GPII 1984 Insegnamenti - Ad ammalati tedeschi - Città del Vaticano (Roma)

Ad ammalati tedeschi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il valore redentivo della sofferenza

Testo:

Cari fratelli e sorelle.

E' per me una gioia poter salutare, in questa udienza particolare, il vostro gruppo denominato "treno del sole", proveniente dall'arcidiocesi di Monaco e Freising nell'Anno Giubilare della Redenzione. Di cuore do a tutti voi il benvenuto, soprattutto ai cari malati giunti qui nei loro lettini e carrozzelle.

Forse ho già incontrato alcuni di voi nel novembre 1880 durante la mia visita al duomo di Monaco. Ricordo con gioia quell'incontro fraterno.

Proprio nel corrente Anno Santo, nel quale noi ricordiamo, pieni di gratitudine, la nostra Redenzione, avvenuta per mezzo della morte e risurrezione di Cristo, voi siete, con la vostra croce e il vostro dolore, particolarmente vicini al mio cuore. Recentemente ho dedicato al vostro destino di malati e handicappati, alla vocazione che è vostra, una Lettera apostolica sul senso cristiano del dolore umano. In essa vi incoraggio a guardare la vostra difficile sorte soprattutto con gli occhi della fede. ciò che al non credente sembra una tragica disgrazia, può diventare per il cristiano un impegno molto significativo e appagante nella Chiesa e nella società umana. Chi accetta e sopporta con fede e in unità con Cristo il suo dolore, ne trae non solo forza e fiducia profondi, ma anche completa, secondo le parole di san Paolo, con la sua sofferenza ciò che manca ai patimenti di Cristo. Che questo pellegrinaggio giubilare nella città eterna vi renda lieti della vostra fede e vi incoraggi a unire ancora più profondamente le vostre prove e i vostri dolori alla sofferenza redentrice di Cristo. E allora la vostra vita, segnata dalla malattia e dalla disgrazia, acquisterà agli occhi di Dio un valore inestimabile per l'azione salvifica della Chiesa e la Redenzione dell'umanità.

Una parola di particolare riconoscimento spetta agli organizzatori di questo "treno del sole", ai responsabili della Caritas dell'arcidiocesi di Monaco e Freising, che sempre di nuovo impegnano le loro energie per portare, in questi viaggi, il sole della gioia a molti handicappati nella loro difficile vita quotidiana con un amore cristiano vissuto per il prossimo.

Ringrazio sinceramente tutti coloro che assistono con grande impegno questo pellegrinaggio giubilare e annuale del "treno del sole" in qualità di medici, infermiere e aiutanti e servono con amore gli ammalati e gli handicappati, secondo lo stile del "buon samaritano". Alcuni rinunciano persino a una parte delle loro vacanze per prendere parte a questa lodevole iniziativa al servizio del prossimo sofferente. Una tale spontanea attività caritativa non è solo un servizio sociale, ma si può designare come reale apostolato nello spirito del Vangelo.

A voi e a tutti i lettori della rivista ecclesiale cattolica di Monaco che, con le sue generose offerte già per la ventesima volta rende possibile questa esemplare azione di amore cristiano per il prossimo, io dico - come fate volentieri in Baviera - Dio ve ne renda merito! Senza di voi i vostri fratelli e le vostre sorelle handicappati non sarebbero qui. Avete posto un segno, un segno di carità cristiana, un segno di amore fraterno che invita all'imitazione.

Con i migliori auguri di giorni belli e spiritualmente fruttuosi, qui, al centro della cristianità cattolica, imploro per tutti voi, soprattutto per i cari ammalati e handicappati, ricche grazie dell'Anno Giubilare della Redenzione per il vostro futuro cammino di vita nella fede, nella speranza e nell'amore e imparto di cuore a voi e ai vostri cari rimasti in patria la mia particolare benedizione apostolica.

Data: 1984-02-17 Data estesa: Venerdi 17 Febbraio 1984




Alla Segreteria del Sinodo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: E' un ottimo strumento di collegamento tra il Papa e i vescovi

Testo:

Venerati fratelli.


1. Al termine del primo incontro con il nuovo Consiglio della segreteria generale del Sinodo dei Vescovi, sono felice di salutare tutti i membri di questo organismo. Ringrazio voi tutti per la vostra presenza e collaborazione, come per i sentimenti che avete voluto manifestarmi col telegramma inviatomi all'inizio dell'incontro.

Ringrazio voi, anziani membri di questo Consiglio, che con la vostra perseveranza contribuite a manifestare la continuità al Sinodo come istituzione per la Chiesa universale. Ringrazio voi, fratelli chiamati per la prima volta, che con il vostro entusiasmo e la vostra esperienza contribuite a mantenere alta e attenta la dinamicità del Consiglio della segreteria del Sinodo. Avendo davanti agli occhi le proposizioni sinodali e soprattutto la sensibilità dei padri, avete cercato di mettere le basi per un documento del magistero sulla riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa. Avete dovuto anche esaminare le risposte e i suggerimenti fatti dall'episcopato per la scelta del tema della prossima assemblea.


2. Al primo oggetto, come mi avete riferito per tramite del vostro presidente, avete consacrato la maggior parte dei vostri lavori. Saro lieto perciò di ricevere dalla segreteria del Sinodo gli elementi per la redazione del documento post-sinodale da offrire alla Chiesa, che aspetta di conoscere il pensiero autorevole del magistero sulla riconciliazione e la penitenza.

Vi ringrazio di questa collaborazione. Oggi più che il testo e la forma delle "propositiones" desidero sottolineare lo spirito e lo slancio missionario che dovranno animare le future direttive pastorali sulla riconciliazione e la penitenza. Non siamo qui forse al centro del mistero della Redenzione, offerta a tutti gli uomini perché siano salvi? Il Redentore non ci ha detto di portare la croce e di seguirlo? La salvezza non è solo una chiamata; è anche il fatto di sentirsi amati da Dio e di amare i fratelli, compresi i nemici, per Dio, secondo gli insegnamenti di Gesù. Tutto ciò è particolarmente eloquente in quest'Anno Giubilare della Redenzione. La riconciliazione è ritrovare il senso di Dio attraverso i segni della sua presenza nella vita dell'uomo, secondo il suo contesto e la diversità del suo linguaggio. Infiniti sono i doni, diversi i linguaggi, ma uno solo il cuore e una sola la fede: "Ut cognoscant te et salvi fiant".

Esaminerò perciò attentamente le vostre indicazioni al fine di preparare il menzionato documento, valutando la situazione e i bisogni del popolo di Dio sparso sotto ogni cielo.


3. Quanto al secondo oggetto del vostro lavoro, avete esaminato i suggerimenti pervenuti alla segreteria per la scelta del tema della prossima assemblea generale. Seguendo i criteri ormai collaudati nel lavoro di cernita, cioè l'urgenza, l'importanza, l'universalità, avete raggruppato in modo logico e oggettivo le indicazioni dei temi pervenuti da varie parti del mondo.

Voglio assicurarvi che avro grande attenzione per i desideri e le preoccupazioni dei confratelli dell'episcopato, pastori del popolo di Dio, e indichero opportunamente, scegliendolo fra quelli proposti, il tema della prossima assemblea sinodale.

Siccome il vostro Consiglio ha molto lavorato, non vorrei concludere senza soffermarmi un momento ancora sull'importanza di questo organismo, che, come ebbi occasione di dire in altri incontri, mi è molto caro e familiare.

Nel nuovo Codice di diritto canonico il ruolo principale del Sinodo dei vescovi viene indicato nel "favorire la stretta unione fra il romano Pontefice e i vescovi stessi" (CIC 342). D'altronde questa definizione riprende esattamente quanto la "Apostolica sollicitudo" dichiara del medesimo Sinodo.

Nell'ambito giuridico il Sinodo viene quindi considerato in diretto rapporto con il successore di Pietro e, nello stesso tempo, con l'intero corpo episcopale, che hanno la missione di governare, guidare, santificare il popolo di Dio.

Quindi, se il Sinodo è un ottimo strumento di collegamento tra il Papa e i vescovi, il Consiglio della segreteria è un autorevole mezzo di trasmissione dell'autentica volontà dell'assemblea, che, attraverso le "propositiones" votate, formula gli opportuni orientamenti pastorali a vantaggio della Chiesa. In questo momento in cui vedo di nuovo riunito il Consiglio, sempre così fedele e attento alle esigenze della collegialità, è bene ricordare l'alto concetto che di esso ebbe il mio predecessore Paolo VI, quando disse: "Il Consiglio è segno della vitalità del Sinodo stesso; esso è garanzia di ordine, di approfondimento, di coordinamento dei problemi, che saranno via via trattati nelle sedute... esso è promessa di sviluppi sempre più armoniosi e fecondi dei lavori sinodali, affinché l'azione dei vescovi risponda veramente, in questi tempi tormentati e pure stupendi, con sempre maggiore studio di fedeltà alla volontà di Cristo verso la sua Chiesa, all'amore di Cristo per essa" (Paolo VI, Discorso ai membri del Consiglio della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi, 15 maggio 1970).

Con questi sentimenti e con queste speranze di cuore benedico voi, venerati fratelli, le vostre diocesi, i vostri collaboratori, in particolare i sacerdoti, ministri della riconciliazione, nonché tutti i fedeli chiamati alla gioia dell'intima comunione con il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo per il tramite del ministero della sua Chiesa.

Data: 1984-02-18 Data estesa: Sabato 18 Febbraio 1984




A direttori d'albergo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Tanto più le strutture sono umane, tanto più sono cristiane

Testo:

Egregio presidente del Comitato organizzatore, Signori direttori d'albergo, Signori partecipanti al convegno dell'associazione.


1. In occasione della XXIX assemblea generale dei soci dell'associazione direttori d'albergo, voi avete chiesto di avere questo incontro. Nel darvi il benvenuto, sono lieto di porgere il mio cordiale saluto a tutti e a ciascuno in particolare.

Vi ringrazio della vostra presenza che, insieme al segno di affetto alla persona del romano Pontefice, è altresi una conferma esplicita agli alti principi di umanità propri della vostra funzione.


2. Il tema del convegno, che in questi giorni avete posto al centro delle vostre riflessioni, tocca la problematica del vostro settore sotto gli aspetti prevalentemente culturali e storici.

Non si può parlare di cultura o di storia senza far riferimento al suo protagonista, che è l'uomo. Al centro dell'attenzione si pone l'uomo in quanto tale, a prescindere dalle sue condizioni esterne di censo, di professionalità, di rango, di potere. Nell'ambiente dei vostri alberghi si parlano tutte le lingue e passano i rappresentanti delle categorie di tutti i continenti. La vostra attività di operatori dell'accoglienza vi colloca in un crocevia d'incontri senza frontiere, e per ciò stesso nell'esercizio di una funzione eminentemente sociale e umana.

Oggi la terra diventa più piccola perché tutto tende ad assumere dimensione universale. L'uomo non vuole più rimanere chiuso entro i confini della regione d'origine e si considera cittadino del mondo. Le opere d'arte e di cultura di un popolo appartengono a tutti i popoli che, rivendicandone il diritto di fruizione, corrono ad ammirarle; i prodotti dell'industria varcano le barriere geografiche; si moltiplicano i colloqui a livello internazionale.

Di qui l'incremento del turismo, l'ampiezza degli scambi culturali e commerciali, la straordinaria mobilità di grandi masse umane facilitata dalla frequenza e dalla rapidità una volta imprevedibili dei mezzi di comunicazione.

E questo inarrestabile movimento di uomini per terra, mare e aria, desiderosi di essere di più, trova nella rete alberghiera i punti obbligati di passaggio e di riferimento.


3. Signori direttori d'albergo, se il tipo del vostro lavoro è proiettato per sua natura all'obiettivo primario dello sviluppo della promozione umana, esso registrerà un miglioramento di qualità non solo nella misura in cui le vostre attrezzature ricettive saranno sempre più moderne e confortevoli, ma soprattutto nella misura in cui saranno a servizio dell'uomo, con la prevalenza del calore umano e del rispetto della persona. Ebbene, io voglio dirvi che quanto più esse saranno umane, tanto più saranno cristiane.

Voi siete qui, nella particolare circostanza in cui il mondo cattolico celebra il 1950° anniversario della Redenzione, che segna pure l'evento della grande riconciliazione con Dio e degli uomini tra di loro. Siete venuti a Roma, città per eccellenza di fede, di storia, di cultura, da due millenni traguardo di ininterrotti movimenti di studi e di pellegrinaggi.

Ebbene, il Figlio di Dio, venuto sulla terra per redimere e riconciliare, nella sua esperienza umana non si è sottratto alla dura prova di mancanza, anzi di rifiuto di alloggio. "Non c'era posto per loro nell'albergo", annota amaramente l'evangelista, per Maria e Giuseppe, che venivano da lontano (Lc 2,7). E Gesù dirà nelle sue peregrinazioni apostoliche: "Il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo" (Mt 8,20).

Ma egli non ha mancato di emanare, come norma universale per tutti i tempi e per tutti i luoghi, il suo codice di accoglienza, sintetizzabile nel principio di identificazione. Chi accoglie un uomo, chiunque sia, accoglie lui. E chi accoglie ogni uomo come figlio di Dio compie non solo un dovere di carità cristiana, ma svolge anche un esercizio di alta umanità e di profondo rinnovamento sociale.

Egregi signori, nel darvi il mio saluto di commiato, intendo rivolgervi l'augurio di essere sereni operatori di riconciliazione universale. E con questi sentimenti imparto di cuore a tutti la benedizione apostolica.

Data: 1984-02-18 Data estesa: Sabato 18 Febbraio 1984




Al Giubileo degli artisti - Santa Maria sopra Minerva (Roma)

Titolo: Il Beato Angelico proclamato patrono degli artisti

Testo:


1. "A te voglio cantare davanti agli angeli" (Ps 137,1).

In questo incontro liturgico desideriamo onorare un uomo a cui fu attribuito il nome di "Angelico". E la sua vita - in profonda sintonia col soprannome datogli - fu uno straordinario "canto" a Dio: "un canto davanti agli angeli". Con tutta la sua vita canto la gloria di Dio, che egli portava come un tesoro nel profondo del suo cuore ed esprimeva nelle opere d'arte.

Frà Angelico è rimasto nella memoria della Chiesa e nella storia della cultura come uno straordinario religioso-artista, figlio spirituale di san Domenico, col pennello espresse la sua "summa" dei misteri divini, come Tommaso d'Aquino la enuncio col linguaggio teologico. Nelle sue opere i colori e le forme "si prostrano verso il tempio santo di Dio" (Ps 137,2), e proclamano un particolare rendimento di grazie al suo nome.

L'eccezionale, mistico fascino della pittura di frà Angelico, ci obbliga a fermarci incantati davanti al genio che l'ha generata e ad esclamare col salmista: "Quanto è buono Dio con i giusti, con gli uomini dal cuore puro!" (Ps 72,1).


2. Guardare al Beato Angelico è guardare a un modello di vita in cui l'arte si rivela come un cammino che può portare alla perfezione cristiana: egli fu un religioso esemplare e un grande artista. Soprannominato "Angelico" per la bontà del suo animo e per la bellezza dei suoi dipinti, frà Giovanni da Fiesole fu un sacerdote-artista che seppe tradurre in colori l'eloquenza della parola di Dio.

Se trasse dal focolare domestico una fede limpida e vigorosa, egli ebbe dall'Ordine dei Domenicani, nel quale entro nel 1420, un'approfondita conoscenza della dottrina sacra e uno stimolo ad annunziare il mistero della salvezza mediante il ministero sacerdotale e la pittura.

Il Beato Angelico, consacrandosi a Dio, consegui d'essere maggiormente uomo, non solo con gli altri ma per gli altri; le sue opere sono un messaggio perenne di cristianesimo vivo, e al tempo stesso un messaggio altamente umano, fondato sul potere trasumanante della religione, in virtù del quale ogni uomo che viene a contatto con Dio e i suoi misteri torna ad essere simile a lui nella santità, nella bellezza, nella beatitudine; un uomo cioè secondo i disegni primigeni del suo Creatore (cfr. Pio XII, AAS 47 [1955] 289).

Egli rese vero nella propria vita il legame organico e costitutivo che c'era tra il cristianesimo e la cultura, fra l'uomo e il Vangelo. In lui la fede è diventata cultura e la cultura è diventata fede vissuta. Fu un religioso che seppe trasmettere, con l'arte, i valori che sono alla base del modo di vita cristiano.

Fu un "profeta" dell'immagine sacra: seppe raggiungere le vette dell'arte traendo ispirazione dai misteri della fede (cfr. Pio XII, AAS 47 [1955] 285). In lui l'arte diventa preghiera.

Decretando gli onori liturgici a frà Giovanni da Fiesole ho inteso riconoscere la perfezione cristiana al sommo pittore, innovatore efficace e sincero della spiritualità artistica, ma ho voluto anche testimoniare il profondo interesse della Chiesa al progresso della cultura e dell'arte, e al dialogo fecondo con esse.


3. In questa basilica romana di Santa Maria sopra Minerva, che custodisce la tomba del Beato Angelico e che sorge a fianco del convento in cui egli attese il tramonto della sua giornata terrena il 18 febbraio 1455, siete riuniti questa sera, voi, amici artisti, ai quali fra, Angelico è particolarmente caro.

A voi, professionisti dell'arte, dalle molteplici e affascinanti espressioni, porgo il mio cordiale saluto. Rivolgo il mio affettuoso pensiero a voi, architetti, a cui è istintivo il senso della proporzione e il gusto dello spazio; a voi, scultori e pittori, artisti dei volumi plastici e delle tonalità cromatiche, che vi siete dati convegno assieme agli artisti del canto, della musica, della danza e dello spettacolo, come per integrarvi in un concerto di valori umani e spirituali da offrire alla società di oggi; a voi, docenti di accademie e di facoltà universitarie, dirigenti di istituti d'arte internazionali, direttori di musei, pinacoteche, gallerie; in una parola, a voi tutti che appartenete a quel mondo culturale in cui nascono e si espandono i fenomeni artistici.

A tutti dico: "Amici della vera arte, voi siete amici anche nostri". Nel ripetere questa frase dei padri del Concilio nel messaggio agli artisti, il mio pensiero pieno di apprezzamento e di ammirazione si estende ad ogni spirito umano innamorato del bello e all'intero mondo degli artisti, non solo di Roma e d'Italia, ma di tutti i continenti.

Ma uno speciale saluto voglio rivolgere anche ai signori cardinali e ai fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, che partecipano a questa assemblea eucaristica. Mi compiaccio altresi della presenza di autorevoli personalità, particolarmente del signor ministro dei Beni culturali d'Italia, che si sono mostrate sensibili al motivo di questo incontro. Rivolgo infine un doveroso saluto anche al padre maestro Damiano Byrne e alla famiglia domenicana.


4. Come Vescovo di Roma desidero esprimere la mia sincera gioia di poter celebrare il Sacrificio eucaristico in questa basilica tanto legata alle tradizioni dell'ordine dei Frati Predicatori nel giorno anniversario del "dies natalis" di un insigne domenicano. Ma la mia gioia è ancora più grande perché l'incontro di stasera è anche la celebrazione del Giubileo degli artisti in occasione dell'Anno Santo della Redenzione. Al termine di una settimana che ha visto promosse numerose iniziative religiose, culturali e artistiche meritevoli di sincero plauso, voi, cari amici artisti, siete qui convenuti per il vostro Giubileo.

In quest'Anno Santo non solo le singole persone, ma anche i diversi gruppi e ambienti cercano di ritrovare la loro "parte speciale" nel Giubileo straordinario della Chiesa, domandandosi: quale rapporto ha l'opera della Redenzione di Cristo con la nostra vita, con la nostra vocazione, con la nostra professione? Gli artisti si pongono questa domanda, raccogliendosi intorno alla figura di frà Angelico. E lo fanno giustamente. Infatti tutta l'opera di questo artista di Dio si sviluppa dal profondo del mistero della Redenzione, dalla sua ricchezza divino-umana.


5. Quale rapporto ha la vocazione e la creazione dell'artista con il messaggio dell'Anno Giubilare della Redenzione? Proviamo a cercare la risposta a questo interrogativo sulle tracce del Beato Angelico, seguendo i testi dell'odierna liturgia.

Andiamo dunque alla Sacra Scrittura, che è stata la fonte principale d'ispirazione per frà Angelico. Del resto, non solo per lui. Per quanti artisti, nella storia della cultura, questa fonte d'ispirazione si è dischiusa nelle sue davvero inesauribili risorse! così è stato nelle epoche passate, e così è anche nella nostra epoca. E ogni epoca, attingendo alla stessa fonte, risponde alla sua ispirazione secondo le impostazioni sempre nuove, con tutta la ricchezza e la diversità degli stili e delle scuole artistiche nella letteratura, nella pittura, nella scultura, nella musica e nel teatro.

Per il Beato Angelico la parola di Dio era, sia per la sua vita che per la sua opera creativa, fonte d'ispirazione, alla cui luce creava le proprie opere, e, allo stesso tempo, creava soprattutto se stesso, sviluppando le sue doti naturali eccezionali e corrispondendo alla grazia divina.


6. Questa creatività costitui una specifica pienezza di quella "vita secondo lo Spirito", della quale parla l'apostolo Paolo nella Lettera ai Romani (prima lettura). Vivere secondo lo Spirito vuol dire: "tendere verso ciò che lo Spirito vuole" (cfr. Rm 8,5). I desideri dello Spirito "portano alla vita e alla pace" (Rm 8,6). Diversamente dai "desideri della carne, essi si sottomettono alla legge di Dio" (cfr. Rm 8,7) e rendono l'uomo capace di una tale sottomissione. Essa non è qualcosa di passivo, ma di interiormente creativo. Nel sottomettersi alla Legge di Dio, cioè alla Verità, lo spirito umano diventa creativo e insieme sensibile a quella creatività, che lo Spirito di Dio opera in lui.

In questo cammino si comunica nell'uomo anche il riflesso della predilezione divina, cioè la grazia. Mediante la grazia lo Spirito di Dio abita nell'uomo e l'uomo "appartiene a lui" come amico e sposo.

Quella soprannaturale creatività della grazia di Dio trova a sua volta il proprio riflesso nell'agire dell'uomo. E se quell'uomo è un artista, anche nel suo operare artistico, nella sua creatività.


7. Questa verità trova espressione anche nell'odierno Vangelo secondo Matteo.

Cristo dice: "così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16).

Cristo parla della "luce delle opere buone". Andando oltre - nella sfera della vocazione artistica - si potrebbe parlare con buona ragione della "luce delle opere umane". Questa luce è la bellezza; la bellezza infatti, come "splendore della forma", è una luce particolare del bene contenuto nelle opere dell'uomo-artista. Anche sotto quest'ottica, si può comprendere e interpretare la frase di Cristo circa l'albero buono e i frutti buoni, e circa l'albero cattivo e i frutti cattivi.

"così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produce frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere" (Mt 7,17-20).

Penso che frà Angelico si sentisse profondamente chiamato da questo paragone di Cristo a una duplice creatività: creava le opere e simultaneamente creava se stesso! La Chiesa presenta lo stesso invito alla meditazione di tutti gli artisti dicendo: cercate adeguata proporzione tra la bellezza delle opere e la bellezza dell'anima.


8. Questo magnifico processo creativo ha la sua fonte nascosta nell'intimo dell'uomo. L'evangelista ci esorta a cercare le radici della luce degli atti umani, come pure delle opere dell'uomo-artista, nella luce interiore della coscienza. Ecco "la luce che è in te!". Essa - la coscienza - deve, prima di tutto, essere luce, e non può diventare tenebre. "Se (dunque) la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!" (Mt 6,23).

E dunque - nella parola di Dio dell'odierna liturgia - è contenuta l'esortazione a coltivare la coscienza umana. E si parla in senso stretto della coscienza morale, ma anche della "coscienza artistica". Qual è il reciproco rapporto di questi due concetti?


9. Nella parola di Dio dell'odierna liturgia è contenuta anche l'esortazione ad amare i beni indistruttibili, i valori che non passano. Pensiamo ai valori che non passano, che si sono espressi nelle opere d'arte. Le opere, alle quali la memoria umana fa costante riferimento, alle quali ritorna sempre.

Cristo tuttavia pensa a ciò che è valore non transitorio davanti a Dio: "Accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore" (Mt 6,20-21).

Uomini dell'arte! Il vostro cuore certamente è nella bellezza delle opere del genio umano, come pure nella vostra propria creatività. Il mio augurio è che al tempo stesso voi possiate portare in voi quel senso evangelico di proporzione, del quale ci parla Cristo, l'artista divino, e il suo discepolo: l'artista frà Angelico.


10. Ecco, egli sembra parlare al suo Maestro con le seguenti parole del salmo dell'odierna liturgia: "Mi guiderai con il tuo consiglio / e poi mi accoglierai nella tua gloria. / Chi altri avro per me in cielo? / fuori di te nulla bramo sulla terra" (Ps 72,24-25). "La roccia del mio cuore è Dio, / è Dio la mia sorte per sempre. / Il mio bene è stare vicino a Dio; / nel Signore Dio ho posto il mio rifugio, / per narrare le tue opere" (Ps 72,26 Ps 72,28).

Così quasi "si confessa" davanti a noi il nostro beato; e in questa confessione, in questa professione egli esprime la profondità della sua comunione con Dio, col mistero della Redenzione.


11. Poniamoci sul limite ultimo di tutti i problemi umani verso il quale ci chiama san Paolo con le parole della lettera ai Romani. Questo limite è posto tra la vita e la morte.

Ecco, dice l'apostolo: "Se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo Spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi" (Rm 8,10-11).

E' iscritta nell'animo umano la chiamata all'immortalità. Essa è iscritta nell'animo dell'artista, quando con l'opera del proprio talento, del suo genio, cerca di superare il limite del transeunte e della morte.

Cristo ha dato a ciascuno di noi l'immortalità del suo Santo Spirito. Ci ha chiamati all'immortalità.

Viviamo secondo lo Spirito! Accogliete questo messaggio! E' il messaggio agli artisti nell'Anno giubilare della Redenzione. Fatelo vostro e trasmettetelo ai vostri fratelli. La Chiesa vi consente di sperimentare la misericordia di Dio, mediante l'indulgenza giubilare a misura della vostra disponibilità alla grazia.

Essa vi affida il compito di far intendere, con il vostro lavoro artistico, all'uomo, che vive e soffre il suo dramma, che tutta la vita è immersa nella Redenzione, respira la Redenzione, e che "ogni esistenza umana e l'intera storia dell'umanità ricevono pienezza di significato soltanto dall'incrollabile certezza che Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" ("Aperite portas Redemptori", 8).

Ecco il messaggio del beato artista, frà Angelico. Restiamo in ascolto della sua parola! Camminiamo nella direzione di questa profondità da lui indicataci.

E perché questo sia facile a tutti, in particolare alla categoria degli artisti, accogliendo le domande fatte dall'Ordine domenicano, da molti vescovi e da vari artisti, proclamo il Beato Angelico patrono presso Dio degli artisti, specialmente dei pittori. A gloria di Dio. Amen.

Data: 1984-02-18 Data estesa: Sabato 18 Febbraio 1984




Omelia al rito di beatificazione - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La testimonianza di fede dei martiri di Angers e G. Mazzucconi

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. "Chi ci separerà dall'amore di Cristo?" (Rm 8,35).

Questa è la domanda posta un tempo dall'apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani. Aveva allora davanti agli occhi le sofferenze e le persecuzioni della prima generazione di discepoli, testimoni di Cristo. Le parole di tribolazione, angoscia, fame, nudità, pericolo, persecuzione, supplizio, massacro "come pecore da macello" descrivevano realtà molto precise, che erano - o sarebbero state - l'esperienza di molti di coloro che si erano uniti a Cristo, o piuttosto che avevano accolto nella fede l'amore di Cristo. Egli stesso avrebbe potuto enumerare le prove che aveva già subito (cfr. 2Co 6,4-10), mentre attendeva il suo martirio qui, a Roma. E oggi la Chiesa, con i martiri dal XVIII e del XIX secolo, si domanda a sua volta "chi ci separerà dall'amore di Cristo?".

San Paolo si affretta a dare una risposta certa a questa domanda: "Niente ci separerà dall'amore di Cristo che è in Gesù Cristo nostro Signore", niente, neppure la morte, né le forze misteriose del mondo, né l'avvenire, né alcuna creatura (cfr. Rm 8,38-39).

Poiché Dio ha dato il suo unico Figlio per il mondo, poiché questo Figlio ha dato la sua vita per noi, un tale amore non verrà mai meno. E' più forte d'ogni cosa. Custodisce nella vita eterna coloro che hanno amato Dio al punto da dare la loro vita per lui. I regimi di persecuzione passano. Ma questa gloria dei martiri rimane. "Noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati" (Rm 8,37).


2. Questa è la vittoria che hanno riportato i martiri elevati oggi alla gloria degli altari con la beatificazione.

a) Essi sono innanzitutto i numerosissimi martiri che, nella diocesi di Angers, ai tempi della Rivoluzione francese, hanno accettato la morte poiché volevano, secondo le parole di Guillaume Repin, "conservare la loro fede e la loro religione", fortemente uniti alla Chiesa cattolica e romana; sacerdoti, rifiutarono di prestare un giuramento giudicato scismatico, non vollero abbandonare il loro incarico pastorale; laici, rimasero fedeli a questi sacerdoti; alla messa celebrata da loro, ai segni del loro culto a Maria e ai santi. Senza dubbio, in un contesto di grandi tensioni ideologiche, politiche e militari, si è potuto far pesare su di loro dei sospetti di infedeltà alla patria, li si è, nelle "motivazioni" delle sentenze, accusati di compromissione con "le forze anti-rivoluzionarie"; è del resto così in quasi tutte le persecuzioni, di ieri e di oggi. Ma per gli uomini e le donne i cui nomi sono stati ricordati - tra molti altri senza dubbio parimenti meritevoli - quello che hanno realmente vissuto, quello che hanno risposto agli interrogatori dei tribunali non lascia alcun dubbio sulla loro determinazione a restare fedeli - a rischio della loro vita - a ciò che la loro fede esigeva, né sul motivo profondo della loro condanna, l'odio per questa fede che i loro giudici disprezzavano come "devozione insostenibile" e "fanatismo". Noi rimaniamo ammirati davanti alle risposte decisive, calme, brevi, franche, umili, che non hanno niente di provocatorio, ma che sono nette e ferme sull'essenziale: la fedeltà alla Chiesa. così parlano i sacerdoti, tutti ghigliottinati come il loro venerabile decano Guillaume Repin, i religiosi che rifiutano persino di far credere di aver prestato giuramento, i quattro laici: è sufficiente citare la testimonianza di uno di loro (Antoine Fournier): "Voi vi sottoporreste dunque alla morte in difesa della vostra religione?". "Si". così parlano le ottanta donne che non si è potuto accusare di ribellione armata! Alcune avevano già espresso prima il desiderio di morire per il nome di Gesù piuttosto che rinunciare alla religione (Renée Feillatreau).

Veri cristiani, testimoniano così, col loro rifiuto di odiare i loro carnefici, con il loro perdono, il loro desiderio di pace per tutti: "Non ho pregato il buon Dio che per la pace e l'unità di tutto il mondo" (Marie Cassin).

Infine, i loro ultimi momenti manifestavano la profondità della fede. Alcuni cantavano inni e salmi fino al luogo del supplizio. "Essi chiesero alcuni minuti per rendere a Dio il sacrificio della loro vita, che essi fecero con tanto fervore che i loro carnefici stessi ne rimasero stupiti". Suor Marie-Anne, Figlia della carità, conforta così la sua consorella: "Noi avremo la felicità di vedere Dio e di possederla per tutta l'eternità... e ne saremo posseduti senza paura di esserne separati" (testimonianza dell'abate Gruget).

Oggi questi novantanove martiri d'Angers sono associati, nella gloria della beatificazione, al primo di loro, l'abate Noël Pinot, beatificato da circa sessant'anni. Si, le parole dell'apostolo Paolo trovano qui splendido riscontro: "Noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati".

b) Analoga testimonianza di fede adamantina e di carità ardente è stata data alla Chiesa e al mondo dal padre Giovanni Mazzucconi, che consumo nel martirio la sua giovane esistenza di sacerdote e di missionario. Membro, tra i primi, del Pontificio istituto missioni estere di Milano, sentiva che le missioni erano "il segreto desiderio" del suo cuore. All'orizzonte della sua vita egli intravedeva un'unione ancora più profonda con il Cristo, unione che lo avrebbe accomunato alle sofferenze e alla croce del suo Signore e Maestro, proprio a motivo del suo impegno instancabile per l'evangelizzazione: "Beato quel giorno in cui mi sarà dato di soffrire molto per una causa si santa e si pietosa, ma più beato quello in cui fossi trovato degno di spargere per essa il mio sangue e incontrare fra i tormenti la morte".

Sennonché il messaggio cristiano, che il Mazzucconi proclamava agli indigeni di Woodlark, era un'aperta condanna della loro condotta che giungeva fino agli orrori dell'infanticidio. E nonostante l'immensa carità e l'indefessa dedizione dal beato, la sua predicazione provocava irritazione e odio. Ma egli era soprannaturalmente sereno, in mezzo ai disagi, alle febbri, alle opposizioni, perché viveva intimamente unito a Dio. Parafrasando le parole di san Paolo, poteva scrivere: "So che Dio è buono e mi ama immensamente. Tutto il resto: la calma e la tempesta, il pericolo e la sicurezza, la vita e la morte, non sono che espressioni mutevoli e momentanee del caro Amore immutabile, eterno".


3. Per tutti questi martiri, di epoche diverse, si sono adempiute le parole del Cristo agli apostoli: "Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali... Sarete condotti davanti ai governanti.. per causa mia... Il fratello darà morte al fratello... E sarete odiati da tutti a causa del mio nome (Mt 10,17-22). Difatti molti tra i martiri d'Angers sono stati arrestati nella loro casa o nel loro nascondiglio, perché altri li avevano denunciati. Ci si è accaniti contro di loro, uomini e donne senza difesa, con un disprezzo difficilmente comprensibile. Hanno conosciuto l'umiliazione della rappresaglia e delle prigioni insalubri; hanno affrontato tribunali ed esecuzioni sommarie.

Il padre Mazzucconi, poi, ricevette il colpo mortale di scure da un indigeno, che, salito sulla nave e avvicinatosi, facendo finta di salutarlo amichevolmente gli porgeva la mano da stringere.

Tutto questo avverrà - diceva Gesù - "per dare una testimonianza a loro e ai pagani". Si, i nostri martiri hanno potuto render testimonianza di fronte ai loro giudici, ai loro carnefici, e davanti a coloro che assistevano come spettatori al loro supplizio, al punto che costoro "non potevano trattenersi dall'essere stupiti e dal dire, allontanandosi, che c'era in quelle morti qualcosa di straordinario, che solo la religione può ispirare negli ultimi istanti" (Diario del sacerdote Simon Gruget). Gesù aveva annunciato tale mistero: "Chi persevererà sino alla fine sarà salvato" (Mt 10,22). E come persevererà? "Non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire... E' lo Spirito del padre vostro che parla in voi" (Mt 10,19-20).

Si, quelli che restano fedeli allo Spirito Santo sono sicuri di poter contare sulla sua forza, nel momento di render testimonianza in una maniera che sconcerta gli uomini.


4. E' mediante la potenza di Dio che i martiri hanno riportato la vittoria. Essi hanno contemplato la forza dell'amore di Dio: "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?" (Rm 8,31). Essi hanno fissato il loro sguardo sul sacrificio di Cristo: "Dio... ha dato il proprio Figlio per tutti noi; come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?" (Rm 8,32).

In una parola, essi hanno partecipato al mistero della Redenzione, che consumato dal Cristo sul Calvario, si prolunga nel cuore degli uomini lungo il corso della loro storia. Ho recentemente invitato tutti i fedeli della Chiesa a meditare su questa sofferenza redentrice. Per i martiri, la croce di Cristo è stata, nello stesso tempo, la sorgente misteriosa del loro coraggio, il senso della loro prova, il modello per rendere testimonianza all'amore del Padre, mediante il loro sacrificio, unito a quello del Cristo, e per giungere con lui alla risurrezione.


5. La sicurezza dei martiri era così espressa dall'autore ispirato del Libro della Sapienza (cfr. Sg 3,1-9): "Le anime dei giusti... sono nelle mani di Dio... la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro dipartita da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità... Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé".

Nel 1793 e 1794, per i beati compagni di Guglielmo Repin; nel 1855, per il beato Giovanni Mazzucconi, coloro che li facevano morire, e un certo numero dei loro compatrioti, pensavano a un castigo e a un annientamento; si credeva che le fosse in cui erano stati ammucchiati alla rinfusa sarebbero state dimenticate per sempre. Ma essi "sono nelle mani di Dio". "Li ha graditi come un olocausto. Nel giorno del loro giudizio risplenderanno; come scintille nella stoppia correranno qua e là. Governeranno le nazioni... e il Signore regnerà per sempre su di loro" (Sg 3,6-8). La memoria della Chiesa non li ha dimenticati: molto presto sono stati venerati, si è ascoltato il loro messaggio, sono stati invocati, si è avuta fiducia nella loro intercessione presso Dio. E oggi essi risplendono, scintillano ai nostri occhi, perché la Chiesa sa che essi sono beati, e che "vivranno presso Dio nell'amore" (cfr. Sg 3,9).


6. Questa beatificazione sarà una tappa nuova per tutti noi, per la Chiesa, e in particolare per i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli delle diocesi della Francia occidentale alle quali sono appartenuti questi beati, come per il Pontificio istituto per le missioni estere, per la città di Lecco e per tutta l'arcidiocesi di Milano, senza dimenticare la Papuasia-Nuova Guinea.

E' per tutti loro una gioia profonda sapere presso Dio coloro che sono loro vicini per sangue o nazionalità, poter ammirare la fede e il coraggio dei loro compatrioti e dei loro confratelli. Ma questi martiri ci invitano anche a pensare alla moltitudine di credenti che vengono perseguitati anche oggi, nel mondo, in modo nascosto, lancinante, ancor più grave, perché comporta la mancanza di libertà religiosa, la discriminazione, l'impossibilità di difendersi, l'internamento, la morte civile, come dicevo a Lourdes lo scorso mese d'agosto: la loro prova ha punti in comune con quella dei nostri beati.

lnfine, dobbiamo domandare per noi stessi il coraggio della fede, della completa fedeltà a Gesù Cristo, alla sua Chiesa, nel momento della prova come nella vita quotidiana. Il nostro mondo troppo spesso indifferente o inconsapevole attende dai discepoli di Cristo una testimonianza inequivocabile, cioè, come quella dei martiri celebrati oggi: Gesù Cristo è vivo; la preghiera e l'Eucaristia ci sono essenziali per vivere della sua vita e la devozione a Maria ci mantiene suoi discepoli; il nostro attaccamento alla Chiesa è tutt'uno con la nostra fede; l'unità fraterna è il segno per eccellenza dei cristiani; la vera giustizia, la purezza, l'amore, il perdono e la pace sono frutti dello Spirito di Gesù; l'ardore missionario fa parte di questa testimonianza; noi non possiamo tenere nascosta la nostra lampada accesa.


7. Questa beatificazione ha luogo nel cuore dell'Anno Giubilare della Redenzione.

Questi martiri illustrano la grazia della Redenzione che hanno essi stessi ricevuto. Ne sia resa gloria a Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. "Noi ti lodiamo Dio... E' te che la stirpe dei martiri testimonia".

Sia lodato Dio che ravviva così la nostra fede, la nostra azione la nostra vita! Oggi è col sangue dei nostri beati che sono scritte per noi le ispirate parole di san Paolo: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Né la vita, né la morte... né presente, né avvenire... né alcun'altra creatura, niente potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Signore". Amen.

Data: 1984-02-19 Data estesa: Domenica 19 Febbraio 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Ad ammalati tedeschi - Città del Vaticano (Roma)