GPII 1984 Insegnamenti - Udienza giubilare ai giornalisti - Città del Vaticano (Roma)

Udienza giubilare ai giornalisti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Siamo compagni di viaggio nel servizio di pace tra gli uomini

Testo:

Cari signori giornalisti!


1. Vi ringrazio per la vostra presenza. Ringrazio i vostri tre colleghi che si sono resi interpreti dei comuni sentimenti e hanno anche fatto accenno alla tavola rotonda, che ha impegnato le vostre riflessioni personali e comunitarie intorno a un tema di grandissima attualità. Saluto i direttori e redattori dei giornali italiani, i rappresentanti dell'Associazione della stampa estera in Italia, i giornalisti accreditati presso la Sala stampa della Santa Sede, i membri dell'Unione cattolica della stampa italiana e le delegazioni venute da vari Paesi appositamente per questo incontro. Nel rivolgermi a ciascuno di voi, il mio pensiero va anche alle persone che vi sono care, di cui alcune sono qui presenti, ai giornali e ai periodici in cui lavorate, alla cerchia dei lettori che costituiscono in certo modo la vostra famiglia.

Cari signori giornalisti! Amici giornalisti! Permettete che vi chiami così: amici! Non soltanto per il rapporto che questo incontro conferma: un rapporto di stima, di fiducia reciproca; quindi, di amicizia. Ma siete amici anche perché - voglio subito anticiparvi, con i sentimenti del mio cuore, l'alta considerazione in cui la Chiesa e la Sede Apostolica tengono la vostra professione - si potrebbe dire che voi siete nostri compagni di viaggio. Voi siete infatti professionisti della comunicazione. E l'evangelizzazione, che è il compito primario della Chiesa, l'evangelizzazione, come annuncio del Regno, non è forse anch'essa, anzitutto, comunicazione? Le nostre strade convergono. E si incrociano, possono incrociarsi e unirsi, quando puntino a quell'obiettivo che, nel discorso dell'Unesco, indicavo come "criterio fondamentale" per l'uso degli strumenti della comunicazione sociale. Questi, cioè, devono diventare "il mezzo - e quale mezzo importante! - di espressione di quella società che si serve di essi e che ne assicura anche l'esistenza. Devono tener conto dei veri bisogni di quella società. Essi devono tener conto della cultura della nazione e della sua storia. Devono tener conto del bene dell'uomo, della sua dignità. Non possono essere sottomessi al criterio dell'interesse, del sensazionale e del successo immediato, ma, tenendo presenti le esigenze dell'etica, devono servire alla costruzione di una vita più umana".

La Chiesa - come ha dimostrato occupandosi degli strumenti della comunicazione sociale prima, nel Concilio Vaticano II, e ora nel nuovo Codice di diritto canonico - guarda con estrema attenzione al mondo della comunicazione sociale, per l'importanza che esso ha assunto e assumerà sempre di più nella vita dell'uomo e della collettività. Questa attenzione, dunque, in primo luogo si rivolge a voi, alla vostra professione: nella consapevolezza della sua intrinseca nobiltà, e non meno della perizia e dei sacrifici che essa incessantemente richiede.

Cari amici giornalisti! Vi sono grato per l'attenzione con cui seguite la vita ecclesiale e in particolare per lo spazio da voi riservato all'Anno Giubilare della Redenzione. E sono profondamente lieto che a questa straordinaria celebrazione il mondo giornalistico abbia voluto oggi associarsi anche da protagonista nel pellegrinaggio al sepolcro dell'apostolo Pietro e nello studio del valore della croce di Cristo sullo sfondo delle molte croci del mondo contemporaneo. Molto volentieri faccio mie le intenzioni che hanno mosso i vostri passi al grande atto, con l'auspicio che il Datore di ogni bene vi sia largo di celesti favori.


2. Questo incontro si caratterizza per la sua collocazione cronologica e ideale nella memoria giubilare della Redenzione. Vi sono rapporti tra la Redenzione e la vocazione giornalistica? C'è qualche legame tra l'opera che il Divino Redentore ha compiuto sulla croce e continua a compiere sia nel cuore degli uomini che nella compagine della società, e quella che voi andate svolgendo nel vostro assillante lavoro? Per il cristiano, che fa del giornalismo un esercizio di apostolato con la coscienza e la visione soprannaturale che gli sono tipiche, la professione diventa un impegno reso al messaggio della salvezza, perché esso possa raggiungere tutti gli uomini. La fonte primigenia, da cui sgorga l'efficacia di tale testimonianza, è la croce. In essa, infatti, si è compiuto il mistero dell'umana redenzione. Non per nulla san Paolo, nell'evangelizzazione del mondo pagano, mise al centro della sua predicazione e dei suoi scritti il Cristo Crocifisso, stoltezza agli occhi dei giudei e follia a quelli dei pagani, ma forza e sapienza di Dio per coloro che erano venuti alla fede (cfr. 1Co 1,23-24).

Chi opera nel giornalismo in qualità di membro del Popolo di Dio e del Corpo mistico di Cristo - il Concilio ne ha messo in forte risalto prerogative e doveri - dalle dimensioni cristologica ed ecclesiologica si vede sempre obbligato a salire alla dimensione soteriologica. La croce è la fonte primordiale e originaria della sua vocazione.

Mi limito, oggi, ad indicare questa altissima prospettiva. Ma voi comprenderete come il semplice cenno dischiuda molteplici e forse insospettati orizzonti alla natura stessa e all'impegno del giornalismo inteso come vero e proprio apostolato.


3. La Redenzione è una verità storica, un evento che appartiene al patrimonio comune dell'umanità. La croce di Cristo si erge nel corso dei secoli, ed è quanto meno un punto obbligato di riferimento per tutti. Nel Redentore - come affermavo nell'enciclica "Redemptor Hominis" (cfr. RH 8) - si è rivelata in un modo nuovo e più mirabile la verità della creazione del mondo e dell'uomo.

San Paolo si fa acuto ed eloquente interprete dei gemiti e delle sofferenze che pervadono il cosmo tutto intero, e li paragona ai dolori della generazione, nell'ansia di raggiungere la rivelazione dei figli di Dio (cfr. Rm 8,19-22).

Il pensiero filosofico e le letterature di ogni epoca sono pieni di tali gemiti, nonostante fondamenti e traiettorie lontani dalla croce del Calvario e talvolta persino ostili. Ne è piena la coscienza dell'umanità, pur tra molteplici sbandamenti sui sentieri dello scetticismo, del dubbio, della negazione.

Più il progresso materiale s'impone e diventa gigante, più l'uomo teme di essere schiacciato dalle sue conquiste, delle quali pur mena vanto. Allora egli sente sempre più pulsante in se stesso il bisogno della salvezza. E avverte che la fonte della salvezza non può trovarla nelle risorse delle proprie mani, ma deve cercarla al di fuori, anzi al di sopra di sé. Poiché, come ripeteva Pascal, non è veramente umano se non ciò che supera l'uomo (cfr. "Pensées", 434).

Le croci che segnano il cammino della storia dell'ultima frazione del secolo ventesimo - sulle quali si è soffermata la vostra pensosa attenzione - delineano il dramma di fondo della nostra civiltà. E voi stessi, del resto, siete non di rado testimoni del ripetersi ai nostri giorni del martirio sul Golgota, della crocifissione dell'uomo contemporaneo, della scandalosa violazione dei diritti e delle libertà della persona umana sotto ogni latitudine.

Tra le valanghe di crisi che ricorrono con sorprendente puntualità; tra le delusioni, i timori, i disorientamenti; tra i molteplici fenomeni di degradazione spirituale, morale e sociale, spiriti sensibili della cultura e uomini sorretti dall'elementare saggezza s'interrogano preoccupati e, nel cercare la via della serenità, della fratellanza, della pace, invocano un principio superiore.

Per quanto possa essere imprecisato e vago, il bisogno di redenzione pulsa con particolare intensità in questo epilogo del secondo millennio. La croce di Cristo si impone a tutti indistintamente con muta e potente eloquenza, alla quale la Chiesa continua a prestare umile e fiduciosa la propria voce. Ed è confortante che anche molti tra coloro che non si riconoscono in essa, ammettano con sempre maggior convinzione il suo contributo ai valori dell'uomo, della società, della civiltà. A tale riguardo sono grato della testimonianza data da uno dei vostri interpreti.


4. Nell'universale azione redentrice e rigeneratrice, a cui il mondo aspira, voi giornalisti avete un ruolo di grande responsabilità: per la natura della vostra missione; per il posto che occupate e per l'influsso che potete esercitare nella società.

Giustamente fieri dei diritti-doveri dell'informazione, voi siete vigili testimoni di tutto ciò che la vita offre nella varietà e molteplicità dei suoi risvolti. Ma ogni notizia, idea, riflessione, nel momento stesso in cui viene diramata attraverso i modernissimi canali di trasmissione, sfugge alla sfera personale e si immette nel circuito sociale. Diventa così scintilla di altre idee e riflessioni che, a loro volta, concorrono a formare la pubblica opinione, uno dei fenomeni oggi preponderanti.

Il culto scrupoloso della verità oggettiva, la serietà e onestà intellettuale nell'interpretazione e nel commento soggettivi - virtù native del giornalismo, che accreditano il grado della professionalità e della statura deontologica del giornalista - qualificano in modo basilare la dimensione sociale di questa difficile e affascinante vocazione.

Nessuno è professionista della penna per proprio uso esclusivo. La dimensione sociale è la ragion d'essere e forse l'aspetto più delicato del giornalismo moderno. Essa esige pressantemente e incessantemente uno sforzo di sintonizzazione sulle lunghezze d'onda della realtà, e un equilibrato discernimento che salvaguardi limpidamente i diritti della verità e i doveri verso la società. E' un grave problema di responsabilità, di cui voi certamente sentite tutto il peso, soprattutto quando sono in gioco temi che toccano nel profondo le supreme ragioni dell'esistenza. ciò vale in modo particolare ai giorni nostri, nei quali si moltiplicano i pericoli di deformazione e di manipolazione della verità oggettiva: che è, anzitutto, la verità dell'uomo e sull'uomo.

Mi sia consentito rilevare che non potrebbe sfuggire a tali criteri l'informazione religiosa. Il ruolo e i compiti di chi lavora in questo specifico campo hanno subito una progressiva evoluzione a partire dal Concilio Vaticano II, anzi, grazie proprio al Concilio. Con l'approfondita riflessione che la Chiesa ha svolto sulla propria natura e sulla propria missione, col colloquio che essa ha ripreso e sviluppato col mondo contemporaneo, si sono aperti nuovi e più ampi spazi di interesse per l'informatore religioso. Ne è una prova l'eco che hanno avuto e hanno sui giornali i dibatti teologici, le iniziative pastorali delle Chiese locali e il loro impegno nell'ambito della giustizia sociale e dei diritti umani, gli avvenimenti della Sede Apostolica, i pellegrinaggi apostolici dei Pontefici.

L'informatore religioso ha dovuto, perciò, acquisire una serie di cognizioni che lo hanno portato a interessarsi di tutti gli aspetti della realtà umana e sociale del nostro tempo: dalla dimensione religiosa, ovviamente, alla politica, all'economia, ai grandi temi d'oggi, quali la pace, il disarmo, lo sviluppo, i problemi della famiglia, della gioventù, della cultura, eccetera.

Tutto ciò, se da un lato porta un accrescimento di responsabilità per l'informatore religioso, dall'altro gli impone un maggiore sforzo di comprensione e di analisi dei grandi fenomeni della società contemporanea. La parzialità e la manipolazione, se sono sempre da rigettare in ogni momento e in ogni aspetto della professione giornalistica, lo sono a maggior ragione quando vengono toccati problemi e situazioni che investono l'uomo e la sua coscienza in quella che è una delle dimensioni fondamentali, la dimensione religiosa. La Chiesa si sforza e si sforzerà sempre più di essere una "casa di vetro", dove tutti possano vedere che cosa avviene e come essa compia la propria missione nella fedeltà a Cristo e al messaggio evangelico. Ma la Chiesa si attende che un analogo sforzo di autenticità compia chi, messo nella condizione di "osservatore", debba riferire ad altri, ai lettori del suo giornale o del suo periodico, la vita e le vicende della Chiesa.


5. Nella Bolla d'indizione dell'Anno Santo dichiaravo che esso raggiungerà il proprio scopo "soltanto se sfocerà in un nuovo impegno di ciascuno e di tutti al servizio della riconciliazione non solo tra tutti i discepoli di Cristo, ma anche fra tutti gli uomini, e al servizio della pace tra tutti i popoli" ("Aperite portas Redemptori", 3).

In questo gravissimo compito ogni uomo, non soltanto il cristiano, ha una parte da svolgere. La missione giornalistica in forme e modi privilegiati.

Ritorna qui l'analogia, diciamo così, tra la missione della Chiesa e la missione giornalistica, inclusa in quella più ampia del mondo della comunicazione.

Un'analogia, cioè, tra gli impegni a cui deve attendere la Chiesa nel proseguire l'opera di attuazione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, e quelli a cui è chiamata la società per avviarsi sulla via di un progresso segnato dalla pace e dalla giustizia.

Una maggiore circolazione di idee e di informazioni nella comunità ecclesiale, tra la Sede Apostolica e le Chiese locali, tra l'una e l'altra Chiesa locale, potrà indubbiamente favorire non solo un approfondimento dello spirito e di collegialità e un rafforzamento dei legami di comunione, ma anche una crescita e una maturazione della coscienza personale e collettiva dei membri del Popolo di Dio. "Va riconosciuta ai singoli fedeli la facoltà e il diritto di essere informati su tutto ciò che occorre per prendere parte attiva nella vita della Chiesa", è detto nell'Istruzione pastorale "Communio et progressio" (n. 119).

Analogamente, una maggiore circolazione di idee e di informazioni nella società umana, tra i diversi popoli e all'interno di ogni popolo, potrà sicuramente favorire non soltanto una reciproca conoscenza, ma più ancora una rimozione di quegli ostacoli - e cioè diffidenze, sospetti, incomprensioni, discriminazioni, ingiustizie - che intralciano tuttora il cammino verso la pace e la solidarietà tra individui e tra popoli.

In un mondo pluralistico come quello attuale, caratterizzato da una rivoluzione senza precedenti come quella tecnologica, è evidente che gli strumenti della comunicazione sociale - se impiegati con fini distorti o, peggio, se piegati alla logica di un qualsiasi potere - possono provocare un'ulteriore e più profonda lacerazione nel tessuto connettivo della società. Al contrario, se adoperati secondo le leggi di un'etica che, salvaguardando i diritti dell'uomo, lo innalzi a soggetto attivo della comunicazione, anziché considerarlo quale semplice oggetto o "fruitore", possono avere un'importanza decisiva nel futuro dell'umanità, nel processo di integrazione e di unificazione, nel rinnovamento morale, nella diffusione della formazione e della cultura: in breve, nella realizzazione di una convivenza umana migliore. Un'alternativa, questa, che dovrà essere tenuta costantemente presente, negli sforzi che si vanno compiendo in vista dell'elaborazione di un nuovo ordine mondiale dell'informazione e della comunicazione.

Si spiega così perché oggi, più ancora di ieri, la missione giornalistica esiga competenza professionale e responsabilità morale. Con i potenti strumenti di cui dispone, essa può, infatti, forgiare le coscienze al gusto del bene. può infondere in esse il senso di Dio, educare alla virtù, coltivare la speranza, ravvivare la sensibilità ai valori trascendenti. può, la vostra missione, illuminare, orientare, sostenere tutto ciò che veramente giova al progresso autentico e integrale della convivenza umana. può aprire orizzonti alle menti e ai cuori, stimolare individui e società verso quegli obiettivi che incidono sulla migliore qualità della vita. In una parola, suscitare e fecondare tutti quei fermenti da cui dipende la salvezza dell'umanità nell'agitato e promettente momento presente.

Una grande risorsa della vocazione del giornalista è quella che definirei "psicologia positiva". L'assiduo contatto con i molteplici fenomeni che costituiscono la trama della cronaca, non può non riservare simpatia, al di là della risonanza, a ciò che di positivo accade, magari nascostamente, e che merita spazio anche quando "non fa notizia", non certo per minimizzare gli aspetti negativi, ma per incoraggiare e spronare le davvero incommensurabili possibilità costruttive. Sono queste, alla fine, la spina dorsale della storia.

Cari giornalisti! Amici giornalisti! Queste semplici riflessioni, ispirate all'indole dell'incontro odierno, che avviene a pochi giorni di distanza dalla festa del vostro patrono, san Francesco di Sales, possano confermarvi nella grandezza dei vostri difficili compiti e nella professionalità della vostra qualificata missione.

Con tale auspicio vi imparto di cuore la mia particolare benedizione apostolica.

Data: 1984-01-27 Data estesa: Venerdi 27 Gennaio 1984




Al Giubileo di insegnanti e alunni - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Presenza costruttiva della scuola cattolica nella società civile

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. Voglio darvi innanzitutto un cordiale benvenuto ed esprimere il mio vivo compiacimento per questo incontro con voi, che rappresentate una parte molto significativa del mondo della scuola cattolica.

C'è tra voi una grande varietà di persone e di condizioni di vita: ragazzi, giovani e adulti; genitori e docenti, laici e religiosi: eppure tutti uniti a formare una grande famiglia intenta a un unico scopo: l'educazione dell'uomo alla luce di Cristo Maestro.

Voi insieme, qui riuniti, date un esempio concreto della ricchezza umana, propria della realtà educativa ecclesiale, che intendete continuamente sviluppare e perfezionare: con le vostre persone, rappresentate l'"identità" della scuola cattolica. Il mio affettuoso e grato saluto vuol andare a tutti e a ciascuno.


2. Voi sapete bene quale stretto rapporto sia sempre esistito tra la Chiesa e il mondo della scuola. Fin dai primi secoli del cristianesimo, noi vediamo sia Vescovi, sia grandi istituzioni religiose e monastiche interessarsi vivamente alla diffusione della cultura e promuovere la fondazione di scuole di vario genere.

Famose, per esempio, sono rimaste le scuole di teologia del Medioevo, che hanno potentemente contribuito a costruire la cultura dell'Europa cristiana.

Ma perché tutto questo interesse della Chiesa per la scuola? Perché la Chiesa ha sempre legato la sua stessa sopravvivenza di Chiesa alla realtà della scuola? Il motivo è chiaro: per essere fedeli all'esempio di Cristo Signore e adempiere il suo mandato di "ammaestrare" tutte le nazioni (cfr. Mt 28,19). Ho già sviluppato questo tema nella mia esortazione apostolica "Catechesi Tradendae".

La scuola è uno strumento essenziale per la diffusione e l'approfondimento della fede, per l'espansione del cristianesimo e del Regno di Dio. Per questo, la scuola è ragione di vita per la Chiesa. La Chiesa non può vivere senza insegnare, senza far uso del metodo della scuola. Certamente la scuola, come tale, non ha una finalità soprannaturale, ma naturale: educare l'uomo alle virtù intellettuali e morali, condurre l'uomo alla sua perfezione di uomo.

D'altra parte, l'"insegnamento" che Cristo propone ha obiettivi ben più alti che quelli di costruire un semplice umanesimo; certo, si tratta di portare l'uomo alla sua pienezza, ma anche e soprattutto di farne un "figlio di Dio", "mosso dallo Spirito", "partecipe della natura divina", ed erede della vita eterna.

L'insegnamento cristiano, quindi, è essenzialmente "evangelizzazione" e "catechesi". Ma al tempo stesso, la Chiesa vuole e deve sempre farsi promotrice di cultura e di educazione all'uomo. Anche questo rientra nel mandato che essa ha ricevuto da Cristo. Essa non può disgiungere l'annuncio del Vangelo da una generosa operazione di elevazione e di educazione dell'uomo. Per questo la scuola, anche come realtà semplicemente umana e culturale, è una delle indispensabili "vie della Chiesa". Di questa verità la Comunità ecclesiale ha preso ancor più viva coscienza in questi anni dopo il Concilio Vaticano II e perciò chiede alle famiglie religiose un rinnovato impegno in questo privilegiato campo di apostolato e al laicato una più attiva e responsabile partecipazione.

La scuola cattolica non è altro che quell'istituzione ecclesiale nella quale e per la quale la Chiesa, educando l'uomo, lo conduce a Cristo, perché lo educa ispirandosi ai principi del Vangelo.


3. La scuola cattolica è al contempo una realtà ecclesiale e una componente della società civile. Essa non deve mai perdere di vista questa sua duplice dimensione.

Come realtà ecclesiale, essa dà testimonianza di Cristo al mondo. Come parte a pieno diritto della società civile, essa deve impegnarsi esemplarmente nel servizio dell'uomo, della cultura e del bene comune, senza privilegi, ma anche cosciente del suo buon diritto.

Questa duplice dimensione - spirituale e temporale a un tempo - della scuola cattolica, fa si che essa costituisca un campo di elezione per una profonda collaborazione tra laici cattolici e istituzioni religiose, come del resto ciò avviene. La coscienza pero di questa realtà composita deve essere sempre viva, non per favorire opposizioni o competitività, ma al contrario per una maggiore complementarietà reciproca, sulla base dei carismi e dei compiti propri di ciascuno.

Tale realtà della scuola cattolica significa anche un'altra cosa: che tutto il Popolo di Dio, non solo i Vescovi e i Pastori di anime, ma tutte le sue componenti, religiose e laiche, secondo le forze proprie di ciascuna, devono sentirsi compartecipi e corresponsabili nella promozione e - se occorre - nella difesa della scuola cattolica. Occorre, in questo campo, una forte comprensione e solidarietà reciproca, a livello sia morale che materiale. Né le immancabili difficoltà, né la tentazione di trovare nuove e più moderne forme di testimonianza devono indurre ad abbandonare un così collaudato strumento di evangelizzazione e di promozione umana. Anzi si devono intensificare gli sforzi affinché all'opera educativa siano destinati i soggetti più idonei e preparati. Questo è uno dei modi principali con i quali la scuola potrà godere del pieno prestigio che essa merita in una società democratica e svolgere il suo ruolo ecclesiale con piena libertà e credibilità.


4. Cari fratelli e sorelle, oggi è la festa di san Tommaso d'Aquino, patrono della scuola cattolica. Questo grande dottore, il cui insegnamento è stato tante volte lodato e raccomandato dai miei predecessori, anche oggi intercede ed è di esempio per tutti i membri della scuola cattolica.

Nella vita e nella dottrina di Tommaso, voi troverete molti spunti per realizzare quella duplice dimensione della quale ho parlato: servizio all'uomo e alla società, e insieme promozione della fede e del Regno di Dio. Troverete il modello del discepolo come dell'insegnante cattolico: un cristiano che fa del coscienzioso adempimento dei doveri del proprio stato una "via" della Chiesa, vale a dire una via della misericordia divina verso il mondo. Tommaso seppe fare della scuola il tramite dell'incontro di Cristo con l'uomo alla ricerca della verità e della salvezza. San Tommaso, insieme con sant'Agostino, riteneva che la più grande opera di misericordia fosse quella di condurre il fratello dalle tenebre dell'ignoranza alla luce della verità, nella quale sta il fondamento della dignità e della libertà dell'uomo.


5. Ma dove trovava san Tommaso la fonte di questa sintesi tra fede e cultura, tra impegno ecclesiale e servizio della società? La trovava nella profonda unità che egli seppe creare, nel suo spirito, tra attività di studio e ricerca della santità. Se è vero che la vita di un uomo si rivela dal suo atteggiamento all'approssimarsi della morte, allora dobbiamo dire che tutta l'anima e l'alto insegnamento di Tommaso sta in quelle umili e fervorose parole che egli ebbe a dire appunto in tale circostanza, quando gli fu portato il viatico: "Ricevo te, prezzo della redenzione della mia anima, ricevo te, viatico del mio pellegrinaggio, per il cui amore ho studiato, vegliato e lavorato. Ti ho predicato e insegnato; ma non ho mai detto nulla contro di te. E se per caso l'avessi detto, l'ho fatto in buona fede, né sono attaccato al mio giudizio. Che se avessi detto qualche cosa di meno retto su questo e gli altri sacramenti, ne affido completamente la correzione alla Santa Chiesa Romana, nella cui obbedienza ora passo da questa vita".


6. Cari fratelli e sorelle, il mio augurio è che anche voi possiate seguire le tracce di simili esempi: voi, alunni, nell'aprirvi alla verità e nel lasciarvi condurre fin dove essa vi porterà, cioè fino a Cristo, Verità e Salvezza; voi, docenti laici, nel dedicare il vostro impegno educativo a formare persone aperte all'uso della ragione e al dono della Rivelazione; voi, docenti religiosi, nel far si che il vostro insegnamento sia soprattutto trasmissione di una testimonianza di unione con Cristo, di riconciliazione con Dio e con i fratelli, di ricerca della santità; voi, genitori, nel sentire profondamente la bellezza e la responsabilità della vostra paternità e maternità nei confronti dei vostri figli, e nella consapevolezza dei diritti e doveri che ciò comporta nel seno della comunità educante.

Lo Spirito Santo, che è Spirito di verità e di sapienza, e la Vergine santissima, sede della sapienza, siano la luce e la forza del vostro cammino incontro a Cristo e ai fratelli.

Con la mia affettuosa e paterna benedizione.

Data: 1984-01-28 Data estesa: Sabato 28 Gennaio 1984




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Esortazione a potenziare l'assistenza ai lebbrosi

Testo:


1. La liturgia di oggi celebra la dignità dei "poveri", in particolare i "poveri nello spirito", coloro che, come Cristo, sono miti e umili di cuore. Sono essi il resto santo d'Israele, gli eredi delle promesse, i portatori della speranza del popolo di Dio. Essi otterranno per sé e per tutti i beni messianici. Maria è certo una di loro. "Ella primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza. E infine con lei, eccelsa figlia di Sion, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura una nuova economia..." (LG 55).

Maria non soltanto ha accolto e donato al mondo il Salvatore, ma ha messo la sua vita interamente al servizio del mistero della salvezza. Questa sua opera appare con particolare evidenza nel mistero di Cana. Tale episodio, dove appare il primo dei "segni", cioè dei miracoli di Gesù, presenta un contenuto altamente teologico e simbolico.

Cana non indica semplicemente (con la trasformazione dell'acqua in vino) il passaggio dall'antica alla nuova alleanza, ma offre in senso retrospettivo una ricapitolazione dell'alleanza mosaica e in senso prospettico un'anticipazione dell'ora di Gesù, cioè della sua glorificazione mediante la croce.


2. In tale contesto eminentemente salvifico, la persona e l'opera di Maria assumono un'importanza eccezionale. Nelle sue parole: "Fate quello che vi dirà" (Jn 2,5), c'è l'eco delle parole del popolo d'Israele al momento dell'alleanza (Ex 19,8 Ex 24,3 Ex 24,7 Dt 5,27), del quale popolo Maria è personificazione ed eccelsa rappresentante.

La Madre di Dio non solo esprime e porta a compimento l'atteggiamento del popolo dell'antica alleanza: ma il suo intervento a Cana suscita anche la fede dei discepoli. La fede di Maria è all'origine del segno operato da Gesù e prepara i discepoli ad accogliere la manifestazione della sua gloria e a credere in lui.

Ella quindi assume un ruolo-guida nella nascita della comunità di fede, che comincia a formarsi attorno a Gesù.

La vita di Maria è così chiaramente orientata al servizio del Figlio di Dio e della sua missione. Ella è ormai la "Donna" per antonomasia: una vocazione, la sua, che attingerà la pienezza quando, sulla croce, diventerà la "Donna-Madre" del discepolo e, in lui, del popolo nuovo sorto dal sacrificio di Cristo.

[Al termine della recita della preghiera mariana ha così proseguito:] Oggi si celebra in Italia la XXXI Giornata mondiale per i malati di lebbra. Mentre rivolgo con particolare affetto il mio pensiero a tutti gli infermi di questo terribile male, esorto vivamente tutti i fedeli ad elevare la loro preghiera al Signore e a dare il proprio generoso contributo per il sostegno e l'incremento delle opere di assistenza ai malati di lebbra nei vari centri di cura.

[Ai giovani:] Saluto cordialmente i numerosi studenti, docenti e genitori delle scuole cattoliche di Roma e del Lazio, venuti per ringraziare dell'incontro che ieri ho avuto con la loro federazione, la Fidae, la quale ha celebrato il Giubileo in occasione della festa di san Tommaso d'Aquino, patrono delle scuole cattoliche. Carissimi, vi sono grato di essere venuti anche a questo appuntamento di preghiera. Auspico per tutti, nella luce di Cristo Maestro, sempre nuovi incrementi alle vostre iniziative tese a promuovere l'educazione cristiana dell'uomo. A tutti vada la mia affettuosa benedizione.

Data: 1984-01-29 Data estesa: Domenica 29 Gennaio 1984




Omelia parrocchia di San Marco Evangelista - Roma

Titolo: "Fate della parrocchia una famiglia sola"

Testo:


1. "Considerate la vostra vocazione, o fratelli" (1Co 1,26). Con questa esortazione si rivolse un giorno l'apostolo san Paolo ai Corinzi nella sua prima lettera, e oggi io desidero ripeterla visitando la vostra parrocchia. Questa esortazione, infatti, è sempre attuale, e se ha già un senso universale, in quanto può essere riferita a ogni uomo, ha pero un senso più preciso e ben determinato per noi cristiani. E' lecito, perciò, domandarci: qual è la sostanza della nostra vocazione? Che cos'è la vocazione cristiana? Il fatto che per volontà di Dio "siete in Cristo Gesù"; il fatto che Cristo Gesù "per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione" (1Co 1,30); ecco, proprio il fatto che noi siamo "in Cristo Gesù" costituisce il fondamento della nostra nuova grandezza, della nostra nuova dignità, e soprattutto rappresenta la nostra vocazione. E' proprio questo essere "in Cristo Gesù" che crea una scala di valori completamente nuova, ben diversa da quella che dispone "il mondo". L'apostolo mette in evidenza molto bene questo concetto quando, rilevato che la grandezza del cristiano non è né sapienza, né potenza, né nobiltà "secondo la carne", cioè secondo il comune metro di giudizio degli uomini, dice che tutto per lui si concentra nell'essere "in Cristo Gesù". Proprio in base e in conseguenza di questa nuova grandezza, derivante da Cristo Gesù, cambia pure radicalmente la fonte della valutazione e della qualificazione di tutto. E se Cristo per il cristiano è il tutto, allora giusta e logica appare la conclusione che l'apostolo esprime con una formula concisa: "Chi si vanta, si vanti nel Signore" (1Co 1,31). Difatti, per la nostra presenza "in Cristo Gesù" quanto di positivo è in noi viene solo da lui!


2. "Considerate la vostra vocazione, o fratelli". Facendo seguito a questa esortazione, la liturgia odierna ci fa rileggere nel Vangelo, secondo la redazione di san Matteo, la descrizione delle otto Beatitudini. E' una descrizione, questa, che è fondamentale nell'economia evangelica: è una descrizione che ha il valore di una legge-quadro per l'ampiezza di impostazione e per l'impegno che esige dal cristiano, deciso a vivere secondo la sua vocazione. Se egli è "in Cristo Gesù", che per lui è il tutto, allora come potrebbe non aderire a questa legge fondamentale, da Cristo stesso emanata? Come potrebbe fare a meno di attingere da essa - prima ancora di passare ai singoli concreti adempimenti - l'ispirazione globale e, direi, la direttrice di marcia per la sua intera esistenza? Dovrei, a questo punto, esaminare uno ad uno gli otto articoli di questa legge, che molto significativamente comincia con la povertà in spirito, che vuol dire sincera umiltà, distacco del cuore dai beni terreni, per far posto a Dio, per far posto al suo Figlio, per ricevere da lui ciò che - come ci ha detto l'apostolo Paolo - egli "è diventato" per noi: la sapienza e la giustizia, la santificazione e la redenzione. Rinunciando all'analisi, a me preme di sottolineare qui il valore complessivo di questa legge nell'economia del Regno di Dio.


3. In realtà, il Vangelo delle otto Beatitudini - forse ancor di più di qualsiasi altro testo del Nuovo Testamento - risponde alla domanda: come dobbiamo essere nella vita quotidiana per corrispondere adeguatamente alla nostra vocazione? Oppure, formulando la domanda in altre parole: che cosa significa nella pratica il nostro essere "in Cristo Gesù"? Dobbiamo essere - ecco la risposta - poveri nello spirito, e miti, e disposti al perdono, e puri di cuore, eccetera. Insomma, per esser in Cristo Gesù, dobbiamo essere come Cristo Gesù. Questi, infatti, è il vero protagonista delle otto Beatitudini: egli non è soltanto colui che le ha insegnate o enunciate, ma è soprattutto colui che le ha realizzate nel modo più perfetto durante e con tutta la sua vita. Si può dire che esse costituiscono come un "riassunto" della vita terrena di Cristo, ed è per tale ragione che si presentano anche come un "programma di vita" per i suoi discepoli, confessori, seguaci. E si deve aggiungere, o meglio precisare: esse sono un "programma di fede viva". Tutta la vita terrena del cristiano, fedele a Cristo, può essere racchiusa in questo programma nella prospettiva del Regno di Dio, del Regno dei cieli, perché - come ci dice il Salmo responsoriale - "Il Signore è fedele per sempre".

Dunque: il programma della vita umana, della vita terrena del cristiano deve essere basato sull'affidamento alla parola del Dio vivente! A un tale programma ci prepara già la prima lettura, ricavata dalla liturgia dell'Antico Testamento, quando il profeta Sofonia ripete: "Cercate il Signore, voi tutti poveri della terra, che eseguite i suoi ordini...", cercate "per trovarvi al riparo nel nome del Signore" (cfr. So 2,3 So 3,12).


4. Dato che, per volontà e grazia di Dio stesso, noi "siamo in Cristo Gesù", dato che siamo appunto cristiani, noi dobbiamo seguire coerentemente questa esortazione sia nel considerare bene la nostra vocazione, sia, soprattutto, nel mantenerci sempre fedeli ad essa. Noi non possiamo "perdere" ciò che siamo. Non possiamo contraddire, con la nostra condotta, col nostro modo di pensare e di valutare, ciò che confessiamo con la bocca.

Per non cadere in una tale contraddizione bisogna che durante tutta la vita, giorno dopo giorno, un passo dopo l'altro, noi ci avviciniamo a poco a poco a questo programma del Regno di Dio, che Cristo ci ha lasciato. A questo scopo si rivela particolarmente importante la preghiera: intendo la vera preghiera, anche breve e concisa, ma che sia costante e sistematica. Intendo, cioè, una preghiera solida.

Io ritengo, infatti, che la preghiera deve aprire, nella vita di ciascuno di noi, ogni giorno di nuovo, la prospettiva del Regno di Dio, come viene espressamente indicato nelle parole del Padre nostro, dove si invoca l'avvento di questo Regno. Non basta: la preghiera deve unirci col mistero del Verbo Incarnato e della Chiesa, e ciò appare concisamente nella salutazione angelica, cioè nell'Ave Maria; e deve, ancora, ricordarci le principali verità della nostra fede, quali sono espresse nel Simbolo apostolico, nonché i fondamentali principi della morale, contenuti nel Decalogo (Comandamento di amore).

Nel ricordarvi e raccomandarvi il significato e il valore di queste singole preghiere, desidero pero precisare che noi possiamo e dobbiamo introdurre ancora altri "motivi", o intenzioni, nelle nostre orazioni quotidiane, pensando per esempio alle nostre particolari necessità, o facendo memoria dei nostri defunti.

Tuttavia, quale che sia la forma prescelta e usata, resta molto importante che nella nostra preghiera noi "consideriamo la nostra vocazione", e proprio per tale ragione è bene che nel programma della preghiera entrino pure, e spesso, le otto Beatitudini. Questa menzione e, direi, la stessa recita di questo testo fondamentale del Vangelo darà consistenza alla nostra preghiera e ci aiuterà a tener sempre presente la nostra vocazione e quindi ad essere veri cristiani.


5. Sono, questi, i pensieri che ho voluto condividere con voi, cari fratelli e sorelle, in occasione della visita della vostra parrocchia, che prende nome dall'evangelista san Marco. Trovandomi in mezzo a voi, sono lieto di salutare monsignor Clemente Riva, il vostro parroco, i sacerdoti suoi collaboratori e tutte le componenti della Comunità, particolarmente gli appartenenti ai vari gruppi di attività pastorale specifica e alle associazioni cattoliche. Sono molto lieto di sapere che nella vostra parrocchia sono in modo speciale attivi l'Ordine francescano secolare, il Volontariato vincenziano, l'Apostolato della preghiera, il Volontariato ospedaliero e della sofferenza, il Gruppo catechistico e, soprattutto, il Consiglio pastorale. Cari fedeli! Continuate a collaborare volentieri e con amore con i vostri Padri francescani, per aumentare la frequenza alla Santa Messa festiva e ai sacramenti; per approfondire e dilatare i rapporti di carità e di fraternità; per partecipare in sempre più gran numero all'istruzione religiosa; per testimoniare con ardore la vostra fede cristiana! Fate della vostra parrocchia, che conta più di undicimila persone, una sola, ampia, affettuosa famiglia!


6. "Rallegratevi ed esultate, perché grande, è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5,12). Mi piace riprendere dal Vangelo delle Beatitudini questo versetto conclusivo, che è come il punto di arrivo delle singole enunciazioni: questo punto è la gioia, e precisamente ad una tale gioia ci invita la liturgia odierna insieme col canto dell'"Alleluia". E' l'invito alla gioia della vocazione cristiana.

Auspico di cuore che questa gioia, cari fratelli e sorelle, trovi il suo quotidiano appoggio nella preghiera e, in ragione della fedeltà allo spirito delle Beatitudini, si compia effettivamente nella vita di ciascuno di voi.

Auspico, altresi, che la vostra parrocchia, dedicata a san Marco Evangelista, sia una comunità viva, nella quale, mediante l'attuazione della vocazione cristiana, possa formarsi e svilupparsi la vostra vita nello spirito delle Beatitudini, e che anche a questo livello comunitario fiorisca tra voi la vera gioia, e quindi la pace, l'unità e l'amore.

"Cercate il Signore, voi tutti, poveri della terra - ripetero ancora col profeta -; cercate la giustizia, cercate l'umiltà...". Troverete così riparo, cioè protezione e conforto "nel nome del Signore".

[Ai vari gruppi parrocchiali. Ai bambini:] Voglio ringraziarvi per le vostre parole molto gentili e anche per il dono che mi avete offerto: è il dono di Gesù Bambino. Voglio ringraziarvi per la vostra presenza oggi. Voglio ringraziarvi per ogni vostra presenza durante la catechesi per i bambini dell'età prescolare, per i bambini dell'età scolare, e specialmente per quelli che si preparano alla prima Comunione. Penso che questo regalo di Gesù Bambino viene confermato con la vostra presenza quando vi preparate durante la catechesi alla prima Comunione.

Voglio ringraziarvi per questo e voglio anche incoraggiarvi a continuare in questi vostri compiti di cristiani, perché i cristiani hanno un grande privilegio; questo privilegio è di essere confessori, anzi fratelli e sorelle di Gesù. Fra tutti i cristiani, i piccoli cristiani, i bambini hanno uno speciale privilegio. Quando sono entrato in questo salone ho subito letto le parole evangeliche che voi avete voluto incidere su questo grande striscione bianco: "E prendendoli tra le braccia e imponendo le mani sopra di loro, li benediceva". Chi faceva questo? ["Gesù", hanno risposto i bambini]. Ecco, in queste parole del Vangelo i bambini hanno l'assicurazione di un amore del tutto specifico. I bambini sono i prediletti di Gesù. E anche il Papa, quando entra in una parrocchia, va incontro ai bambini, li abbraccia, li benedice; perché Gesù compiva per i bambini questi segni di predilezione. D'altra parte, i bambini cristiani, i bambini battezzati hanno anche i loro compiti; questi compiti sono conoscere Gesù, pregare con Gesù. Quando preghiamo con Gesù? ["Quando recitiamo il Padre nostro", hanno risposto]. E' questa infatti la preghiera che ci ha insegnato Gesù. Noi diciamo "Padre nostro", come Gesù diceva mio Padre. Ma, in questa preghiera, ci teneva tutti insieme nel cuore. Allora, quando preghiamo, quando ci prepariamo ai Sacramenti (è tanto importante la preparazione ai Sacramenti), quando riceviamo i Sacramenti riceviamo la vita di Gesù, viviamo la vita divina, diventiamo simili a Gesù. E' Gesù stesso, con la sua forza, tramite lo Spirito Santo che opera nei nostri cuori questa similitudine a lui, al Figlio di Dio; ecco, voi dovete essere fedeli a questi compiti; dovete pregare, dovete partecipare alla catechesi. Voi, in una parola, dovete essere apostoli delle vostre famiglie. Se Gesù vi ha prediletto e vi predilige così, voi siete quasi degli apostoli nati. Un bambino, una bambina buona dentro la famiglia, tra i suoi genitori, porta questo messaggio umano e divino; dice ai suoi parenti: amatevi, state in pace, rimanete nella fedeltà. Voi siete gli apostoli delle vostre famiglie. Voglio confermarvi la mia grande gioia di incontrare per primi i bambini di questa parrocchia; e questo è giusto, perché i più giovani segnano il futuro di questa parrocchia. Il vostro futuro è più lungo, ha una prospettiva maggiore del nostro, che abbiamo già più età, più anni. Allora, la parrocchia deve preparare bene i suoi giovani, i suoi bambini, i cristiani più piccoli, per avere un avvenire, un futuro cristiano. E così tutta la Chiesa, così tutta la nostra Chiesa di Roma deve molto impegnarsi per i piccoli, i giovani, per avere un futuro cristiano. Voglio, carissimi, abbracciarvi ancora, come faceva Gesù, abbracciarvi nello stesso spirito con una speciale benedizione, che vi imparto insieme con il Cardinale vicario e i Vescovi qui presenti. E con questa benedizione, voglio abbracciarvi tutti con l'abbraccio della Santissima Trinità.

Abbracciamo così la Chiesa intera e la giovane Chiesa dei bambini, con l'abbraccio della santissima Trinità.

[Ai gruppi di apostolato:] Il vostro è un gruppo composito, siete anzi gruppi con diverse caratteristiche; ma ce n'è una che vi accomuna tutti, la spiritualità francescana; quella ricchissima, tanto preziosa per tutta la Chiesa nei secoli passati, come per i tempi nostri. Poi c'è la caratteristica caritativa.

Carità e spiritualità non possono separarsi, vanno sempre insieme; anche la spiritualità francescana è sempre ricca di carità, di amore, amore fraterno, di amore per il prossimo, specialmente di amore per i sofferenti, fino a divenire una volontà che agisce a favore dei sofferenti. Ecco il volontariato di cui molti di voi fanno parte e che agisce per soccorrere i sofferenti della parrocchia: nelle case, negli ospedali. Vi ringrazio per questo apostolato. Perché l'apostolato fa la Chiesa; fa vivere la Chiesa; dà alla Chiesa un'impronta veramente apostolica.

La Chiesa è apostolica non solamente per la sua successione alla persona degli apostoli, ma soprattutto per la sua successione, per l'eredità dello spirito apostolico. Anche la vostra presenza, il vostro apostolato, dà questa impronta alla chiesa parrocchiale, alla Comunità parrocchiale di san Marco in Agro Laurentino.

[Al Consiglio pastorale:] Voglio ringraziarvi per queste parole così adeguate, accurate, adattissime alla circostanza. Ci troviamo in una biblioteca piena di libri, ce ne sono migliaia, e il parroco potrebbe certamente trovare consiglio in tanti scritti. Ma io penso che il metodo più adeguato, direi evangelico, pastorale, corrispondente alla tradizione apostolica della Chiesa, è quello di cercare consiglio anche e soprattutto dalle persone. Una persona è sempre ricca di esperienze; un cristiano per di più è ricco di esperienze cristiane. E questa esperienza cristiana, come diceva il vostro presidente, è sempre inserita in una comunità, in particolare in quella della famiglia, la comunità di base, e poi anche in quella della parrocchia. Ecco, è questa esperienza cristiana, che costituisce il fondamento dei Consigli; e naturalmente questa esperienza, maturata com'è dalla riflessione che l'accompagna, vi dà la possibilità di aiutare i pastori della parrocchia, i sacerdoti, i pastori della diocesi. La vostra esperienza li aiuta nella loro strada, nella loro missione pastorale. In questo modo la vostra esperienza diviene Consiglio pastorale; diventa pastorale, è pastorale. La pastoralità di questo Consiglio, di ogni Consiglio pastorale, conferma la partecipazione di tutti noi, di tutti i cristiani, di tutti i battezzati, ognuno con la propria esperienza cristiana, con le proprie convinzioni cristiane, a un unico Buon Pastore che è Gesù Cristo. Noi siamo certamente il suo ovile, ma siamo anche in certo qual modo i suoi collaboratori, i suoi compastori. Ecco, non è questa una definizione, si tratta piuttosto di una descrizione, forse frammentaria, di quello che è il Consiglio pastorale, il suo ruolo in una parrocchia; si tratta certamente di una realtà molto preziosa; rappresenta un frutto del Concilio Vaticano II, come lo comprova anche la nostra esperienza vescovile in tutte le diocesi. E' un aiuto grande, una realtà molto preziosa; è l'espressione dell'esperienza cristiana di ogni fedele che si fa carico di una certa responsabilità: la responsabilità che gli deriva da quella partecipazione alla missione di Cristo Buon Pastore. Ringraziandovi per i quattro anni della vostra collaborazione e impegno in questa parrocchia, voglio augurarvi di continuare, sempre più fruttuosamente, anche per voi stessi e per le vostre famiglie, a operare nell'ambito della comunità parrocchiale, che in questi ultimi anni è molto cresciuta e che certamente crescerà ancora.

[Ai catechisti:] Il dono del Battesimo e della fede nella Chiesa che voi avete ricevuto è una responsabilità. Una responsabilità che pero non deve portare a proteggere egoisticamente questo dono, come se fosse un fatto personale, esclusivo. E' una responsabilità che, al contrario, deve spingere a cercare ogni modo utile per trasmettere questo dono a chi ci è vicino, al nostro prossimo. E' un dono che non si deve nascondere, ci dice anche il Vangelo. E come non nasconderlo, come trasmetterlo, come farlo vivere agli altri, specialmente in coloro che crescono, nei giovani, i quali sono aperti a ricevere questo dono? E come trasmetterlo anche agli altri, non soltanto a ragazzi e ragazze, ma anche agli adulti, se necessario, a tutti? Ci vuole uno speciale dinamismo. Quel dinamismo che costituisce la caratteristica più profonda del vostro gruppo, del vostro impegno. Quel dinamismo che appartiene alla tradizione più intima della Chiesa; quel dinamismo che proviene dallo Spirito Santo. Se ci chiediamo quando ha avuto inizio questo dinamismo, dobbiamo guardare alla Pentecoste, al Cenacolo, alla discesa dello Spirito Santo. In quel momento gli apostoli si sono resi conto del dono che hanno ricevuto, del dono immenso che non possono nascondere, che non possono lasciare dentro al Cenacolo. Debbono uscire e trasmetterlo, devono portarlo agli altri. Ecco, quel che voi sentite, quel che voi vivete, quel che voi fate, è la continuazione autentica di ciò che è avvenuto per la prima volta nel giorno di Pentecoste. E' questo un elemento costitutivo della Chiesa. La Chiesa è un dinamismo, un dinamismo apostolico, divino e umano. Vi ringrazio per il vostro impegno, per la responsabilità catechetica, direi apostolica, che avete assunto, e vi auguro di continuare con zelo ed entusiasmo sempre maggiori la vostra efficace opera di catechesi.

[Agli anziani:] Grazie per le vostre parole piene di saggezza. La saggezza è un privilegio della vostra età. Con gli anni si acquista una sempre maggiore esperienza: umana, cristiana. Questa esperienza costa molti sacrifici e dolori; molte volte sono dolori gravi, specialmente se si pensa al periodo di guerra e alle tante altre prove che certamente tutti voi avete vissuto. Esperienze e prove che alla fine vanno a costituire una sintesi della propria personalità pienamente matura. Una maturità che predispone a incontrare il Padre nostro, che è lo scopo ultimo della nostra esistenza, del nostro cammino terreno. D'altra parte, questa esperienza, questa saggezza, questa sintesi costituiscono anche un grande dono comunicabile a quanti vi sono vicini, tanto che da sempre gli anziani sono i precettori, i maestri di vita dei più giovani. E a loro volta i giovani per essere saggi devono raccogliere la saggezza e l'esperienza degli anziani, per risparmiarsi tanti errori nella vita. Vi ringrazio della vostra presenza e mi rallegro che in questa parrocchia ci sia un gruppo specifico, il gruppo apostolico degli anziani, al quale raccomando di ricordare nella preghiera tutta la comunità parrocchiale. Auguro a ciascuno di voi di poter trovare quella gioia non esteriore, ostentata, ma profonda, equilibrata, matura, propria di chi è cosciente di aver compiuto, anche attraverso sofferenze e sacrifici, la propria opera. La gioia per il frutto della vita non è ancora la gioia ultima, completa, eterna a cui ci prepariamo, ma è una gioia relativa, terrena, che è dovuta a chi ha bene lavorato per tutta la vita, per ottenere il suo scopo, la sua finalità.

[Ai giovani che gli avevano chiesto: "Santo Padre, in molte domeniche dell'anno lei lascia il Vaticano per andare a visitare molti quartieri di Roma.

Qual è la ragione, quali sono i motivi che la spingono a venire a contatto con la Chiesa locale?"] Perché la Chiesa locale di Roma, la diocesi, vive attraverso queste chiese che sono le parrocchie. Non si può essere Vescovo senza attingere vitalità dalle proprie parrocchie. E' questa l'ansia che mi spinge a visitare tutte le parrocchie della mia diocesi.

["Santità, so che lei ha invitato i nostri sacerdoti a pranzo in Vaticano. Vorrei sapere se questo suo gesto costituisce un modo nuovo di prepararsi e di preparare la visita alla comunità"] E' una cosa normale. Tutti coloro che vivono in una famiglia mangiano insieme, lavorano insieme. Mangiare insieme è un'espressione dell'unione della comunità. E poi si presenta per me anche l'occasione di incontrare i sacerdoti, perché, avendo poco tempo e molti impegni devo cercare questa opportunità per incontrarmi con i sacerdoti durante l'ora di pranzo, per parlare della parrocchia e dalla futura visita. Vi sono molti aspetti da prendere in considerazione; aspetti diversi e complementari.

["Santo Padre, dopo tante visite pastorali alle parrocchie, che cosa ha colto della realtà religiosa della nostra città e qual è il ruolo dei giovani nella comunità parrocchiale?"] Devo dire che li incontro dappertutto e li vedo impegnati nell'apostolato delle parrocchie. Naturalmente i giovani cercano molte risposte; risposte necessarie per costruire la propria fede, ma sanno anche bene che non possono costituire la fede in astratto, senza impegnarsi. I gruppi giovanili, come il vostro, che io incontro nelle varie parrocchie, sono sempre gruppi di studio e d'impegno apostolico.

["Siamo presenti anche noi nella Comunità di Sant'Egidio. Ai settemila anziani della nostra diocesi, bisognosi di aiuto e di solidarietà, noi giovani andiamo volentieri incontro, ma a volte ci mancano le forze e le braccia. può darci lei una parola d'incoraggiamento per seguire con più dedizione questi anziani che costituiscono una delle ferite più dolorose della nostra comunità?"] Conosco bene la vostra comunità, quella di Sant'Egidio. L'ho incontrata più volte.

Devo dire che veramente ammiro il vostro amore e il vostro impegno per gli anziani. Si tratta di un impegno profondamente umano, che va incontro a quel pericolo che s'incontra nella vita sociale della nostra epoca e che è la divisione delle generazioni. Voi andate verso gli anziani per non permettere questa divisione. Gli anziani hanno poi tutto il diritto di essere sostenuti, amati e seguiti da voi giovani. D'altra parte gli anziani posseggono un grande tesoro di esperienza: perciò anche loro possono offrirvi molto.

["Una delle riscoperte del Concilio riguarda l'impegno dei laici nella Chiesa, soprattutto nella catechesi per la crescita della comunità cristiana. Qual è il suo pensiero al riguardo?"] Ho cercato già di dare una risposta a questa domanda nell'incontro avuto poc'anzi con i catechisti della parrocchia, ma ora voglio completare con altri pensieri le idee che ho già espresso, dicendo a voi che il compito della catechesi - dei catechisti e delle catechiste - è un compito fondamentale dell'evangelizzazione. La Chiesa deve sempre evangelizzare; questo vuol dire portare il Vangelo. San Paolo disse una volta: Guai a me se io non evangelizzassi; guai a me. Questo deve dire ogni Vescovo, ogni sacerdote, ma lo può dire anche ogni cristiano. Devo dire di nuovo che ammiro molto l'impegno catechistico, nelle parrocchie di Roma, svolto soprattutto da molti laici. Lodo la disponibilità dei giovani e degli adulti che dedicano le loro qualità, il loro tempo, la loro preparazione per fare catechesi, che è un'opera apostolica.

["Santo Padre, la nostra è una parrocchia francescana. Le domando, come noi giovani possiamo far rivivere nella nostra città l'esempio del Poverello di Assisi?"] Ci sono tanti modi. Direi che imitare san Francesco è imitare Gesù Cristo. Non c'è una formula generale, astratta. L'imitazione vuol dire anche inventare un modo personale, secondo il proprio carisma, di seguire l'ideale evangelico, come certamente è stato fatto in modo sublime dal Cristo. San Francesco ha avvicinato al Cristo molti uomini del suo tempo e continua a farlo anche nella nostra epoca. Ognuno di noi può ritrovare san Francesco nel suo proprio carisma, nella sua vocazione, nella sua personalità di cristiano. Questo vuol dire imitare san Francesco, ma anche imitare Gesù Cristo.

["Santo Padre, siamo alle soglie del Duemila. Cosa vuol dire essere oggi Vescovo di Roma?"] Direi semplicemente che essere Vescovo di Roma in quest'epoca in cui si avvicina il secondo millennio della venuta di Cristo, vuol dire rendersi conto di questo momento storico, che certamente non è momento storico nel senso civile, non è una data. E' un momento storico nel senso teologico. E' un momento della storia della salvezza. Sappiamo bene che Cristo ha portato la salvezza a tutto il genere umano. Ma il genere umano vive, vengono sempre nuove generazioni, passano i secoli. Certamente questa data, il Duemila, è un momento speciale, ma ancora appartiene al futuro della storia della salvezza. Si devono allora individuare le dimensioni di questo momento; dobbiamo preparare tutti insieme l'avvento di questo momento storico. Credo che lo facciamo anche con queste visite pastorali e specialmente con gli incontri con i giovani. Gli anziani possono pensare così: "Io non so se il Duemila appartiene ancora alla storia della mia vita". I giovani piuttosto possono dire: "Noi siamo chiamati ad entrare, tramite questo Duemila, nel terzo millennio". Vi auguro di entrare e di portare con voi le buone esperienze, anche degli anziani, dei vostri genitori, dei vostri avi e costruire un futuro più umano e cristiano; costruite un mondo migliore.

["Santo Padre, in che modo la nostra diocesi dovrebbe essere di esempio alle altre Chiese locali?"] Il buon nome della Chiesa cattolica dipende dal buon nome della diocesi del Papa. Se la Chiesa è una buona Chiesa, se le parrocchie di Roma sono buone parrocchie, se i religiosi e le religiose, le scuole, le università di Roma, specialmente quelle pontificie, sono buone, sono esemplari, allora il mondo può giudicare bene anche tutto il resto della Chiesa, anche il Papa, si anche il Papa, perché io dipendo da voi. Se voi siete bravi, se voi siete buoni cristiani, se voi avete spirito apostolico, il Papa è ben visto nella Chiesa universale; perché tutti guardano a Roma, hanno diritto di guardare a Roma.

Data: 1984-01-29 Data estesa: Domenica 29 Gennaio 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Udienza giubilare ai giornalisti - Città del Vaticano (Roma)