GPII 1983 Insegnamenti - A Vescovi messicani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

A Vescovi messicani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Espansione della catechesi con nuovi metodi e purezza di contenuti

Cari fratelli nell'Episcopato.


1. Dopo aver parlato con ciascuno di voi nei giorni precedenti, mi dà grande gioia ricevervi oggi in gruppo, per esprimervi alcune riflessioni che gli incontri individuali mi hanno suggerito. Vi vedo qui, in questo centro della Chiesa, giunti da differenti regioni del Messico, spinti da uno stesso proposito: rinnovare mediante la "visita ad limina" la coscienza di essere Pastori di una Chiesa universale, unita in Cristo.

Ascoltando le vostre relazioni particolari, ho percepito lo zelo che vi anima nel lavorare per il Regno di Dio in ambienti difficili e di fronte a situazioni non sempre favorevoli; ma spinti, come Gesù, dalla domanda delle moltitudini che gemono davanti ai vostri occhi, cercando in ciascuno di voi il Pastore e guardiano delle loro anime (cfr. 1P 2,25).

Questa riminiscenza del Vangelo mi porta a ricordare ora i momenti del mio viaggio apostolico, la cui destinazione fu precisamente la vostra amata Patria. Sono fresche nella mia memoria le immagini dei diversi incontri col popolo messicano nella Cattedrale metropolitana, nella Basilica di Guadalupe, a Puebla, Oaxaca, a Guadalajara, a Monterrey. Vedo ancora la moltitudine di bambini e giovani, di operai e contadini, di indigeni, di sacerdoti, religiose e seminaristi, che hanno ricevuto il Papa con tanta fede e affetto. Sento ancora il palpitare della loro devozione per la "Madre di Dio per il quale viviamo". E ricordandola come prima evangelizzatrice del Messico e dell'America, passo al tema principale della mia riflessione di oggi: è necessario svolgere attraverso la catechesi il kerigma fondamentale orientato a Cristo, espresso da Santa Maria di Guadalupe e ricevuto dal vostro amato popolo nella predicazione missionaria.


2. La catechesi costituisce il campo proprio della Chiesa, per quanto riguarda l'educazione popolare. La catechesi "dà luce e forza alla fede, nutre la vita secondo lo spirito di Cristo, la porta a partecipare in maniera consapevole e attiva al mistero liturgico ed è stimolo all'azione apostolica" (GE 4).

So che nelle vostre Chiese locali avete riservato un posto privilegiato alla catechesi. Ma un popolo di giovani come è il Messico, richiede un'espansione sempre più vasta del messaggio catechistico e un rinnovamento costante dei metodi, così come una formazione permanente degli educatori, avendo cura sempre di conservare la purezza dell'insegnamento contenuto nella Bibbia e nel Magistero.


3. Per voi è particolarmente importante la catechesi nelle parrocchie, negli oratori, nelle comunità di base, nelle famiglie. Anche in ciò è necessario impiegare le riserve di vita cristiana che vi sono in tante famiglie messicane. Ma non dovete omettere la presentazione umanistica del messaggio cristiano ad altri livelli di comunicazione, come un apporto all'arricchimento di una cultura il cui nucleo essenziale è cattolico.

La Conferenza di Puebla (n. 987) ha riconosciuto che la catechesi "non riesce ad arrivare a tutti i cristiani in misura sufficiente, né a tutti i settori e situazioni; vasti ambiti della gioventù, delle élites intellettuali e del mondo operaio, delle forze armate, degli anziani e dei malati..." difettano della catechesi. E una tale carenza impoverisce la fede, indebolisce l'unità e lascia in particolare il popolo umile indifeso di fronte al diffondersi di errori, intorno ai quali proliferano le sette.

perciò è necessario, amati fratelli Vescovi, rinnovare gli sforzi affinché la catechesi non rimanga solo a livelli infantili, come preparazione immediata ai Sacramenti di iniziazione cristiana. E' necessario accompagnare il giovane lungo le diverse tappe del suo sviluppo intellettuale, perché nella Sacra Scrittura, nella catechesi e nell'etica sociale cristiana possa incontrare la soluzione che offrono Cristo e la sua Chiesa ai problemi individuali e sociali. E da qui, per mezzo della catechesi permanente, è necessario continuare ad accompagnare l'uomo nelle diverse situazioni della sua vita.


4. Per tutto ciò è indispensabile contare anche sulla forza dei laici, ai quali spetta la responsabilità di portare a tutti gli ambienti il vigore evangelico dei valori del Regno. La loro vocazione specifica li colloca nel cuore del mondo. Il loro campo particolare è il vasto mondo della cultura, dei mezzi di comunicazione sociale, della politica, della società e dell'economia.

Strutture che essi devono servire, senza trascurare altre realtà anch'esse bisognose del Vangelo, come sono la famiglia, l'educazione, il lavoro.

Già lo ricordava il mio predecessore Paolo VI, quando scriveva nella "Evangelii Nuntiandi" (EN 70): "Il compito primario e immediato dei laici non è l'istituzione della comunità ecclesiale - questa è la funzione dei Pastori - ma il mettere in pratica tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nelle cose del mondo". Tra i laici devono attrarre la vostra attenzione i giovani, non solo come oggetto della catechesi, ma anche come agenti della catechesi. Io ho fiducia nella gioventù. Ho chiaramente manifestato la speranza che in essa ripongo. Il giovane che ama e vive la sua fede, sarà il migliore trasmettitore della parola che la esprime. Sarà il migliore catechista.


5. Tutto questo richiede che si elaborino piani e programmi di formazione e di azione catechetica. Non è questo il momento di suggerirli. Nella mia esortazione apostolica "Catechesi Tradendae", ho indicato norme che voi conoscete e mettete in pratica. Proseguite fino ad incontrare, conformemente alle esigenze delle vostre Chiese locali, ciò che più è adatto all'ambiente e alla condizione degli agenti.

Ma dappertutto si ricerchi una "catechesi integrata", come si è detto a Puebla (n.999), ricordando l'insegnamento del Sinodo dei Vescovi del 1977, proposizione 11.

Bisogna infatti arrivare ad una catechesi che sia conoscenza, celebrazione e confessione della fede nella vita quotidiana: conoscenza della Parola di Dio, per la quale sarà necessario unire i movimenti orientati allo studio della Bibbia con il movimento catechistico nazionale; celebrazione della fede nei Sacramenti, la quale esige che i programmi di rinnovamento catechistico non disconoscano le disposizioni universali e locali per il rinnovamento della liturgia; confessione della fede nella vita quotidiana, che a sua volta impone, soprattutto ai catechisti, una testimonianza esplicita di vita cristiana, di intima adesione al Papa, al Vescovo e alla realtà della Chiesa nella quale si vive, perché la fede sia veramente una risposta ai problemi sentiti dall'uomo.


6. In questa linea di risposta concreta che viene dalla fede ai problemi vitali dell'uomo, desidero fare ora riferimento a un tema molto importante per la vita del cattolico messicano: l'educazione morale e religiosa nella scuola.

La Nazione messicana ha ricevuto nei suoi albori la fede cristiana insieme all'educazione e alla cultura. Sotto la guida dei Pastori, sorsero nel XVI secolo centri di formazione che hanno continuato la loro opera per più di quattro secoli. Non è possibile non menzionare qui una delle glorie della Chiesa del Messico: l'università pontificia, dove si sono formati tanti uomini illustri che molto hanno fatto per il bene della loro Patria. Con non pochi sforzi e difficoltà, esistono di fatto altre numerose istituzioni cattoliche ove si impartisce l'istruzione religiosa; e molti sono anche i cattolici che lavorano in centri ufficiali.

Assecondando poi i desideri dei padri di famiglia e in accordo ai loro diritti originari e inviolabili - ripresi anche nella Dichiarazione dei diritti umani riconosciuta nel vostro Paese - la Chiesa non può fare a meno di essere fedele alla sua missione. Di qui la necessità che i Pastori incoraggino le vocazioni autentiche all'apostolato educativo - che conserva tutta la sua validità al giorno d'oggi e non deve essere abbandonato con facili pretesti - sia tra coloro che vi si dedicano nella vita consacrata che tra i laici. perciò si devono promuovere tali vocazioni magisteriali che trasformano la solida formazione pedagogica in apostolato evangelizzatore.

Attenzione particolare necessitano i maestri che provengono dal laicato e la loro formazione, non solo perché costituiscono la grande maggioranza, ma perché a loro corrisponde una peculiare funzione di essere testimoni cristiani nella scuola, mediante il loro esempio e il loro lavoro.

Tutto ciò richiederà l'unione di forze e il mutuo aiuto tra i diversi centri, così come l'elaborazione di un piano organico nazionale di educazione cattolica, al fine di garantire i diritti legittimi e prestare un'autentica opera di servizio a beneficio del popolo messicano.

Ma l'azione della Chiesa non può dimenticare gli altri ambiti dell'educazione e della formazione delle nuove generazioni, dalla scuola fino all'università. Sarà necessario portare anche a coloro che frequentano centri non cattolici la formazione morale e religiosa, all'interno di un giusto rispetto per la libertà delle coscienze. Un compito e una sfida per i Pastori e le persone che collaborano con loro nei Segretariati per l'educazione, che dovranno potenziarsi per quanto possibile.


7. Fratelli Vescovi: siamo riuniti a conclusione del Sinodo sulla riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa. Desidero dunque concludere invitandovi a riconoscere la necessità di una profonda riconciliazione dell'uomo con se stesso, con Dio, con i fratelli e con la creazione intera. Fate si che le vostre Chiese locali divengano centri di riconciliazione e penitenza. Promuovete la pratica del Sacramento del perdono in cui l'uomo cerca Dio e Dio gli si fa incontro. Divenite voi stessi riconciliati-riconciliatori che danno al mondo la testimonianza viva che oggi è necessaria per ristabilire la pace.

Che Maria di Guadalupe, riconciliatrice ella stessa, in quanto in lei avviene l'incontro di due popoli e due culture, sia la costante ispirazione della vostra pastorale; che ella vi protegga e renda fecondi i vostri sforzi; e che, come prima evangelizzatrice dell'America, vi aiuti a trasformare in "educazione ordinata e progressiva della fede" il messaggio di Guadalupe.

Termino ringraziandovi per la vostra visita. Con la mia benedizione apostolica per voi, per le vostre Chiese locali e per le persone e i progetti pastorali che portate nei vostri cuori.

Data: 1983-10-28 Data estesa: Venerdi 28 Ottobre 1983

All'associazione medica mondiale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Arbitraria e ingiusta la manipolazione genetica

Signore e signori.


1. Al termine della XXXV assemblea generale dell'Associazione medica mondiale svoltasi a Venezia, avete desiderato venire a Roma per incontrarmi. Siate i benvenuti in questa casa, tanto più che c'è una convergenza particolare tra le vostre preoccupazioni e quelle della Chiesa. La medicina è una forma eminente, essenziale, di servizio all'uomo. Bisogna innanzitutto aiutare l'uomo a vivere e a superare le difficoltà che interferiscono con il normale funzionamento di tutte le sue funzioni organiche, nella loro unità psicofisica. L'uomo è anche al centro delle preoccupazioni della Chiesa, la cui missione è, con la grazia di Cristo, di salvare l'uomo, di portarlo alla sua integrità spirituale e morale, di condurlo al suo sviluppo integrale in cui il corpo ha un suo preciso posto. E' per questo che il ministero della Chiesa e la testimonianza dei cristiani vanno di pari passo con la sollecitudine verso i malati.

Formulo dunque con voi i migliori voti affinché la scienza medica e l'arte di guarire progrediscano sempre di più. Già la lotta contro le malattie acquisite, acute o croniche, è diventata molto efficace. Anche quella che si svolge contro le malattie ereditarie è indirizzata verso grandi progressi. Come non augurarsi che voi troviate nella società contemporanea - che spende così tanto per l'aiuto delle persone in buona salute - l'attenzione e l'aiuto sufficienti, per fornire ai malati d'oggi e di domani le cure che essi richiedono?


2. Il tema del vostro incontro di Venezia, "Il medico e i diritti dell'uomo", costituiva un motivo in più di interesse da parte della Santa Sede. Quante volte ho già avuto l'occasione di parlare dei diritti fondamentali e inalienabili dell'uomo, perfino davanti all'assemblea delle Nazioni Unite (2 ottobre 1979, n.


13)! Tutti questi diritti corrispondono alla sostanza della dignità dell'essere umano. Il medico è particolarmente chiamato in causa nel rispetto di questi diritti. Il diritto dell'uomo alla vita - dal momento del suo concepimento fino alla morte - è il diritto primo e fondamentale, come la radice e la sorgente di tutti gli altri diritti. Nello stesso senso, si parla del "diritto alla salute", cioè alle migliori condizioni per una buona salute. Si pensa anche al rispetto dell'integrità psichica, del segreto medico, della libertà di essere curati e di scegliere il proprio medico ovunque sia possibile.

I diritti ai quali ci si riferisce non sono innanzitutto quelli che sono riconosciuti dalle legislazioni sempre in cambiamento della società civile, ma risalgono ai principi fondamentali, alla legge morale che si fonda sull'essere stesso e che è immutabile. Il futuro della deontologia può sembrare, soprattutto oggi, come il punto più vulnerabile della medicina: ma è essenziale, e la morale medica deve essere sempre considerata da coloro che praticano la medicina come la norma della propria professione che merita la più grande attenzione e soprattutto il più grande impegno nel proteggerla.


3. E' evidente che gli eccezionali e rapidi progressi della scienza medica fanno sorgere riconsiderazioni frequenti della sua deontologia. Voi dovete necessariamente affrontare nuovi problemi, appassionanti ma molto delicati. Questo la Chiesa lo comprende, e volentieri accompagna le vostre riflessioni, nel rispetto delle vostre responsabilità.

Ma la ricerca di una posizione soddisfacente sul piano etico dipende fondamentalmente dalla concezione che si ha della medicina. In definitiva si tratta di sapere se la medicina è al servizio della persona umana, della sua dignità, in ciò che essa ha di unico e di trascendente, o se il medico si considera innanzitutto come colui che ha ricevuto un mandato dalla collettività, al servizio degli interessi dei sani, ai quali sarebbe subordinata la preoccupazione dei malati. Ora, la morale medica è sempre stata caratterizzata, fin da Ippocrate, dal rispetto e dalla protezione della persona umana. Ciò che è in gioco, è molto di più che la salvaguardia di una deontologia tradizionale; è il rispetto di una concezione della medicina che vale per l'uomo di tutti i tempi, che protegga l'uomo del domani, grazie al riconoscimento del valore della persona umana, soggetto di diritti e di doveri, e mai oggetto utilizzabile per altri scopi, fossanche per un sedicente bene sociale.


4. Mi permetterete di affrontare alcuni punti ai miei occhi molto importanti. Le convinzioni di cui io do testimonianza di fronte a voi sono quelle della Chiesa cattolica, di cui sono stato costituito Pastore universale. Per noi, l'uomo è un essere creato a immagine di Dio, riscattato da Cristo e chiamato ad un destino immortale.

Queste convinzioni trovano concordi dunque, lo spero, i credenti che accolgono la Bibbia come Parola di Dio. Ma poiché esse ci conducono al più grande rispetto dell'essere umano, sono sicuro che trovano concordi tutti gli uomini di buona volontà che riflettono sulla condizione dell'uomo e che vogliono a tutti costi salvarlo da ciò che minaccia la sua vita, la sua dignità e la sua libertà.

Innanzitutto il rispetto della vita. Non ci sono uomini credenti o non credenti che possano rifiutare il rispetto alla vita umana, e di considerare come un dovere il difenderla, salvarla, soprattutto quando essa non ha ancora la possibilità di proclamare i propri diritti. Possano tutti i medici essere fedeli al giuramento di Ippocrate che prestano al momento del dottorato! Sulla stessa linea, l'assemblea generale dell'Associazione medica mondiale aveva adottato nel


1948 a Ginevra una formula di giuramento, che precisava: "Manterro il rispetto assoluto della vita umana fin dal suo concepimento, anche se minacciato, non ammettero di far uso delle mie conoscenze mediche contro le leggi dell'umanità".

Spero che questo impegno solenne continuerà in ogni modo ad essere la linea di condotta dei medici. Ne va del loro onore. Ne va della fiducia che essi meritano.

Ne va della loro coscienza, quali che siano le concessioni che la legge civile si permette di fare in materia per esempio di aborto o di eutanasia. Ciò che ci si attende da voi, è che affrontiate il male, ciò che è contrario alla vita, ma senza sacrificare la vita stessa, che è il bene più grande e che non ci appartiene. Dio solo è il padrone della vita umana e della sua integrità.


5. Un secondo punto, che voglio sottolineare davanti a voi, è l'unità dell'essere umano: è importante che non si isoli il problema tecnico posto dal trattamento di una determinata malattia dall'attenzione che deve essere offerta alla persona del malato in tutte le sue dimensioni. E' bene ricordarlo, proprio quando la scienza medica tende alla specializzazione di ciascuna disciplina. Il medico di ieri era prima di tutto un medico generico. Il suo sguardo abbracciava innanzitutto l'insieme degli organi e delle funzioni corporali. E anche, su di un altro piano, egli conosceva più facilmente la famiglia del malato, il suo ambiente, tutta la sua storia.

L'evoluzione è ineluttabile, viene come conseguenza della specializzazione degli studi e della complicazione della vita in società. Ma per lo meno dovete senza posa sforzarvi di considerare l'unità profonda dell'essere umano, nell'evidente interazione di tutte le sue funzioni corporali, ma anche nell'unità delle sue dimensioni corporale, affettiva, intellettuale e spirituale.

L'anno scorso, il 3 ottobre, invitavo i medici cattolici riuniti a Roma, a mantenersi costantemente nella prospettiva della persona umana e delle esigenze che derivano dalla sua dignità.

La prospettiva d'insieme nella quale è importante porre sempre il problema medico particolare potrebbe anche essere intesa, non solamente come unità di ciascun individuo ma, in un senso analogico, della società in cui la complementarietà permette di trovare una soluzione a problemi insolubili sul piano individuale. Basti pensare all'handicap della sterilità fisica definitiva, che alcune famiglie compensano con l'adozione o con la dedizione ai bambini degli altri.


6. Il terzo punto mi è suggerito da un tema estremamente importante affrontato nel corso della vostra assemblea generale a Venezia: i diritti dell'essere umano davanti a certe possibilità nuove della medicina, in particolare in materia di "manipolazione genetica" che pone alla coscienza morale di ogni uomo una seria domanda. Come conciliare, infatti, una tale manipolazione con la concezione che riconosce all'uomo una dignità innata e una inviolabile autonomia? Un intervento strettamente terapeutico che si ponga come obiettivo la guarigione di diverse malattie, come quelle che riguardano le deficienze cromosomiche, sarà considerato, in linea di principio, auspicabile, purché tenda alla vera promozione del benessere personale dell'uomo, senza intaccare la sua integrità o deteriorare le sue condizioni di vita. Un tale intervento si situa infatti nella logica della tradizione morale cristiana, come dissi davanti alla Pontificia accademia delle scienze il 23 ottobre 1982 ("Insegnamenti di Giovanni Paolo II", V (1982) 891-892).

Ma qui il problema si ripresenta. Infatti è di grande interesse sapere se un intervento sul patrimonio genetico che oltrepassa i limiti della terapeutica in senso stretto debba essere considerato, esso stesso, moralmente accettabile.

Affinché questo si verifichi, bisogna che vengano rispettate numerose condizioni e che siano accettate alcune premesse. Permettetemi di ricordarne alcune.

La natura biologica di ciascun uomo è inviolabile in quanto essa è costitutiva dell'identità personale dell'individuo in tutto il corso della sua storia. Ciascuna persona umana, nella sua singolarità assolutamente unica, non è costituita unicamente dal suo spirito, ma anche dal suo corpo. così, nel corpo e attraverso il corpo, si raggiunge la persona stessa nella sua realtà concreta.

Rispettare la dignità dell'uomo significa, di conseguenza, salvaguardare questa identità dell'uomo "corpore et anima unus" come dice il Concilio Vaticano II (GS 17 § 1). E' sulla base di questa visione antropologica che si devono trovare i criteri fondamentali per quelle decisioni da prendere su interventi non strettamente terapeutici, per esempio quegli interventi volti al miglioramento delle condizioni biologiche umane.

In particolare, questo genere di interventi non deve pregiudicare l'origine della vita umana, cioè la procreazione legata all'unione non solamente biologica ma anche spirituale dei genitori, uniti dal legame del matrimonio; deve dunque rispettare la dignità fondamentale degli uomini e la natura biologica comune che è alla base della libertà, evitando manipolazioni tendenti a modificare il patrimonio genetico e a creare dei gruppi di uomini diversi, col rischio di provocare nella società nuove emarginazioni. Del resto, gli atteggiamenti fondamentali che ispirano gli interventi di cui stiamo parlando non devono derivare da una mentalità razzista e materialista, volta ad un benessere umano, in realtà riduttivo. La dignità dell'uomo trascende la sua condizione biologica.

La manipolazione genetica diviene arbitraria e ingiusta quando riduce la vita a un oggetto, quando dimentica che ha a che fare con un soggetto umano, capace di intelligenza e di libertà, che deve essere rispettato qualunque siano i suoi limiti; o quando lo tratta in funzione di criteri non fondati sulla realtà integrale della persona umana, col rischio di mettere in pericolo la sua dignità.

In questo caso, espone l'uomo al capriccio altrui, privandolo della sua autonomia.

Il progresso scientifico e tecnico, quale esso sia, deve dunque mantenere il più grande rispetto dei valori umani che costituiscono la salvaguardia della dignità della persona umana. E poiché, nell'ordine dei valori medici, la vita è il bene supremo e il più radicale dell'uomo, occorre un principio fondamentale: innanzitutto impedire qualsiasi danno, e poi ricercare e perseguire il bene.

A dire il vero, l'espressione "manipolazione genetica" resta ambigua e deve essere oggetto di un vero discernimento morale, perché nasconde da una parte dei tentativi avventurosi tendenti a promuovere una sorta di superuomo e, d'altra parte, dei tentativi positivi volti alla correzione di anomalie, quali alcune malattie ereditarie, senza parlare poi delle applicazioni benefiche nei campi della biologia animale e vegetale utili per la produzione alimentare. Per questi ultimi casi, alcuni cominciano a parlare di "chirurgia genetica", come per mostrare che il medico interviene non per modificare la natura ma per aiutarla a svilupparsi secondo la sua essenza, quella della creazione, quella voluta da Dio.

Lavorando in questo campo, evidentemente delicato, il ricercatore aderisce al disegno di Dio. Dio ha voluto che l'uomo fosse il re della creazione. A voi, chirurghi, specialisti delle ricerche di laboratorio e medici generici, Dio offre l'onore di cooperare con tutte le forze della vostra intelligenza all'opera della creazione iniziata nel primo giorno del mondo.

Non si può che rendere omaggio all'immenso progresso compiuto in questo senso dalla medicina del XIX XX secolo. Ma, come vedete, è più che mai necessario superare la separazione tra scienza ed etica, ritrovare la loro profonda unità.

Voi avete a che fare con l'uomo, con l'uomo di cui proprio l'etica salvaguarda la dignità.

Ringraziandovi della vostra visita e della vostra fiducia, e cosciente delle gravi responsabilità che gravano su di voi, formulo i migliori voti per la vostra azione e la vostra testimonianza in seno all'Associazione medica mondiale e in mezzo a tutti i vostri colleghi medici, e invoco le Benedizioni di Dio, Autore della vita, su ciascuno di voi, sul vostro lavoro, sulle vostre famiglie e sui vostri amici.

Data: 1983-10-29 Data estesa: Sabato 29 Ottobre 1983

Al Collegio spagnolo di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La vitalità della Chiesa nella testimonianza dei sacerdoti

Cari fratelli Vescovi e sacerdoti.


1. Entrando in questo Collegio, focolare romano della Chiesa che è in Spagna, mi è tornato alla mente spontaneo il ricordo piacevolissimo del mio pellegrinaggio pastorale sulle vie di santa Maria e di san Giacomo; di santa Teresa e di san Giovanni della Croce: il viaggio apostolico che ho compiuto nella vostra amata Patria proprio un anno fa, "seminando a piene mani la parola del Vangelo, la fede e la speranza" (Omelia a Santiago di Compostela, 9 novembre 1982).

Vi saluto di cuore, nella pace di Cristo Redentore, e in voi saluto tutti i Vescovi e i presbiteri, così come tutti i figli fedeli, della vostra amatissima Spagna.


2. Il venerabile sacerdote della diocesi di Tortosa, Manuel Domingo y Sol, avvezzo nel suo intimo al colloquio divino, con amore di figlio, ebbe l'spirazione di fondare questo Collegio, novanta anni fa, qui a Roma, presso la Sede di san Pietro.

Il mio predecessore Leone XIII incoraggio e appoggio tale lodevole iniziativa, "per il rinnovamento - disse - scientifico e anche disciplinare del clero spagnolo", fino al punto di affermare che egli stesso si considerava fondatore del Collegio. Gli procuro una sede adatta nell'antico Palazzo Altemps, da dove, per più di settanta anni, passarono intere generazioni di giovani spagnoli che, in questa città eterna, hanno ricevuto la loro formazione sacerdotale o hanno completato i loro studi. Molti di loro furono ordinati presbiteri nella preziosa cappella del palazzo ricordato, sotto lo sguardo della Vergine della Clemenza - Madre clementissima, Patrona del Collegio - e vicino alla tomba di sant'Aniceto, Papa e martire. Altri furono ordinati nella Basilica di San Pietro e in quella di San Giovanni in Laterano o talvolta in altri templi dell'Urbe. Alcuni giunsero a Roma dopo essere già divenuti sacerdoti. Non pochi hanno avuto accesso poi all'Episcopato. Vari diedero testimonianza della loro fede e del loro sacerdozio con la propria vita. Tutti, nelle Chiese locali sparse per la Spagna, nell'America Latina e in altre Nazioni del mondo, sono stati araldi del Vangelo, lavorando nei diversi campi dell'apostolato e influendo in forma decisiva nella vita religiosa ed ecclesiale del nostro secolo.


3. Da ventidue anni il Collegio spagnolo possiede questa nuova e moderna sede. Pio XII benedisse la prima pietra dell'edificio e Paolo VI lo inauguro ufficialmente il 13 novembre 1965, durante la quarta sessione del Concilio. Comincio così una nuova tappa della splendida storia di questo centro, una tappa chiamata a essere non meno feconda di quella precedente nel campo della formazione sacerdotale, secondo gli orientamenti del Vaticano II e le esigenze del nostro tempo, ma senza separarsi mai dalla finalità propria dell'istituzione e della linea tracciata dal suo fondatore e dai miei predecessori nei loro documenti e allocuzioni rivolte al Collegio.


4. Già non lontano dal primo centenario della fondazione di questo centro di formazione per seminaristi e sacerdoti, alla vigilia del quinto centenario dell'inizio dell'evangelizzazione dell'America, cominciata e portata a compimento in gran parte da missionari spagnoli, e in prospettiva del terzo millennio del cristianesimo, è necessario pensare all'azione pastorale che voi, giovani sacerdoti, siete chiamati a progettare con entusiasmo rinnovato e piena generosità sui tempi nuovi che si avvicinano. Bisogna guardare con speranza e bisogna preparare con chiaroveggenza e apertura il futuro della Chiesa; ma mantenendoci in continuità col passato per non perdere la sua ricca e istruttiva eredità.

L'opera realizzata nel suo già quasi secolo di esistenza dal Collegio spagnolo è una magnifica e consolante realtà, che merita il riconoscimento e la gratitudine della Santa Sede e di tutto il Popolo di Dio. E questo riconoscimento va in primo luogo alla Fraternità dei sacerdoti operai diocesani del Cuore di Gesù, fondata anch'essa dallo stesso don Manuel Domingo y Sol, alla quale è stata affidata dalla Santa Sede la direzione di questo cenacolo sacerdotale, sotto la supervisione della Sacra Congregazione per l'educazione cattolica e dei Patroni del Collegio, il Primate di Spagna, l'Emintentissimo Signor Cardinale Marcelo Gonzales Martin, arcivescovo di Toledo, e l'Eccellentissimo Monsignor Carlos Amigo Vallejo, arcivescovo di Siviglia, entrambi qui presenti, che in questa responsabilità e delicata funzione di assistere e orientare la vita del Collegio rappresentano tutto l'Episcopato spagnolo.


5. Ho parlato di "cenacolo". Nel cenacolo Gesù pronuncio la sua orazione sacerdotale, che abbiamo appena ascoltato nella lettura evangelica. Cenacolo è la migliore definizione che si può dare ad un centro ecclesiastico come questo dove i suoi abitanti, voi, per essere sacerdoti - commensali alla cena del Signore - siete stati chiamati a far propria l'esperienza stessa di Cristo che si immola al Padre, come vittima di riconciliazione e di unità tra gli uomini, perché tutti "siano santificati nella verità".

In questo Anno Santo della Redenzione desidero lanciare, anche qui, il mio grido evangelico, diretto a questo cenacolo, a tutti i sacerdoti e seminaristi che in esso vivono: - "Aprite le porte a Cristo Redentore"; aprite le porte alla sua Persona, nella quale, per la sua obbedienza fino alla morte, abbiamo nuovamente accesso al Padre. L'apertura al Redentore esige compenetrazione, assimilazione a lui, in intima unione di sentimenti, di menti e volontà. Questo chiese lo stesso Cristo nella preghiera per i suoi discepoli: "Perché siano una cosa sola come noi". Non sottraetevi, poi, al contrario, dall'intensificare il rapporto personale con Cristo, mediante la preghiera individuale e l'orazione comunitaria, e soprattutto nella Santa Messa quotidiana, "perché - come recitiamo nella preghiera eucaristica - rinvigoriti dal Corpo e dal Sangue del tuo Figlio e ricolmi dello Spirito Santo, formiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito"; - alla Parola del Signore, che deve penetrare nelle vostre anime mediante la meditazione, lo studio, le letture, creando in voi una mentalità in perfetta sintonia con la dottrina evangelica e col magistero della Chiesa, Madre e Maestra; - alla Croce, che è la fonte della Redenzione e della vita, il preludio della risurrezione e la base di ogni autentico rinnovamento: vi preparate - come dice san Paolo - a predicare Cristo crocifisso (cfr. 1Co 1,23); perciò bisogna rinunciare ai propri criteri, ai criteri del mondo, abbracciando con decisione e amore i criteri del Vangelo, anche se a volte comportano sofferenza, sacrificio e abnegazione; - aprite, infine, le porte del vostro cuore alla Chiesa di Gesù, ai suoi insegnamenti, ai suoi orientamenti pastorali e alle sue norme disciplinari: i sacerdoti formati a Roma, vicino alla Sede di Pietro, hanno un motivo speciale di ancore e fedeltà alla Chiesa, al fine di dare testimonianza della sua vitalità santificatrice e della sua presenza visibile nel mondo, senza dissimulare la propria identità in tutto ciò che può contribuire a rendere trasparente davanti a tutti gli uomini il Vangelo e la Persona di Gesù.


6. Cari fratelli Vescovi, superiori e alunni del Collegio: sono felice di incontrarmi questa sera qui per pregare insieme e vivere un'ora di gioiosa fraternità, con voi e anche con le religiose e i laici che lavorano in questa casa e che saluto con affetto e ai quali desidero esprimere gratitudine a nome di tutti per il loro generoso servizio a questa Casa sacerdotale.

Data: 1983-10-29 Data estesa: Sabato 29 Ottobre 1983


GPII 1983 Insegnamenti - A Vescovi messicani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)