GPII 1984 Insegnamenti - A studiosi giuristi - Città del Vaticano (Roma)

A studiosi giuristi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il diritto alla libertà religiosa alla base di tutti gli altri

Testo:

Carissimi fratelli.


1. Questo incontro mi è assai gradito, perché mi offre l'opportunità di manifestarvi il mio compiacimento per aver scelto, come tema del vostro consueto Colloquio giuridico, un argomento tanto importante e attuale: "I diritti fondamentali della persona umana e la libertà religiosa", e per aver unito alla trattazione del tema la commemorazione del XXV anniversario dell'elezione a Sommo Pontefice di Giovanni XXIII e del XX anniversario della sua enciclica "Pacem in Terris". La competenza e l'impegno di quanti hanno preso la parola al Colloquio sono garanzia di sicura serietà nei vostri lavori e di un positivo contributo all'approfondimento del tema.

Desidero rivolgere il mio ringraziamento e cordiale saluto a tutti: in modo speciale, agli illustri relatori; al rettore dell'università, monsignor Pietro Rossano, che ha accolto e incoraggiato l'iniziativa, ormai entrata nella vita normale dell'Istituto "Utriusque Iuris"; e a monsignor Franco Biffi che ha diretto i lavori.


2. Uno dei segni dei tempi, che maggiormente incide sulla convivenza umana e sul suo incessante evolversi, è la più matura consapevolezza, che in tutto il mondo gli uomini hanno acquisito della propria dignità di persone. Dignità che esistenzialmente è percepita come fatto di coscienza, e che, storicamente e culturalmente, si è espressa attraverso la progressiva individuazione e rivendicazione dei diritti umani, proclamati in solenni dichiarazioni internazionali e ormai inseriti negli ordinamenti degli Stati moderni.

E' proprio nella dignità della persona, quale oggi è sempre più universalmente sentita e proclamata, che dev'essere individuato il punto di incontro di un dialogo proficuo, anzi necessario, fra la Chiesa e il mondo nell'epoca nostra, per la costruzione di un'autentica civiltà fondata sulla verità e sull'amore. Infatti, la voce della Chiesa, che fa eco a quella della coscienza umana, deve risuonare in mezzo ai diversi sistemi e alle condizioni socio-culturali più varie, per educare le persone e le collettività per formare l'opinione pubblica e orientare i responsabili dei popoli.


3. Teniamo presente poi che l'azione della Chiesa nel campo dei diritti umani vuole rimanere sempre al servizio dell'uomo; dell'uomo come lo concepisce nella sua visione antropologica. Essa, infatti, non ha bisogno di ricorrere a sistemi e a ideologie per amare, per tutelare la libertà dell'uomo e per collaborarvi. E' al centro del Vangelo, del quale essa è custode e annunciatrice, che attinge l'ispirazione e i criteri per lavorare a far crescere la pace e la giustizia contro tutte le schiavitù, violenze, aggressioni all'uomo e ai suoi diritti. Non è quindi per opportunismo e per strumentalizzazione che la Chiesa "esperta in umanità" (cfr. Paolo VI, Discorso all'Onu, 5 ottobre 1965) si erge in difesa dei diritti umani. E' per un impegno evangelico autentico, a cui resta fedele mantenendosi libera di fronte agli opposti sistemi e optando solo per l'uomo considerato nel suo essere integrale.

Il Signore Gesù ha enucleato nella parabola del Buon Samaritano il modello delle attenzioni per le necessità umane (cfr. Lc 10,29) e ha dichiarato che si identificherà con gli ultimi, ai quali si sia tesa la mano (cfr. Mt 25,31ss). E la Chiesa ha imparato e impara da questa e da altre pagine del Vangelo (cfr. Mc 6,35-44) che la sua missione evangelizzatrice ha come parte indispensabile l'impegno per la giustizia e l'opera della promozione dell'uomo.


4. Quali criteri possiamo usare, nel mondo d'oggi, per vedere se i diritti di tutte le persone vengono tutelati? Quali fondamenti possiamo offrire come base su cui possano fiorire i diritti dell'uomo? Senza dubbio questa base è la dignità della persona umana. Il mio predecessore Giovanni XXIII lo spiegava nell'enciclica "Pacem in Terris": "In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona... quindi è soggetto di diritti e di doveri, che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili".

E' in questa dignità della persona che i diritti umani trovano la loro diretta sorgente. Ed è il rispetto per questa dignità che dà origine alla loro effettiva protezione. La persona umana, persino quando sbaglia, sia uomo che donna, mantiene sempre una dignità insita, che non perde mai (cfr. PT 158). Pertanto i credenti debbono creare le condizioni perché Dio possa parlare all'uomo per il tramite della Chiesa, al fine di contribuire più autenticamente alla conoscenza che tutti i diritti della persona derivano dalla sua dignità saldamente radicata in Dio.


5. Ora, fra i diritti dell'uomo si annovera giustamente il diritto alla libertà religiosa, anzi questo è il più fondamentale, perché la dignità di ogni persona ha la sua prima fonte nel suo rapporto essenziale con Dio creatore e padre, alla cui immagine e somiglianza è stata creata, perché dotata di intelligenza e di libertà.

Il diritto alla libertà religiosa è stato sempre - come certamente sarà emerso anche nel vostro colloquio - nella vita e nella storia della Chiesa fin dai primi tempi. Il Concilio Vaticano II ha ritenuto particolarmente necessaria l'elaborazione di una più ampia dichiarazione su questo tema, la ben nota "Dignitatis Humanae". In tale documento è stata espressa la concezione non solo teologica del problema, ma anche quella dal punto di vista del diritto naturale, cioè dalla posizione puramente umana, in base a quelle premesse dettate dall'esperienza stessa dell'uomo, dalla sua ragione e dal senso della sua dignità.

Certamente la limitazione della libertà religiosa delle persone e delle comunità non è soltanto una loro dolorosa esperienza, ma colpisce innanzitutto la dignità stessa dell'uomo, indipendentemente dalla religione professata o dalla concezione che esse hanno del mondo. Il sunnominato documento conciliare dice che cosa sia una tale limitazione e violazione della libertà religiosa sottolineando fortemente che l'uomo ha il diritto a vivere nella verità e nella libertà di aderire al significato ultimo della sua vita.

Tale diritto è un diritto umano e quindi universale: perché non deriva dall'onesto operare delle persone o dalla loro coscienza retta, ma dalle persone stesse, ossia dal loro essere esistenziale, il quale, nelle sue componenti costitutive, è sostanzialmente identico in tutte le persone. E', quindi, un diritto che esiste in ogni persona ed esiste sempre, anche nell'ipotesi che non venga esercitato o sia violato dagli stessi soggetti a cui inerisce. Infatti la violazione di un diritto non comporta la sua distruzione, ma fa emergere l'esigenza che venga ripristinato (cfr. DH 2).


6. E' pero un diritto in funzione di un dovere. Anzi, come ha ribadito più volte il mio predecessore Paolo VI, è il più fondamentale dei diritti in funzione del primo dei doveri; qual è il dovere di muoversi verso Dio nella luce della verità con quel moto dell'animo che e amore: moto che si accende e si alimenta soltanto in quella luce (cfr. EN 39). "Infatti il discepolo verso Cristo maestro è tenuto all'obbligo grave di conoscere la verità, da lui ricevuta, sempre meglio, di annunciarla fedelmente, di difenderla con vigore, escludendo mezzi contrari allo spirito evangelico. Nello stesso tempo pero la carità di Cristo lo spinge a trattare con amore, con prudenza e pazienza gli uomini che sono nell'errore o nell'ignoranza circa la fede. Si devono quindi prendere in considerazione sia i doveri verso Cristo, il Verbo vivificante che deve essere predicato, sia i diritti della persona umana, sia la misura di grazia che Dio mediante Cristo dà all'uomo, invitato ad accettare e a professare la fede liberamente" (DH 14). E' certo un errore imporre qualsiasi cosa alla coscienza dell'uomo, ma proporre a questa coscienza la verità evangelica e la salvezza in Cristo Gesù con piena chiarezza e nel rispetto assoluto delle libere scelte che essa farà, lungi dall'essere un attentato alla libertà religiosa, è un omaggio a questa libertà, alla quale è offerta la scelta di una via che gli stessi non credenti stimano nobile ed esaltante.

Questo modo rispettoso di proporre Cristo e il suo regno, oltre che un diritto è un dovere dell'evangelizzazione.

Di fronte a tanti umanesimi, spesso rinchiusi in una visione dell'uomo strettamente economica, biologica e psichica, la Chiesa ha il diritto e il dovere di proclamare la verità sull'uomo, ricevuta dal suo stesso Maestro, e di adoperarsi affinché Cristo, dono di Dio al mondo, trovi diritto di cittadinanza nella vita dei singoli, degli Stati, dei continenti, nella vita dell'umanità intera.

Cari fratelli, accogliete queste considerazioni come segno della mia profonda stima per voi e per la vostra importante opera. Il Signore vi sia di luce e di sostegno, confrontando il vostro sforzo con la gioia dell'approfondimento della verità che in lui ha la sua inesauribile sorgente. Accompagno questi voti con la mia benedizione, per voi e per la vostra attività di studiosi e di docenti.

Data: 1984-03-10 Data estesa: Sabato 10 Marzo 1984




A vari gruppi di pellegrini italiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La fede ci obbliga alla fedeltà

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle.


1. Sono lieto di questo incontro che vede riuniti fedeli appartenenti a differenti diocesi: Carpi, Montalto, Ripatransone, San Benedetto del Tronto. E' presente inoltre una larga rappresentanza dell'Unitalsi laziale. Lo scopo pero del vostro pellegrinaggio a Roma è il medesimo per tutti: acquistare l'indulgenza giubilare e incontrarvi il Papa.

Mediante il Giubileo voi sperimentate la profondità della Redenzione offerta dalla Chiesa in questo Anno Santo. Mediante l'incontro col successore di Pietro voi aprite la vostra fede nell'orizzonte della comunità cattolica.

Vi accolgo tutti con gioia e vi saluto con sincero affetto.


2. Rivolgo innanzitutto il mio pensiero ai fedeli della diocesi di Carpi, guidati dal loro vescovo, monsignor Alessandro Maggiolini, che da poco ha iniziato il suo ministero episcopale in mezzo a loro.

Carissimi fratelli e sorelle, nel 1979 avete celebrato il bicentenario di erezione della diocesi. Quest'anno vi accingete a celebrare l'ottavo centenario della consacrazione della chiesa "La Sagra" ad opera di papa Lucio III. Un tale ritorno alle origini cristiane della vostra cultura vi trova ancora in unità col Papa e vi stimola a rinnovare il vostro impegno di fede nella situazione attuale.

Vorrei esprimervi qualche parola di esortazione perché la riscoperta della tradizione diventi motivo di rinnovamento della vita cristiana. In particolare vi invito a curare con ogni premura la formazione religiosa. Come dicevo ai vescovi della vostra regione nella loro visita "ad limina", siate animati da un'autentica "passione per la catechesi". Nelle varie forme, in famiglia, in parrocchia, nella scuola, nelle diverse associazioni e nei diversi movimenti, sappiate trasmettere una fede essenziale, solida, in piena consonanza col magistero della Chiesa.

Così riuscirete a superare molti pregiudizi che inclinano a considerare il cristianesimo come un "insieme da museo", mentre esso rivela il significato vero e decisivo della realtà, del pensiero e dell'azione dell'uomo di oggi e di sempre. E tale opera di catechesi si interiorizzi fino a diventare preghiera convinta, costante, crescente, si radichi fino a provocare fede solida e fierezza culturale; si concretizzi fino a suscitare un'esperienza di vita nuova nel singolo e nella comunità.

L'adesione al Signore Gesù costituisca per voi un motivo di gioia e di pienezza di vita, così che vi sentiate sempre più incaricati di annunciare il Vangelo alle persone che incontrate nei diversi ambienti e nelle varie circostanze.

La vostra proposta cristiana abbia "il timbro della sicurezza umile e coraggiosa", come mi esprimevo ancora ai vescovi della vostra regione. Non abbiate paura di presentare le certezze della fede che vi è stata donata. Tali certezze rispondono alle esigenze umane che invano le ideologie o le effimere esaltazioni del benessere tentano di soffocare. E non si tratta soltanto di nozioni astratte, ma di un'esistenza globale e originale che recupera e rinnova tutte le dimensioni umane.

Nonostante le difficoltà che potete incontrare, sforzatevi di essere presenti, con la vostra peculiarità cristiana, e di operare nella società sia in modo individuale, sia in modo comunitario.

La Redenzione che il Signore Gesù ci ha recato, trasforma tutto l'essere del credente: dà i criteri supremi per un giudizio cristiano e umano sui fatti della vita di ogni giorno; dà il vigore per uno stile di esistenza che sia punto di riferimento profetico per ogni persona di retto sentire. Vi esorto, nel rispetto di un sano pluralismo e nella piena tutela della vera libertà, ad adoperarvi perché si instauri nella società in cui vivete una cultura cristiana e popolare che avveri sempre più la civiltà della verità e dell'amore. Anche in questo modo difendete la dignità della persona e aiutate i poveri.


3. Mi rivolgo ora a voi, fedeli della diocesi di Montalto e di Ripatransone-San Benedetto del Tronto. Il vostro pellegrinaggio odierno si pone come momento forte per una fervorosa immersione nella corrente di rinnovamento spirituale, alla quale siete chiamati dalla sollecitudine del vostro pastore, monsignor Giuseppe Chiaretti, in quest'anno di misericordia, di grazia e di conversione.

Fratelli e sorelle carissimi, quest'aula posta accanto alla basilica che custodisce la tomba di san Pietro, raccoglie il vostro atto di fede in Cristo Gesù, nostro Signore e Salvatore, impegnandovi in una promessa di fedeltà. La fede deve infatti tradursi in fedeltà. Essa esige una professione, una logica di pensiero e di vita, una coerenza vissuta; comporta perciò una testimonianza, uno sforzo, un sacrificio, un "martirio", come tante generazioni cristiane, tanti eroi della fede ci hanno insegnato.

La fede ci obbliga alla fedeltà. Innanzitutto nei riguardi della verità religiosa che Cristo ha confidato agli apostoli e che la Chiesa, madre e maestra, ci trasmette. Essa richiede l'adesione salda e autentica alla verità rivelata dal Signore e garantita dal magistero ecclesiastico, ma è un'adesione che riempie la mente di luce e la volontà di forza. Aiuta a pensare, aiuta ad agire. Un principio fecondo in due sensi; primo, nella capacità di conoscere, di pregare, di arrivare all'esperienza spirituale della verità; secondo, nella capacità di operare a partire dalla fede, che ci traccia la via della vita e ci infonde le forze per camminare su questa strada.

Accogliete questo invito a una testimonianza coerente come ricordo di questo vostro Giubileo romano.


4. Il mio pensiero va, infine, alla qualificata rappresentanza laziale dell'Unitalsi, accompagnata dal cardinale vicario e dai monsignori Filippo Pocci, Luigi Boccadoro, Marco Caliaro, Girolamo Grillo, Luigi Liverzani ed Enrico Compagnone. E' con affetto che vi parlo, perché, proprio in ragione della vostra opera tra i sofferenti, partecipate in modo particolare alla natura penitenziale dell'Anno Santo. E l'ideale ripetutamente proposto dal rinnovamento interiore per voi significa una più prossima adesione al Signore Gesù.

Vi sia di conforto sapere che vi sono vicino, ben conoscendo quanto siano preziosi, nell'economia della salvezza, il sostegno nella sofferenza e l'offerta che di essa contribuite a fare quotidianamente a Dio, per adempiere quello che manca alla passione di Cristo.

E mentre per tutti voi, cari fratelli e sorelle oggi qui presenti, chiedo il dono di una pace, di una serenità, di una letizia che non tramonti mai dal vostro orizzonte, di cuore vi imparto la mia particolare confortatrice benedizione apostolica.


5. Aggiungo un cordiale saluto anche agli altri pellegrini che si sono uniti a questo incontro. In modo particolare saluto: il pellegrinaggio della parrocchia di San Giuseppe artigiano in Prativero di Trivero; il pellegrinaggio della parrocchia di San Donnino martire in Montecchio Emilia, in occasione del V centenario del santuario della Beata Vergine dell'Olmo; il pellegrinaggio della parrocchia di Santa Teresa di Gesù Bambino in Scandiano; il pellegrinaggio della parrocchia di San Giovanni Battista in Oderzo.

A tutti imparto di cuore la mia benedizione.

Data: 1984-03-10 Data estesa: Sabato 10 Marzo 1984




Commemorazione dell'abate Mendel - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Gregorio Mendel armonizzo scienza e sapienza

Testo:


1. E' con intima gioia e con vivo senso di riconoscenza che mi unisco al triplice omaggio reso all'abate Gregorio Mendel dall'Ordine agostiniano, a cui appartenne, dal Pontificio Consiglio per la cultura e dall'Istituto Gregorio Mendel di Roma.

Egli fu, in effetti, contemporaneamente uomo di fede, uomo di cultura e uomo di scienza. Sono grato agli organizzatori di questa celebrazione del centenario della sua morte di avermi offerto l'occasione di sottolineare solennemente questa realtà.

Uomo di fede Gregorio Mendel fu, a partire dalla nascita in una famiglia della Moravia profondamente cattolica. Dalla famiglia alla parrocchia, dalla scuola al convento, il suo cammino fu, per così dire, del tutto naturale.

Prima di divenire uomo di cultura e di scienza, Gregorio Mendel fu uomo di fede. E tale egli resto, sapendo strettamente unire, come già altri, ma in un modo ben superiore, la vita cristiana e monastica alle sue ricerche scientifiche, e sempre mantenendo il genio della sua intelligenza eccezionale ugualmente rivolto verso il suo Creatore per lodarlo e adorarlo, e verso la creazione, per scoprire le leggi in essa nascoste dalla provvida sapienza di Dio.

Non è forse proprio della cultura saper congiungere armoniosamente i modi di vivere con le ragioni di vivere, saper incarnare queste in quelli, in una sintesi profondamente creativa, in cui il compito da assolvere si nutre di un'eredità ricevuta e di un ideale condiviso? così Gregorio Mendel fu un uomo di cultura cristiana e cattolica, nell'esistenza del quale la preghiera e la lode agostiniana sostenevano la ricerca del paziente osservatore e la riflessione dello scienziato geniale.


2. Uomo di fede e di cultura, Gregorio Mendel fu pure uomo di scienza, e noi senza dubbio non celebreremmo né l'uno né l'altro, se a ciò non ci inducesse la rinomanza che i suoi lavori e le sue scoperte scientifiche diedero alla sua vita austera di sacerdote e di abate agostiniano. L'umile ma geniale studioso degli incroci del "pisum sativum" è divenuto il padre della genetica moderna, le cui leggi dell'ereditarietà sono oggi anche insegnate agli studenti, a cominciare dal liceo. Non è certo il superiore del convento degli Agostiniani di Brno a meritare il rimprovero di Agostino, il quale lamentava che molti "sono più portati ad ammirare i fatti che a cercarne le cause" ("Epist. 120", 5). Egli seppe fare l'una cosa e l'altra.

Sull'esempio del suo maestro, sant'Agostino, seguendo la propria vocazione personale, Gregorio Mendel, nell'osservazione della natura e nella contemplazione del suo Autore, seppe in un medesimo slancio congiungere la ricerca della verità con la certezza di conoscerla già nel Verbo creatore, luce seminata in ogni uomo e rifulgente nell'intimo delle leggi della natura, che lo studioso pazientemente decifra.

Ben lungi dall'opporsi alla fede, la vera scienza si allea con essa in una simbiosi feconda, nella quale la conoscenza e l'amore vanno congiunti. Lo annotava sant'Agostino in un passo sul quale l'abate del monastero di Brno si sarà probabilmente soffermato più di una volta a meditare: "La bellezza della terra è come una voce muta che si leva dalla terra. Tu l'osservi, vedi la sua bellezza, la sua fecondità, le sue risorse; vedi come si riproduca un seme facendo germogliare il più delle volte una cosa diversa da quella che era stata seminata. Osservi tutto questo e con la tua riflessione quasi ti metti ad interrogarla... Pieno di stupore continui la ricerca e scrutando a fondo scopri una grande potenza, una grande bellezza e uno stupefacente vigore. Non potendo avere in sé né da sé questo vigore, subito ti vien da pensare che, se non se l'è potuto dare da sé, gliel'ha dato lui, il Creatore. In tal modo ciò che hai scoperto nella creatura è la voce della sua confessione che ti porta a lodare Dio" ("Enarr. in Ps 144", 13).


3. Gregorio Mendel fu un ricercatore di primo piano. Il suo grande merito, sotto questo aspetto, è quello di aver iniziato una nuova linea di indagine, che ha aperto la via alle conoscenze e alle conquiste più sorprendenti nel campo della biologia.

Attento osservatore, era stato colpito dalla regolarità con cui specifici caratteri, relativi a fiori o semi di diverse varietà di piante, venivano trasmessi attraverso successive generazioni. Di questa regolarità voleva trovare - come egli stesso afferma nel suo lavoro originale - la "legge generale".

Egli era cosciente della serietà del compito. Nelle stesse pagine, tra le osservazioni introduttive, scriveva: "Che non si sia riusciti fino ad ora a formulare una legge generale non può far meraviglia a chi è a conoscenza della vastità del compito ed è in condizione di apprezzare le difficoltà che si incontrano in questo tipo di esperimenti. Una decisione finale potrà essere raggiunta soltanto quando si possederanno i risultati di esperimenti particolareggiati eseguiti su piante appartenenti a ordini diversi... Si richiede in realtà non poco coraggio a intraprendere una fatica di così grande portata.

Questa appare tuttavia la sola strada giusta con cui si potrà finalmente raggiungere la soluzione di una questione che, in vista della storia dell'evoluzione delle forme organiche, non è di piccola importanza" (G. Mendel: "Versuche über Plantzen-Hybriden. Testo originale ripubblicato in J Krizenecky: "Fundamenta Genetica", Prague 1965, in occasione della celebrazione del centenario della pubblicazione).

I suoi esperimenti si protrassero per ben otto anni (1856- 1863) secondo un piano rigorosamente preparato e attuato, e costantemente ampliato a mano a mano che provenivano, dall'esame dei dati raccolti, stimoli a nuovi esperimenti. Fu un lavoro immane che il Fisher - il cui rigore critico è ben noto ad ogni studioso di genetica - definisce come "uno dei più grandi progressi sperimentali nella storia della biologia raggiunto attraverso ricerche sperimentali conclusive nei loro risultati, ineccepibilmente lucide nella presentazione e vitali per la comprensione non di un solo problema di interesse corrente, ma di molti" ("Introductory notes on Mendel's paper", in J.H. Bennet, "Experiments in plant hybridization. Mendel's original paper in Englis translation with commentary and assessment by late Sir Ronald A. Fisher", Oliver and Bryd 1965, pp. 1-16).

Grazie a questo lavoro, accompagnato da un'acuta analisi poggiata sui più semplici assiomi del calcolo combinatorio di cui si stavano ponendo le basi matematiche proprio in quel periodo, l'abate Mendel, oltre che alle leggi che da lui prendono nome, arrivo alla sua scoperta essenziale: l'esistenza cioè di "unità ereditarie" vettrici dei caratteri, le quali "segregano" nei gameti e si combinano e ricombinano secondo leggi ben determinate nelle successive generazioni.


4. Con Gregorio Mendel, il ramo della scienza indicato oggi come "genetica" aveva così iniziato il suo sviluppo. Da allora ad oggi, delle "unità ereditarie", dette "geni" circa vent'anni dopo la sua morte, si dimostro la reale esistenza, si determino la localizzazione in particolari strutture cellulari, si defini la natura, si analizzo la struttura, si comprese la funzione. Oggi si riesce a costruirle in laboratorio.

Queste unità biologiche, la cui esistenza fu scoperta da Gregorio Mendel, sono ora nelle mani stesse dell'uomo il quale, attraverso un rigoroso metodo scientifico, è riuscito a raggiungerne la piena conoscenza. Avrà l'uomo la capacità di utilizzare le meravigliose conquiste di questo ramo della scienza, iniziato nell'orticello di Brno, a esclusivo servizio dell'uomo? Gregorio Mendel aveva intravisto qualche cosa del futuro quando, nel presentare i suoi risultati, sottolineava che essi davano "la soluzione di una questione che, in vista della storia dell'evoluzione delle forme organiche, non è di piccola importanza". L'uomo incomincia oggi ad avere nelle mani il potere di controllare la propria evoluzione. La misura e gli effetti, buoni o no, di questo controllo dipenderanno non tanto dalla sua scienza quanto piuttosto dalla sua sapienza. Scienza e sapienza che sono in modo quasi emblematico armonizzate in Gregorio Mendel.

Nell'esprimere l'augurio che i ricercatori di oggi e di domani, sull'esempio del grande naturalista che noi oggi solennemente commemoriamo, non abbiano mai a disgiungere la scienza che indaga i segreti della natura dalla sapienza che orienta il cammino dell'uomo sulla terra, imparto di cuore a voi qui presenti e a quanti nella ricerca spendono le loro migliori energie la mia apostolica benedizione.

Data: 1984-03-10 Data estesa: Sabato 10 Marzo 1984




A genovesi e ex allievi di don Orione - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Perdono e riconciliazione, valori operanti nella vita

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle di Genova!


1. Siate benvenuti: vi apro il cuore col più cordiale saluto! Vi ringrazio per questa vostra dimostrazione di fede cristiana, e per questo attestato di comunione ecclesiale che voi oggi avete voluto dare al Papa, in occasione della celebrazione del vostro Giubileo, qui a Roma, sulle venerate tombe degli apostoli e dei martiri, e nella circostanza della solenne canonizzazione della beata Paola Frassinetti, illustre figlia della vostra nobile terra.

Rivolgo uno speciale pensiero al vostro pastore, il cardinale Giuseppe Siri, che ringrazio per aver organizzato e guidato questo pellegrinaggio, sia per le cortesi parole, con le quali ha voluto introdurre questo familiare incontro.

Porgo poi il mio saluto a tutti i cari sacerdoti, i religiosi, le religiose, e a tutto il laicato cattolico genovese. Non voglio omettere di salutare con sentimenti egualmente deferenti le autorità e le personalità civili della città, le quali, con esemplare senso di spirituale solidarietà, hanno voluto associarsi a questo pellegrinaggio.


2. Siete venuti a Roma per acquistare l'indulgenza giubilare. E' questo un momento per voi quanto mai importante per una riflessione approfondita sulla vostra situazione spirituale; è un momento privilegiato per una verifica e, se occorre, una rettifica, del vostro cammino di fede e della vostra adesione a Cristo, Redentore di ogni uomo e di ogni donna; è un momento, specialmente, per interiorizzare e far scendere nella vita i grandi temi del perdono e della riconciliazione, che ispirano la spiritualità di questo Anno Santo, che volge ormai alla fine.

Col metro del perdono si misura tutta la realtà della morale evangelica.

Nell'Antico Testamento, il popolo eletto già conosceva questo dovere fondamentale: "Il rancore e l'odio sono un abominio. Perdona l'offesa del tuo prossimo e allora... ti saranno rimessi i peccati" (Sir 27,30-28,2), ma il Signore, nel Nuovo Testamento, giunge a identificare, in un certo senso, il rapporto tra Dio e l'uomo col rapporto tra l'uomo e l'uomo, cioè: se l'uomo perdona al proprio fratello, Dio perdona a lui; se invece egli si rifiuta di perdonare, anche Dio si rifiuterà di perdonare a lui. Nella parabola dei due debitori (cfr. Mt 18,23-35), Gesù insiste non solo sulla necessità del perdono, ma anche sulla qualità di esso: "così anche il Padre mio celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello". Superando la legge della mera giustizia, il Signore inaugura una nuova legge: quella dell'amore, che non solo sa donare, ma anche perdonare, e creare rapporti nuovi di solidarietà tra gli uomini. Nella suddetta parabola il servo spietato, che chiede il condono, ma non lo accorda poi al suo conservo, è il simbolo di chi non sa ridistribuire l'amore e il perdono che il Padre rinnova a lui ad ogni momento. La stessa cosa Gesù ci insegna a vivere, quando ci fa ripetere nel Pater: "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Mt 6,12).

Un'altra motivazione che Gesù ha dato alla legge del perdono è quella della misericordia: "Siate misericordiosi, perché il Padre vostro celeste è misericordioso" (Lc 6,36). Si può ben dire che la misericordia è l'anima del perdono. Essa infatti fa vedere nel fratello, specie quando offende senza motivo, più un infelice che non un cattivo; aiuta ad allargare il cuore e mette in grado di perdonare perfino gli avversari e i persecutori.

Gesù stesso, in questo, ha dato un mirabile esempio, quando sulla croce, compiendo un gesto di incomparabile misericordia, ha perdonato ai suoi crocifissori: "Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). Sta qui la ragione per la quale egli non richiede mai troppo, quando comanda di perdonare sempre e di cuore, senza lasciare nessun rancore nel fondo dell'animo: egli ha fatto infinitamente di più.


3. Ma per compiere in pienezza questo comandamento del Signore, occorre guardarsi bene da una certa mentalità intimistica, per cui uno crede che basti smettere di odiare nel cuore, senza fare alcun gesto esterno. Il perdono è perfetto quando si manifesta concretamente e porta alla riconciliazione. Questo è il coronamento evangelico del perdono, che fa guadagnare veramente il fratello, ristabilisce l'unità tra i figli di Dio ed edifica la comunità cristiana: "Se presenti la tua offerta sull'altare e li ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia li il tuo dono e va' prima a riconciliarti col tuo fratello" (Mt 5,23-24).

Alla vigilia della canonizzazione di Paola Frassinetti, questi pensieri sul senso del perdono cristiano trovano una concreta realizzazione nella vita della beata, la quale nonostante fosse stata fatta oggetto di calunnie, di insulti e di soprusi, non ebbe mai a difendersi; non passo mai alla controffensiva; non conservo mai nel proprio animo la benché minima ombra di risentimento. Tale fu la magnanimità del suo cuore, che ella non temette di rispondere al male col bene e col sorriso al disprezzo.

Carissimi fratelli e sorelle, vivete con tali disposizioni interiori questo ultimo periodo dell'Anno Santo: sono certo che ritroverete "la gioia di essere salvati" (Ps 50,14) e che sentirete con sempre maggiore consapevolezza che appartenere alla Chiesa significa appartenere al popolo dei "perdonati" e dei "perdonatori"; capirete sempre meglio che la grandezza di un animo si misura dalla grandezza del perdono.


4. Mi rivolgo ora agli ex allievi di don Orione! Carissimi, sono lieto di partecipare personalmente alla commemorazione del 50° anniversario di fondazione della vostra associazione! Infatti, nel maggio del 1934, don Orione, in procinto di lasciare l'Italia per il Sud-America, teneva a Tortona, nella casa madre, il primo convegno degli ex allievi. L'aveva preparato lui stesso, inviando centinaia di inviti ai giovani, che erano stati educati nelle sue case, e progettando già uno schema di statuto. Egli voleva con ciò formare una famiglia tra gli ex allievi, non abbandonare i giovani nelle lotte e nelle difficoltà della vita, mantenerli fedeli ai principi cristiani ricevuti mediante il legame dell'amicizia. Un mezzo secolo è passato da quella data, e la vostra associazione si è dilatata in numerosi Paesi del mondo.

Vi ringrazio di cuore per la vostra presenza e porgo il mio saluto al direttore generale don Ignazio Terzi, al presidente dottor Marco Antonelli, ai consiglieri della congregazione, ai sacerdoti incaricati del movimento e a voi tutti, cari ex allievi, e alle vostre famiglie.


5. Riandando col pensiero a quel primo convegno organizzato da don Orione, dobbiamo prima di tutto ringraziare il Signore per questi cinquant'anni di attività dell'associazione da lui voluta e fondata, che certamente tanto bene ha compiuto tra gli ex allievi dei vari istituti e nelle loro famiglie. Alcuni di voi hanno conosciuto don Orione personalmente; tutti avete potuto comprendere e respirare la sua spiritualità e i suoi ideali; e tutti avete potuto anche sperimentare la validità del vostro sodalizio. E questo è certamente un dono prezioso che la Provvidenza ha voluto farvi, e di cui dovete essere particolarmente riconoscenti. Avete avuto da don Orione la limpida lezione della sua fede cristiana, e cioè l'amore alla verità e quindi alla Chiesa e al Vicario di Cristo, e l'austerità di vita nella prospettiva dell'eternità e della carità: l'associazione, mediante i rapporti personali tra gli ex allievi, il bollettino mensile, gli incontri e i convegni annuali o periodici, vuole mantenervi fedeli a questo spirito, dandovi la forza di conservare il patrimonio spirituale ricevuto e il coraggio di testimoniarlo e comunicarlo. Siate dunque sempre fieri di appartenere agli amici di don Orione, e dovunque vi troviate fate onore alla formazione che avete avuto nel suo nome!


6. Dando ora uno sguardo al futuro, sento nel mio intimo di non potervi proporre altro programma che le stesse parole, da voi certo ben conosciute, che don Orione scriveva dall'America: "Cari ex allievi, che siete tanta parte della nostra vita e del nostro cuore! Siate amanti delle vostre famiglie; mantenetevi morali e buoni; vivete da veri cristiani; pregate; frequentate i sacramenti; santificate la festa; non arrossite del Vangelo, né della Chiesa. Abbiate il coraggio del bene e dell'educazione cattolica e italiana ricevuta; diffondete lo spirito della bontà; perdonate sempre; amate tutti; siate umili, laboriosi, franchi e leali in tutto; di fede, di virtù, di onestà ha estremo bisogno il mondo". Sono parole di una semplicità e di una profondità stupende, che non esigono commento; fedeltà al messaggio di Cristo e impegno nella carità! Ed è il messaggio che vi ha per sempre lasciato come incoraggiamento a vivere cristianamente nella società, e a testimoniare la salvezza portata da Cristo anche agli uomini d'oggi, frastornati e delusi, e tuttavia in ansiosa ricerca dell'autentica verità.

Nell'esortarvi a un sincero impegno nell'educazione cristiana delle vostre famiglie, affinché proprio da esse possano sorgere numerose vocazioni sacerdotali e religiose, vi imparto la mia benedizione, che di cuore estendo a tutta la grande famiglia degli amici di don Orione.

Data: 1984-03-10 Data estesa: Sabato 10 Marzo 1984





GPII 1984 Insegnamenti - A studiosi giuristi - Città del Vaticano (Roma)