GPII 1984 Insegnamenti - Giubileo dei giovani romani - Catacombe di San Callisto (Roma)

Giubileo dei giovani romani - Catacombe di San Callisto (Roma)

Titolo: Digiuno, preghiera ed elemosina i mezzi per vivere la Quaresima

Testo:


1. Oggi la Chiesa indice il digiuno dei quaranta giorni. Lo fa a ricordo del digiuno di Cristo Signore, che, in questo modo, si preparo alla sua pubblica attività messianica. La Chiesa indice la Quaresima come periodo di preparazione alla solennità di Pasqua. E la Pasqua - passione, morte e risurrezione - costituisce l'adempimento della missione messianica di Gesù di Nazaret.

La Chiesa inizia il digiuno dei quaranta giorni da oggi, mercoledi delle Ceneri. In questo giorno, limitando al minimo il consumo dei cibi, tutti chiniamo il nostro capo, perché il sacerdote vi deponga le ceneri. ciò corrisponde a un'antichissima tradizione del popolo di Dio, che ha il suo inizio nell'Antico Testamento.


2. In questo giorno speciale mi incontro con voi, cari giovani: figli e figlie di Roma. Insieme iniziamo il digiuno di quaranta giorni della Quaresima dell'Anno Giubilare della Redenzione e lo facciamo presso le catacombe di san Callisto. Lo stesso luogo ha la sua eloquenza. E' noto che proprio nelle catacombe nacque e si sviluppo la Chiesa romana durante i primi secoli. L'era delle catacombe è l'era dei martiri, degli eroici testimoni del Vangelo di Cristo, della sua croce e risurrezione. In questi cimiteri sotterranei dell'antica Roma si è diffusa la luce di Cristo: il messaggio della nuova vita, per passare all'aperto e all'esterno nel tempo indicato dalla Provvidenza.

Il luogo in cui ci incontriamo ha una particolare eloquenza oggi, all'inizio della Quaresima dell'Anno della Redenzione.


3. Siete giunti in questo luogo in pellegrinaggio dalle diverse parti della Roma odierna, per iniziare il corteo quaresimale dell'Anno della Redenzione: un cammino tutto particolare, che è l'eredità di tante generazioni passate dei confessori di Cristo. Tale cammino è insieme la strada verso il futuro: voi infatti, giovani romani, giovani confessori di Cristo, desiderate seguirlo durante tutta la vita; e questa vita appartiene al futuro.

Proprio per questo voi scegliete il periodo del digiuno dei quaranta giorni di Quaresima come tappa particolare. Essa deve prepararvi interiormente alla domenica delle Palme, giorno scelto dai giovani di diverse nazioni del mondo, che si uniranno nel Giubileo straordinario dell'Anno della Redenzione.


4. All'inizio di questa tappa mi incontro con voi come Vescovo di Roma. Dobbiamo insieme inchinare il nostro capo, sul quale la mano del sacerdote poserà le ceneri. Ognuno di noi ascolterà in quel momento le parole che riassumono il significato del mercoledi delle Ceneri.

La liturgia delle Ceneri si esprime in due brevi formule della Sacra Scrittura. La prima formula: "Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai", tolta dal Libro della Genesi (3,19). La seconda formula: "Convertitevi e credete al Vangelo", secondo il testo di san Marco (1,15).

Ognuna di queste formule ha un contenuto proprio. Ognuna costituisce una particolare sintesi. La Chiesa vuole che noi accettiamo, all'inizio della Quaresima, la verità che è contenuta in entrambe le formule del rito liturgico.

Accettiamo dunque la verità sulla morte, sulla caducità dell'uomo nel mondo temporale. E accettiamo al tempo stesso la verità sulla vita, che oltrepassa la dimensione della temporaneità: sulla vita eterna in Dio, alla quale ci introduce Cristo. E accettiamo, sulla base di questa duplice verità, la chiamata alla conversione.

Che ciò costituisca il senso centrale e vivificante di questa tappa, che iniziamo con la Quaresima dell'Anno Giubilare della Redenzione.


5. Meditiamo bene l'odierna lettura del Vangelo secondo Matteo. La Quaresima assegna come compito a ciascuno di noi, in modo particolare, la nostra stessa umanità. Ci raccomanda di viverla, ci ordina di realizzarla in una concentrazione maggiore. E questa la acquistiamo quando cerchiamo in modo più consapevole di "essere noi stessi davanti a Dio".

"Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli!" (Mt 6,1). Dunque la Quaresima è una concentrazione teocentrica: uno sguardo teocentrico sull'uomo. Sulla base di questa concentrazione la pratica della Quaresima ci raccomanda di orientarci secondo tre direzioni fondamentali, nelle quali si esprime la spiritualità dell'uomo, e prima di tutto la sua volontà e la sua libertà. La direzione "verso l'interno", che corrisponde al dominio di "sé": la vittoria della volontà sulla sensualità umana. Questo è "il digiuno" che ci è chiesto.

La direzione "verso l'alto", nella quale si esprime l'orientamento del nostro spirito verso la trascendenza. Ecco "la preghiera". La direzione "verso gli altri", per la quale l'"io" umano si apre "agli altri". Ecco l'"elemosina".

Dovete, in questa tappa quaresimale, riflettere più a fondo sul compito che Cristo ci assegna nel Vangelo di oggi. Esso, come si vede, è iscritto organicamente nell'umanità di ciascuno di noi. Si unisce strettamente al programma di "autorealizzazione" evangelica dell'uomo.


6. Dovete anche rivolgere una particolare attenzione al salmo 50, che è il più conosciuto e il più diffuso tra i cosiddetti salmi penitenziali. I suoi versetti si trovano nell'odierna liturgia come salmo responsoriale. Vale la pena di conoscerlo tutto e di assimilarlo per intero.

In questo momento voglio attirare la vostra attenzione su tre passi di quel salmo, che illuminano in modo particolare l'intera questione della penitenza e della conversione.

a) Chiede il salmista: "Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo". Dio "crea" e l'uomo "fa". Il compito che la Chiesa pone davanti a noi in questa tappa, è quello di realizzare una particolare creatività! Deve emergere da essa un uomo spiritualmente forte! b) Chiede il salmista: "Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso". E' la gioia che accompagna il lavoro su se stessi. Questo è un lavoro creativo, che costa; proprio per questo porta una gioia enorme.

c) E infine: "Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode". Non si può vivere senza questa prospettiva. "La gloria di Dio è l'uomo vivente", dice sant'Ireneo. Non è possibile vivere veramente senza questa prospettiva. Solo in essa si svela la vera dignità dell'uomo.


7. E' per me una gioia particolare poter iniziare insieme con voi questo digiuno dei quaranta giorni dell'Anno della Redenzione. Sono lieto che siano qui presenti il cardinale vicario di Roma e i vescovi che collaborano con noi.

Sono lieto della partecipazione dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose. Io e loro ci rallegriamo vivamente insieme con voi: con te, giovane Chiesa dell'antica Roma! E mentre ripetiamo con l'apostolo questa invocazione così pastorale: "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Co 5,20), chiediamo anche: riconoscete qual è la profondità, quale la ricchezza di questa riconciliazione con Dio, quanto voi stessi diventate ricchi mediante essa, quanto diventate voi stessi.

Tale è infatti l'eterno disegno di Dio, il disegno della salvezza: l'uomo diventa pienamente se stesso - cioè veramente uomo - in Gesù Cristo.

"Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza".

Collaborate con lui! Collaborate con Cristo! "E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo - e ve lo chiediamo di tutto cuore - di non accogliere invano la grazia di Dio" (2Co 6,1 2Co 6,2).

Che produca frutto! Che produca un frutto particolare questo digiuno dei quaranta giorni dell'Anno Giubilare della Redenzione!

Data: 1984-03-07 Data estesa: Mercoledi 7 Marzo 1984




Risposta alle domande dei giovani - San Callisto (Roma)

Titolo: Viaggio in Estremo Oriente alla ricerca del dialogo ecumenico

Testo:


1. Vorrei innanzitutto ringraziarvi per la vostra odierna presenza, così ben preparata in tutte le parrocchie, nei vari gruppi, nelle varie associazioni, nelle diverse comunità. Siamo all'inizio della Quaresima. E' il primo giorno e vogliamo iniziare un cammino che, durante tutto il periodo quaresimale, ci porterà alla domenica delle Palme, giorno in cui il programma stilato dal comitato centrale per l'Anno Santo, prevede la celebrazione del Giubileo dei giovani di tutta l'Italia e di tutto il mondo. Saranno certamente numerosi i partecipanti. Io mi preparo già per accoglierli e per celebrare con loro quel momento culminante di tutto l'Anno Santo, l'Anno della Redenzione.

Nella preparazione dell'odierno incontro voi avete incluso anche una serie di domande. Il vostro collega le ha presentate nell'indirizzo rivoltomi. Vi sono grato per queste domande perché così create le premesse spirituali per stabilire un dialogo. Quella del dialogo è una struttura tipicamente umana e direi tipicamente cristiana. E' anche la struttura della Chiesa. La Chiesa, soprattutto la Chiesa del nostro tempo, la Chiesa del dopo Concilio vuole essere una Chiesa in dialogo, in dialogo con tutti gli uomini di buona volontà, anche se non credenti.

Ma vuole essere un dialogo soprattutto con gli uomini credenti delle diverse religioni. Per esempio, io mi accingo a compiere un pellegrinaggio nell'Estremo Oriente, in Paesi come la Corea, la Papua Nuova Guinea, le Isole Salomone, la Thailandia, Paesi cioè nei quali i cattolici sono una minoranza e dove invece vivono uomini di altre religioni non cristiane. Dobbiamo cercare un dialogo con loro, un dialogo ecumenico. La vostra iniziativa di dialogare con il vostro Vescovo è utile per voi, ma è anche molto utile per me. Leggendo le vostre domande ho potuto riflettere. Ho capito che non solo siete presi dalla vostra vita, dalle vostre preoccupazioni, dalle vostre ansie, ma siete anche interessati alla vita del vostro Vescovo, alla sua vocazione, alla sua missione nel mondo. Sarebbe difficile rispondere a quest'ultimo vostro interesse, a questa vostra domanda specifica. Vorrei rispondervi raccontandovi un episodio della mia vita, che mi sembra particolarmente attuale oggi. Mi riferisco a quando, giovane prete, a 26 anni, sono venuto per la prima volta a Roma. Voi sapete bene che questo Papa non è romano d'origine, e neanche italiano. Ma, come dissi dall'inizio del pontificato, è venuto da lontano, anche se non da tanto lontano. Dunque venni a Roma da giovane sacerdote per completare i miei studi. Ero stato ordinato da appena alcune settimane. Ho cercato subito di scoprire quello che avevo portato nella mia anima per lungo tempo, perché questa Roma sconosciuta io l'ho portata nel profondo del mio animo come un sogno, come un ideale. A quell'incontro mi ero preparato per tutti i lunghi anni dei miei studi, forte della lunga tradizione cattolica della mia patria. Mi preparai soprattutto con la lettura di un libro che, sebbene sia stato scritto da un autore polacco, è tutto dedicato alla Roma dei primi cristiani: "Quo vadis". Ecco, noi ci troviamo abbastanza vicino a quel luogo, conosciuto da tutta la tradizione cristiana; nel luogo in cui Cristo è andato incontro a Pietro e gli ha chiesto di andare a Roma proprio nel periodo delle persecuzioni.

Ho portato per lunghi anni nel cuore l'immagine della Roma dei primi cristiani, delle catacombe e, nei primi giorni della mia permanenza a Roma, nel novembre del 1946, giravo per le strade, nelle chiese, ma non riuscivo a trovare quell'immagine che era scolpita nel mio cuore. Finalmente sono giunto nelle catacombe, ho visitato le prime basiliche cristiane dove ancora si percepiva quasi la presenza dei primi cristiani, di quelle prime generazioni di cristiani. E' stato solo allora che ho riconosciuto la Roma che viveva nel mio animo. Lo ricordo oggi con voi in questa circostanza, rispondendo così almeno in parte alle tante domande che mi avete posto; è un ricordo che per tutta la vita mi è rimasto impresso e che mi ha legato a questa Roma nella quale, nel 1946, certo neppure immaginavo di tornare come Pietro e di restarvi sino all'ultimo giorno della mia vita, come Vescovo di Roma.


2. Alle vostre altre domande rispondero, anche se non esaurientemente, almeno indicando alcune linee essenziali per farvi comprendere come io, vostro Vescovo, intenda continuare nel solco delle grandi tradizioni di questa città misteriosamente destinata dal disegno della Provvidenza divina ad essere "Caput et Mater omnium Ecclesiarum". Voglio portare avanti la Chiesa di Pietro con tutta la ricchezza delle sue tradizioni, ma allo stesso tempo nella dimensione propria del nostro tempo. Per questo sono tanto importanti per me tutte le occasioni che mi sono date per vedere i miei diocesani e specialmente i giovani.

Durante le visite alle parrocchie, ai giovani è sempre dedicato il momento privilegiato. Oggi è forse la prima volta che ci incontriamo in un'assemblea direi rappresentativa di tutta la realtà giovanile di Roma. Per il fatto pero di incontrarci così spesso nelle parrocchie, ci conosciamo sempre meglio e abbiamo potuto instaurare quel dialogo di salvezza così necessario per voi e per me.

Sin dal primo giorno del mio pontificato ho detto che i giovani sono la speranza della Chiesa; lo ripeto sempre e in ogni circostanza. Ma non lo ripeto solo con le mie labbra: lo ripeto con la mia più profonda convinzione, con la mia stessa esistenza. Io sono convinto che questa Chiesa di Roma, come ogni altra Chiesa del mondo, si deve costruire sull'impegno dei giovani. Essi sono la generazione che ha già in sé il futuro. Il futuro si costruisce tramite i giovani.

Ecco perché è tanto importante, non solo nell'iniziativa dell'Anno Santo, ma anche nel tempo ordinario, la pastorale dei giovani, in ogni parrocchia, in ogni comunità, in ogni associazione, in ogni ambiente. Dobbiamo renderci conto tutti insieme, vescovi, sacerdoti e voi giovani, che l'apostolato è la continuazione della missione trasmessa da Cristo agli apostoli e che deve essere realizzata sempre da noi tutti. C'è l'apostolato gerarchico, c'è l'apostolato episcopale, ma c'è anche l'apostolato dei laici ed esso porta con sé un grande e promettente impegno: l'apostolato dei giovani. Io vedo questo tipo di apostolato e vedo tutte le iniziative, i diversi orientamenti, la spiritualità che voi sempre ricercate e approfondite. Vedo il vostro desiderio di essere cristiani, pienamente cristiani, profondamente cristiani, "cristiani in Cristo", perché non si potrebbe essere altrimenti cristiani se non in Cristo. E' questa la definizione del cristiano, la nostra definizione: vivere e realizzare la sua dimensione in Cristo. Cristo è la nostra comune dimensione, la dimensione che tutti ci abbraccia, la realtà che ci penetra, che è dinanzi a noi ma soprattutto è dentro di noi, nel nostro cuore, nel nostro spirito. E così, vivendo in Cristo, noi siamo cristiani, diventiamo cristiani. Ed essendo cristiani, noi siamo anche apostoli.

Il futuro cristiano di Roma dipende dall'apostolato dei giovani cristiani, dei giovani che lasciano vivere Cristo in loro. Il futuro cristiano si, ma anche il futuro umano, perché la Chiesa, la comunità del popolo di Dio, ha una sua missione da compiere nel mondo della famiglia umana.


3. Giustamente voi mi avete poste delle domande sulla pace, sui pericoli della guerra, sulla fame nel mondo, sulle ingiustizie. Ed è giusto che vi preoccupiate di queste cose; non possiamo essere indifferenti dinanzi a questi fenomeni, certamente non marginali. Si tratta di fenomeni che si rivolgono contro la vita in comune nel mondo, per quanti in questo mondo sono chiamati a compiere la missione trasmessa da Cristo alla sua Chiesa: una missione cioè orientata proprio verso la salvezza del mondo.

Nel concetto di salvezza del mondo va naturalmente considerata la dimensione escatologica della salvezza. Cristo ci orienta verso quella salvezza con la sua Croce, e con la sua risurrezione già inizia quella dimensione escatologica della salvezza; ma c'è anche la dimensione temporale della salvezza cioè la dimensione odierna di quella salvezza che cammina con la storia del mondo e penetra la storia, e vuol cambiare, nella storia dell'uomo, il male con il bene.

Ecco, guardando attentamente alle vostre domande io vedo che un simile impegno è ben radicato nelle vostre coscienze. Siete alla ricerca dei modi per cambiare il male con il bene, per costruire un mondo migliore, più umano. Sono queste le ansie iscritte nei cuori della giovane generazione e voi le custodite nel vostro cuore non solo come desiderio ma anche come sofferenza.

Voi volete contribuire a rendere il mondo più cristiano, più umano. E soffrite se questo mondo non è come voi lo desiderate; soprattutto soffrite quando vedete il male dell'uomo, quando vedete il vostro prossimo, il vostro coetaneo, il vostro amico trovarsi nel male, nel vizio, come la droga e tutti gli altri che voi certamente conoscete meglio di me. Per questo, giovani della mia diocesi, io vi vedo così vicini a me, sento le vostre sofferenze, le vostre inquietudini. Si tratta di inquietudini che toccano anche la Chiesa. Voi vorreste che la Chiesa fosse come Cristo l'ha voluta, bella, senza "macula aut ruga". E questo è un desiderio che dobbiamo avere tutti noi, vescovi, sacerdoti, responsabili come voi in quanto cristiani; dobbiamo fare tutti in modo che la nostra Chiesa sia bella, sia giusta, sia la sposa di Cristo. Cristo, con la sua morte, ha sposato la Chiesa e nella Chiesa ha sposato ogni uomo, ogni anima, ogni giovane, ogni ammalato, ogni anziano e ciascuno di noi; come dice san Paolo nella Lettera agli Efesini, Cristo sposo chiede a questa sua sposa di essere bella, di essere senza "macula aut ruga"! Carissimi, ho toccato, più o meno, alcuni punti delle vostre domande, delle vostre preoccupazioni. Ancora una volta vi dico grazie per il modo in cui avete preparato questo nostro incontro odierno, questa inaugurazione della Quaresima 1984, dell'Anno Giubilare della Redenzione. Vi ringrazio per questo. Una buona Quaresima a tutti voi, a tutti i giovani di Roma, a tutti i cristiani di Roma, a tutta la città di Roma! Sia lodato Gesù Cristo!

Data: 1984-03-07 Data estesa: Mercoledi 7 Marzo 1984




Ai sacerdoti nel Giovedi santo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Perseverare nella vocazione di ministri dell'amore di Dio"

Testo:

Carissimi fratelli nella grazia del sacerdozio.

Avvicinandosi il Giovedi santo, giorno nel quale ciascuno di noi è invitato a ripensare con commossa gratitudine all'inestimabile dono fattoci da Cristo, sento il bisogno di rivolgermi a voi per testimoniarvi il sincero affetto e la viva sollecitudine con cui seguo, nel pensiero e nella preghiera, la vostra quotidiana fatica al servizio del gregge del Signore.

Lo scorso 23 febbraio ho avuto la gioia di celebrare il Giubileo della Redenzione con una vasta schiera di sacerdoti, convenuti a Roma da ogni parte del mondo. E' stata un'esperienza molto bella, che ha suscitato nel mio animo una profonda emozione, la cui eco perdura in me con immutata intensità. Nel desiderio di rendere in qualche modo partecipi di quell'evento di comunione tutti gli "amministratori dei misteri di Dio" (1Co 4,1), ho pensato di inviarvi il testo dell'omelia da me pronunciata in quella circostanza.

Possa quanto allora ho detto recare a ciascuno di voi spirituale conforto, ravvivando nei vostri cuori il proposito di perseverare generosamente nella vocazione di ministri dell'amore misericordioso di Dio. Vi sostenga anche la mia benedizione che con particolare affetto vi imparto in Cristo Gesù.

Dal Vaticano, il 7 marzo 1984.


1. "Lo spirito del Signore Dio è su di me, / perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione, / mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, / a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, / a proclamare la libertà degli schiavi, / la scarcerazione dei prigionieri, / a promulgare l'anno di misericordia del Signore" (Is 61,1-2).

Carissimi fratelli nella grazia del sacramento del sacerdozio! Un anno fa mi sono rivolto a voi con la lettera per il Giovedi santo del 1983, chiedendovi di annunziare, insieme con me e con tutti i vescovi della Chiesa, l'Anno della Redenzione: il Giubileo straordinario, l'anno di misericordia del Signore.

Oggi desidero ringraziarvi per quanto avete fatto, affinché quest'anno, che ci ricorda il 1950° anniversario della redenzione, diventasse veramente "l'anno di misericordia del Signore", l'Anno Santo. In pari tempo, incontrandomi con voi in questa concelebrazione, nella quale culmina il vostro pellegrinaggio a Roma in occasione del Giubileo, desidero rinnovare e approfondire insieme con voi la coscienza del mistero della redenzione, che è la sorgente viva e vivificante del sacerdozio sacramentale, al quale ciascuno di noi partecipa.

In voi, qui convenuti, non soltanto dall'Italia, ma anche da altri Paesi e continenti, vedo tutti i sacerdoti: l'intero presbiterio della Chiesa universale. E a tutti mi rivolgo con l'incoraggiamento e con l'esortazione della lettera agli Efesini: "Fratelli, vi esorto... a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto" (Ep 4,1).

E' necessario che noi pure, chiamati a servire gli altri nel rinnovamento spirituale dell'Anno della Redenzione, ci rinnoviamo, mediante la grazia di quest'Anno, nella nostra beata vocazione.


2. "Cantero senza fine le grazie del Signore".

Questo versetto del Salmo responsoriale (88,2) dell'odierna liturgia ci ricorda che noi siamo in maniera del tutto speciale "ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio" (1Co 4,1), che siamo uomini della divina economia di salvezza, che siamo uno "strumento" consapevole della grazia, ossia dell'azione dello Spirito Santo nella potenza della croce e della risurrezione di Cristo.

Che cos'è quest'economia divina, che cos'è la grazia del nostro Signore Gesù Cristo, grazia che egli ha voluto legare sacramentalmente alla nostra vita sacerdotale e al nostro servizio sacerdotale, anche se svolto da uomini tanto poveri, tanto indegni? La grazia - come proclama il salmo dell'odierna liturgia - è una testimonianza della fedeltà di Dio stesso a quell'eterno amore, con cui egli ha amato il creato, e in particolare l'uomo, nel suo eterno Figlio.

Dice il salmo: "Perché hai detto: la mia grazia rimane per sempre; la tua fedeltà è fondata nei cieli" (88,3).

Questa fedeltà del suo amore - dell'amore misericordioso - è poi la fedeltà all'alleanza, che Dio ha concluso, sin dall'inizio, con l'uomo, e che ha rinnovato molte volte, benché l'uomo tante volte ad essa non sia rimasto fedele.

La grazia è quindi un dono puro dell'amore, il quale soltanto nell'amore stesso, e non in altra cosa, trova la sua ragione e la sua motivazione.

Il salmo esalta l'alleanza, che Dio ha stretto con Davide e al tempo stesso, grazie al suo contenuto messianico, esso rivela come quell'alleanza storica sia soltanto una tappa e un preannunzio dell'alleanza perfetta in Gesù Cristo: "Egli mi invocherà: Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia salvezza" (88,27).

La grazia, in quanto dono, è il fondamento dell'elevazione dell'uomo alla dignità di figlio di Dio adottivo in Cristo, Figlio unigenito.

"La mia fedeltà e la mia grazia saranno con lui e nel mio nome si innalzerà la sua potenza" (Ps 88,25). Proprio questa potenza, che fa diventare figli di Dio (quei figli di cui parla il prologo del Vangelo di Giovanni), l'intera potenza salvifica è conferita all'umanità in Cristo, nella redenzione, nella croce e nella risurrezione. E noi - servi di Cristo - ne siamo gli amministratori.

- Sacerdote: uomo dell'economia salvifica.

- Sacerdote: uomo plasmato dalla grazia.

- Sacerdote: amministratore della grazia!


3. "Cantero senza fine le grazie del Signore". Proprio questa è la nostra vocazione. In questo consiste la specificità, l'originalità della vocazione sacerdotale. Essa è radicata in maniera speciale nella missione di Cristo stesso, di Cristo-Messia.

"Lo spirito del Signore è su di me, / perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; / mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, / a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, / a proclamare la libertà degli schiavi, / la scarcerazione dei prigionieri... / per consolare tutti gli afflitti" (Is 61,1-2).

Proprio nell'intimo di questa missione messianica di Cristo-Sacerdote è radicata anche la vostra vocazione e missione: vocazione e missione dei sacerdoti della nuova ed eterna alleanza.

E' la vocazione e la missione degli annunziatori della buona novella; di coloro che debbono fasciare le piaghe dei cuori umani; di coloro che debbono proclamare la liberazione in mezzo alle molteplici afflizioni, in mezzo al male che in tanti modi "tiene" l'uomo prigioniero; di coloro che debbono consolare gli afflitti.

Questa è la nostra vocazione e missione di servitori. E' vocazione e missione, cari fratelli, che racchiude in sé un grande e fondamentale servizio nei riguardi di ciascun uomo! Nessuno può compiere un tale servizio al nostro posto.

Nessuno può sostituirci. Dobbiamo raggiungere col sacramento della nuova ed eterna alleanza le radici stesse dell'esistenza umana sulla terra. Dobbiamo, giorno per giorno, introdurre in essa la dimensione della redenzione e dell'Eucaristia.

Dobbiamo rafforzare la coscienza della figliolanza divina mediante la grazia. E quale prospettiva più alta, e quale destino più eccellente di questo potrebbe esserci per l'uomo? Dobbiamo, infine, amministrare la realtà sacramentale della riconciliazione con Dio e della santa Comunione, nella quale si viene incontro alla più profonda aspirazione dell'"insaziabile" cuore umano. Davvero, la nostra unzione sacerdotale è inserita profondamente nella stessa unzione messianica di Cristo. Il nostro sacerdozio è ministeriale. Si, noi dobbiamo servire! E "servire" significa portare l'uomo nelle fondamenta stesse della sua umanità, nello stesso midollo più profondo della sua dignità. Proprio là deve risuonare - mediante il nostro servizio - quel "canto di lode invece di un cuore mesto", per utilizzare ancora una volta le parole del testo di Isaia (61,3).


4. Cari, amati fratelli! Noi ritroviamo, giorno dopo giorno e anno dopo anno, il contenuto e la sostanza, veramente ineffabili, del nostro sacerdozio nelle profondità del mistero della redenzione. E io auguro che a questo serva specialmente il corrente Anno del Giubileo straordinario! Apriamo sempre più largamente gli occhi - lo sguardo dell'anima - per scoprire meglio che cosa vuol dire celebrare l'Eucaristia, il sacrificio di Cristo stesso, affidato alle nostre labbra e alle nostre mani di sacerdoti nella comunità della Chiesa.

Apriamo sempre più largamente gli occhi - lo sguardo dell'anima - per capire meglio che cosa significa rimettere i peccati e riconciliare le coscienze umane col Dio infinitamente santo, col Dio della verità e dell'amore.

Apriamo sempre più largamente gli occhi - lo sguardo dell'anima - per capire meglio che cosa vuol dire operare "in persona Christi", nel nome di Cristo.

Operare con la sua potenza, ossia con la potenza che, in definitiva, si radica nel suolo salvifico della redenzione.

Apriamo inoltre sempre più largamente gli occhi - lo sguardo dell'anima - per capire meglio che cosa è il mistero della Chiesa. Noi siamo uomini della Chiesa! "Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo. Un solo Dio padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (Ep 4,4-6).

Quindi: cercate "di conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace" (Ep 4,3). Si. Proprio questo dipende, in modo particolare, da voi: "Conservare l'unità dello Spirito"! In un'epoca di grandi tensioni, che scuotono il corpo terreno dell'umanità, il servizio più importante della Chiesa nasce dall'"unità dello Spirito", affinché non soltanto non subisca essa stessa una divisione dal di fuori, ma riconcili e unisca, altresi, gli uomini in mezzo alle contrarietà che si accumulano intorno a loro e in loro stessi nel mondo d'oggi.

Miei fratelli! A ciascuno di voi "è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo... al fine di edificare il corpo di Cristo" (Ep 4,7 Ep 4,12).

Siamo fedeli a questa grazia! Siamo eroicamente fedeli a questa grazia! Miei fratelli! Il dono di Dio è stato grande per noi, per ciascuno di noi! Tanto che ogni sacerdote può scoprire in sé i segni di una divina predilezione. Ciascuno conservi fondamentalmente il suo dono in tutta la ricchezza delle sue espressioni: anche il dono magnifico del celibato volontariamente consacrato al Signore - e da lui ricevuto - per la nostra santificazione e per l'edificazione della Chiesa.


5. Gesù Cristo è in mezzo a noi, e ci dice: "Io sono il buon pastore" (Jn 10,11 Jn 10,14). E' proprio lui che ha "costituito" pastori anche noi. Ed è lui che percorre tutte le città e i villaggi (cfr. Mt 9,35), ovunque noi siamo mandati per assolvere il nostro servizio sacerdotale e pastorale.

E' lui, Gesù Cristo, che insegna... predica il vangelo del regno e cura ogni malattia e infermità dell'uomo (cfr. Mt 9,35), ovunque noi siamo mandati per il servizio del Vangelo e l'amministrazione dei sacramenti.

E' proprio lui, Gesù Cristo, che sente continuamente compassione delle folle e di ogni uomo stanco e sfinito, come "pecore senza pastore" (cfr. Mt 9,36).

Cari fratelli! In questa nostra assemblea liturgica chiediamo a Cristo una sola cosa: che ciascuno di noi sappia servire meglio, più limpidamente e più efficacemente, la sua presenza di Pastore in mezzo agli uomini nel mondo odierno! Questa è, insieme, cosa tanto importante per noi, affinché non ci prenda la tentazione dell'"inutilità", cioè la tentazione di sentirci superflui. Perché ciò non è vero. Noi siamo necessari più che mai, perché Cristo è necessario più che mai! Il Buon Pastore è più che mai necessario! Noi abbiamo in mano - proprio nelle nostre "mani vuote" - la potenza dei mezzi di azione che ci ha consegnato il Signore.

Pensate alla parola di Dio, più tagliente di una spada a doppio taglio (cfr. He 1,12); pensate alla preghiera liturgica, segnatamente a quella delle ore, nella quale Cristo stesso prega con noi e per noi; e pensate ai sacramenti, in particolare a quello della Penitenza, vera tavola di salvezza per tante coscienze, approdo verso il quale tendono tanti uomini anche del nostro tempo.

Occorre che i sacerdoti diano nuovamente grande importanza a questo sacramento, per la propria vita spirituale e per quella dei fedeli. E' cosa certa, fratelli carissimi: col buon impiego di questi "mezzi poveri" (ma divinamente potenti) voi vedrete fiorire sulla vostra strada le meraviglie dell'infinita misericordia. Anche il dono delle nuove vocazioni! Con tale coscienza, in questa comune preghiera, riascoltiamo le parole che il Maestro rivolgeva ai discepoli: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate, dunque, il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe!" (Mt 9,37-38). Quanto sono attuali queste parole anche nella nostra epoca! Preghiamo dunque! E preghi con noi tutta la Chiesa! E possa in questa preghiera manifestarsi la coscienza, rinnovata dal Giubileo, del mistero della redenzione.

Al termine di questo incontro, tanto caro al mio cuore, desidero rinnovare a tutti il mio cordiale saluto nel Signore e il mio sincero ringraziamento.

[Salutati nelle diverse lingue i sacerdoti presenti ha così concluso:] Salutando alla fine tutti i sacerdoti italiani voglio trasmettere i miei cordiali auguri a tutti i nostri confratelli viventi in Italia e voglio anche affidare voi carissimi e tutti i sacerdoti del mondo intero, alla Madre dei sacerdoti, Madre di Cristo, unico e sommo sacerdote, e di tutti noi che al suo sacerdozio, sacramentalmente, indegnamente, partecipiamo. Sia lodato Gesù Cristo.

Data: 1984-03-07 Data estesa: Mercoledi 7 Marzo 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Giubileo dei giovani romani - Catacombe di San Callisto (Roma)