GPII 1984 Insegnamenti - Alla comunità evangelico-luterana nella Christuskirche - Roma

Alla comunità evangelico-luterana nella Christuskirche - Roma

Titolo: Lavorare per l'unione senza scoraggiarsi per le difficoltà

Testo:

Stimati fratelli e sorelle in Cristo.

"Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre" (He 13,8); così sta scritto sotto la figura del Pantocratore nell'abside di questa Chiesa di Cristo.

Con queste parole saluto la comunità evangelico-luterana di Roma e tutti i presenti. Ringrazio i rappresentanti della comunità per il fraterno invito a questa visita. Nel nome di Gesù Cristo e sotto la sua Parola siamo qui riuniti per professare, lodare e glorificare nell'unità dei nostri cuori e con una sola voce il nostro comune Redentore e Kyrios. Il Verbo eterno di Dio si è fatto carne e ha piantato la sua tenda tra di noi (cfr. Jn 1,14).

In questa ora memorabile della terza domenica d'Avvento, vorrei testimoniare con voi questo nostro Signore e Redentore unico che è qui ieri, oggi e in eterno. Ci ricordiamo con gratitudine della nostra comune origine, del dono della nostra redenzione e della comune meta del nostro itinerario di pellegrini.

Siamo tutti sotto la grazia del nostro Signore Gesù Cristo. Egli è il centro e il cardine, in cui tutta l'esistenza, il senso e la salvezza di questo mondo e della nostra vita sono racchiusi.

In questo tempo di salvezza dell'Avvento le nostre orecchie e i nostri cuori sono tesi: odono e percepiscono la lieta novella di colui che è già venuto e che ritornerà definitivamente. Noi sperimentiamo spesso nella nostra vita quotidiana l'angustiante verità di questo periodo transitorio. Non ci ricordiamo forse continuamente della situazione di Giovanni Battista? Egli si trovava, come ce lo dice il Vangelo, in una situazione decisiva. Doveva risolvere la contraddizione tra l'immagine che si era fatta del Messia e la sua situazione personale, determinata dalla prigionia e dalla minaccia di morte. La domanda di Giovanni era quindi seria, e nasceva da una condizione di emergenza: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?" (Mt 11,3).

Gesù viene incontro all angoscioso interrogativo del suo precursore e porta la sua fede a certezza: il tempo della salvezza, il Regno di Dio è venuto.

Il Messia è qui. Senza dubbio i segni e i prodigi non hanno un carattere cogente.

Ma chi sa comprendere i segni come indicazione del compimento delle profezie veterotestamentarie nel momento attuale, può rallegrarsi di essere cittadino del Regno escatologico di Dio.

Gesù si fa conoscere al precursore che annuncia il suo arrivo. "Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista", attesta il Signore. "Tuttavia il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di lui". Gesù intende con questo l'uomo povero e bisognoso sotto ogni aspetto, che crede alla salvezza in Gesù Cristo. Questi può aprire il cuore e la bocca per unirsi al canto di lode di Maria: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore" (Lc 1,46-47).

Stimati fratelli e sorelle in Cristo. Il dono di questo incontro mi commuove nel profondo del mio cuore. Ho desiderato che questo incontro avvenisse proprio nell'Avvento. E' un'occasione straordinaria per volgere insieme gli occhi al Signore e attendere il Dio della nostra redenzione.

Siamo alla soglia dell'anno 2000. "Ci troviamo, sotto un certo aspetto, nel periodo di un nuovo Avvento, in un periodo di attesa" (RH 1). Per questo mi sono recato, per così dire, dai nostri vicini, dai cittadini di questa città "che sono uniti da una speciale affinità" (Vaticano II, Decreto sull'ecumenismo). Sono venuto qui per commemorare insieme a voi, nella preghiera e nella meditazione, il mistero di fede dell'Avvento che ci è comune, la sua profonda e molteplice ricchezza. Sono venuto perché lo Spirito di Dio ci ha indirizzati in questi giorni, attraverso il dialogo ecumenico, alla ricerca della completa unità dei cristiani. Noi conosciamo la difficile storia di questa comunità evangelico-luterana a Roma, i suoi faticosi inizi e le luci e ombre del suo sviluppo nell'ambito di questa città. Ci si pone tanto più urgentemente la domanda: "Possiamo noi, nonostante tutta la debolezza umana - nonostante le insufficienze dei secoli passati - non aver fiducia nella grazia del Signore, che si è manifestata negli ultimi tempi attraverso la parola dello Spirito Santo che abbiamo percepito durante il Concilio?" (Decreto sull'ecumenismo, 6).

Ci vediamo dunque profondamente uniti nella solidarietà di tutti i cristiani dell'Avvento, in mezzo a tutte le divisioni chiaramente persistenti nell'insegnamento e nella vita. Desideriamo ardentemente l'unità, e ci sforziamo di conseguire questa unità senza lasciarci scoraggiare dalle difficoltà che possono frapporsi lungo la strada (cfr. Decreto sull'ecumenismo, 6). Infine ci sembra di veder sorgere da lontano come un'aurora, in questo 500° anniversario della nascita di Martino Lutero, l'avvento di una restaurazione della nostra unità e della nostra comunità. Questa unità è frutto del rinnovamento, della conversione e della penitenza quotidiani di tutti i cristiani, alla luce della parola eterna di Dio. E' anche la miglior preparazione per l'avvento di Dio nel nostro mondo.

Seguiamo la grande figura del tempo d'Avvento, seguiamo il modello di Giovanni il Battista, la voce dell'annunciatore nel deserto: "Preparate la via del Signore" (Jn 1,23). Seguiamo l'invito alla riconciliazione con Dio e tra di noi.

Cristo, il Signore, è non solo sopra ma anche in mezzo a noi ed è il Kyrios, colui che era, che è e che sarà in eterno.

Auguro di cuore a voi e alle vostre famiglie sin da ora una festa di Natale benedetta.

Data: 1983-12-11 Data estesa: Domenica 11 Dicembre 1983





Alla Corte europea - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il rispetto dei diritti umani è la vera democrazia sociale

Testo:

Cari signori.

Avete manifestato il desiderio di questo incontro: vi ringrazio e apprezzo molto il significato del vostro passo. Sapete infatti l'importanza che la Santa Sede attribuisce all'amministrazione della giustizia e al rispetto dei diritti e delle libertà di ogni persona umana. Chi potrebbe dimenticare che la coscienza della dignità umana e dei diritti corrispondenti - anche se non si usava questa parola - è nata in Europa sotto il decisivo influsso del cristianesimo?

1. Siete venuti a Roma per celebrare un trentesimo anniversario. Sono infatti passati trent'anni, il 3 settembre 1983, da quando è entrata in vigore la "Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali", firmata a Roma il 4 novembre 1950, e il prossimo mese di marzo ricorderà l'entrata in vigore del primo protocollo aggiuntivo.

Una tale iniziativa ha segnato, per una parte dell'Europa, una tappa importante, originale. Certamente, oggi fortunatamente è normale invocare i diritti dell'uomo, e la Dichiarazione universale, proclamata dall'assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1948, ne ha dato una descrizione importante, come un appello alla coscienza dei popoli; essa ha del resto ispirato i membri del Consiglio dell'Europa che hanno elaborato la loro Convenzione due anni più tardi. Ma rimaneva da organizzare efficacemente la salvaguardia di questi diritti, istituendo una vera e propria giurisdizione destinata a sanzionare l'offesa ai diritti definiti dalla Convenzione; altrimenti questi rischierebbero di restare lettera morta. E' questo il ruolo della Commissione e della Corte europee che voi rappresentate, e il cui funzionamento è stato determinato con molta precisione. Da allora, i Commissari si sono visti arrivare una quantità di richieste, anche se molte non erano accettabili, affinché fossero esaminati pregiudizi sentiti come tali e tentato un regolamento amichevole (art. 28), e i giudici, a loro volta, hanno conosciuto un certo numero di queste cause.

Questo costituisce una seria garanzia e soprattutto la speranza che rappresenta sempre la possibilità di un ricorso. Quando si pensa a tanti Paesi, nei diversi Continenti, che hanno voluto firmare la Dichiarazione universale, che la invocano volentieri per gli altri, ma che al loro interno non si curano dei diritti più elementari dell'uomo previsti dalla Dichiarazione, si deve ammettere che il Consiglio d'Europa ha dato l'avvio a un processo molto importante che, debitamente applicato, dovrebbe produrre altre iniziative efficaci nel mondo.


2. Quanto a voi, Presidenti e membri della Corte e della Commissione europee, che dovete applicare le misure della Convenzione e dei suoi cinque protocolli, avete una nobile missione, esigente, delicata, che richiede una grande competenza e una totale indipendenza, come tutte quelle della Magistratura, e soprattutto a questo livello, cioè al di sopra delle giurisdizioni nazionali. E' importante che entri in gioco anche in questo campo il principio della sussidiarietà, e, di fatto, il vostro intervento non è previsto che dopo "l'impiego delle vie di ricorso interne" (art. 26). Questi casi esistono, e le vostre istituzioni rappresentano una più grande garanzia di giustizia per le persone che si considerano lese, senza alcuna distinzione di origine (art. 14), per gruppi particolari o per le associazioni non governative (art. 25). La profonda equità, la saggezza, la prudenza e la libertà con le quali siete chiamati a rendere così giustizia, secondo la vostra coscienza, sono certamente un altissimo servizio, che voi rendete, una bella testimonianza che voi offrite, vi meritano stima e considerazione. Da parte mia vi esprimo i miei incoraggiamenti e prego Dio di assistervi.


3. Non posso fare a meno di dire una parola riguardo alla Convenzione stessa e ai Protocolli che avete l'incarico di applicare. I testi hanno di mira la difesa delle libertà e dei diritti essenziali, soprattutto sul piano civico. Si può certamente pensare che la loro lista potrebbe essere completata, in particolare con i diritti economici e sociali; o che la loro espressione potrebbe essere sviluppata, precisata. Spetta agli esperti e ai Comitati "ad hoc" del Consiglio d'Europa di perfezionare l'opera iniziata e di proporre questi emendamenti all'adesione delle parti contraenti. I testi riflettono infatti un determinato livello di coscienza, rispetto all'epoca in cui sono stati elaborati; questa coscienza può progredire o purtroppo, regredire. E' importante che la formulazione positiva del diritto corrisponda il meglio possibile ai valori fondamentali dell'uomo, e voi siete in qualche maniera i custodi di questi valori, attraverso i testi di cui voi disponete.

Già la Chiesa riconosce nella Convenzione attuale degli elementi fondamentali della dignità umana da salvaguardare. Penso al diritto alla vita, espresso dall'articolo 2, che riguarda ogni persona umana, inalienabile, e che chiede dunque di essere protetto dalla legge, dopo l'inizio della vita umana, dal concepimento, fino alla morte. Non si può che apprezzare anche la difesa della persona affinché essa non venga sottoposta alla tortura, a trattamenti inumani (art. 3). Penso ancora alle differenti esigenze della libertà, a degne condizioni di arresto o di detenzione (art. 5), di giudizio (art. 6), al rispetto della vita privata e familiare (art. 8), alla possibilità di riunione, di associazione, di espressione (art. 10 e 11). La Chiesa è particolarmente attenta al riconoscimento della libertà religiosa, della possibilità di manifestare la propria fede, in pubblico e in privato (art. 9), al diritto di fondare una famiglia (art. 12) e al diritto dei genitori di assicurare l'educazione e l'insegnamento conformemente alle loro convinzioni religiose e filosofiche (art. 2 del primo protocollo aggiuntivo). A questo proposito, voi sapete che la Santa Sede ha reso pubblica una carta dei diritti della famiglia, che si fonda su una concezione chiara, coerente, di ciò che è la famiglia, e offre questo contributo ai governi, alle organizzazioni internazionali, alle famiglie e a tutti coloro che operano per la salvezza della famiglia in crisi e per promuoverla a partire da basi oggettive e ben radicate nell'esperienza umana.

Insomma, la Chiesa augura ardentemente che siano presi sul serio e positivamente promossi i diritti fondamentali delle persone, delle famiglie, dei corpi intermedi, e si rallegra, non solo di vedere questi diritti riaffermati dalle istanze internazionali, ma di vederli garantiti e sanzionati in maniera efficace, come contribuiscono a farlo le vostre istituzioni giudiziarie europee.

E' un segno di regimi veramente democratici. E' la condizione della giustizia e della pace alle quali noi tutti aspiriamo. Dio ci faccia progredire su queste strade, in Europa e altrove, e benedica le vostre persone e le vostre famiglie.

Data: 1983-12-12 Data estesa: Lunedi 12 Dicembre 1983




Ad un pellegrinaggio dalla Sicilia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Bisogna saper sconfiggere la violenza con l'amore

Testo:

Signor Cardinale, venerati fratelli nell'Episcopato, carissimi siciliani!


1. La vostra presenza mi riporta immediatamente alle splendide ed indimenticabili giornate del 20 e del 21 novembre dello scorso anno 1982, durante le quali ho personalmente sperimentato non solo il vostro esultante affetto, ma, ancor più, l'ardente fede e la profonda adesione a Cristo e alla Chiesa, caratteristiche costanti ed esemplari degli abitanti dell'Isola del sole! In quei due giorni ho avuto la gioia di incontrarmi con il venerato Arcivescovo di Palermo, il Cardinale Salvatore Pappalardo, al quale rinnovo in questa circostanza la mia stima per la sua instancabile, intrepida ed evangelica azione pastorale; con i vostri Pastori e con le varie componenti delle sante Chiese particolari di Sicilia.

Il mio è stato allora un pellegrinaggio pastorale nel cuore stesso della vostra terra, così carica di antichissima storia, ricca di molteplici valori umani e cristiani, ma anche lacerata e mortificata da contraddizioni di ordine economico e sociale.

La mia presenza - in particolare nella Valle del Belice - voleva essere un richiamo ai responsabili e a tutte le persone di buona volontà perché si adoperassero per affrettare i tempi della ripresa; voleva essere un invito a tutti i siciliani perché si impegnassero personalmente e responsabilmente per la promozione del bene comune, per il continuo ed effettivo rispetto della persona umana, per la vigile e amorevole attenzione alle necessità dei più piccoli, degli emarginati, degli "ultimi"; ma voleva essere anche una testimonianza di solidarietà e di incoraggiamento, nella comune riflessione di quello che la Sicilia è in se stessa, di quello che essa ha donato agli altri durante la sua lunga, plurisecolare vicenda storica, di quello che essa potrà offrire ancora di bene, di bello, di santo nella prospettiva del suo futuro. Venendo in mezzo a voi ho ricordato - e lo voglio ricordare oggi in questo nostro incontro - il vostro profondo senso religioso, che in modo speciale ha orientato e ispirato per secoli la vita familiare; la vostra innata capacità di donazione e di apertura verso gli altri, in particolare i sofferenti, i bisognosi; l'esemplare rispetto per la vita; il senso del dovere, dell'onore, dell'amicizia. Sono valori umani, che il cristianesimo -diffusosi fin dai primi tempi nella vostra isola - ha maturato, approfondito, integrato, elevato.

Voi oggi avete voluto restituirmi quella mia visita, per manifestarmi in tal modo la vostra gratitudine. Desidero dirvi il mio compiacimento per questo gesto così delicato, ma, ancor più, per il fatto che in tutto quest'anno, non solo nella Valle del Belice e nell'arcidiocesi di Palermo, ma anche nelle varie diocesi, le parole, che ho rivolto in quel viaggio ai vari gruppi di fedeli, sono state diffuse mediante gli strumenti della comunicazione sociale, lette, meditate e studiate, non solo dai singoli ma anche da gruppi di fedeli. Vi ringrazio per la vostra adesione al Magistero del successore di Pietro.


2. In questo pellegrinaggio voi intendete anche esprimere al Papa la vostra letizia per la recente elevazione agli onori degli altari di un figlio della vostra nobile e generosa terra: il nuovo beato Giacomo Cusmano, un autentico gigante della carità cristiana. Nato a Palermo nel 1834, laureatosi in medicina, e maturata la propria vocazione al sacerdozio, fu ordinato nel 1860. Si dimostro veramente un sacerdote "per i poveri". E' nota la sua instancabile dedizione nell'assistere gli infermi, i bisognosi, i colerosi, i moribondi; esperienza che lo condusse a dare inizio all'Associazione del "Boccone del povero", dalla quale sorsero le suore Serve dei poveri e i missionari Servi dei poveri. "Padre dei poveri" chiamavano il Cusmano i palermitani; ma il beato amava definirsi il "servo dei poveri", nei quali, alla luce della fede, intravedeva il volto sofferente del Cristo.

Il beato Cusmano, che mori santamente nel 1888, assume oggi specialmente per la Sicilia un ruolo e un significato profetico. Egli insegna e proclama con tutta la sua vita, consumata nella donazione agli altri e nel totale disinteresse per sé, su quali basi si possa costruire il futuro della vostra regione. Di fronte alle gravi difficoltà, legate spesso a un contesto sociale che si trascina da secoli, ognuno può e deve impegnarsi "a mantenere una coscienza onesta, giusta, delicata, responsabile. Ognuno al suo posto si faccia promotore di giustizia, di fraternità, di generoso altruismo": queste parole - che a Palermo ho rivolto alle Confraternite e ai Gruppi ecclesiali - ripeto oggi a voi con la stessa forza e con la stessa convinzione. La vostra Sicilia vuole, e ha il diritto di vivere, una vita concorde, serena, onesta! Certi fatti di barbara violenza, che provocano dolore, stupore e sgomento, offendono la dignità umana. Contro di essi occorre un'autentica mobilitazione delle coscienze di tutti. Come dicevo nel mio incontro con la folla dei giovani siciliani, occorre assumere "l'amore a fronte dell'odio e della violenza"!


3. Ma c'è soprattutto un altro motivo, che vi ha portati in pellegrinaggio a Roma: il Giubileo della Redenzione. Voi indubbiamente avete già acquistato l'indulgenza dell'Anno Santo Straordinario nelle vostre diocesi; ma avete voluto rendere anche una testimonianza pubblica e comunitaria venendo "ad limina Apostolorum", per venerare le tombe degli Apostoli e dei Martiri e per dare un'ulteriore prova del vostro vincolo di amore e di fede, che vi unisce al Capo visibile della Chiesa, il Romano Pontefice.

Auguro a tutti voi qui presenti, come pure a tutti i siciliani residenti nell'isola o sparsi per il mondo, che questo sia un Anno veramente Santo, cioè un tempo privilegiato di grazia e di salvezza; un tempo in cui ognuno realizzi il rinnovamento in Cristo, la riconciliazione con Dio e quel mutamento di spirito, di mente e di vita che nella Bibbia è chiamato "metànoia", conversione. Tale atteggiamento - ho detto nella Bolla di indizione del Giubileo - "è suscitato e alimentato dalla Parola di Dio, che è rivelazione della misericordia del Signore, si attua soprattutto per via sacramentale e si manifesta in molteplici forme di carità e di servizio ai fratelli" (Aperite portas Redemptori, 5).

Ritornando nella vostra isola, portate ai vostri cari, ai vostri bambini, ai vostri amici questo messaggio di fede e di speranza! Affido voi e tutti i siciliani alla celeste protezione dei vostri santi e delle vostre sante, in particolare della Vergine santissima, la "Bella Madre", verso la quale nutrite esemplarmente un'intensa e tenera devozione. E concludo rivolgendovi le stesse parole, con cui mi accomiatavo, in Piazza Politeama di Palermo, dalla immensa folla dei giovani, prima del mio ritorno a Roma la sera del 21 novembre 1982: "Coraggio! Benedico in voi il futuro della vostra vita e della vostra terra di Sicilia! Carissimi, voglio dirvi altre tre parole: grazie; arrivederci; sia lodato Gesù Cristo!".

Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1983-12-12 Data estesa: Lunedi 12 Dicembre 1983




Udienza generale dell'Anno Santo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Redenzione si identifica nella liberazione dell'uomo

Testo:

Deus in adiutorium meum intende...: "O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto".


1. Il tempo di Avvento, che stiamo vivendo, fa salire spontanea alle nostre labbra questa invocazione di salvezza, nella quale rivive l'implorante attesa che attraversa tutto l'Antico Testamento e continua nel Nuovo. Perché noi siamo stati salvati nella speranza, dice san Paolo (cfr. Rm 8,24), e "aspettiamo dalla fede, per virtù dello Spirito, la giustificazione che speriamo" (Ga 5,5). Anche le parole conclusive dell'intera Sacra Scrittura, che abbiamo ascoltato poc'anzi, sono un grido di invocazione per la venuta e la manifestazione del Signore Gesù Salvatore: "Vieni Signore Gesù!" (Ap 22,20).

La salvezza! E' la grande aspirazione dell'uomo. La Sacra Scrittura ne dà testimonianza ad ogni pagina e invita a scoprire dov'è la salvezza vera per l'uomo, chi è il suo liberatore e redentore.


2. La prima e fondamentale esperienza di salvezza il popolo di Dio l'ebbe nella liberazione dalla schiavitù dell'Egitto. La Bibbia la chiama redenzione, riscatto, liberazione, salvezza. "Io sono il Signore! Vi sottrarro ai gravami degli Egiziani, vi liberero dalla loro schiavitù e vi redimero con braccio teso... Io vi prendero come mio popolo e diventero il vostro Dio" (Ex 6,6-7).

Fu questa la prima forma di redenzione-salvezza sperimentata collettivamente dal popolo di Dio nella storia. E la memoria di questa salvezza sarà il tratto distintivo della fede d'Israele. Per questo Israele l'ha sempre veduta come la garanzia di tutte le promesse di salvezza fatte da Dio al suo popolo, e la prima comunità cristiana l'ha subito messa in rapporto con la persona e l'opera di Cristo. Sarà lui il grande liberatore, il novello Mosè che guida dalla servitù alla libertà dei figli di Dio, dalla morte alla vita, dal peccato alla riconciliazione e alla pienezza della misericordia divina.

Il secondo grande evento di salvezza nella Bibbia è la liberazione dei deportati a Babilonia: i due eventi, della liberazione dall'Egitto e da Babilonia, vengono dai profeti intrecciati, e l'uno è messo in connessione con l'altro. Si tratta di una seconda redenzione o meglio di una continuazione e di un compimento della prima, e l'autore è di nuovo Dio, il Santo d'Israele, il liberatore e Redentore del suo popolo. "Ecco, verranno giorni, dichiara Geremia, nei quali io realizzero le promesse di bene che ho fatto alla casa d'Israele e alla casa di Giuda" (Jr 33,14).

L'appellativo di Salvatore e Redentore dato a Dio è dominante nella teologia dei profeti, per i quali l'esperienza della redenzione già ottenuta diventa pegno e garanzia sicura della salvezza futura, che ancora si attende. Per questo tutte le volte che Israele si trova in momenti critici invoca Dio per sperimentarne l'intervento liberatore. Egli sa che fuori di Dio non c'è Salvatore (Is 43,1 Is 1 Is 47,15 Jr 4,4 Os 13,4); per questo ama invocarlo con la grande preghiera davidica: "Ti amo, Signore, mia forza, / Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; / mio Dio, mia rupe in cui trovo riparo; / mio scudo e baluardo, / mia potente salvezza" (Ps 17,2-3).


3. Nella predicazione profetica l'annuncio-promessa della salvezza e della redenzione vengono a coincidere sempre più chiaramente con una persona: questi sarà il nuovo Davide, il pastore buono del suo popolo. Ecco come ne parla Geremia: "Ecco verranno giorni, dice il Signore, nei quali suscitero a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele starà sicuro nella sua dimora: questo sarà il nome con cui lo chiameranno: Signore-nostra-giustizia" (Jr 23,5-6). Viene anche prendendo corpo progressivamente l'idea che la redenzione sarà anzitutto un fatto spirituale. Essa toccherà il popolo nel suo intimo, lo purificherà, lo trasformerà nella mente e nel cuore. Vi aspergero con acqua pura e sarete purificati; io vi purifichero da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi daro un cuore nuovo, mettero dentro di voi uno spirito nuovo..." (Ez 36,25-26).

La grande speranza messianica viene così espressa in termini di redenzione, di giustizia, di dono dello Spirito, di purificazione dei cuori, di liberazione dai peccati individuali e sociali.


4. Nel corso dei secoli, sotto la guida di Dio, l'attesa del popolo è venuta dunque precisandosi nella speranza di una liberazione definitiva, capace di attingere le radici profonde dell'essere umano e di introdurlo a una vita nuova fatta di "giustizia e pace nello Spirito Santo" (Rm 14,17). Nei Salmi, e in tutta la preghiera del popolo di Dio, l'invocazione di questa salvezza diventa esperienza quotidiana. La salvezza viene da Dio; inutile e nocivo nutrire una fiducia presuntuosa nelle forze umane; il Signore stesso è la salvezza; lui libererà il suo popolo da tutti i suoi peccati. Un Salmo, che porta come titolo "canto delle ascensioni", raccoglie in preziosa sintesi tutta la fede e la speranza della redenzione dell'Antico Testamento ed è diventato l'emblema stesso dell'attesa della redenzione. E' il "De profundis".

Nella Chiesa è invalso l'uso di recitarlo per i defunti, ma dobbiamo appropriarcelo anche noi, pellegrini sulla via dell'incontro con Cristo, in questo Avvento dell'Anno Santo della Redenzione: "Dal profondo a te grido, o Signore: / Signore, ascolta la mia voce...". Che il Signore ascolti questa voce e faccia sentire ad ogni cuore che lo invoca il conforto dell'onnipotenza salvatrice del suo amore.

Data: 1983-12-14 Data estesa: Mercoledi 14 Dicembre 1983




Agli intellettuali europei - Anche gli uomini di cultura impegnati nel formare coscienze sensibili


Signori e signore!


1. Sono vivamente lieto di potermi incontrare oggi con voi, uomini della cultura, che siete convenuti a Roma accogliendo l'invito a celebrare insieme - in un gesto altamente significativo - il Giubileo della Redenzione! Porgo il mio sincero benvenuto a tutti voi, in larga maggioranza docenti universitari, tra cui alcuni rettori di celebri università, noti scrittori e studiosi, provenienti da varie regioni d'Italia, e anche da numerosi altri Paesi dell'Europa. Voi siete venuti in pellegrinaggio verso questo centro della cattolicità, verso quest'Urbe, la cui antichissima storia ha avuto un potente influsso sulla vita culturale e spirituale di molteplici popoli.

Il pellegrinaggio è un gesto carico di significato umano e simbolico: dice cammino verso una meta, ricerca di un traguardo o di una tappa, se non definitiva per lo meno riposante, nell'attesa di poter ricominciare. Questo cammino, questa ricerca qualificano la vita dell'uomo nelle sue dimensioni e nei suoi aspetti più caratteristici. L'uomo cammina verso un traguardo definitivo; l'uomo cerca qualcosa o qualcuno, che lo renda totalmente e assolutamente felice, perché capace di soddisfare completamente e per sempre tutte le sue inquietudini e aspirazioni.

Voi siete venuti in pellegrinaggio a Roma per il Giubileo della Redenzione. Come ho detto nel discorso alla Curia romana, il 23 dicembre 1982, "questo Giubileo acquista il carattere di una sfida lanciata all'uomo d'oggi, al credente di oggi, affinché comprenda più a fondo il mistero della Redenzione, si lasci afferrare da questo movimento straordinario di attrazione verso la Redenzione, il cui realismo si avvera costantemente nella Chiesa come istituzione, e dev'essere appropriato, come carisma, nell'ora di grazia che il Signore fa scoccare per ciascun uomo nei momenti forti dell'esperienza cristiana".

La Chiesa commemora e rivive, giorno dopo giorno, il grande evento della Redenzione, che è centrale nella storia della salvezza. Fin dai suoi primi giorni, la Chiesa ha predicato e proclamato in tutti gli ambienti etnici, geografici, culturali, che Gesù di Nazaret, Dio fatto Uomo, è venuto a salvarci; che Cristo è Redentore dell'uomo, di ogni uomo e di tutto il mondo, dell'uomo che cerca la felicità, la gioia, la verità, il bene, l'amore, la giustizia, la pace, la bellezza, e che rimane molto spesso inappagato, frustrato, alienato nelle sue attese e nelle sue speranze più profonde; giungendo persino a situazioni di dissociazione interiore, quando non di disperazione, per il contrasto continuo fra ciò che vuole e desidera e ciò che riesce di fatto ad ottenere.

Quando pertanto la Chiesa, forte della forza della fede, proclama per l'uomo assetato di assoluto, che porta in sé l'immagine di Dio, che l'unica risposta è Cristo, non fa retorica, ma dà un annuncio centrale e fondamentale, quello, cioè, che Cristo libera dalla schiavitù più avvilente, quale è quella del peccato, che è rifiuto dell'amore di Dio e perciò stesso rifiuto degli altri e degradazione di sé. Mediante la sua opera salvifica il Cristo riporta l'uomo alla sua primigenia dignità di creatura, uscita, per un gesto di amore, dalle mani del Creatore.


2. Dai Padri della Chiesa al Concilio Vaticano II


Ora, la specificità di questo pellegrinaggio, con cui oggi ho la gioia di incontrarmi, è che esso è formato da rettori e docenti di università, scrittori, studiosi, personalità giustamente chiamate "uomini di cultura"; tale qualificazione dice che siamo di fronte a coloro i quali non solo posseggono il tesoro della "cultura" umana, che hanno accumulato e fatto proprio con diuturno sforzo e notevoli sacrifici, ma hanno il privilegio - grande e impegnativo - di poterlo donare e trasmettere agli altri.

Voi ben sapete, illustri Signori, come il problema della cultura in sé, ma ancor più quello del rapporto intercorrente tra fede e cultura, sia stato tra quelli che, come studioso, come cristiano, come sacerdote, come Vescovo e oggi come Papa, ho a lungo meditato alla luce delle mie varie esperienze. La Chiesa, fin dai primordi, ha dovuto affrontare direttamente tale problema, nel momento stesso in cui proclamava la propria fede in Gesù Messia, Signore, Figlio di Dio e Redentore dell'uomo e del mondo, sia in mezzo all'ambiente giudaico, fiero dei grandi prodigi e segni operati da Dio per il popolo eletto, sia a quello ellenistico, abituato da secoli alle sottigliezze della logica e della "filosofia"; e poi, via via - attraverso i secoli - nei vari ambienti "culturali" diversi e lontani nello spazio. Già fin dalla prima Patristica, si poneva drammaticamente il quesito della compossibilità di un tipo di cultura con il cristianesimo, e quindi la domanda di quale fosse l'elemento determinante della nuova sintesi, che veniva a costituirsi in tale incontro. E mentre alcuni scrittori cristiani insistevano sulla assoluta originalità del cristianesimo; altri invece cercavano di trovare, nella cultura umana, dei punti di appoggio, dei tentativi, anche se solo parzialmente riusciti, di una ricerca itinerante verso la Verità. San Giustino, laico, filosofo e martire, nel II secolo, mentre definiva la filosofia come la scienza dell'essere e del vero, destinata a procurare la felicità, giustificava la ricerca razionale affermando che il seme del Verbo è innato in tutto il genere umano (cfr. "Dialogus cum Tryphone Iudaeo", II: PG 6, 476).

Questa concezione di apertura e di rispetto nei confronti della cultura umana, da san Giustino, attraverso i grandi Padri e Teologi, è giunta fino ai nostri giorni, recepita e approfondita dal Concilio Vaticano II, il quale ha dedicato tutto il capitolo secondo della costituzione pastorale "Gaudium et Spes" alla promozione del progresso della cultura (GS 53-62), termine assunto in un'accezione molto vasta e complessa. Il Concilio non ha inteso, tuttavia, né assolutizzare né mitizzare la "cultura", perché essa può talvolta presentare anche espressioni ed elementi non in sintonia con il messaggio cristiano e persino con la stessa dignità "naturale" dell'uomo.


GPII 1984 Insegnamenti - Alla comunità evangelico-luterana nella Christuskirche - Roma