GPII 1984 Insegnamenti - Lettera ai giovani della diocesi - Città del Vaticano (Roma)

Lettera ai giovani della diocesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Invito a Roma per celebrare il Giubileo

Testo:

Carissimi giovani di Roma.

Mentre l'Anno Santo straordinario della Redenzione si avvia alla conclusione, io, vostro Vescovo, insieme con i vescovi miei collaboratori, desidero rivolgervi una breve parola e un cordiale invito a un incontro di riflessione e di preghiera in comune. Desidero celebrare con voi il Giubileo presso le catacombe dei martiri.

La croce di Cristo non è un fatto del passato! Nel pieno della sua giovinezza Gesù di Nazaret ha posto nel mondo il segno più concreto e visibile dell'amore che si dona gratuitamente e senza misura. Quell'evento, dopo 1950 anni, è ancora capace di esprimere un messaggio che dà significato totale alla vita. Noi lo sappiamo e lo annunciamo anche a voi: Gesù di Nazaret, l'uomo della croce, è il Figlio di Dio che chiama alla conversione, cioè al cambiamento radicale dell'esistenza attraverso un comportamento nuovo che scaturisce dal voler condividere tutto con lui. La croce di Cristo è per voi una coraggiosa provocazione.

Voi sperimentate come non sia difficile descrivere la solitudine in cui si trova oggi il giovane, soprattutto in una grande città come Roma. Non vi sembra che egli corra il rischio di una progressiva emarginazione che assume dimensioni sempre più drammatiche? Ci sono ancora "profeti di sventura" che vi propongono la via della fuga da ogni responsabilità e il rifiuto di pensare alla vita del domani. Non potrebbe essere questa una delle cause, per cui Roma è piena di giovani stroncati da ogni forma di violenza, dalla droga al completo disinteresse, dalla disoccupazione al crimine organizzato? Forse anche alcuni cristiani, in qualche momento, si sono lasciati afferrare dalla tentazione di non prendere sul serio le vostre aspirazioni; ma oggi, alla luce della conversione che investe tutta la comunità, noi vi diciamo che nella Chiesa potete e dovete essere veri protagonisti.

Sappiate quindi che voi non solo appartenete - a tutti gli effetti - al popolo di Dio, ma, ancora di più, che la Chiesa di Roma ha bisogno di tutti voi.

Mentre essa vi invita a essere generosamente partecipi della sua missione evangelizzatrice, allo stesso tempo vi coinvolge in un coraggioso processo di liberazione da ogni forma di frustrazione e di falsità. Tra noi non si fa distinzione né per nascita, né per cultura, né per condizione sociale; solo perché siete giovani in ricerca, avete pieno diritto di accesso alla Chiesa.

Ci sono in voi, e non si possono nascondere, segni concreti che fanno intravedere la gioia del domani: l'impegno sempre più responsabile verso fratelli che vivono in povertà ed emarginazione; il desiderio concreto di una pace duratura che vi permetta di sentirvi cittadini del mondo intero; la sete di verità che vi fa rifiutare tutte le forme di menzogna o di compromesso. Questi e altri segni vi inseriscono in quella innumerevole folla di giovani impegnati, che hanno dato e danno il loro contributo alla storia della salvezza.

Non rendete inutile la morte di Cristo. Apritegli anche voi il cuore, per accogliere il dono della conversione! Siate capaci, voi per primi, di compiere il gesto del perdono! Lasciatevi riconciliare con Dio e con i fratelli! Questo vostro Giubileo lasci a Roma il segno, che essa attende: la sincerità del perdono. Sia questa celebrazione il punto di partenza per portare alla città vita, gioia, speranza. Orientate lo sguardo di tutti al futuro di Dio.

E' per questo che vi invito alle catacombe, luoghi sacri ai santi e ai martiri, perché proprio là balza evidente il significato della croce: la vita, donata per amore, rivela la vittoria su ogni forma di morte! Giovani di Roma! Questo è il vostro Anno Santo della Redenzione! E' il momento di grazia a cui il Signore vi chiama ancora una volta. Ci sia gioia e speranza in voi; ci sia apertura e disponibilità ad essere concretamente segno dell'universalità della nostra comunità cristiana, che tra qualche settimana accoglierà, per il Giubileo, giovani del mondo intero! Fate in modo che la vostra giovinezza non sia solo un momento puramente passeggero dell'esistenza, ma realizzatela in pieno rimanendo uniti alla Parola di Dio che è sempre giovane, e vivendo nella piena consapevolezza che, mediante la croce di Cristo, ognuno è veramente amato da Dio e reso capace di amare Dio e i fratelli.

Con questi auguri vi imparto di cuore la benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 7 febbraio 1984, sesto di pontificato

Data: 1984-02-07 Data estesa: Martedi 7 Febbraio 1984



Al Congresso su "La sapienza della croce" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nell'umanesimo cristiano la risposta alle istanze della cultura

Testo:

Cari fratelli.


1. Nel porgervi il mio cordiale benvenuto e affettuoso saluto, voglio esprimere il mio apprezzamento per i lavori del vostro Congresso internazionale, ringraziando i padri Passionisti per avere promosso questa opportuna iniziativa nel corso dell'Anno Giubilare della Redenzione. Mi compiaccio vivamente per il tema scelto: "La sapienza della croce oggi", soffermandovi in particolare sulle parole di san Pietro riferite dagli Atti degli Apostoli: "In nessun altro c'è salvezza, se non in Gesù Cristo" (Ac 4,12).

Con tali parole, Pietro davanti al Sinedrio dichiarava quanto oggi la Chiesa, al termine del secondo millennio della Redenzione, ripete alla società contemporanea, compiendo il sublime dovere di animatrice del mondo e "sacramento di salvezza": quella salvezza che è operata da chi è venuto per dare la vita e darla in abbondanza, attingendola dalla propria inesauribile pienezza, poiché appunto per lui tutto è stato creato, tutto in lui sussiste, mentre egli su tutto afferma un primato, che ne fa il Mediatore per eccellenza (Ga 3,20), Nunzio di pace (Ep 2,17), l'unico Re e Signore, Pastore e Maestro, Vita e Risurrezione.

La salvezza che egli offre è dunque rispetto e difesa, ricupero e potenziamento di tutti i valori, che nella persona umana trascendono ogni limite della creazione visibile, e nel Cristo partecipano dell'infinita dignità del Verbo nel più sublime "ritorno" dell'intera creazione al "seno del Padre".


2. Ovviamente, la "salvezza" nel mistero cristiano, suppone una caduta - il peccato originale - che ha avuto la gravità di essere "colpa" intesa come rifiuto di quanto Dio ha donato all'uomo facendone il signore del creato, amico degli angeli, e destinato a un'eterna beatitudine. Ora, nel Cristo, Dio Padre ha dato se stesso e in lui tutto ha redento: "Egli non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui".

Dico "il mondo", tutto il mondo: dalle più umili strutture della materia ai più radiosi vertici dello spirito; poli estremi tra cui si apre l'area sconfinata d'influenza del Verbo che crea e redime, superando in sé ogni dicotomia, annullando ogni distanza, riconciliando "nel sangue della sua croce" cielo e terra: la mediazione redentrice del Figlio è la più eccelsa celebrazione ed elevazione dell'opera creatrice del Padre.

Questo è il fondamento dell'unico "umanesimo" possibile, perché respinge sia il pessimismo d'ogni indirizzo manicheo, sia l'ottimismo d'ogni concezione immanentistica, prima responsabile delle tragedie del mondo moderno.


3. "In realtà - come dice il Concilio Vaticano Il - solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo... Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione" (GS 22). perciò l'uomo raggiunge il suo fine sovraumano soltanto se, superati i limiti d'ogni naturale "modo" d'essere e pensare, di amare e produrre, si trasfigura nel Cristo e s'impegna a svolgere le sue inesauribili virtualità di sviluppo: chi non è con lui, è contro se stesso, perché "in nessun altro c'è salvezza". ciò significa che il vero e pieno umanesimo è solamente quello cristiano.

Nella prospettiva di raggiungere tale umanesimo soprannaturale, il cristiano deve poter rispondere costruttivamente alle istanze profonde della società e della cultura contemporanea, dimostrando nel contempo la falsità d'ogni soluzione incompatibile con l'unica Parola risolutiva e definitiva che è Cristo.

"Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede" (1Jn 5,4).

Tale primato della fede fonda la garanzia del vero successo: "Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo!" assicura il Maestro. In lui infatti troviamo "corporalmente tutta la pienezza della divinità", e quindi quel bene che è incomparabilmente più forte del male, come l'essere emerge sul nulla: "Virtuosius est bonum in bonitate quam in malitia malum", dice l'Aquinate.


4. ciò comporta che l'umanesimo cristiano è fondato su un ottimismo critico, non ingenuo...; è degno degli eroi, non adatto ai mediocri; proiettato verso il futuro, non concluso nel passato, né risolto in un presente inevitabilmente labile, quasi illusorio. E' l'ottimismo ispirato a una concezione realistica e finalistica della storia, non vanificato nella prospettiva di un approdo irraggiungibile... Esso si fonda sul Cristo, "alfa ed omega, primo e ultimo, principio e fine", che è "lo stesso ieri, oggi, sempre"; dunque, "colui che è, che era e che viene".

Il primato, in questo umanesimo, spetta sempre alla trascendenza, la sola che apra un varco allo slancio della vita, orientandone i processi necessariamente penosi come ogni vera conquista, drammatici come ogni sforzo di ricupero e di riconciliazione con sé e col prossimo. Stando al linguaggio biblico, si tratta di "rinascere" e, addirittura, di "risorgere". perciò bisogna innanzitutto morire, essere disposti a "distaccarsi" da tutto e da tutti, prendere la propria croce, trafiggervi la carne e le sue concupiscenze, spogliarsi dell'uomo vecchio per rivestire il nuovo, finché Cristo non sia tutto in tutti.

Potremo partecipare alla sua gloria, soltanto se con lui avremo sofferto. Eletti saranno soltanto quelli che sono passati attraverso "la grande tribolazione" e hanno "lavato le proprie vesti nel sangue dell'Agnello".


5. L'ascesi dunque s'impone come fondamentale dovere di un'espiazione volta a redimere; è richiesta da una giustizia che si trasforma in misericordia. Da qui l'apparente paradosso della "morte" che genera la "vita", e quello "scandalo della croce" che, simbolo della rinunzia cristiana, è irrisa dal mondo, incapace di accettare l'uomo, con quella sua caratteristica apertura verso l'infinito, che lo rende insofferente del limitato e del relativo, disponendolo ad accettare il piano della salvezza.

Oggi l'uomo ignora o esclude una "redenzione" perché ha perduto la coscienza del peccato e delle sue conseguenze e rifiuta - nella sua chiusura alla trascendenza - ogni ipotetica elevazione che sottenda il restauro della sua natura ed esiga il superamento dei suoi limiti, ciò che peraltro è possibile solo attraverso quella "morte" che, nel Cristo, tende a trasfigurarlo fino a farne una "nuova creatura".

Purtroppo, una certa concezione antropocentrica rischia di render vana la croce di Cristo. Si pretende di sostituirla o di sopprimerla, nella presunzione che, così facendo, si renda più credibile il cristianesimo; il quale invece proprio da essa trae il vigore che lo innalza al di sopra di tutte le creazioni della cultura, dominando l'intero ciclo della storia. La croce è il prodigio di una "stoltezza di Dio, più sapiente degli uomini" e di una sua debolezza più forte di tutti i loro sogni di potenza. I "nemici della croce di Cristo" ignorano che per essa Gesù "è diventato sapienza, giustizia, santificazione e redenzione".


6. Davanti a simili constatazioni, si può provare uno smarrimento, che rischia di invadere l'anima e di diventare angoscia; esso, invece, nel credente, deve tradursi nel grido fiducioso, rivolto al Maestro durante la tempesta: "Salvaci, Signore, siamo perduti!", e nell'accorata protesta di Pietro: "Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!": quella "vita eterna" che è luce e forza di una Verità che le tenebre non potranno mai sopraffare, perché assoluta e liberatrice; Verità fatta vita e testimonianza, capace di sfidare anche la morte, come ha sempre fatto la Chiesa in tutti i martiri, felici di compiere quel che manca alla Passione redentrice. Non c'è altro che possa condurre verso la "libertà della gloria dei figli di Dio", un cammino che impone di valorizzare tutto il bene, ascoltare ogni voce, convogliare tutte le energie, e così guidare la storia in vista della speranza che ci è riservata nei cieli. E' nella speranza infatti che siamo stati salvati: quella che "non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per lo Spirito che ci è stato dato" e che, liberandoci dalla schiavitù della carne e della legge, conferma la nostra adozione di figli nel Figlio, per il quale possiamo apprezzare e godere di "tutto ciò ch'è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, virtuoso, degno di lode".

"Esaltate l'uomo: - ebbe a dire il mio predecessore Paolo VI - metterete in evidenza maggiore la sua deficienza, la sua incompletezza, la sua segreta necessità di essere salvato. Diciamo subito e diciamo tutto: la sua necessità di un salvatore; uomo per unirsi agli uomini; ma nello stesso tempo Dio per portare l'uomo all'altezza a cui la sua primitiva e sempre immanente concezione lo destina: l'altezza divina".

Il mio fervido augurio è che i lavori del vostro Congresso possano costituire un arricchimento per il vostro spirito, tale da rendervi annunciatori del Salvatore più efficaci e più convinti, auspice la sua santissima Madre, e con la mia affettuosa benedizione.

Data: 1984-02-09 Data estesa: Giovedi 9 Febbraio 1984




A pellegrini di Gorizia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Chi "teme" il Signore, entra in piena confidenza con lui

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. A tutti voi va il mio affettuoso saluto e benvenuto: al vostro arcivescovo, monsignor Antonio Vitale Bommarco, ai sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli, giunti a Roma per ottenere il dono dell'indulgenza presso la tomba di san Pietro.

Avete affrontato un viaggio non breve e forse scomodo per qualcuno, al fine di compiere un gesto di fede apparentemente semplice, ma in realtà grande e fruttuoso, se fatto con le dovute disposizioni di umiltà e di devozione e con i necessari propositi di emendamento della propria vita, cioè di riforma interiore.

Grande è pertanto la mia gioia per questa visita, nella quale voi esprimete la vostra comunione ecclesiale. Per questo, di tutto vi ringrazio e lodo con voi il Signore, ispiratore di propositi di misericordia, di conversione e di pace.


2. Venendo in pellegrinaggio, voi intendete chiedere, col dono dell'indulgenza, la misericordia del Signore, "Dio di pietà, compassionevole, lento all'ira e pieno di amore" (Ps 85,15), la cui grazia "dura in eterno su quanti lo temono" (Ps


102,17).

Tale vostro atteggiamento è la testimonianza del fatto che - come dice la Scrittura - "temete" il Signore e vi riconoscete bisognosi della sua misericordia. Solo chi "teme" il Signore, può sentirlo non come un Dio che castiga, ma un Dio col quale sentirsi in piena confidenza. Il vero "timore" di Dio, infatti, suppone la coscienza del proprio stato di miseria, e proprio per questo, sapendo che Dio ha "cuore" per i miseri, confida nella sua misericordia.

Chi non teme Dio, non si sente misero e quindi neppure bisognoso di compassione.

Ma quale miseria il timore di Dio ci fa scoprire? Quella del corpo, certamente, ma soprattutto quella dell'anima. Il timor di Dio ci rende sommamente diligenti nella cura della nostra anima, pronti a scovare e a eliminare anche le piccole imperfezioni, perché ci fa sentire l'impellenza del comando evangelico di essere santi e perfetti.


3. Oggi molti sentono il bisogno di sperimentare un Dio dolce e paterno, e non severo e punitore. Ma la sorgente autentica di tale esperienza non sta certamente nell'atteggiamento farisaico di chi "si sente giusto" per conto suo, ma, ben al contrario, in quello del pubblicano della parabola di Luca (Lc 18,10ss): vale a dire nel riconoscersi peccatori, nel pentimento e nel proposito di compiere degne opere di penitenza e di riparazione. In ciò sta innanzitutto la vera "giustizia" e questo è l'atteggiamento che allontana l'ira divina, facendoci sperimentare l'infinita dolcezza del Padre celeste.

La misericordia di Dio, mediante il perdono, cancella il peccato, ma non toglie la necessità di compensare l'amore divino offeso mediante un'opera espiatrice fondata sulla carità e sul valore infinito dei meriti di Cristo. Il valore dell'indulgenza trae proprio da questo principio - come sapete - la sua ragion d'essere. Il peccato è stato perdonato, ma resta pur sempre una pena da scontare: e l'indulgenza ci aiuta appunto in questo. Essa pero non è il solo aiuto, ma esiste anche un altro mezzo necessario ed efficacissimo per riparare i nostri peccati: il compimento delle opere di misericordia, secondo il chiarissimo insegnamento del Vangelo: noi potremo ottenere misericordia nella misura in cui avremo donato misericordia.


4. Ecco allora, cari fratelli e sorelle, quale vuol essere il mio invito: non cessate mai di approfondire e rendere sempre più delicata la sensibilità della coscienza nel comprendere le esigenze della volontà di Dio nella vostra vita: volontà di purificazione, di conversione, di santificazione. così camminerete veramente spediti sul cammino del Vangelo, e gusterete sempre più la misericordia del Signore. Quanto più infatti sappiamo scoprire i nostri bisogni e le nostre miserie spirituali e confidiamo in Dio, tanto più egli ci dona il suo perdono e ci riempie della sua forza e delle sue consolazioni. Chi si umilia - come dice Gesù - viene esaltato.

Quanto più, alla luce dei criteri forniti dalla Parola di Dio, sapremo giudicare la nostra anima con occhio lucido e obiettivo, tanto più potremo essere certi del nostro amore per il Signore e del suo per noi.

La Beata Vergine di Lourdes, che oggi devotamente festeggiamo, ci renda più sensibili all'impegno della guarigione non solo della malattia del corpo, ma anche di quella morale del peccato, conducendoci così alla salvezza e alla santità.

Questo è il mio augurio e il mio desiderio, che formulo con tutto il cuore, accompagnandolo con la mia affettuosa benedizione.

Data: 1984-02-11 Data estesa: Sabato 11 Febbraio 1984




Ad ammalati - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Offrite le vostre sofferenze per la conversione del mondo

Testo:

Carissimi ammalati ed assistenti!


1. Grande è la mia gioia nel potermi di nuovo incontrare con voi nella Basilica vaticana, nel giorno benedetto in cui celebriamo la santa messa in onore della Vergine di Lourdes! Mi è così possibile esprimervi il mio ringraziamento per il dono prezioso e insostituibile della vostra sofferenza, che prolunga nel tempo l'opera redentrice del Cristo crocifisso, e per essere nuovamente venuti a pregare con me. Posso così anche dirvi la mia ammirazione per la vostra fede, per la vostra pazienza e rassegnazione alla volontà di Dio.

Porgo il mio affettuoso benvenuto a ciascuno di voi, cari malati; come pure ai vostri assistenti, agli organizzatori dell'Opera romana pellegrinaggi, ai dirigenti dell'Unitalsi e delle altre organizzazioni; e, in questo Anno Giubilare della Redenzione, estendo il mio saluto cordiale a tutti i malati del mondo, a tutti coloro che in qualche modo, nel corpo o nello spirito, portano le ferite del dolore, dell'angoscia, della solitudine. Su tutta la terra fremono le onde del dolore; in ogni nazione, in ogni città, in ogni casa si vedono le lacrime della sofferenza; ma in ogni luogo sono pure presenti l'amore di Dio e la salvezza portata da Cristo. E questo è motivo di coraggio, di fiducia, di speranza! Noi sappiamo, alla luce della Rivelazione e della Redenzione, che la sofferenza ha un significato valido e positivo, poiché entra nel piano universale della Provvidenza, nel disegno amorevole della salvezza. Indubbiamente la ragione da sola rimane sconcertata di fronte a tale mistero; ma, illuminato dalla fede in Cristo crocifisso e risorto, il cristiano lo accetta e lo ama perché sa che l'Amore infinito non tradisce; e perciò egli attende con fiducia la felicità piena oltre i limiti del tempo. Convinto di queste verità san Paolo esclamava: "Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! Questa vita che vivo nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Ga 2,20). E soggiungeva: "Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione" (2Co 7,4).


2. Celebrando oggi la memoria della Vergine santissima, apparsa a Lourdes a Bernadette la prima volta l'11 febbraio 1858, il mio pensiero ritorna con viva commozione e con nostalgia al pellegrinaggio compiuto l'estate scorsa, nel giorno dell'Assunzione, alla grotta di Massabielle. Veramente indimenticabile fu quel breve ma intenso soggiorno presso il celebre santuario mariano; e guardando voi qui presenti, cari ammalati, con le persone che vi accompagnano e vi assistono, rivedo le folle in preghiera sull'"esplanade" e presso la grotta, per i viali e lungo il Gave, nelle basiliche attorno all'altare della messa solenne; rivedo le mille e mille fiaccole accese durante la processione "serale", e risento i canti soavi e suggestivi della processione con il Santissimo Sacramento; soprattutto ho davanti agli occhi i malati, umanità dolente e sperante, sospinti nelle carrozzelle o adagiati nelle lettighe... fu una visita breve, ma preziosa, perché, come dissi nel discorso di arrivo a Tarbes "a Lourdes la coscienza diventa o ridiventa limpida e ritrova il suo primitivo orientamento". E questo fu il messaggio che lasciai allora e che oggi desidero rinnovare: l'accorato invito ai cristiani e a tutti gli uomini di ritornare alla "coscienza ben formata per distinguere il bene dal male, innamorata della giustizia, dell'amore e della verità; una coscienza rispettosa del mistero di Dio che, solo, sa dare un senso pieno alle esigenze morali come all'esistenza stessa; una coscienza sensibile al messaggio del Vangelo, trasmesso dalla Chiesa di generazione in generazione" ("", VI,2 [1983] 193).

A Lourdes, nel mio primo discorso tenuto presso la grotta, mi domandavo come mai la Vergine santissima avesse assunto il volto e il nome dell'Immacolata e fosse apparsa in quel luogo così semplice e povero, e rispondevo che tutto metteva in chiara evidenza il pressante invito alla conversione. "Diciamolo francamente - asserivo là e ripeto ora - il nostro mondo ha bisogno di conversione... Oggi il senso stesso del peccato è in parte scomparso, perché si perde il senso di Dio. Si è voluto costruire un umanesimo senza Dio e la fede rischia continuamente di apparire come un atteggiamento di originalità di qualcuno, privo di un ruolo necessario per la salvezza di tutti. Le coscienze si sono oscurate come al tempo del primo peccato, non distinguendo più il bene dal male. Molti non sanno più che cos'è il peccato o non osano più saperlo, come se questa conoscenza potesse alienare la loro libertà... Rimane difficile convincere il mondo attuale sulla miseria del proprio peccato e sulla salvezza che Dio continuamente gli offre per mezzo della riconciliazione realizzata con la Redenzione".

Orbene, la Vergine Immacolata venne per richiamare tutti gli uomini a questo bisogno interiore di conversione e di riconciliazione. E noi sappiamo che Gesù crocifisso, il quale proprio con la sua sofferenza ha redento gli uomini dal male, ha illuminato e purificato le coscienze e ha dato il vero significato al nostro dolore.


3. Cari malati! Offrite con amore e con generosità le vostre sofferenze al Signore per la conversione del mondo! Bisogna che l'uomo comprenda la gravità del peccato, offesa di Dio, e si converta a colui che per amore lo ha creato e lo chiama all'eterna felicità! Proprio con la data di oggi, 11 febbraio, ho voluto pubblicare una mia Lettera sul senso cristiano della sofferenza umana. E' un messaggio intimamente legato all'invito che scaturisce dall'Anno Santo della Redenzione. In essa affermo che "Cristo mediante la sua propria sofferenza salvifica si trova quanto mai dentro ad ogni sofferenza umana" e parlo della vocazione a soffrire per la continua e perenne realizzazione della Redenzione: "Questa è soprattutto una chiamata. E una vocazione. Cristo non spiega in astratto le ragioni della sofferenza, ma prima di tutto dice: "Seguimi! Vieni!", prendi parte con la tua sofferenza a quest'opera di salvezza del mondo, che si compie per mezzo della sofferenza! Per mezzo della mia croce. Man mano che l'uomo prende la sua croce, unendosi spiritualmente alla croce di Cristo, si rivela davanti a lui il senso salvifico della sofferenza. L'uomo non scopre questo senso al suo livello umano, ma al livello della sofferenza di Cristo". "Quanto più l'uomo è minacciato dal peccato, quanto più pesanti sono le strutture del peccato che porta in sé il mondo d'oggi, tanto più grande è l'eloquenza che la sofferenza umana in sé possiede. E tanto più la Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mondo" (nn. 26-27).

Accettate con coraggio e fiducia le vostre pene anche per tutti coloro che soffrono nel mondo a motivo di persecuzioni religiose, a causa di dolorose situazioni politiche e sociali; o sono vittime della corruzione dei costumi e del clima di materialismo e di edonismo imperante; o si aggirano senza fede e senza certezza nell'indifferenza o nella negazione religiosa. Anche voi, come Gesù in croce, potete ottenere grazia di luce, di pentimento, di conversione, di salvezza per questi fratelli.

Infine, vi esorto a un sempre più intenso e profondo amore alla Chiesa, che sempre, ma specialmente oggi, deve essere tutta unita nella verità, nella carità e nella disciplina. Parlando ai ministri di Dio, nella Basilica del Rosario, circa i doveri sacerdotali e particolarmente quello dell'amministrazione del Sacramento del perdono, dicevo: "Il sacerdote che assiste dolorosamente all'allontanamento dei suoi fedeli dalle sorgenti del perdono, partecipa alla passione di Cristo, alla sua sofferenza davanti all'indurimento dei cuori, alla sua angoscia per la salvezza del mondo".

Anche voi malati, che vedete come l'umanità si trova confusa e minacciata, in cerca di certezza e di verità, partecipate in modo particolare a questa misteriosa passione: pregate dunque e soffrite per la Chiesa, per i vescovi, per i sacerdoti, per le vocazioni, per i seminari e per i responsabili della formazione sacerdotale e religiosa. La Chiesa ha bisogno di persone che pregano e amano, nel silenzio e nella sofferenza: e voi, veramente, nella vostra infermità, potete essere questi apostoli!


4. Cari malati! Si legge nella biografia di santa Bernadette che il giorno successivo alla sua prima Comunione, il 4 giugno 1858, essa incontro la signorina Estrade, la quale le rivolse una domanda imbarazzante: "Che cosa ti ha reso più felice? L'apparizione della Vergine Santa o la tua prima Comunione?". La giovane veggente, decisa come sempre, rispose: "Queste cose non vanno assieme e non possono essere raffrontate. ciò che so è che sono stata felice tutte e due le volte".

La commovente e saggia risposta vale anche per voi, malati; vale per tutti: nell'amore a Gesù eucaristico e nella devozione alla Vergine santissima possiamo trovare la vera felicità! Questo vi auguro di cuore! Questo invoco per voi in questa messa!

Data: 1984-02-11 Data estesa: Sabato 11 Febbraio 1984




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Presenza della Vergine Maria nella celebrazione liturgica

Testo:


1. Oggi desidero intrattenermi con voi sulla presenza della beata Vergine nella celebrazione della liturgia.

Come sapete, ogni azione liturgica, ma soprattutto la celebrazione dell'Eucaristia, è un evento di comunione ed è sorgente di unità. Comunione con Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Nell'azione sacra, infatti, giunge a noi l'energia dello Spirito che, come fiume di vita, sgorga dalla liturgia eterna, celebrata da Cristo risorto a gloria del Padre e per la salvezza dell'uomo.

Comunione della Gerusalemme celeste con la Chiesa ancora pellegrina sulle vie del mondo. Nella celebrazione dei santi Misteri, cielo e terra si uniscono, si illuminano della stessa luce, ardono della stessa carità, partecipano della stessa vita, si fondono nell'unità. Comunione tra noi: nella liturgia professiamo la stessa fede. partecipiamo della stessa speranza, siamo animati dallo stesso amore.

Mossi dallo stesso Spirito, invochiamo lo stesso Padre e, commensali di Cristo, ci nutriamo della stessa parola, dello stesso pane, dello stesso calice di vita.


2. Ma comunione anche e in modo particolare con la Madre, l'umile e gloriosa Maria. Perché? Perché la liturgia è azione di Cristo e della Chiesa.

Azione di Cristo. Perché è lui l'unico, il vero, il "sommo sacerdote" (He 8,1): nascosto sotto il velo dei santi segni, egli offre il sacrificio, battezza e rimette i peccati, impone la mano sugli infermi, annuncia la Buona Novella, loda e glorifica il Padre, supplica e intercede per gli uomini (cfr. SC 7).

Azione della Chiesa. Perché "in quest'opera così grande - la perfetta glorificazione di Dio e la redenzione dell'uomo - Cristo associa sempre a sé la Chiesa, la sua sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di lui rende culto al Padre" (cfr. SC 7).

Ora, la beata Vergine è intima sia a Cristo, sia alla Chiesa, e inseparabile dall'uno e dall'altra. Essa quindi è a loro unita in ciò che costituisce l'essenza stessa della liturgia: la celebrazione sacramentale della salvezza a gloria di Dio e per la santificazione dell'uomo.


3. Maria è presente nel memoriale - l'azione liturgica - perché fu presente nell'evento salvifico. E' presso ogni fonte battesimale, dove nella fede e nello Spirito nascono alla vita divina le membra del Corpo mistico, perché con la fede e con l'energia dello Spirito, ne concepi il divin capo, Cristo; è presso ogni altare, dove si celebra il memoriale della passione-risurrezione, perché fu presente, aderendo con tutto il suo essere al disegno del Padre, al fatto storico-salvifico della morte di Cristo; è presso ogni cenacolo, dove con l'imposizione delle mani e la santa unzione viene dato lo Spirito ai fedeli, perché con Pietro e con gli altri apostoli, con la Chiesa nascente, fu presente all'effusione pentecostale dello Spirito.

Cristo sommo sacerdote; la Chiesa, comunità di culto: con l'uno e con l'altra Maria è incessantemente unita, nell'evento salvifico e nella sua memoria liturgica. Anche nella vita di ogni cristiano deve essere presente Maria, mediante una devozione sincera e profonda.

Oggi ricorre la Giornata diocesana di preghiera e di offerte per le nuove chiese di Roma. E' questa, cari fratelli, un'occasione importante per testimoniare concretamente la propria carità e solidarietà nei confronti delle sempre nuove comunità che sorgono in Roma e che, come le altre, hanno bisogno della loro chiesa. Tali comunità devono essere sostenute e incoraggiate da quelle già consolidate, e che hanno mezzi a disposizione. Il popolo di Dio costruisce sia la casa che la Chiesa. Queste due realtà si richiamano l'una con l'altra in un nesso inscindibile. Per questo, chiedo tutta la vostra attenzione e la vostra comprensione.

Data: 1984-02-12 Data estesa: Domenica 12 Febbraio 1984




Omelia nella parrocchia di sant'Ippolito - Roma

Titolo: Le vie dell'amore e della verità conducono l'uomo alla liberazione

Testo:


1. ""Maestro che devo fare di buono per ottenere la vita eterna?". "Osserva i comandamenti"" (Mt 19,16-17). Questa domanda e questa risposta ci tornano alla memoria quando ascoltiamo con attenzione le letture della liturgia odierna. Il tema principale di queste letture è infatti quello dei comandamenti di Dio, la legge del Signore.


2. Di essa canta oggi la Chiesa nel salmo responsoriale: "Beato l'uomo di integra condotta, / che cammina nella legge del Signore. / Tu hai dato i tuoi precetti / perché siano osservati fedelmente. / Siano diritte le mie vie, / nel custodire i tuoi decreti... / Apri gli occhi perché io veda / le meraviglie della tua legge...". Ed ancora: "Indicami Signore, la via dei tuoi precetti / e la seguiro sino alla fine. / Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge / e la custodisca con tutto il cuore" (Ps 118,1-34).

L'idea racchiusa nei versetti di questo salmo è così trasparente, che non richiede alcun commento.


3. Invece conviene aggiungere un breve commento alle parole del libro del Siracide, nella prima lettura: "Se vuoi, osserverai i comandamenti: l'essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere. Egli ti ha posto davanti il fuoco e l'acqua; là dove vuoi stenderai la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà" (Si 15,16-17).

Il Siracide mette in evidenza lo stretto legame che esiste tra comandamento e libera volontà dell'uomo: "Se vuoi...". E allo stesso tempo manifesta che dalla scelta e dalla decisione dell'uomo dipende il bene o il male, la vita o la morte, s'intende nel significato spirituale.

L'osservanza dei comandamenti è la via del bene, la via della vita. La loro trasgressione è la via del male, la via della morte.


4. Ora passiamo al discorso della montagna nel Vangelo di oggi, secondo san Matteo. Cristo dice prima: "Non pensate che io sia venuto per abolire la legge (o i profeti); non sono venuto per abolire, ma per dare compimento... Chi trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli". E Cristo aggiunge: "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 5,17-20).

Dunque sono importanti la legge, i comandamenti, le norme non solo in se stessi, ma anche il modo di comprenderli, di insegnarli, di osservarli. ciò dev'essere davanti agli occhi di tutti coloro che spiegano la legge di Dio e che interpretano i principi della morale cristiana, in ogni epoca e anche nell'epoca contemporanea.


5. E Cristo dà tre esempi del comandamento e della sua interpretazione nello spirito della Nuova alleanza. "Non uccidere" (Mt 5,21). "Non commettere adulterio" (Mt 5,27). "Non spergiurare" (Mt 5,33).

"Non uccidere": vuol dire non solo non togliere la vita ad altri, ma anche non vivere nell'odio e nell'ira verso gli altri.

"Non commettere adulterio": vuol dire non solo non prendere la moglie d'altri, ma anche non desiderarla, non commettere adulterio nel cuore.

"Non spergiurare...", "ma io vi dico: non giurate affatto", ma sia il vostro parlare vero: "si, si; no, no" (Mt 5,34 Mt 5,37).

6. Che cosa è il Vangelo? Che cosa è il discorso della montagna? E' forse soltanto un "codice di morale?". Certamente si. E' un codice della morale cristiana. Indica le principali esigenze etiche. Ma è di più: indica anche la via della perfezione.

Questa via corrisponde alla natura della libertà umana: alla libera volontà. L'uomo infatti, con la sua libera volontà, può scegliere non soltanto tra il bene e il male, ma anche tra "il bene" "il meglio" e il "più" nell'ambito della morale, anche per non discendere verso "il meno bene" o addirittura verso il "male". Infatti, come continua il libro del Siracide: "Grande infatti è la sapienza del Signore, egli è onnipotente e vede tutto. I suoi occhi su coloro che lo temono, egli conosce ogni azione degli uomini. Egli non ha comandato a nessuno di essere empio e non ha dato a nessuno il permesso di peccare" (Si 15,18-20).

E san Paolo va oltre, quando nella prima lettera ai Corinzi scrive: "Tra i perfetti parliamo, si, di sapienza...; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla" (1Co 2,6-8).

Quelle cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano "a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio" (1Co 2,10).


7. Cari parrocchiani della comunità romana dedicata a sant'Ippolito! Le notizie sicure sulla vita e l'opera del vostro patrono, come saprete, purtroppo scarseggiano, e tuttavia conosciamo con certezza quel fatto che, da solo, basta già a provare la grandezza della sua vita e della sua santità: il martirio insieme con il papa Ponziano.

Quale che sia stata la vita precedente di Ippolito, egli ha saputo giungere alla vetta della santità esemplare con quel gesto supremo d'amore a Cristo e al suo vicario in terra. Il suo esempio è quindi motivo di incoraggiamento e di speranza anche per voi. Voglio salutare per ora tutti i presenti: il cardinale vicario, il vescovo del settore, monsignor Alessandro Plotti, il parroco, padre Maurilio Beltramo, la comunità dei frati Cappuccini, le suore Sacramentine, gli altri sacerdoti e religiosi, che collaborano all'attività parrocchiale, tutti i gruppi, e il popolo di Dio di questa porzione di Chiesa, anzi di questa piccola Chiesa che è la parrocchia, immagine e segno della Chiesa universale sparsa in tutto il mondo.

La parrocchia è il tramite normale e concreto attraverso il quale gli uomini possono conoscere la grande e misteriosa realtà della Chiesa universale. Da qui la perenne necessità, da parte della parrocchia, di presentare, con la sua stessa esistenza, al mondo, un'immagine la più fedele possibile alla Chiesa universale, contribuendo attivamente e responsabilmente alla sua costruzione e al suo sviluppo.

So che la vostra popolazione parrocchiale è molto numerosa e composita dal punto di vista dei ceti sociali e delle professioni. La messe è dunque abbondante per gli operai del Vangelo. So anche che tra voi le iniziative, i gruppi, le attività non mancano. Raccomando che questo vostro pluralismo vivace e rigoglioso sappia sempre estrinsecarsi sulla base di una indiscussa fedeltà agli autentici principi di unità nella fede e nella carità, in comunione con i vostri pastori. Tali principi infatti fondano la vera efficacia delle molteplici e diverse attività.


8. "Beato l'uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore". Che queste parole, prese dalla liturgia odierna, rimangano in voi, cari fratelli e sorelle, come espressione dei fervidi auguri che vi fa il Vescovo di Roma in occasione della visita odierna.

Cercate Dio, seguite le strade della verità e dell'amore: seguitele secondo i principi della morale cristiana, secondo la luce dell'eterna sapienza di Dio.

E che i vostri cuori non cessino di essere sempre aperti all'azione dello Spirito Santo che "scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio". Amen.

[Alle varie componenti della vita parrocchiale. Ai bambini e ragazzi:] Voglio prima di tutto salutare i presenti: bambini, bambine, ragazzi, ragazze, genitori, insegnanti. e poi le suore Sacramentine e i padri Cappuccini che guidano questa parrocchia di sant'Ippolito. Voglio salutare coloro che si trovano in questo cortile, ma anche tutte le persone affacciate ai balconi e alle finestre dei palazzi che stanno tutto intorno a noi. Voglio esprimervi la mia gioia per questo incontro, per questa visita che vi faccio oggi, 12 febbraio: è un giorno freddo, ma dove ci sono i bambini il freddo non si sente, perché loro scaldano l'atmosfera, soprattutto con la loro gioia. E io vi ringrazio per questa gioia, che conferma la purezza dei vostri animi, dei vostri cuori. E di ciò gioisco anch'io profondamente. Vi ringrazio per i doni molto significativi; vi ringrazio per il pane, che ci nutre e inoltre ci parla di Gesù, che si è fatto Pane di vita eterna per noi tutti. ciò lo ricordo particolarmente ai bambini che si preparano alla prima Comunione.

Grazie per il dono della lampada; perché la luce simboleggia la nostra fede tra le tenebre del mondo. Che questa fede sia sempre forte, perseverante, ferma. E' l'augurio che faccio in modo speciale ai ragazzi e alle ragazze che si preparano a ricevere la Cresima. Vi ringrazio pure per i fiori che mi avete donato, perché i fiori significano anche fioritura spirituale. E come possono fiorire spiritualmente i giovani? Possono farlo con la bontà, con l'amore, coltivando le virtù. Io vi auguro di fiorire spiritualmente come questi stupendi fiori che avete offerto al Papa. E in questo cerco di imitare meglio che posso Gesù, che ha tanto amato i bambini. Voi siete una grande speranza, rappresentate il futuro di questa comunità.

[Ai parrocchiani:] Siete tutti parte di una numerosissima comunità che porta il nome di un grande martire, sant'Ippolito. La vostra è una comunità cristiana, comunità di fede, comunità di Battesimo, comunità dell'Eucaristia, comunità dell'amore. Io vi auguro di essere sempre comunità e di diventarlo sempre più. Perché non basta essere cristiani; lo si deve diventare sempre più, dobbiamo essere continuamente più cristiani. E' un processo che dura tutta la vita ed è meraviglioso. Non c'è cosa più bella, più concreta del programma del Vangelo che ogni vero cristiano è chiamato ad osservare. Mi rallegro molto della missione che vi apprestate ad intraprendere nelle due prossime settimane. Servirà senz'altro di approfondimento e al progetto di vita cristiana che ci viene dal Vangelo. Vi auguro che questo periodo e questa missione siano fruttuosi.

Voglio inoltre salutare i padri Cappuccini a cui è affidata questa parrocchia. E mi rallegro per la circostanza del cinquantesimo di fondazione della parrocchia. Come faceva notare il vostro parroco ciò avvenne nel 1933, anno in cui si celebro l'ultimo Giubileo della Redenzione. Auguro che la ricorrenza cinquantenaria della vostra chiesa e questo nuovo Giubileo che stiamo ora celebrando portino ogni bene a tutti i cristiani e specialmente alla vostra parrocchia che è così legata al mistero della Redenzione.

[Al Consiglio pastorale e ai catechisti:] Grazie di questa presentazione così accurata della vostra realtà pastorale. Sono presenti qui anche i giovani catechisti che hanno una speciale responsabilità nel diffondere la Parola di Dio.

Vi auguro che questa responsabilità, la cui radice è essenzialmente apostolica, vi faccia apostoli, vi faccia veri cristiani; poiché è dovere primario del cristiano essere anche apostolo, così come insegna il Concilio Vaticano II. Al Consiglio pastorale spetta invece il compito di far confluire tutte le forze vive della parrocchia in un unico centro di riflessione e di orientamento, affinché i vari elementi della comunità possano camminare insieme, al fianco delle persone consacrate: i sacerdoti, le suore. Ecco come deve operare il Consiglio pastorale, il suo scopo, la cui responsabilità è appunto quella di creare l'unità, di far si che tutta la comunità parrocchiale cammini insieme, unendosi poi al cammino della prefettura, della diocesi, della Chiesa universale.

[Ai giovani:] Voglio dare una risposta non solo alle vostre domande, ma anche e soprattutto alle vostre parole. La prima di questa parole è la vostra presenza. Questa presenza è significativa. Avete cantato un particolare molto importante: "Noi siamo la festa" diceva la vostra canzone. E' vero che voi siete la festa. L'umanità festeggia in voi giovani il suo avvenire. E' sempre così: di generazione in generazione l'umanità festeggia il suo avvenire, perché l'umanità, l'uomo, passa e guarda sempre ai giovani perché essi portano l'eredità dell'umanità per il futuro. Dipende dunque da voi giovani di tutto il mondo, il futuro, l'avvenire dell'umanità, delle nazioni, degli ambienti, delle famiglie, della persona umana infine. Ma direi ancora che Cristo festeggia in voi il anche suo mistero. Il mistero di Cristo è naturalmente teocentrico, totalmente orientato verso il Padre. Ma allo stesso tempo è anche antropocentrico, centrato cioè sull'uomo. Il fatto che Dio si è fatto uomo pone in rilievo la realtà umana.

Dobbiamo dunque chiederci cos'è questo "uomo" se il Figlio di Dio ha scelto di essere uomo. Io ho fermato le mie riflessioni e ho incentrato la mia prima enciclica, la "Redemptor Hominis", proprio su questa meraviglia. Ci meraviglia perché dobbiamo meravigliarci, dobbiamo ammirare il fatto che Iddio, il Figlio di Dio, si è fatto uomo. Dio festeggia in noi il suo mistero. Questo è il mistero dell'Incarnazione. Questo è il mistero della Redenzione. Ed ecco la risposta alla domanda sull'Anno della Redenzione. Dobbiamo sempre ritornare a questo mistero della Redenzione. Vi sono alcuni anniversari attraverso i quali siamo chiamati a riflettere particolarmente su alcuni episodi. E questo anno ricorrono 1950 anni dalla Redenzione. Naturalmente la Chiesa vive sempre la Redenzione. In questo anno pero ci viene l'invito a ritrovare questa Redenzione, a scoprire la sua profondità. così Cristo vive in noi il mistero della sua Redenzione, il mistero della sua sposa cioè della sua Chiesa. E vive in noi il mistero escatologico a cui ci ha preparato con il suo Vangelo, con la sua morte e specialmente con la sua risurrezione. Mistero escatologico: futuro dell'uomo; Regno di Dio. Io penso che le diverse domande che voi mi avete posto possono ben inquadrarsi in questo insieme.

E veniamo alle domande. Il cammino ecumenico. E' questo il cammino che come cristiani dobbiamo compiere se vogliamo essere fedeli alla consegna di Cristo. Cristo chiede a noi l'unità. La chiede a noi suoi discepoli. Per questo dobbiamo compiere questo sforzo ecumenico per essere fedeli a Cristo, per festeggiare il mistero di Cristo nella sua Chiesa, in quella Chiesa che è la sua sposa. Una Chiesa che è insieme popolo di Dio. E la sposa non è divisa; ma il popolo di Dio è diviso. Per questo deve cercare le strade dell'unità. E speriamo che i discorsi portino i loro frutti.

Proseguendo nelle risposte devo dire che la Chiesa è oggi preoccupata per l'umanità, per la sopravvivenza dell'umanità. In diversi modi la sopravvivenza viene minacciata; dalla guerra specialmente, dalla spirale degli armamenti nucleari. Noi ci opponiamo naturalmente a questa "spirale" e cerchiamo in tutti i modi a noi possibili di persuadere di non aumentare i mezzi dell'autodistruzione dell'umanità. Ma la preoccupazione ancora più grande è la situazione di ingiustizia dovuta al divario che esiste tra quella parte dell'umanità che concentra tutti i mezzi della ricchezza nelle sue mani, anzi la concentra sempre di più, e l'altra parte dell'umanità che soffre la fame. Questa è la prima preoccupazione della Chiesa.

Venendo poi al problema dell'obiezione di coscienza credo che dimostrino maturità quegli Stati i quali sono capaci di accettare per i giovani una forma di servizio pubblico che non sia il servizio militare, permettendo che si possa sostituire l'uno con l'altro. Per rafforzare ancor più questo aspetto voglio ricordare una persona cara, molto cara al mio popolo. Era un tedesco. Un soldato tedesco. Aveva ricevuto il comando di uccidere dei civili durante la guerra. Si rifiuto di farlo e fu ucciso. La sua tomba è rimasta accanto a quel popolo meritandosi la fama di un servo di Dio. I miei connazionali vanno sempre alla sua tomba per venerare questo giovane.

Non voglio prolungarmi oltre. Voglio concludere. Voi siete dunque la festa. Io ho cercato di approfondire il senso dell'affermazione di Cristo che festeggia in voi il suo mistero. Il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione.

Cristo vuol festeggiare in voi la sua grazia, il mistero della sua grazia. Questo mistero intimo è il mistero tra il nostro spirito umano e lo Spirito Santo che opera in noi grazie alla Redenzione di Cristo. Io vi auguro questa festa. Ve la auguro come comunità, come comunità di giovani.

[Ai gruppi parrocchiali:] Io voglio ringraziare per quest'incontro che conclude la visita alla vostra parrocchia di sant'lppolito. Saluto tutti i gruppi, così come il parroco vi ha presentati. Saluto e auguro a ciascuno di trovare sempre più la propria identità cristiana, il carisma proprio. Perché come hanno il loro carisma le famiglie religiose, per esempio la famiglia francescana, così anche i diversi gruppi dell'apostolato dei laici hanno il loro carisma specifico.

Vi auguro di trovare sempre più questa identità e questo carisma di gruppi apostolici laici. Questa di sant'Ippolito è una grande parrocchia, numerosa, una massa di uomini, ma anche una massa di cristiani perché penso che la gran parte dei suoi abitanti siano battezzati. Gesù ci ha detto che la Chiesa, il regno di Dio è simile al pane: per fare il pane ci vuole anche il lievito. Ecco, io sono convinto che tutti questi gruppi, quello carismatico, quello neocatecumenale, siano il lievito che deve far crescere, umanamente e cristianamente, la massa della parrocchia. Il lievito deve penetrare sempre più perché la massa sia sempre più cristiana, più responsabile del suo carattere cristiano, più responsabile della sua identità cristiana.

Il vostro patrono, sant'Ippolito, fu martire. Martire vuol dire testimone. E i cristiani devono essere testimoni di Cristo, della sua croce, della sua risurrezione, della sua fede, della sua speranza, della sua carità. Ecco, questo è il lievito. Ed è una bella cosa se questo lievito vuole espandersi, oltre i limiti della propria parrocchia e arrivare fino in Turchia, come mi dicevate, per portare il fermento del Vangelo anche ai non cristiani, in luoghi anche un po' intransigenti, che si chiudono dinanzi al messaggio evangelico. Vogliono andare là alcuni vostri fratelli, per essere lievito in quelle masse, affinché tutta l'umanità sia raggiunta dal lievito evangelico e diventare regno di Dio.

Auguro a tutti voi, specialmente a voi neocatecumenali, di percorrere questo cammino con grande gioia e con grande responsabilità, cercando sempre di aumentare e di ampliare gli spazi della carità di Cristo nostro Signore e Redentore: allargare gli spazi del regno di Dio, che in questo periodo ha le sue radici, verso l'eternità, verso la casa del Padre: e auguro a tutti di crescere nel regno di Dio, che nello stesso tempo si trova dentro di noi, nel cuore di ciascuno di noi e in quello di Cristo, e che ha la sua dimensione esterna nella dimensione della famiglia. Voi siete una porzione del regno di Dio, voi parrocchia di sant'lppolito. Vi auguro di vivere la gioia cristiana, la responsabilità cristiana, la fede, la speranza, la carità che in questo mondo anticipano al vita divina.

Data: 1984-02-12 Data estesa: Domenica 12 Febbraio 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Lettera ai giovani della diocesi - Città del Vaticano (Roma)