GPII 1983 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Papa chiede aiuti per il sisma in Turchia

"Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?" (Ap 7,13).

Chi sono i santi? I santi sono coloro che hanno rivestito la veste bianca dell'"uomo nuovo" (Col 3,10), portando al suo pieno sviluppo la grazia battesimale. Essi sono i partecipi e i testimoni del Dio santo, del Dio "nascosto" (Is 45,15).

Grazie a loro, egli si rivela, si fa visibile, si rende presente in mezzo a noi. Il "Santo di Dio" è, ovviamente, Cristo Gesù, incarnazione e rivelazione suprema di Dio e della sua santità. "Tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo".

Costituito "Signore" nella sua risurrezione gloriosa, Gesù comunica, per mezzo dello Spirito, la sua santità a tutti i credenti. Essi, nei Sacramenti degnamente accolti, ricevono la vita nuova in Cristo Gesù: sono pertanto chiamati santi e lo sono realmente.

Donde vengono? Ascoltiamo la descrizione dell'Apocalisse: "Udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli di Israele... Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua...

Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell'Agnello" (Ap 7,


4.

9.14).

I santi sono il popolo di Dio redento dal sangue del Signore: una moltitudine immensa, proveniente dalle tribù d'Israele e da tutti i popoli.

Insieme costituiscono il "vero Israele", la comunità dei salvati, la Chiesa di Dio, la discendenza di Abramo, nel quale sono benedette le genti.

In mezzo a questa nobilissima, sterminata schiera è presente, accanto a Cristo, Maria che invochiamo "Regina di tutti i santi". Ella, che "primeggia tra gli umili e i poveri del Signore" (LG 55), incarna idealmente e porta a compimento la santità del popolo di Dio. Maria è primizia e Madre della Chiesa dei santi: di tutti coloro che, generati dallo Spirito e viventi in Cristo, sono figli del Padre.

Lo Spirito del Dio vivente che l'ha prevenuta e plasmata nuova creatura, che è intervenuto, in maniera decisiva nella sua vita, consacrandola serva e madre del Signore, ha trasfigurato infine la sua esistenza, rendendola conforme all'immagine di Cristo nella gloria. Ella vive ora presso il Signore, nella Gerusalemme celeste, e celebra con san Giuseppe e tutti i santi l'eterna liturgia dei redenti. Ella intercede per noi presso il Signore, fino al perpetuo coronamento del numero degli eletti. Col popolo di Dio la invochiamo: "Regina di tutti i santi, prega per noi!".

(Ai gruppi di varie nazionalità:) Cari fratelli e sorelle (di lingua francese), celebriamo oggi la solennità di Tutti i Santi, coloro che hanno rivestito l'uomo nuovo. Essi formano un popolo immenso di tutti i Paesi; tutti sono stati riscattati dal sangue di Cristo e partecipano alla vita del Dio tre volte santo. E Maria, la prima tra gli umili e i poveri del Signore, è la Regina di tutti i santi. Che ella interceda per ciascuno di voi e che il Signore vi benedica, voi e le vostre famiglie! Oggi, in tutto il mondo la Chiesa onora l'intera moltitudine dei santi di Dio. Onora Maria, la Regina dei santi, e rende omaggio alla grazia di nostro Signore Gesù Cristo, quella grazia che è l'origine e la causa di ogni santità. Che tutti voi, cari fratelli e sorelle (di lingua inglese), possiate trovare conforto, incoraggiamento e gioia nella celebrazione di questa grande festa di Ognissanti.

Sono lieto di salutare ora ciascuno dei pellegrini, famiglie e persone di lingua spagnola che hanno partecipato a questa preghiera in onore della Madre del Redentore. La Chiesa celebra oggi la festa di Tutti i Santi. I santi sono il popolo di Dio redento dal sangue di Cristo. In mezzo all'immensa moltitudine dei beati si distingue, risplendendo di luce propria, la Vergine Maria, che invochiamo come "Regina di tutti i santi". Con la viva speranza che tutti noi che viviamo oggi in questa realtà cristiana, possiamo incontrarci un giorno uniti nella Casa del Padre, vi benedico di cuore.

Un saluto cordiale va anche ai pellegrini di lingua tedesca. I santi, ai quali rivolgiamo oggi il nostro pensiero, sono una lode della Grazia di Dio che in loro ha raggiunto la pienezza. Cristo è il "Santo di Dio". Mediante il Battesimo anche noi abbiamo parte alla sua santità. Che egli, per intercessione di Maria, "Regina dei santi", la porti un giorno a compimento anche in noi nella sua beatitudine celeste.

Saluto tutti i fedeli di lingua italiana e in particolare i vari gruppi parrocchiali e i pellegrinaggi presenti a questo incontro. Oggi pomeriggio mi rechero al cimitero del Verano per pregare per tutti i defunti che ci hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace. In special modo, intendo elevare suffragi per i defunti della diocesi di Roma. Affidero alla misericordia di Dio anche le vittime del recente terremoto in Turchia. In pari tempo invito a prestare aiuto alle numerose famiglie e persone che sono state colpite. Benedico di cuore quanti con la loro generosità vorranno venire incontro.

Data: 1983-11-01 Data estesa: Martedi 1 Novembre 1983

Santa Messa al cimitero del Verano (Roma)

Titolo: Nella comunione dei santi il ricordo dei fratelli defunti

"Rallegriamoci tutti nel Signore in questa solennità di tutti i Santi".


1. Fratelli e sorelle carissimi! Convenuti all'interno di questo sacro recinto per pregare presso le tombe dei nostri amati congiunti, potrebbe a noi sembrare quasi fuori tempo e fuori luogo un tale invito a rallegrarci nel Signore. Oggi, infatti, nella vigilia della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, parrebbe più appropriato aprire l'anima a pensieri austeri e, quindi, anche a sentimenti e ricordi mesti e dolenti.

Eppure, questo è l'invito della Liturgia della Chiesa, e io non esito a ripeterlo ora dinanzi a voi, non senza avvertire che la spirituale letizia, proprio perché incentrata nel Signore, può ben comporsi con quel senso di tristezza che nasce dalla meditazione intorno alla brevità e relatività della vita su questa terra, e anzi di questo naturale e insopprimibile moto dell'umana psicologia essa può divenire come il punto d'arrivo per un arcano processo di sublimazione. Chi crede e spera in Dio - voglio dire - sa trasformare le stesse sofferenze in ragioni di gioia, e sa come e perché nel suo intimo possa svolgersi una tale trasformazione. Proprio adesso ci è stato proposto il Vangelo delle Beatitudini, e Gesù stesso ha preannunciato questo cambiamento, proclamando solennemente: "Beati gli afflitti, perché saranno consolati" (Mt 5,5)!


2. Il Vangelo delle Beatitudini è stato il codice, al quale si sono ispirati i santi nella loro vita, pur nell'estrema varietà delle circostanze. Ad esso si sono ispirati tutti e ciascuno di "quella moltitudine immensa... di ogni nazione, razza, popolo e lingua", di cui ci ha parlato la prima Lettura (Ap 7,9). Tutti e ciascuno - uomini e donne, giovani e vecchi, sacerdoti o laici, religiosi e religiose claustrali o viventi nel mondo - hanno preso sul serio le programmatiche enunciazioni di Cristo Signore e, sforzandosi di tradurle nella pratica quotidiana, hanno meritato di ottenere la salvezza e di entrare nel Regno del Padre. Ecco perché leggiamo che "tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello... E gridavano a gran voce: "La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all'Agnello"" (Ap 7,9-10).

Anche se mi manca il tempo per esaminare ad una ad una le Beatitudini della povertà evangelica, della sofferenza cristianamente accettata, dell'impegno in favore della giustizia e della pace, della purezza di cuore, ecc. (cfr. Mt 5,1-12), non posso non rilevare come per i santi sia stato essenziale, ai fini della loro salvezza eterna, il rapporto di adesione che con esse hanno non solo instaurato a livello concettuale, ma altresi vissuto a livello esistenziale.

Fedeli a questi alti insegnamenti di Cristo, i santi hanno così potuto seguirlo come l'Agnello che, dopo essersi immolato al Calvario, è ora assiso nella gloria presso il trono di Dio.


3. Chi sono i santi? Ancora una volta ci risponde il testo sacro odierno: "Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell'Agnello" (Ap 7,14).

Queste parole non solo ci confermano la realtà di quel passaggio dal dolore alla gioia, del quale ho parlato all'inizio, ma assumono un significato del tutto particolare nel contesto dell'Anno Santo della Redenzione, che si sta celebrando in tutta quanta la Chiesa. Quest'Anno Santo vuol dire, essenzialmente, attingere ai tesori inesauribili del mistero della Redenzione. E che cos'è quel "lavare le vesti e renderle candide col sangue dell'Agnello" se non attingere a questi stessi tesori? Non è forse vero - come canta l'Inno pasquale - che "l'Agnello ha redento il suo gregge"? Ecco allora che i santi, oltre che essere per noi modelli delle virtù evangeliche, quali sono proposte nelle singole Beatitudini, sono persone che più pienamente hanno attinto alle "risorse" della Redenzione di Cristo e, partecipi del "candore" dell'Agnello, ci precedono nella celebrazione della liturgia celeste, che si svolge "davanti al trono e davanti all'Agnello".

Quante volte, cari fratelli e sorelle, abbiamo sentito parlare della "comunione dei santi"? Comunione significa unione intima, che è molto più di un semplice contatto e comunicazione: nel campo soprannaturale, essa esprime l'unione intima che sussiste con coloro che, per il possesso della grazia santificante, sono membra vive della Chiesa e a titolo del tutto speciale, con coloro che, per il possesso della gloria, sono già "beati" nella Chiesa cosiddetta trionfante. A questa realtà della "comunione dei santi" il carattere della Solennità odierna e la circostanza dell'Anno Giubilare devono simultaneamente aprirci. Noi dobbiamo, pertanto, ringraziare i santi, e non già come individui degni, si, di ammirazione, ma per noi troppo lontani e quasi irraggiungibili nella loro altezza, ma come fratelli che ci sono vicini e vogliono aiutarci nel nostro pellegrinaggio terreno.

Come essi, vivendo presso il trono di Dio, accanto all'Agnello redentore, ora partecipano in pienezza ai frutti della Redenzione, così sono in grado di aprirci in modo singolare l'accesso a tali soprannaturali "risorse". Quella "comunione" esistente tra tutti coloro che appartengono a Cristo, diventa nel caso dei santi un vincolo ancora più stretto e per noi, pellegrini quaggiù, particolarmente fecondo: diventa intercessione, ossia aiuto nelle necessità, difesa dai pericoli, sostegno nell'operare il bene. Accompagnati e come scortati da questa moltitudine immensa di fratelli maggiori, noi dobbiamo accostarci con rinnovata fiducia al trono dov'è l'Agnello immacolato, per far nostri e - direi quasi - "personalizzare" i frutti della Redenzione, che egli ha compiuto con la sua morte e risurrezione.


4. Oggi i santi, domani i morti. Con sapiente intuito pedagogico la Chiesa tiene e mantiene cronologicamente unite queste due ricorrenze, perché, pur preoccupata della sorte degli uomini su questa terra, essa non può assolutamente disattendere o trascurare la loro dimensione ultraterrena. Per questo, come ci ha fatto meditare intorno ai santi, ora ci invita anche a ricordare con devoto pensiero i nostri fratelli defunti. Diro di più: quella serie di concetti, che ho fin qui sviluppato nel quadro della "comunione dei santi", può e deve essere riferita - come conviene - ai defunti, poiché anche tra noi e loro vige quel vincolo di unione. E se, seguendo l'esempio dei santi, ho voluto ribadire il nostro comune dovere di attingere alle inesauribili "risorse" della Redenzione di Cristo, desideriamo altresi, oggi e domani specialmente, che ogni frutto di questa nostra partecipazione serva alle anime dei fedeli defunti.

Sapete bene come durante quest'Anno viene elargita una speciale Indulgenza giubilare che - al pari delle altre Indulgenze - può sempre essere applicata ai defunti a modo di suffragio. Questo ho voluto esplicitamente riaffermare nella Bolla di indizione dell'Anno Santo (cfr. "Aperite portas Redemptori", 11), e questo desidero ora raccomandarvi caldamente, additandovi un concreto e prezioso atto di carità verso i defunti, che è ad un tempo esercizio e riprova della "comunione dei santi".

Che sarebbe, in effetti, il giorno dei morti, se mancasse - tra i vari omaggi umanamente pur tanto apprezzabili e commoventi - questo profumato fiore spirituale che è la preghiera di suffragio? Accanto agli atti tradizionali di devozione per loro io vi indico, in particolare, il dono dell'Indulgenza.

Ecco, mentre si approssima il Vespro in questa giornata solenne, la visione dei santi e dei beati del cielo e con essa l'invito liturgico "a rallegrarci nel Signore" si combinano col ricordo puntuale e dolente dei nostri cari defunti. Ancora una volta noi tutti siamo interiormente sollecitati ad operare una sintesi tra pensieri e sentimenti diversi: le gioie e i dolori possono e debbono armonizzarsi nella superiore, rassicurante serenità della speranza cristiana. E sappiamo che questa è speranza che non confonde (cfr. Rm 5,5).

Data: 1983-11-01 Data estesa: Martedi 1 Novembre 1983



Ai pellegrini della diocesi di Milano - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'eredità spirituale di san Carlo stimoli a combattre l'errore




1. Nel vedere la vostra assemblea così numerosa e così festante, mi sembra di ritrovarmi nella vostra città e nella vostra diocesi, in quegli intensi e indimenticabili tre giorni della mia visita pastorale nello scorso maggio, in occasione del Congresso eucaristico nazionale. Vi ringrazio di cuore per la vostra visita così affettuosa, organizzata proprio nel giorno liturgico di san Carlo, mio celeste patrono, e protettore con sant'Ambrogio della vostra comunità ecclesiale.

Vi ringrazio anche per gli auguri. A tutti porgo il mio saluto più cordiale.

In particolare desidero salutare il Cardinale Arcivescovo, a cui esprimo anche l'augurio di buon onomastico, e con lui i suoi collaboratori, i sacerdoti, i religiosi, i laici responsabili della vita pastorale e tutte le autorità presenti.

Il vostro pellegrinaggio romano è espressione di viva fede e di amore a Cristo e alla Chiesa; di esso mi compiaccio sinceramente e vi esprimo il mio profondo apprezzamento, con l'auspicio che sia per voi tutti fonte di intime consolazioni e di fervorosi propositi di vita cristiana.


2. Il vostro pellegrinaggio nell'Anno Giubilare della Redenzione ha una caratteristica molto importante e significativa; infatti, vuole iniziare le celebrazioni commemorative del IV Centenario della morte di san Carlo Borromeo.

Come i discepoli di Emmaus, dopo l'incontro con Cristo, sono ritornati a Gerusalemme ad annunciare il Risorto, così l'intera Chiesa di Milano, dopo l'esperienza eucaristica quale il Congresso eucaristico - nella sua preparazione e celebrazione - ha reso possibile, parte e si pone sulle strade del mondo per testimoniare insieme il Cristo Risorto. La "comunione" è radice e forza per la "missione".

La preghiera e l'esempio di san Carlo sono motivo di grande fiducia e speranza e punto sicuro e fecondo di riferimento per tutti voi che lo avete come celeste patrono: lui, il grande Santo della Riforma che ha rinnovato profondamente la sua Chiesa con la dottrina e la disciplina del Concilio di Trento. San Carlo è tuttora presente e operante, come rilevava Paolo VI in una sua Lettera del 20 agosto 1965: "San Carlo tuttora rimane vivo; ancora ci parla, ancora ci insegna.

Non è lontano da noi. Egli è stato, sotto molti aspetti, un precursore d'un costume religioso e morale, pastorale specialmente, che ancora sopravvive; e dove esso non sembra resistere in tutto alla metamorfosi delle vicende presenti, suggerisce almeno, e con autorevole intuito, i criteri dell'adattamento e del rinnovamento della vita cristiana in conformità ai nuovi bisogni". L'opera pastorale di san Carlo continua, deve continuare: inalterata nel suo spirito e sempre nuova e creativa nelle forme che devono adeguarsi alle condizioni così profondamente mutate del nostro tempo.


3. Su alcuni momenti essenziali di una rinnovata vita ecclesiale, dinamicamente aperta e impegnata nella missione, desidero riflettere ora brevemente con voi, per suggerirvi qualche indicazione utile per questo anno così importante.

a) La missione è nel suo fondamentale contenuto e nella sua più forte esigenza annuncio del Vangelo di Gesù Cristo; evangelizzazione, dunque, e catechesi che riprende in modo organico, sistematico, quotidiano il Vangelo.

Proprio sulla catechesi san Carlo ha ancora tanto da dire: con il suo esempio personale, così dedito alla predicazione della Parola di Dio in ogni circostanza; con le sue accorate raccomandazioni rivolte ai sacerdoti per il generoso compimento del "ministerium Verbi"; con la sua legislazione diocesana e provinciale così precisa, forte e originale per una catechesi che tutto il popolo di domenica era chiamato a realizzare, nella forma di una vera e propria scuola, la scuola della dottrina cristiana.

b) La catechesi si compie con l'incontro con il Signore Gesù, in particolare con l'incontro con Gesù presente e operante nei Sacramenti della Chiesa.

L'azione pastorale di san Carlo riservo una singolare importanza all'Eucaristia, come celebrazione del divin Sacrificio, come comunione al Corpo e al Sangue del Signore, come culto all'Eucaristia Sacramento dell'Amore.

Proseguite, dunque, nella scia luminosa aperta nella vostra Chiesa dal Congresso eucaristico nazionale: il motto scelto sia veramente l'esperienza quotidiana crescente di cristiani in permanente stato di comunione e missione: "L'Eucaristia al centro della comunità e della sua missione". Identica determinazione ebbe san Carlo per sviluppare la pastorale penitenziale.

Raccogliendo tempestivamente i frutti del Sinodo dei Vescovi or ora celebrato e in quest'ultima parte dell'Anno Santo della Redenzione, impariamo da san Carlo il suo amore intenso, la sua preghiera continua, la sua contemplazione di Cristo Crocifisso. Ci verrà in tal modo aperta la strada per recuperare, conservare e rinvigorire l'autentico senso del peccato, che è rottura di quell'alleanza d'amore con Dio che è stata sigillata con il sangue preziosissimo di Cristo in croce; soprattutto ci verrà aperta la strada del pentimento, della conversione del cuore, della penitenza, insieme frutto e risposta alla Riconciliazione che Dio, "ricco di misericordia" ci dona, sempre nella morte di Cristo.

La spiritualità cristiana, come "cuore" di ogni rinnovamento morale e pastorale, deve instancabilmente attingere forza e slancio alle sorgenti dell'Eucaristia e del sacramento della Riconciliazione.

c) La catechesi e l'incontro sacramentale con Cristo ci daranno forza per essere "testimoni del Risorto": non solo con i vicini, ma anche con i lontani, non solo all'interno e in favore della comunità ecclesiale, ma anche nella città terrena e a favore di tutti gli uomini, soprattutto i più bisognosi ed emarginati.

Ripeto a voi milanesi, la cui città e diocesi presenta oggi in forma particolarmente acuta difficoltà innumerevoli e risorse magnifiche in ogni settore della vita sociale e culturale, quanto più volte ho affermato: è necessario che la fede cristiana sia profondamente compresa e vissuta, in modo da porre quale criterio imprescindibile dello sviluppo personale e sociale il primato dell'etica sulla tecnica, della persona sulle cose, dello spirito sulla materia. L'uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio: questa è la sua sublime dignità; e la sua vocazione e missione è di rispettare e promuovere, nella coscienza e nella libertà responsabile, la sua "umanità" secondo la piena "verità" dell'uomo, che risplende sul volto di Cristo Signore, "Redemptor Hominis", l'uomo perfetto.

A tutti estendo le parole che ho rivolto ai giovani nell'indimenticabile incontro all'autodromo di Monza, il 21 maggio di quest'anno: "La vostra fede deve diventare una presenza e una testimonianza nel mondo; deve cioè esprimersi nei vari livelli della vostra quotidianità: dovete vivere da cristiani tutte le dimensioni: quelle familiari, quelle culturali, quelle artistiche, quelle socio-politiche, in una parola tutte le dimensioni umane!".

Carissimi milanesi! La vostra vita spirituale e la vostra strategia pastorale hanno un grande santo e geniale maestro come ispiratore e patrono, noto in tutto il mondo, invocato dalla Chiesa intera; un pastore che ebbe come suprema preoccupazione il "conservare integra e inviolata la fede cattolica" ("Oratio", Concilium Provinciale I) e come impegno continuo la santità personale e la carità verso i fratelli. San Carlo vi illumini e vi stimoli a testimoniare sempre e in ogni luogo il Vangelo, a combattere l'errore, a frenare il male, a educare le generazioni nella giustizia, nell'onestà, nella bontà. Si narra nella sua biografia che, devotissimo di Maria santissima, quando il 10 settembre 1581 tra l'entusiasmo di una folla immensa compi la traslazione della statua della Madonna dei miracoli nel Santuario di Saronno, volle trascorrere due notti in preghiera davanti alla sacra immagine, digiunando a pane e acqua ("San Carlo Borromeo e il Santuario di Saronno"). Sappiate imitare san Carlo anche nel suo amore alla Madre celeste, in modo che col suo materno aiuto la Chiesa milanese possa essere di esempio e di stimolo a tutti i cristiani.

Un particolare saluto desidero riservare ai numerosi seminaristi qui presenti, speranza della diocesi milanese. Nel ricordo di quanto san Carlo ha fatto per i seminari vi esorto, cari seminaristi, a prepararvi al sacerdozio con generosità e impegno, approfittando di questo tempo preziosissimo per la vostra formazione spirituale e intellettuale. E' un tempo unico e irripetibile, dal quale dipenderà in gran parte la fecondità del vostro ministero pastorale di domani.

Estendo il mio saluto con intensità di sentimento anche agli alunni del Seminario lombardo a Roma, che hanno voluto unirsi a quest'incontro.

E ora, con grande affetto, imparto a tutti i presenti la mia benedizione, che intende abbracciare l'intera diocesi milanese.

Data: 1983-11-04 Data estesa: Venerdi 4 Novembre 1983

A Vescovi del Guatemala in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La vostra Chiesa ha pagato un gravissimo tributo alla violenza

Cari fratelli nell'Episcopato.


1. Dopo aver ascoltato ciascuno di voi separatamente e esserci occupati della vita delle vostre singole diocesi, ho ora la gioia di ricevervi tutti insieme. Dandovi l'abbraccio di pace nella vostra visita "ad limina", sento che la realtà della fede ci porta ad una sfera che trascende le nostre persone. Non è solo l'incontro tra il Papa e i Pastori del gregge di Cristo in Guatemala, è un incontro tra la Chiesa che è retta immediatamente dal successore di Pietro e le Chiese che voi guidate verso il Padre e che si affratellano in un rinnovato proposito di fedeltà al comune Fondatore e Maestro, al Pastore Supremo della Chiesa Santa.

Vedendovi attorno a me so che in questo istante siamo uniti da ricordi e sentimenti comuni che divengono più fraterni nella preghiera per lo scomparso Cardinale Casariego. Voi prolungate fin qui le vostre comunità ecclesiali che mi si fecero presenti in quei giorni della mia indimenticabile visita in Guatemala e nei Paesi vicini. E' una evocazione che riporta alla mia mente tante immagini di diversi luoghi guatemaltechi, scenario di incontro coi vostri fedeli, clero, membri delle famiglie religiose, persone della popolazione indigena o latina, e che suscitano sempre in me sentimenti di affetto e di ricordo nella preghiera.

Tornando a casa, voi saprete farvi interpreti presso di loro di questa comune esperienza, che perdura nel tempo e nonostante la distanza.

Proprio da questa sollecitudine e interessamento per la loro vita di fede e per la loro dignità di persone, scaturiscono queste riflessioni che ci accingiamo a fare insieme su alcuni punti principali, senza pretendere di esaurire la vasta problematica del vostro ambito ecclesiale.


2. Il primo settore sul quale desideriamo intrattenerci è quello della famiglia, nella quale appaiono immediatamente ricchezze religiose e umane di prima grandezza, insieme a ombre non trascurabili. Attraverso le vostre relazioni e i rapporti quinquennali, ho potuto apprezzare la preoccupazione pastorale che provate per il bene della famiglia. Ho potuto constatare anche la vostra ansia di fronte alle minacce che incombono sulla sua stabilità.

Avete nel cuore il grave fatto che siano una maggioranza i cattolici che creano la loro famiglia senza essere uniti nel sacramento del matrimonio. Vi preoccupa l'aumento dei divorzi, soprattutto nelle zone urbane, così come i crescenti casi di rotture matrimoniali "di fatto", che creano poi relazioni illecite e il sorgere di "famiglie parallele", specialmente da parte dello sposo.

A ciò si aggiungono i casi frequenti di unioni meramente civili o di semplice convivenza, soprattutto nelle zone rurali.

Tuttavia vi conforta la fedeltà dei sacerdoti all'insegnamento della Chiesa in questa materia, so che seguite con la debita attenzione il problema della pratica - favorita talvolta in ambienti ufficiali - dell'uso di contraccettivi o quello delle pressioni per la sterilizzazione delle donne, soprattutto indigene.

E non è minore l'attenzione prestata al problema dell'aborto, aperto o clandestino; alla piaga perniciosa dell'alcolismo che provoca tante catastrofi familiari; alle minacce contro la stabilità familiare causate dall'esodo forzato di lavoratori dall'altipiano alla costa in cerca di lavoro. Tutto ciò aggravato dal fenomeno, a volte frequente, del lavoro minorile e dell'alto indice di analfabetismo.

Davanti a questa situazione e animati dagli eccellenti frutti prodotti da tanti casi di vita familiare esemplare, desidero incoraggiare gli sforzi che state compiendo per elevare il livello umano e morale dell'importantissimo nucleo familiare. Dedicate energie raddoppiate a questo proposito, suscitando la collaborazione dei vostri sacerdoti, del mondo religioso, dei movimenti familiari o di apostolato, delle commissioni di apostolato familiare. A questo riguardo, desidero raccomandarvi le direttive che diedi dal Panama nel mio incontro con le famiglie cristiane (discorso del 5 marzo 1983).


3. Un altro settore che, per la sua grande importanza, occupa buona parte della vostra sollecitudine, è quello della catechesi, al fine di provvedere a migliorare la carente istruzione religiosa di tanti fedeli, aggravata dalla scarsità di sacerdoti e persone consacrate. Parlando di questo tema, non posso fare a meno di rendere un meritato elogio e incoraggiare i numerosi laici, catechisti, delegati della Parola, ministri dell'Eucaristia, che tanto hanno contribuito al mantenimento della fede nel vostro ambiente ecclesiale! Con quanta consolazione ho constatato nelle vostre relazioni quinquennali che "ogni comunità ha il suo catechista o celebratore della Parola"; che essi "sono autentiche braccia del parroco" e che "costituiscono la vera colonna vertebrale del vostro lavoro pastorale".

Continuate a incoraggiare la collaborazione matura e responsabile di questi laici che tanto hanno contribuito all'opera evangelizzatrice. E siano anche i vostri presbiteri e anime di speciale consacrazione coloro che si impegnano in questo compito che richiede imprescindibilmente il loro apporto determinante.

Con questa congiunzione di forze si dovrà ricercare, come una meta della catechesi, la purificazione della pietà popolare, in modo che essa rifletta la purezza della fede, questo favorendo e riformando, quando ciò si renda necessario, le confraternite e le devozioni popolari, ma senza eliminare indiscriminatamente tante forme di pietà popolare che sostengono la vita religiosa del popolo semplice. Chi non vede un valido cammino di fede, debitamente orientato, nelle devozioni tanto diffuse in Guatemala verso Nostra Signora del Rosario, al Santo Crocifisso di Esquipulas, a frà Pedro de Bethancourt, per non citare altri? Su questa linea di catechesi, per portare a tutti la pienezza del mistero della salvezza in Cristo, sarà necessario curare molto i testi catechistici impiegati, ricorrere alle moderne tecniche audio-visive, utilizzando soprattutto - sempre che sia possibile e mediante persone ben preparate, zelanti e fedeli alle direttive della gerarchia - i potenti mezzi della comunicazione di massa, come la radio e la televisione, questo sia in programmi propri della Chiesa che in altri ai quali abbia accesso, e ciò anche per contrastare l'influsso dannoso delle attività di proselitismo di gruppi di ben poco contenuto autenticamente religioso, e che tanta confusione creano tra i cattolici.


4. Un altro tema presentatomi dalle vostre relazioni per la visita e nella vostra preoccupazione di Pastori è quello delle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa, che sentite come uno dei problemi più assillanti per la Chiesa nel vostro Paese. Convinti come siete del fatto che il ruolo del presbitero non può essere sostituito dal catechista laico o dal delegato della Parola, guardate con speranza il lento aumento del numero delle vocazioni; tuttavia è ancora molto insufficiente per le reali necessità, supplite grazie all'apporto generoso ed encomiabile di altre Chiese.

Potrà alleviare la situazione una buona distribuzione del clero, a beneficio delle zone rurali; anche se ciò comporta sacrifici non indifferenti a volte, e che meritano il massimo apprezzamento, per l'amore ecclesiale che denotano. Ma è una campagna sistematica e capillare quella che dovete compiere nei diversi ambienti: parrocchie, scuole o collegi, famiglie o movimenti di apostolato. Dio voglia che tra gli stessi ambienti della catechesi sorgano anche vocazioni alla vita consacrata nel celibato.

Conosco le iniziative messe in pratica nelle vostre diverse diocesi per sensibilizzare i fedeli in questo importante terreno. Le benedico e le incoraggio di tutto cuore, esortandovi a coordinarle nel miglior modo possibile a livello nazionale, perché sortiscano i frutti che tutti speriamo. E per essi è necessario continuare ad elevare una incessante preghiera al Padrone della messe.


5. Un altro punto che, come ho potuto constatare, assorbe la vostra attenzione di Pastori è la missione della Chiesa verso le esigenze della giustizia e del rispetto dei diritti umani nel vostro Paese. So che, fedeli al Vangelo, vedete giustamente la missione propria della Chiesa nell'annuncio di Cristo e della sua opera di redenzione; ma non dimenticate neanche gli aspetti integranti e inseparabili di questa missione, che si riferiscono alla difesa della dignità della persona e dei suoi diritti, alla causa della promozione dell'uomo, alla denuncia degli abusi commessi contro di lui, alla difesa della giustizia, alla fraternità tra i diversi gruppi sociali e razze, al sostegno del bene comune, soprattutto in favore dei più poveri. Di ciò vi siete occupati opportunamente nella vostra Pastorale collettiva: "Confermati nella fede", del 22 maggio di quest'anno.

Vi incoraggio a continuare in quest'opera sulla quale ho tanto insistito durante la mia visita in Guatemala. Conosco le difficoltà che ciò ha creato talvolta al compito ecclesiale, e le sofferenze causate nell'Episcopato, fino al punto che alcuni Pastori vengono dolorosamente separati dalle loro rispettive comunità; così come ho presente la lunga lista di sacerdoti e di membri di famiglie religiose che, nella loro testimonianza di fede e di servizio al popolo, hanno pagato col sangue o col sequestro un gravissimo e ingiustificato tributo alla violenza. Ad essi vanno aggiunti tanti catechisti e delegati della Parola, anch'essi vittime della cieca violenza. Davanti a tutto ciò torno a ripetere: "Che nessuno pretenda di confondere mai più evangelizzazione con sovversione, e che i ministri del culto possano esercitare la loro missione con sicurezza e senza ostacoli" in tutto il Paese (Agli indigeni, Quetzaltenango, 7 marzo 1983).

Nel vostro incessante impegno in favore di una maggiore giustizia e dell'abolizione di forti disuguaglianze, basate di frequente su permanenti strutture di ingiustizia sociale, avete mostrato chiaramente che la Chiesa, i suoi Pastori e collaboratori perseguono una finalità pacificatrice. perciò, pur dedicandosi opzionalmente ai più poveri e bisognosi, essa non esclude nessuno e desidera mantenersi - sempre e da parte di tutti, soprattutto degli agenti primari della pastorale - al di sopra dei confronti di gruppi o di partiti politici.

Ciononostante, come avete segnalato nella vostra Pastorale collettiva prima citata, l'opzione non violenta della Chiesa "non vuole dire passività e, ancor meno, complicità silenziosa col peccato, con l'ingiustizia e col dolore... significa impegno attivo per conseguire la giustizia e la pace".

Su questa linea, incoraggio e benedico gli sforzi che vi ispira la carità a favore di tante persone emigrate - dentro e fuori delle vostre frontiere - o vittime della violenza, alle quali avete dedicato tutta l'assistenza che vi è possibile.


6. Invocando la pace e la cessazione della violenza nella vostra amata Nazione, invoco Nostra Signora del Rosario che ponga nell'animo di tutti sentimenti di fraternità e di riconciliazione.

E ricordando sempre con affetto immenso tutti i figli del vostro popolo, in primo luogo coloro che sono consacrati ai compiti ecclesiali, vi imparto, in unione con loro, la mia cordiale benedizione.

Data: 1983-11-05 Data estesa: Sabato 5 Novembre 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)