GPII 1984 Insegnamenti - All'incontro conclusivo con i giovani - Bari

All'incontro conclusivo con i giovani - Bari

Titolo: E' nel cuore che va cercato il senso vero della giovinezza

Testo:

Carissimi giovani!


1. L'incontro con voi, a conclusione di questa indimenticabile giornata ricca di emozioni, mi allieta profondamente e mi fa già pregustare quelli che avro fra qualche settimana con i giovani di tutto il mondo, allorché converranno a Roma per la celebrazione del Giubileo della Redenzione.

Le vostre voci trovano immediata rispondenza nel mio animo. Mi dicono la vostra esuberante volontà e la vostra gioia di vivere. Non mi nascondono, tuttavia, i problemi che vi assillano e tentano di soffocare gli entusiasmi di codesta primavera della vita.

A voi e a tutti i vostri coetanei, che siete le promettenti speranze della cara Chiesa di Bari, io porto un affettuoso messaggio di fede, di speranza e di impegno. perciò mi pongo sulla soglia del vostro cuore, sicuro che voi mi concederete volentieri la gioia e il privilegio di parlarvi col semplice e trasparente linguaggio dell'amore.

Aprendovi il mio cuore, cari giovani, vi invito a rientrare in voi stessi e a riflettere sull'orientamento da dare alla vostra vita.


2. Sono convinto che voi, quali giovani fervidi di entusiasmo, pieni di generosità e di spirito di sacrificio, saprete compiere ogni sforzo in vista della propria "autorealizzazione", e che nella serena apertura agli ideali più nobili e nella costante operosità, troverete la forza di far fronte a difficoltà di vario genere, senza lasciarvi condizionare da quei fenomeni di delusione, d'insoddisfazione, d'insicurezza che assumono talora dimensioni vistose e preoccupanti, quando si traducono in forme di profonda inquietudine, e sfociano in disorientamenti del pensiero e del cuore, facendo perdere la fiducia verso il futuro, che è la molla propulsiva della stagione giovanile.

Tra pochi anni, carissimi giovani, sarete nel pieno della vostra maturità: sarete gli uomini del Duemila! Allora, tornando indietro col pensiero, vi domanderete non solo che cosa abbia dato a voi la società ma, anche e soprattutto, che cosa voi avete fatto per essa. La scadenza bimillenaria ha le sue premesse nell'oggi, in cui si esplica il vostro impegno personale e comunitario; nell'oggi, che avete ereditato dal passato e in cui si configura la piattaforma della tradizione che voi, a vostra volta, dovrete trasmettere alle generazioni future.


3. Abbiate coscienza del valore della giovinezza, delle sue possibilità, come pure dei suoi limiti. E' nel cuore, prima che altrove, che va cercato il senso vero e totale della giovinezza. Essa non è semplicemente un raccordo di transizione fatalisticamente posto all'incrocio tra l'eredità del passato e le prospettive dell'avvenire. Se bastasse il criterio del tempo, avrebbe ragione quella polemica che suole inserirsi da sempre nei rapporti tra una generazione e l'altra. La giovinezza ha un valore in se stessa; per ciò che è; per ciò che dà. Per la stessa verità del suo essere. Per la fecondità del suo dare.

Se agli adulti incombono gravi doveri verso i ceti giovanili, voi giovani dovete avere una chiara consapevolezza di ciò che siete. Questo è un presupposto elementare perché possiate dare una risposta valida ai problemi personali e contribuire a rivitalizzare l'ambiente in cui vivete non come spettatori né, tanto meno, come contestatori, ma come veri protagonisti volenterosi e responsabili. Questa consapevolezza ha il suo principale pilastro nel senso di Dio e nel primato dei valori spirituali e morali, vera sorgente di serenità anche in quelle circostanze che, per molti motivi, rendono più pesante la fatica di essere uomini.


4. Abbiate pertanto una coscienza cristiana sempre più robusta e coerente. La fede avvalora il senso della giovinezza, non lo mortifica. Non abbiate perciò paura di aderire a Cristo. Tutto ciò che di grande e di buono andate cercando, lo troverete in lui. Poiché Cristo è la luce in senso assoluto: dissipa ogni ombra, abbatte le incertezze, sconfigge i dubbi, assicura le più belle conquiste.

Cristo dà un significato preciso a quel senso di religiosità che non manca nella gioventù moderna, nel momento in cui assistiamo al tramonto delle ideologie. Cristo arricchisce di contenuto e di slancio quei messaggi umanitari, in cui si pensa talvolta di poter esaurire il fenomeno religioso. Cristo conferisce concretezza al generico bisogno di trascendenza che germoglia tra i ruderi di concezioni materialistiche in via di disfacimento. Cristo offre fondamenti sicuri e stabili a chiunque decida di costruire l'edificio della propria esistenza non sulle sabbie mobili, ma sulla solida roccia.

Non v'è oggi un giovane o una giovane che non possa trovare nel verbo cristiano benefici fermenti per il proprio spirito. Non v'è delusione, dissipazione, peccato, che, in Cristo, non possano essere superati; come non v'è anelito, necessità, speranza che, immessi nell'orbita di Cristo, Signore e Redentore, non ricevano i benefici sperati.

E vero, Cristo è esigente. Domanda tutto. Fa appello a una generosità incondizionata. Ma è proprio per questa totalità che il cristianesimo rimane una religione sempre attuale ed è destinato a trovare piena sintonia con la coscienza giovanile, la quale è incline alla totalità della donazione, aliena dalle mezze misure, ostile al formalismo e alla superficialità. Al giovane, Cristo apre un orizzonte immenso. Gli svela i rapporti che corrono tra l'eterno e il tempo, tra la vita futura e quella presente. Gli mostra che c'è un nesso profondo tra la verità e il bene, e che pertanto il livello morale di un'esistenza dipende essenzialmente dalla propria capacità di coerenza, che ha radici nella sfera intima del pensiero e del cuore.

La vocazione cristiana, cari giovani, richiede che sia manifestata anche all'esterno, dapprima tra il mondo dei vostri coetanei, perché esso attraverso di voi possa ricevere la parola di Cristo e comprenderne tutto il suo fascino.

Richiede che si espanda in ogni ambiente della vita comunitaria, perché la vostra partecipazione alle gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angosce degli uomini d'oggi si traduca in un vostro concreto apporto ai grandi valori verso i quali siete particolarmente sensibili: il rispetto della vita umana fin dal primo germoglio, la libertà, l'onestà, la fratellanza e la giustizia, la pace.


5. Abbiate inoltre una solida coscienza ecclesiale. L'appartenenza alla Chiesa, nella sua espressione locale e in quella universale, è un dono immenso e una risorsa feconda.

La Chiesa - voi lo sapete! - non ha propositi né programmi demagogici; ma la sola ambizione di amare e di servire, secondo il mandato affidatole da Cristo per tutti gli uomini e per tutti i tempi. Essa, più si interroga su se stessa, come ha fatto durante il Concilio e come fa tuttora alla luce di quel grande evento, più riscopre la propria vocazione al servizio degli uomini. Dal dialogo quotidiano col suo divino Fondatore, e confidando nelle sue promesse, essa riceve le energie necessarie per navigare con l'ardimento dei primi apostoli sui flutti della storia.

Le generazioni che salgono devono sentirsi coinvolte profondamente in questa azione della Chiesa. Con la preghiera, con la vita eucaristica, con la devozione alla Madonna, con l'esercizio dell'apostolato capillare e organizzato, con l'attività della catechesi e dell'evangelizzazione, voi dovete far risplendere quella luce che la Chiesa ha posto nelle vostre menti. Questa luce vi guidi sulle strade del genuino progresso e in quello spirito di riconciliazione che ci ripromettiamo dalla celebrazione dell'Anno Giubilare, tappa quanto mai significativa di questo ultimo scorcio del millennio cristiano.

Carissimi giovani! Ecco il messaggio che desidero lasciarvi a coronamento di questo mio pellegrinaggio. Lo depongo nel vostro cuore con fervido affetto, auspicando che dalla profondità della coscienza cristiana ed ecclesiale tutta la cara gioventù di Bari tragga alimento per la propria fedele testimonianza cristiana, mentre vi benedico tutti nel nome del Signore.

Data: 1984-02-26 Data estesa: Domenica 26 Febbraio 1984




Ai vescovi di Taiwan - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Alla Cina la Chiesa vuole offrire il messaggio di Cristo

Testo:

Venerabili fratelli nell'episcopato.

E' una vera gioia darvi il benvenuto e, attraverso di voi, poter rivolgere il mio saluto affettuoso ai vostri collaboratori nell'apostolato, alle famiglie religiose che operano tra di voi, ai fedeli affidati alla vostra cura pastorale e a tutti i vostri concittadini.

Il nostro incontro di oggi non è un semplice evento momentaneo, voi siete sempre presenti nel cuore e nella preghiera del Papa, proprio come voi rimanete uniti a lui, come mi è noto, attraverso quella solidarietà spirituale che fa della comunione col successore di Pietro un criterio di appartenenza alla Chiesa cattolica e che continua la tradizione dell'"antichissima disciplina nella quale i vescovi di tutto il mondo comunicavano tra loro e col vescovo di Roma nel vincolo dell'unità, della carità e della pace" (LG 22).

Qui in Vaticano, durante l'Anno Santo della Redenzione, siete venuti a trarre rinnovata forza presso le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, nella città stessa nella quale essi suggellarono la loro testimonianza col martirio, per proclamare al mondo ostile la loro fede in Gesù Cristo, il Redentore dell'uomo.


1. La vostra venuta fa parte della conclusione delle celebrazioni tenute a Taiwan l'anno scorso per commemorare il quarto centenario dell'arrivo in Cina di padre Matteo Ricci. So, inoltre, che state facendo preparativi per il 125° anniversario dell'evangelizzazione di Taiwan. E' un'occasione per ricordare e per ripetere a tutta la Chiesa che vivere la fede presuppone sempre un distacco, un mettere in secondo piano i propri interessi e una testimonianza personale. Voi e i vostri fedeli questo lo sapete bene, poiché avete dovuto affrontare molte prove al fine di preservare intatto quel tesoro che è la vostra fede in Gesù Cristo, "lo stesso ieri, oggi e sempre" (He 13,8).

Questa fede che non avete voluto tenere per voi stessi, perché in se stessa, come vi è stato insegnato dai valorosi missionari che vennero da voi, è fatta per essere comunicata e condivisa. A questo proposito desidero esprimervi la mia soddisfazione per il modo in cui siete riusciti ad orientare queste celebrazioni: non un volgersi nostalgicamente al passato, ma un impegno, una determinazione a proclamare, in modo sempre più coerente, Cristo e la sua Chiesa al popolo cinese d'oggi.


2. Voi siete infatti cinesi e orgogliosi d'esserlo. Appartenete a un grande popolo, che costituisce un quarto dell'umanità. Un popolo grande non solo per il suo numero ma soprattutto in ragione della sua cultura e dei suoi valori. Un popolo industrioso, anche, la cui influenza sulla pace e il benessere dell'umanità oggi e domani non può essere ignorata.

La Chiesa ha qualcosa da partecipare a questo popolo a riguardo di Dio e dell'uomo. Essa desidera offrire a questo popolo la proclamazione della verità che ha ricevuto dagli Apostoli: "Uno solo è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù che ha dato se stesso in riscatto per tutti" (1Tm 2,4-5).

In una lettera pastorale per l'anno 1981, voi stessi avete scritto: "Missionari lungimiranti... hanno considerato la proclamazione del Vangelo al popolo cinese come il loro traguardo più ambito. Essi sono venuti in Cina... col proposito di proclamare la loro fede cristiana. Noi, cinesi d'oggi, dobbiamo a nostra volta chiederci che cosa abbiamo fatto per la proclamazione del Vangelo al nostro popolo e che cosa possiamo fare nel momento presente della storia. Dobbiamo cercare di studiare accuratamente quali sono gli ostacoli principali alla nostra proclamazione nella Cina d'oggi. Dobbiamo anche studiare in quale modo efficace possiamo portare il Vangelo al nostro popolo" (Conferenza episcopale cinese, lettera pastorale per il quarto centenario della venuta di padre Ricci in Cina, 3 dicembre 1981).


3. Si, cari fratelli, come avete chiaramente capito, la verità di Cristo che voi dovete proclamare raggiunge le persone così come esse sono, situate nel tempo e nello spazio. A voi, amati figli della nazione cinese, è stato affidato il compito di trasmettere il messaggio di fede in termini che possono essere capiti dai vostri compatrioti vicini o lontani.

Per la Chiesa questo problema non è nuovo. Fin dalle sue origini, ha dovuto saper congiungere la sua fede e la formulazione di essa con la cultura circostante. E nel far ciò, l'ha rispettata traendo da essa tutti i suoi migliori elementi. I missionari, dei quali celebrate l'opera apostolica tra di voi, hanno fatto proprio questo. Hanno assimilato i vostri tesori e vi hanno dato i loro, cosicché fosse conosciuto e amato l'unico tesoro che può essere posseduto quaggiù: Gesù Cristo.

Oggi la fiaccola è passata nelle vostre mani. Dovete essere presenti al cuore di quell'insieme di valori che costituisce la cultura di un popolo, i valori nei quali un popolo si riconosce, oltre e al di sopra delle vicissitudini e le momentanee separazioni della storia. E la Chiesa - come ho avuto occasione di dire a conclusione del congresso internazionale dedicato a Matteo Ricci nel 1982 - "sensibile alle doti spirituali di ogni popolo, non può non guardare al popolo cinese - il più numeroso della terra - come a una grande realtà unitaria, crogiolo di elevate tradizioni e di fermenti vitali e quindi, nello stesso tempo, come a una grande e promettente speranza" (discorso alla Pontificia Università Gregoriana, 26 ottobre 1982).


4. La Chiesa che vive a Taiwan è più particolarmente aperta a questa realtà. Non vive ripiegata su se stessa, rimpiangendo il passato o piena di paura. Essa prega, si santifica e lavora "perché la parola di Dio si diffonda e sia glorificata" (2Tm 3,1). Dalla lontanissima epoca della dinastia dei Tang (tra il 617 e il 917) che è di solito considerato il periodo in cui comincio l'evangelizzazione della terra cinese, fino al 1984, la parola di Cristo, il suo messaggio e la sua Chiesa non hanno perso niente del loro potere creativo, della loro luce e novità, perché Gesù Cristo è con noi "fino alla fine del mondo" (Mt 28,20) e questa parola riconciliante ha preso la forma di una croce che lega tra loro le persone più diverse. Dobbiamo sempre imparare il loro linguaggio, il loro modo di parlare e le loro usanze, per parlare loro del piano di Dio Padre col quale Gesù, mediante il suo sacrificio, ci ha espresso e mostrato il suo amore.

E' a voi, cattolici di Taiwan e della diaspora, che è affidato questo magnifico compito di essere una Chiesa-ponte per i vostri compatrioti del continente. Là altri fratelli e sorelle cristiani prendono la consegna, per il momento nascosti come seme nella terra. Ma tutti questi sforzi, tutti questi sacrifici non possono rimanere senza frutto: verrà il giorno in cui Gesù potrà essere proclamato, trasmesso e celebrato in modo più visibile nella cultura, nelle aspettative e aspirazioni di tutta la nazione cinese che la Chiesa rispetta e ama profondamente.


5. Cari fratelli, voglio incoraggiare voi e il vostro popolo fedele a perseverare, pregare e soffrire per essere sempre più aperti al piano di Dio che nonostante tutto si svolge nella storia di ogni popolo: "Non temere... lo Spirito Santo scenderà su di te... Nulla è impossibile a Dio" (Lc 1,30-38), come disse l'angelo a Maria.

Pensando a voi, il Papa desidera dirvi, con tutta la Chiesa che non vi dimentica e che conosce le vostre vicissitudini, ciò che l'Apostolo ha scritto ai cristiani di Colossi: "Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, per le notizie ricevute circa la vostra fede in Gesù Cristo e la carità che avete verso tutti i santi" (Col 1,3-4).

Che il nostro zelo di raggiungere l'uomo, ogni uomo e tutto l'uomo, ci aiuti anche a scoprire l'amore vittorioso di Cristo nelle contraddizioni stesse della storia, una storia nella quale Dio avanza attraverso ciò che noi siamo tentati di considerare, umanamente parlando, ostacolo e impossibilità.

"Siate forti, riprendete coraggio, o voi tutti che sperate nel Signore" (Ps 30,5). Con lo sguardo rivolto al futuro, confortati dalla testimonianza di coloro che sono venuti prima di voi e sostenuti dalla preghiera dell'intera Chiesa, fate splendere la luce del Vangelo mediante la devozione e la santità delle vostre comunità.

E' anche un piacere per me salutare stamane i membri della comunità cinese che vive a Roma e che ha voluto accompagnare i loro vescovi in questa visita così significativa. Vi incoraggio tutti ad impegnarvi sempre più pienamente per Gesù Cristo. Vivendo con rettitudine la vostra vita quotidiana, siate testimoni del Vangelo davanti al mondo.

Col cuore colmo di affetto e di preghiera imparto a tutti voi la mia apostolica benedizione.

Data: 1984-02-28 Data estesa: Martedi 28 Febbraio 1984









Al corso su procreazione responsabile - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Chiesa deve condurre gli sposi alla verità

Testo:

Carissimi sacerdoti!


1. Sono lieto di accogliervi in questa speciale udienza che mi consente di esprimervi il profondo affetto che ho per voi, partecipi con me dell'unico sacerdozio di Cristo e di manifestarvi al tempo stesso la grande considerazione in cui tengo il lavoro pastorale a cui dedicate le vostre migliori energie.

Voi svolgete il vostro apostolato in particolar modo a servizio della famiglia, nella giusta convinzione che ogni aiuto offerto a questa cellula fondamentale dell'umano consorzio sviluppa un'efficacia moltiplicata, rifrangendosi sui diversi componenti del nucleo familiare e insieme perpetuandosi nel tempo, grazie all'opera educatrice che dai genitori si riverbera nei figli e, tramite questi, nei figli dei figli.

Desidero confermarvi in questa convinzione e incoraggiarvi a proseguire nell'opera intrapresa, nella quale non può mancarvi la benedizione di Dio, primo ideatore della comunità familiare e, "quando venne la pienezza del tempo" (Ga 4,4), suo provvido redentore.


2. Questo incontro avviene in occasione della vostra partecipazione al congresso che il Centro studi e ricerche sulla regolazione naturale della fertilità dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e l'Istituto di studi su matrimonio e famiglia della Pontificia Università Lateranense hanno opportunamente promosso sull'importante tema della procreazione responsabile. Vorrei, in questa circostanza, dire qualcosa sull'argomento da un punto di vista soprattutto pastorale.

Nella recente celebrazione del Giubileo dei sacerdoti ammonivo: "Apriamo sempre più largamente gli occhi - lo sguardo dell'anima - per capire meglio che cosa significa rimettere i peccati e riconciliare le coscienze umane col Dio infinitamente santo, col Dio della verità e dell'amore" (Omelia del 24 febbraio 1984, n. 4). Riconciliare la coscienza umana col Dio della verità e dell'amore; è questo il vostro ministero, sempre, ma in un modo del tutto speciale quando ponete il vostro sacerdozio al servizio degli sposi.

Avete voluto, in questi giorni, scoprire e approfondire i fondamenti scientifici, filosofici e teologici della procreazione responsabile; dell'insegnamento, più precisamente, dell'enciclica "Humanae Vitae" e dell'esortazione apostolica "Familiaris Consortio", al fine di riconciliare la coscienza umana degli sposi col Dio della verità e dell'amore. Quando, infatti, la coscienza umana è "riconciliata", quando è nella pace profonda? Quando essa è nella verità. E i due documenti sopra citati, nella fedeltà alla tradizione della Chiesa, hanno insegnato la verità dell'amore coniugale, in quanto esso è comunione di persone.

Che cosa significa "riconciliare la coscienza degli sposi con la verità del loro amore coniugale"? Quando i suoi contemporanei chiesero a Cristo se fosse lecito al marito ripudiare la moglie, egli rispose richiamandosi "al principio", cioè all'originario progetto del Creatore sul matrimonio. Anche voi, che in quanto sacerdoti operate nel nome di Cristo, dovete mostrare agli sposi che quanto è insegnato dalla Chiesa sulla procreazione responsabile non è altro che quell'originario progetto che il Creatore ha impresso nell'umanità dell'uomo e della donna che si sposano, e che il Redentore è venuto a ristabilire. La norma morale insegnata dall'"Humanae Vitae" e dalla "Familiaris Consortio" è la difesa della verità intera dell'amore coniugale, poiché di questo amore esprime le imprescindibili esigenze.

Siatene certi: quando il vostro insegnamento è fedele al magistero della Chiesa, voi non insegnate qualcosa che l'uomo e la donna non possano capire. Anche l'uomo e la donna di oggi. Questo insegnamento, infatti, che voi fate risuonare alle loro orecchie è già scritto nel loro cuore. L'uomo e la donna devono essere aiutati a leggere profondamente questa "scrittura nel cuore". E il fatto che in questi tre giorni di studio voi avete voluto scoprire le ragioni del magistero della Chiesa, non significa forse che volete avere sempre più chiare le vie su cui condurre gli sposi alla verità profonda di se stessi e del loro amore coniugale?


3. Riconciliare la coscienza umana degli sposi col Dio della verità e dell'amore: la coscienza umana degli sposi è veramente riconciliata quando essi hanno scoperto e hanno accolto la verità sul loro amore coniugale. Infatti, come scrive sant'Agostino, "beata quippe vita est gaudium de veritate. Hoc est enim gaudium de te, qui veritas es" ("Confessioni" X, 23,33).

Voi ben sapete che spesso la fedeltà da parte dei sacerdoti - diciamo, anzi, della Chiesa - a questa verità e alle norme morali conseguenti, quelle, voglio dire, insegnate dall'"Humanae Vitae" e dalla "Familiaris Consortio", deve essere spesso pagata ad un prezzo alto. Si è spesso derisi, accusati di incomprensione e di durezza, e di altro ancora. E' la sorte di ogni testimone della verità, come ben sappiamo. Ascoltiamo ancora una pagina di sant'Agostino; "Ma perché la verità genera odio?", si chiede il santo dottore. "In realtà" egli risponde "l'amore della verità è tale, che quanti amano un oggetto diverso pretendono che l'oggetto del loro amore sia la verità; e poiché detestano di essere ingannati, detestano di essere convinti che s'ingannano. perciò odiano la verità; per amore di ciò che credono verità. L'amano quando splende, l'odiano quando riprende" ("Confessioni", X, 23,34).

Con semplice e umile fermezza, siate fedeli al magistero della Chiesa su un punto di così decisiva importanza per i destini dell'uomo.


4. Esiste una difficoltà vera alla riconciliazione della coscienza umana degli sposi col Dio della verità e dell'amore; essa è di ben altro genere di quella appena indicata.

La riconciliazione non accade se gli sposi sanno solamente percepire la verità del loro amore coniugale: è necessario che la loro libertà realizzi, faccia la verità. La difficoltà vera è che il cuore dell'uomo e della donna è abitato dalla concupiscenza; e la concupiscenza spinge la libertà a non acconsentire alle esigenze autentiche dell'amore coniugale. Sarebbe un errore gravissimo concludere da ciò che la norma insegnata dalla Chiesa è in se stessa solo un "ideale" che deve poi essere adattato, proporzionato, graduato alle, si dice, concrete possibilità dell'uomo: secondo un "bilanciamento dei vari beni in questione". Ma quali sono le "concrete possibilità dell'uomo"? E di quale uomo si parla? Dell'uomo dominato dalla concupiscenza o dell'uomo redento da Cristo? Poiché è di questo che si tratta: della realtà della redenzione di Cristo.

Cristo ci ha redenti! ciò significa: egli ci ha donato la possibilità di realizzare l'intera verità del nostro essere; egli ha liberato la nostra libertà dal dominio della concupiscenza. E se l'uomo redento ancora pecca, ciò non è dovuto all'imperfezione dell'atto redentore di Cristo, ma alla volontà dell'uomo di sottrarsi alla grazia che sgorga da quell'atto. Il comandamento di Dio è certo proporzionato alle capacità dell'uomo: ma alle capacità dell'uomo a cui è donato lo Spirito Santo, dell'uomo che, se caduto nel peccato, può sempre ottenere il perdono e godere della presenza dello Spirito.

La riconciliazione della coscienza umana degli sposi col Dio della verità e dell'amore passa attraverso la remissione dei peccati: attraverso l'umile riconoscimento che noi non ci siamo adeguati, per così dire, commisurati alla verità e alle sue esigenze e non attraverso l'orgogliosa riconduzione della verità e delle sue esigenze a ciò che noi decidiamo sia vero e buono. La nostra libertà è nell'essere servi della verità. Come abbiamo letto nella liturgia delle Ore di ieri: "Si dimostra tuo servo migliore non colui che pretende di sentire da te quello che egli vuole, ma che piuttosto vuole quello che ha udito da te" (sant'Agostino, "Confessioni", X, 26,37).

La nostra carità pastorale verso gli sposi consiste nell'essere sempre disponibili a offrire loro il perdono dei peccati, attraverso il sacramento della Penitenza, non nello sminuire ai loro occhi la grandezza e la dignità del loro amore coniugale.


5. "Apriamo sempre più largamente gli occhi - lo sguardo dell'anima - per capire meglio cosa significa rimettere i peccati e riconciliare le coscienze umane col Dio infinitamente santo, col Dio della verità e dell'amore".

Di questo sguardo più profondo della nostra anima sacerdotale hanno bisogno gli sposi, ha bisogno tutta la Chiesa. Perché gli sposi, perché la Chiesa tutta lodi il Padre del Signore nostro Gesù Cristo: stupita e mal sazia nella contemplazione di quell'amore e di quella verità con cui voi riconciliate la coscienza umana degli sposi.

Nell'invocare sul vostro ministero la confortatrice effusione di copiosi doni di sapienza e di carità, di cuore vi imparto la mia apostolica benedizione.

Data: 1984-03-01 Data estesa: Giovedi 1 Marzo 1984




Ai Provinciali dei Cappuccini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La predicazione itinerante può ancora favorire accordi di pace

Testo:

Fratelli carissimi!


1. Saluto in voi, ministri provinciali e consiglieri provinciali d'Italia, tutti i vostri confratelli italiani e il benemerito Ordine dei frati minori Cappuccini.

La vostra presenza oggi, qui, obbedisce, prima di tutto, a un desiderio chiaro di manifestare la vostra fedeltà al Vicario di Cristo come voleva il vostro Serafico Padre: essere "sempre sudditi e soggetti ai piedi della santa madre Chiesa". E obbedisce anche al desiderio filiale di ricevere una parola di incoraggiamento per il difficile compito dell'odierna "formazione permanente".


2. So che il vostro ordine ha cercato, in questi ultimi tempi, di affrontare seriamente la trattazione di questo problema. Chiara prova di ciò sono, sul piano legislativo, le norme presenti nelle vostre Costituzioni del 1982 e, sul piano pratico, l'organismo centrale creato per attuare tali norme. In tutto questo non posso che approvarvi e incoraggiarvi.

Ed è nel quadro di tale programma che voi, ministri provinciali, avete voluto unirvi durante due interi mesi per un corso di formazione permanente, cioè per un periodo più intenso di preghiera, di riflessione e di studio. Avete così voluto imitare in qualche modo Gesù che, "sotto l'azione dello Spirito Santo, ando nel deserto dove rimase quaranta giorni" (Lc 4,1-2) e si ritirava spesso a pregare; e avete voluto imitare anche san Francesco che trascorreva lunghi e frequenti periodi di ritiro - specialmente la Quaresima - alla Verna e in altri luoghi solitari. Avete sentito il bisogno di un rinnovamento spirituale e di un approfondimento culturale, ponendovi così anche quale esempio e incitamento per i vostri fratelli,


3. La formazione permanente si è venuta facendo sempre più urgente e necessaria ai nostri giorni a causa dei continui e molteplici mutamenti della nostra età, sia in campo civile sia in quello più strettamente religioso, mutamenti che provocano "un'accelerazione tale della storia, da poter difficilmente essere seguita dai singoli uomini" (GS 5). Gli uomini vengono posti di fronte a valori nuovi o, a ogni modo, a nuovi modi di sentire i valori. Tutto questo esige un animo allo stesso tempo più vicino a Dio e più vicino agli uomini, un animo attento alla "voce dello Spirito" che parla nell'intimo delle coscienze come nei "segni dei tempi". E' necessaria quindi una vita spirituale più profondamente vissuta e una preparazione culturale che vi rendano capaci - alla luce del Vangelo e dell'insegnamento della Chiesa - di rispondere appieno alla vostra vocazione e di interpretare rettamente il mondo contemporaneo.


4. In una mia Lettera a tutti i sacerdoti della Chiesa, dopo aver ricordato due principi fondamentali, cioè quello della necessità della conversione di ogni giorno e quello della necessità della preghiera "sine intermissione", dicevo: "La preghiera dobbiamo unirla a un continuo lavoro su noi stessi: è la formazione permanente", che dev'essere a un tempo interiore, pastorale e intellettuale. ciò significa che "se la nostra attività pastorale, l'annuncio della parola e l'insieme del ministero sacerdotale dipendono dall'intensità della nostra vita interiore, essa deve egualmente trovare il suo sostegno in uno studio assiduo. Non basta arrestarci a ciò che abbiamo un tempo imparato in seminario, anche nel caso che si sia trattato di studi a livello universitario... Questo processo di formazione intellettuale deve protrarsi per tutta la vita... Come maestri della verità e della morale, noi dobbiamo rendere conto agli uomini, in modo convincente ed efficace, della speranza che ci vivifica. E ciò fa anche parte del processo della conversione quotidiana all'amore mediante la verità" ("Insegnamenti di Giovanni Paolo II", II [1979] 859).

Questa dottrina della Chiesa si trova nel nuovo Codice di diritto canonico e viene posta in evidenza anche dalle vostre Costituzioni rinnovate, due documenti che certamente stimate e studiate con impegno.


5. La formazione permanente, nella sua duplice dimensione di conversione e di aggiornamento culturale continui, ha di mira una più piena e coerente adesione alla propria vocazione: "Sarebbe vano lo sforzo degli istituti religiosi per un aggiornamento di obiettivi e di metodologie, se non fosse ispirato e accompagnato da approfondimento e rilancio di spiritualità" ("Insegnamenti di Giovanni Paolo II", VI [1983] 1275).

Vorrei mettere in rilievo alcuni obiettivi che devono caratterizzare il vostro modo specifico di realizzare la formazione permanente. Prima di tutto l'approfondimento di quel tesoro che è la vita fraterna, alla quale siete stati chiamati. Questo valore della fraternità, così vivo e vero nel santo di Assisi, è stato considerato dagli uomini di tutti i tempi come un sublime ideale di perfezione umana e comunitaria.

Tocca a voi in modo speciale porlo con convinzione, nei fatti prima che nelle parole, nel quotidiano paziente vivere, pregare e operare insieme. Nella vostra storia, il messaggio di fraternità si è spesso tradotto nel favorire accordi di pace sia a livello di pubblici poteri - basti ricordare l'opera di pace dei vostri fratelli Lorenzo da Brindisi e Marco d'Aviano - sia a livello delle tensioni sociali, con una predicazione itinerante e un esercizio del ministero della Riconciliazione, pieni di sapienza e di buoni frutti nel fervore della semplicità, sempre sul fondamento della parola di Dio. San Leopoldo, il beato Geremia da Valacchia, padre Pio, padre Mariano da Torino sono stati annunciatori di amore e perciò facitori di pace (cfr. Mt 5,9).


6. Il carisma del vostro Ordine, sorto dal robusto albero piantato da Francesco d'Assisi, si caratterizza per la pratica fervorosa della preghiera, congiuntamente a quella "perfetta letizia" (Jc 1,2), che non viene dal mondo, ma da una profonda comunione contemplativa con Gesù crocifisso e risorto.

Se il cammino di questi ultimi anni vi ha portati a un'attività apostolica forse troppo intensa e dispersiva, è ora di rivedere le vostre scelte a questo riguardo; date maggiore tempo, cuore e mente a Dio, insegnate con la vita ai fratelli che Dio ha diritti sacrosanti nell'esistenza dell'uomo e non può essere relegato all'ultimo posto della casa, all'ultimo momento della giornata. La ricerca dell'intimità con lui deve essere l'insonne impegno di vostri giorni.


7. La scelta dei poveri. Oggi il mondo scopre con senso di responsabilità nuova la presenza dei poveri. Spesso pero tale scoperta rimane a livello teorico. Voi avete scelto i poveri: e le vostre Costituzioni sono li a ricordarvi ogni giorno come vivere le beatitudini del Signore; "Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio" (Lc 6,12).

Ci saranno diversi modi di identificarsi con i poveri del Signore, ma essi saranno sempre la parte da voi prediletta e la condivisione delle loro sofferenze e disagi dovrà essere sempre una componente fondamentale del vostro vivere e operare.


8. Seguendo queste linee di condotta, potrete essere quei testimoni della Buona Novella che la Chiesa e gli uomini attendono da voi, secondo gli insegnamenti e gli esempi di san Francesco.

Voi che siete detti e siete "i frati del popolo" e avete un più facile accesso al cuore degli umili, potete anche più facilmente, in modo particolare attraverso l'apostolato itinerante, portare Gesù, il Redentore dell'uomo, nella società, specialmente verso le larghe masse dei poveri, dei piccoli, dei deboli.

Gli uomini del nostro tempo, sconvolti da lotte e da guerre, da ingiustizie e da crisi di ogni genere, hanno bisogno di gioia e speranza, che sole si possono attingere dalla divina sorgente. Dissetati ogni giorno ad essa, andate anche voi per il mondo, come Francesco, dicendo a tutti: "Il Signore ti dia pace!" e annunciando, quali "custodi di speranza", la salvezza che viene dalla riconciliazione con Dio.

Il ministero della riconciliazione è uno dei vostri grandi compiti, dei vostri gloriosi compiti! Si deve continuare nella stessa gloriosa tradizione.

Penso che voi avete il carisma della Confessione, che dovete mantenere sempre vivo nel vostro cuore e nel vostro ministero.

Questo grande, importante carisma! Specialmente ai nostri tempi, quando, nella vita umana e cristiana, questo carisma da una parte viene quasi un po' abbandonato e da un'altra parte viene invece ricercato! Durante il Sinodo, tanti vescovi hanno detto che, se c'è una crisi della Confessione sacramentale, è anche a causa dei confessori che non sanno confessare bene. Ora si deve capovolgere questo capitolo e ritrovare l'amore per le confessioni. E dove cercare grandi amatori della Confessione se non nell'Ordine dei Cappuccini, specialmente dopo la canonizzazione di san Leopoldo? In questo impegno, sempre rinnovato, vi guidi il maestro divino Gesù e vi assista la vergine Maria, che conservava e meditava nel suo intimo la parola del Signore (Lc 2,51).

Scenda su di voi e su tutto l'Ordine cappuccino la benedizione apostolica, che di cuore vi imparto.

Data: 1984-03-01 Data estesa: Giovedi 1 Marzo 1984





GPII 1984 Insegnamenti - All'incontro conclusivo con i giovani - Bari