è in cammino verso Gerusalemme, dove compirà nella Passione la volontà del Padre celeste; a coloro che vanno con lui - e sono in molti oltre ai discepoli - dice chiaramente che nessun affetto umano e neppure la propria vita possono essergli anteposti; egli si presenta come l'Assoluto, che merita di essere cercato, seguito e amato per se stesso al di sopra di tutto il resto, persone o cose. Non solo; seguirlo significa e comporta il "portare la propria croce", cioè non soltanto l'accettazione della sofferenza, ma, ancor di più, del disprezzo, della solitudine, dell'emarginazione, che le masse riservavano in quei tempi ai condannati alla morte di croce.

Tutto ciò significa che Gesù esige da noi, oggi come ieri, che aderiamo a lui e viviamo di fede con tutte le conseguenze sul piano personale, familiare, sociale. E' uno spirito di "rinuncia" quello che deve animare le varie dimensioni della vita del cristiano, se egli vuole essere sempre unito a Cristo ed evitare il pericolo e la tentazione - sempre attuali - di "rinnegarlo", cioè di vivere e di comportarsi come se non lo conoscesse o, addirittura, come lo rifiutasse.

E questa fede - oggi talvolta tanto difficile a vivere coerentemente - deve operare mediante la carità (cfr. Ga 5,6), una carità fattiva, operosa, universale, che deve giungere fino al perdono e all'accoglienza gioiosa di chi ci avesse offeso o danneggiato. E' l'insegnamento che sgorga dalla seconda Lettura odierna; l'apostolo Paolo rimanda all'amico Filemone lo schiavo Onesimo, che era fuggito; ma gli raccomanda vivamente di trattarlo come "fratello carissimo" nel Signore (cfr. Phm 1,16).

Fede e carità: ecco i due atteggiamenti fondamentali della vita del cristiano, espressioni privilegiate di quella "sapienza del cuore", che è il dono dello Spirito.


3. Fede e carità furono le caratteristiche del vostro patrono, san Sebastiano martire, che voi venerate con profonda e secolare pietà. Secondo quanto ci è riferito dall'antica "Passio", redatta probabilmente da un autore romano verso la metà del quinto secolo, Sebastiano, appartenente alla guardia personale degli imperatori Diocleziano e Massimiano, aveva organizzato un'intensa azione a sostegno fisico e spirituale dei cristiani, i quali, a motivo della loro fede, erano in carcere in attesa del martirio. A queste manifestazioni di esemplare carità, Sebastiano aggiungeva una coraggiosa testimonianza di fede, che lo portava a svolgere una capillare diffusione del messaggio cristiano presso i soldati, i magistrati e le famiglie nobili.

Per questo egli subi impavido il martirio, lasciando ai cristiani di tutti i tempi l'esempio luminoso della sua vita, animata da limpida lealtà alle autorità civili, ma altresi dalla chiara affermazione del primato di Dio su tutti i valori terreni.

Sono note le parole, con cui sant'Ambrogio esaltava il nostro martire: "E' necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio (Ac 14,22). Se molte sono le persecuzioni, molti sono anche i riconoscimenti, e dove ci sono molte corone, è segno che vi sono altrettante lotte... Prendiamo l'esempio del martire Sebastiano... Egli nacque a Milano, dove il persecutore forse non era ancora venuto o si era allontanato o era piuttosto moderato. Sebastiano si accorse che qui il combattimento non ci sarebbe stato affatto o sarebbe stato fiacco.

Parti quindi per Roma, dove infuriavano aspre persecuzioni contro la nostra fede.

Ivi subi il martirio, cioè ebbe la sua corona. così merito il domicilio dell'eterna immortalità là dove era giunto come ospite" ("In psalmum CXVIII expositio", 20,43-44: PL 15, 1947).

San Sebastiano, soldato e martire, ci insegna che per la nostra fedeltà a Cristo occorre essere disposti a tutto, a rinunciare a tutto.

Alla orante intercessione del vostro celeste patrono affido oggi tutti voi, fratelli e sorelle di Castel Gandolfo, con l'augurio che sappiate non soltanto onorare la sua gloriosa memoria, ma altresi imitare la sua coerenza cristiana nelle scelte che ogni giorno siete chiamati a fare.

Così sia!

Data: 1983-09-04

Recita dell'Angelus - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Maria, Sede della Sapienza




1. Noi invochiamo la Santa Vergine come "Sede della Sapienza". Ma che cos'è la Sapienza? O, meglio, chi è la Sapienza? In alcuni testi dell'Antico Testamento, elaborati specialmente dopo l'esilio babilonese, la Sapienza viene identificata con la Legge di Mosè, anzi con il complesso delle Sacre Scritture. In quei libri venerandi è documentata la storia del Signore col suo popolo, e, pertanto, vi è in essi manifestata la Sapienza di Dio, cioè il suo disegno, il suo pensiero, a riguardo non solo d'Israele, ma dell'umanità intera e di tutta la creazione. Di conseguenza, il sapiente sarà colui che legge, scruta i Libri Sacri e custodisce nel cuore la "Torah", per ricavarne lezioni di vita.

Questa amorosa frequentazione della Storia sacra si fa più intensa nei giorni della sofferenza, quando cioè il comportamento di Dio appare enigmatico: "Il suo pensiero, infatti - dice la Scrittura - è più vasto del mare e il suo consiglio più del grande abisso".

Il pio israelita, reso sapiente dal magistero delle Scritture, guarda gli uomini e il mondo nell'ottica di Dio. Anzi, così vivendo, contrae vincoli specialissimi con lui; diviene figlio, fratello, amico, sposo della Sapienza.


2. Il messaggio del Nuovo Testamento insegna che Cristo è "Sapienza di Dio". Nella sua Persona, nelle sue parole e nei suoi gesti il Padre rivela in maniera definitiva qual è il suo progetto di redenzione. E' un piano difficile a capirsi, perché passa attraverso lo scandalo della sofferenza e della Croce.

Maria Santissima è "Sede della Sapienza" in quanto accolse Gesù, Sapienza incarnata, nel cuore e nel grembo. Col "fiat" dell'Annunciazione, ella accetto di servire la volontà divina, e la Sapienza pose dimora nel suo seno, facendo di lei una sua discepola esemplare. La Vergine fu beata non tanto per aver allattato il Figlio di Dio, quanto piuttosto per aver nutrito se stessa col latte salutare della Parola di Dio.


3. A imitazione di Maria, il cuore di ogni credente si trasforma in abitacolo di Cristo-Sapienza. A somiglianza di ciò che avveniva tra il verace israelita e la Sapienza, anche tra noi e il Signore si instaura una forma arcana di parentela spirituale. Lo dice Gesù stesso: "Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre".

Maria ci guidi e ci aiuti a vivere in tal modo i nostri rapporti con Gesù Redentore.

(Dopo l'Angelus, il Papa si è rivolto ai numerosi gruppi presenti:) Saluto con gioia tutti i pellegrini e i visitatori di lingua francese, di diversi Paesi, e anche un gruppo di greci, cattolici e ortodossi. A tutti rivolgo il mio benvenuto. E vi invito pregare Maria, "Sede della Sapienza". Ella ha accolto Gesù, la Sapienza incarnata, nel suo seno e nel suo cuore; ella si è nutrita della sua Parola, cercando la volontà di Dio, entrando nel suo progetto di Redenzione. Che noi possiamo, con lei, divenire così discepoli di Cristo, Sapienza di Dio, che abita in noi! Nel nostro odierno incontro domenicale, il nostro pensiero si volge al Signore Gesù Cristo, che noi riconosciamo come Sapienza di Dio. E proprio perché Maria ha ricevuto Gesù nel suo cuore e nel suo grembo, noi la invochiamo come "Sede della Sapienza". Come lei, e con lei, accogliamo Gesù nella nostra vita, quale Sapienza, nostra Sapienza, la Sapienza incarnata di Dio.

Con i pellegrini provenienti dall'Austria e con tutti i visitatori di lingua tedesca il pensiero va oggi al "Katholikentag" austriaco che inizia questa settimana. Sono molto lieto di poter essere ospite di questa bella Nazione. In comunione con i fedeli delle diocesi dell'Austria vorrei "vivere la speranza e dare speranza". Maria, al cui nome sono particolarmente dedicati questi giorni, implori per noi l'aiuto benevolo di Dio.

Il mio saluto cordiale va a tutti i pellegrini di lingua spagnola radunati qui per la preghiera domenicale dell'Angelus; in modo particolare saluto il parroco e i parrocchiani di San Miguel e San Sebastian, di Valenza. Il Nuovo Testamento ci insegna che Cristo è "Sapienza di Dio", perché nella sua vita il Padre rivela il suo progetto di Redenzione. E Maria santissima è "Sede della Sapienza", perché ricevette Gesù nel suo cuore e nel suo seno con il "fiat" dell'Annunciazione. A imitazione di Maria, il cuore del credente si trasformi in abitazione di Cristo-Sapienza, e che ella ci guidi a seguire fedelmente il Figlio suo. A tutti imparto con affetto la mia benedizione apostolica.

Do il benvenuto con emozione ad un gruppo di un centinaio di pellegrini del Libano. Cari libanesi, la vostra presenza qui, questa mattina, ci ricorda la drammatica situazione vissuta ancora in questi giorni dai vostri concittadini, e aggravata dall'orribile massacro dei cristiani del villaggio di Bmariam che ha suscitato la riprovazione di tutti. M'associo con tutto il cuore al dolore delle famiglie provate e della comunità maronita, invitandovi a pregare Nostra Signora del Libano perché, attraverso la conversione di cuori, questo tormentato Paese possa ritornare ad essere una terra di incontro, nell'unità e nella pace.

Nel corso di questo mese avrà luogo a Malta un duplice, importante evento ecclesiale; dall'8 al 15 settembre si terrà il IX Congresso mariologico internazionale, e dal 15 al 18 sarà celebrato il XVI Congresso mariano internazionale, che avrà come tema: "Maria, Madre ella riconciliazione". Ai fedeli maltesi si uniranno molte persone provenienti da numerose Nazioni. Porteranno un atteso contributo anche personalità ortodosse, anglicane e protestanti. Io stesso saro rappresentato da Sua Eminenza il Cardinale Salvatore Pappalardo, Arcivescovo di Palermo, quale mio inviato speciale. Vi invito a pregare per la riuscita dei due Congressi di Malta, che si svolgono nel pieno ormai dell'Anno Giubilare.

Maria, Madre della Riconciliazione, ottenga al Sinodo dei Vescovi, che inizierà il 29 di questo mese, di contribuire efficacemente alla riscoperta del Sacramento della riconciliazione tra il popolo cristiano; ottenga, in particolare, che la popolazione delle isole maltesi possa vivere in un clima di pace religiosa e di concorde operosità, nella serena testimonianza della fede cristiana, portata a Malta dall'apostolo Paolo, così che la Chiesa in Malta, superando le presenti difficoltà, possa svolgere senza intralci la sua missione, anche nel campo assistenziale ed educativo a vantaggio di tutti.

Data: 1983-09-04 Data estesa: Domenica 4 Settembre 1983

Al Capitolo generale dei Domenicani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Predicazione e insegnamento devono sgorgare dalla contemplazione

Cari Frati Predicatori, membri del Capitolo generale.


1. Due volte, secondo le cronache primitive dell'Ordine, frate Domenico ha lasciato Tolosa, ove con un pugno di frati aveva costituito la Santa Predicazione iniziata nella solitudine e nel sacrificio di Prouilhe, e ha intrapreso la faticosa e pericolosa traversata delle Alpi per raggiungere la città eterna. E' venuto nel 1215 a chiedere a Innocenzo III, per la sua piccola famiglia, "di poter chiamarsi ed essere veramente l'Ordine dei Predicatori" ("Legenda Petri Ferrandi", c. 27). Vi è ritornato poi nel dicembre 1216 per ricevere da Onorio III, appena eletto al soglio pontificio, la bolla di approvazione dell'Ordine che aveva tanto desiderato. Tutte e due le volte, sappiamo con quanta venerazione ed affetto paterno i due Pontefici lo abbiano accolto.

Ricordo queste due venute di Domenico de Guzman alla casa del Papa perché, molto volentieri, io mi ricollego ai miei due lontani e illustri predecessori nella gioia e nell'affetto con i quali vi accolgo oggi: voi, padre Damien Aloysius Byrne, 63° successore di san Domenico, al quale io auguro di tutto cuore di poter, con la collaborazione attiva e generosa di tutti i vostri fratelli, guidare l'Ordine sulle vie dell'apostolato, in piena fedeltà alla forte e luminosa tradizione dei vostri predecessori, e nell'ascolto dei bisogni attuali della Chiesa e del mondo; voi, padre Vincent de Couesnongle, al quale esprimo la mia viva gratitudine e quella della Chiesa per l'infaticabile lavoro durante i nove anni del vostro incarico; e voi, cari Padri capitolari, che rappresentate qui l'intero Ordine e ai quali io auguro un lavoro sereno e fruttuoso nel momento in cui, come fece san Domenico, venite ad associare il Vescovo di Roma alle vostre riflessioni sul cammino del vostro Ordine.

A tutti voi, desidero manifestare ancora una volta l'attaccamento che, per molte ragioni, io sento per il vostro Ordine. Con voi - lasciate che ve lo dica -, io mi sento in famiglia. Sono sicuro che la Chiesa e colui che ne è il Pastore universale possono contare sulla vostra collaborazione, come hanno sempre fatto, nell'arduo compito dell'evangelizzazione del mondo.

E' proprio per questo compito che san Domenico fondo il vostro Ordine.

E' proprio per questo che esso è stato approvato e inviato dalla Chiesa. La vostra "missione" è sempre la stessa. Il mio predecessore Onorio III, scrivendo a san Domenico il 18 gennaio 1221, la riconosce ispirata da "Colui che permette alla sua Chiesa di generare una discendenza sempre nuova". E' la missione "di consacrarsi alla predicazione della Parola di Dio, annunciando nel mondo intero il nome di Nostro Signore Gesù Cristo" (cfr. MOPH XXV, p, 144).

"In effetti, l'Ordine dei frati predicatori, fondato da san Domenico, "dalle sue origini, come si sa, è stato istituito specialmente per la predicazione e per la salvezza delle anime". E' per questo che i nostri fratelli, secondo il mandato del Fondatore, "come uomini desiderosi di cercare la propria salvezza e quella degli altri, devono comportarsi in maniera onesta e religiosa, come uomini evangelici, seguendo l'esempio del loro Salvatore, parlando con Dio o di Dio con se stessi o con il prossimo"" ("Constitutio fundamentalis", § II).

"Ora, per essere perfetti nell'amore di Dio e del prossimo mediante questa "sequela Christi", legati al nostro Ordine attraverso la professione religiosa, noi ci consacriamo totalmente a Dio e ci doniamo alla Chiesa in maniera nuova "totalmente dediti alla predicazione della Parola di Dio"" ("Constitutio fundamentalis", § III). Nella misura in cui l'Ordine sarà fedele, domani come ieri, a tali esigenze, parteciperà intimamente all'azione della Chiesa universale, e sarà particolarmente vicino al Vescovo di Roma.

Per compiere la sua missione, il vostro Ordine deve conservarsi fedele a quelle idee-guida che risalgono al testo fondamentale che vi ho letto. Sono i principi della fede, che la teologia ha sviluppato, con i grandi Dottori, tra i quali san Tommaso d'Aquino brilla di luce particolare. Questi principi, la Chiesa continua a proporli come fondamenti della saggezza cristiana e come assi dell'apostolato. A voi Padri capitolari spetta di coglierne il dinamismo per tradurlo in ordinanze o in orientamenti per la vita spirituale e il lavoro dell'Ordine.


2. Il primato di Dio


Il primo di questi principi è quello che afferma l'assoluto primato di Dio nell'intelligenza, nel cuore, nella vita dell'uomo. Sapete bene come san Domenico rispondeva a questa esigenza della fede nella sua vita religiosa: "Egli parlava solo con Dio o di Dio".

Voi sapete anche come, a livello di dottrina, san Tommaso d'Aquino, a cominciare dalle Sacre Scritture e i Padri della Chiesa, ravviso questo primato di Dio e come lo sostenne con la forza e la consistenza del suo pensiero metafisico e teologico, usando l'analogia dell'Essere che permette il riconoscimento del valore della creatura, ma come dipendente dall'amore creatore di Dio. E poi, a livello di spiritualità, san Tommaso appartiene completamente alla scuola del Padre suo Domenico, quando definisce i religiosi come "coloro che si pongono totalmente al servizio di Dio, come offrendo un olocausto a Dio" (II-II 186,1 II-II 186,7).

Se non si accetta questa subordinazione, se si esalta la grandezza dell'uomo a detrimento del primato di Dio, si arriva al fallimento delle ideologie che postulano l'autosufficienza dell'uomo e contribuiscono alla proliferazione di errori di cui il mondo moderno porta il peso delle conseguenze e di cui non riesce a spezzare il giogo culturale e psicologico. I fondamenti della vita morale e sociale sono scossi laddove, a livello religioso, viene frequentemente manifestata una sorta di insensibilità o indifferenza nei riguardi di Dio. Si potrebbe perfino parlare dell'incapacità di fronteggiare questa "lotta con Dio", che, come ci insegna la storia di Giacobbe, esprime al più alto grado la tensione dell'uomo chiamato a procedere verso un traguardo che trascende la storia, nella quale l'uomo deve vivere, lavorare, affrontare delle prove, vincere le sfide del tempo che passa e della morte che sopraggiunge. Si potrebbe parlare di una alienazione dell'uomo da se stesso: egli perde la sua dignità e capacità di sperare, anche quando delle ideologie gli prometterebbero la liberazione.

Voi domenicani avete la missione di proclamare che il nostro Dio è vivo, che egli è il Dio della vita, e che in lui esiste la radice della dignità e la speranza dell'uomo che è chiamato alla vita. Voi fate ciò come religiosi mediante la testimonianza delle vostre vite "totalmente consacrate, come olocausto a Dio".

Voi fate ciò come maestri e predicatori se la vostra teologia e la vostra catechesi, come il kerygma degli Apostoli, produce una scossa, una breccia nel sistema chiuso in cui l'uomo è sulla via di perdere se stesso al limite dell'annientamento. La vostra proclamazione deve essere rivolta all'uomo proprio in quanto costituito di cultura, vita sociale, personalità e coscienza, e gli deve portare la potenza liberante di Dio.

Ogni altro studio e ogni altra opera, nei diversi ambiti delle scienze umane, dell'economia, dell'azione sociale, ecc., sono giustificate se, per voi, come religiosi chiamati a testimoniare e predicare il Regno di Dio, ciò trova la sua finalità e la sua misura nel più vasto fine apostolico - considerato nella sua totalità - della Chiesa e del vostro Ordine.

Le vostre Costituzioni danno priorità al ministero della parola in tutte le sue forme, orali e scritte, e il legame tra il ministero della parola e quello dei Sacramenti è suo coronamento. E da questa priorità viene anche il carattere missionario del vostro Ordine.

In questo senso, le vostre Costituzioni (l. I., c. IV, art. 1, n. 98) contengono forti esortazioni: "Ad imitazione di san Domenico, che era pieno di sollecitudine per la salvezza di tutti gli individui e tutti i popoli, che i frati sappiano di essere mandati a tutti, credenti e non-credenti, e specialmente ai poveri..., per evangelizzare e istituire la Chiesa tra i popoli non-credenti, e per istruire e rafforzare la fede del popolo cristiano".

La Chiesa oggi non può che confermare queste vostre leggi, benedire tali progetti, e incoraggiare il vostro impegno missionario universale, perché essa sa bene che, dappertutto, in ogni dove, ed anche in ogni cuore umano, c'è bisogno di Dio!



GPII 1983 Insegnamenti - Al pellegrinaggio di Lucca - Città del Vaticano (Roma)