GPII 1984 Insegnamenti - Al mondo universitario - Università della Tuscia (Viterbo)

Al mondo universitario - Università della Tuscia (Viterbo)

Titolo: Scienza e collaborazione internazionale per vincere la fame

Testo:

Signor rettore magnifico dell'università degli Studi della Tuscia; cari professori e studenti della Facoltà di agraria!


1. Non poteva mancare, nel quadro dell'odierna visita pastorale nella vostra città, una sosta sia pur breve in mezzo a voi per rispondere al cortese invito dell'intera comunità accademica e per soddisfare altresi un mio personale desiderio. In realtà, ogni volta che mi è dato di incontrare i giovani universitari, sento di rivivere intimamente, in tutta la sua freschezza, una ricca esperienza, mentre riaffiorano i ricordi di volti ben noti, di incontri reciprocamente utili, di fruttuosi scambi culturali. Vi diro che per me una sosta, quale quella di oggi, è come un ritorno ideale a un passato indimenticabile.

Nel vostro caso si aggiunge una seconda motivazione, derivante dal peculiare carattere di questa università: un'istituzione formalmente nuova, di recentissima fondazione, ma insieme - considerati i particolari legami che ci furono fin dal Medioevo tra Viterbo e la Santa Sede - antica per l'antecedente storico dello "Studio viterbese", che in forme ovviamente diverse funziono fino ai primi decenni dell'Ottocento.

L'odierna visita, pertanto, mi riesce a più titoli gradita e se, da una parte, è quasi una rievocazione oggettivamente e anche personalmente valida, dall'altra - all'interno di quest'aula, che s'intitola al grande nome del religioso-scienziato Gregorio Mendel - mi consente di esprimere un augurio cordiale e aperto. Possa questa istituzione svilupparsi adeguatamente nel contesto non solo della cultura laziale, che ha il suo culmine nel prestigioso "Studium urbis", ma anche della cultura superiore a livello nazionale e internazionale.


2. So bene che l'avvio dell'ordinamento universitario a Viterbo è avvenuto con l'istituzione della Facoltà di agraria, che è strutturata nei due corsi di laurea in Scienze agrarie e in Scienze forestali. So che si è trattato di una scelta ponderata e opportuna, non solo ai fini di una più articolata distribuzione delle facoltà agrarie in Italia e in risposta alle aumentate richieste di frequenza, ma anche e soprattutto per offrire un diretto e positivo contributo alla soluzione di un gravissimo problema: quello di debellare la fame nel mondo. Insediata in un territorio di notevole interesse agricolo, la vostra facoltà si distingue - ed è questo un precipuo merito - per tale finalità, che trova riscontro, del resto, nell'accoglienza ospitale riservata a numerosi studenti dell'Africa.

Ma che cosa può fare - ci si chiede - un solo centro di studi, sia pure attrezzato a moderno, di fronte alla gravità e vastità dell'accennato problema? Al riguardo, bisogna subito rispondere che ogni sforzo è utile; ogni contributo, per quanto limitato, è sempre prezioso in ordine all'auspicato e necessario aumento della produzione. Già il Concilio Vaticano II, nella costituzione "Gaudium et Spes", che definisce la posizione della Chiesa intorno ai maggiori problemi del mondo contemporaneo, non ha mancato di raccomandare in termini espliciti lo sviluppo dell'agricoltura, precisando che proprio "tenendo presenti le particolari difficoltà del settore agricolo sia nel produrre che nel vendere i beni, occorre aiutare gli addetti al lavoro dei campi sia nell'aumentare la produzione e sostenere la vendita, sia nell'introdurre le necessarie trasformazioni e innovazioni, sia nel raggiungere un equo livello di reddito, affinché essi non rimangano - come tanto spesso avviene - nella condizione di cittadini di seconda classe" (GS 66).

In quest'ottica promozionale rientrano il fine, l'attività, l'impegno di questo centro universitario, il quale merita, pertanto, lode, apprezzamento e incoraggiamento.


3. Dall'agricoltura alla cultura il passo è più breve di quanto non si pensi, come conferma il medesimo documento del Concilio proprio nel capitolo che precede quello sulla vita economica e sociale. In effetti, prima dell'"ager" c'è l'"animus" e, quindi, prima dell'agricoltura c'è quella cultura per cui l'uomo coltiva se stesso. "In senso generale, con la voce cultura - recita il testo conciliare - si designano tutti quei mezzi con i quali l'uomo affina e sviluppa ("perpolit atque explicat") le molteplici sue doti di anima e di corpo". Molto giustamente, al primo posto dell'analisi, è menzionata l'accezione personalistica della parola cultura, prevalendo semanticamente, concettualmente e - si direbbe - anche cronologicamente sugli altri significati (sociologico ed etnologico), del pari rilevanti, che sono oggi legati alla stessa parola (GS 53).

Bisogna, dunque, "coltivare se stessi"; bisogna apprendere l'arte per operare questa interna coltivazione, che vuol dire sviluppo e maturazione delle doti che Dio creatore ha messo nell'uomo, in ogni uomo. Parlo a una comunità accademica che, pur protesa lodevolmente a studiare problemi tecnici, non può rinunciare a quest'opera che è parallela e, direi anzi, preliminare e condizionante. "Cultura di se stessi" vuol essere crescita qualitativa, opera di formazione e, per tanta parte, di autoformazione della propria personalità e del proprio carattere.

Cari professori e studenti, attendendo al vostro lavoro di alta specializzazione e di grande importanza sociale, non dimenticate mai l'irrinunciabile finalità della scuola, di ogni scuola di qualsiasi ordine e grado: ogni scuola è, per definizione, centro di formazione e di educazione e, dunque, centro per la coltivazione di quei doni di Dio che sono - come dice il Concilio - di diversa natura, sono svariati e numerosi, e costituiscono le autentiche ricchezze dell'animo e del corpo.

Se la vostra università, già attiva nel settore agrario e presto arricchita di altre facoltà, si manterrà sempre fedele alla duplice e connaturale esigenza di curare formazione e istruzione, coniugando in felice armonia quanto ho accennato circa le fondamentali accezioni e implicazioni della parola cultura, allora sarà indubbio e sicuro il suo successo a fianco degli altri centri superiori italiani ed esteri. E', questo, un auspicio, che mi piace concludere con le parole di una suggestiva pagina evangelica, la quale come non poche altre è ispirata alla vita dei campi: "Parte del seme - leggiamo nella parabola del seminatore - cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta" (Mt 13,8). E' ovvio che, al di là dell'immagine del campo, la terra buona, che Gesù maestro precisamente, primariamente intendeva, è quella del cuore: del nostro cuore! Con la mia apostolica benedizione.

Data: 1984-05-27 Data estesa: Domenica 27 Maggio 1984




Ai tossicodipendenti - Palazzo dei Papi (Viterbo)

Titolo: Per vincere la droga occorre l'impegno della società

Testo:

Egregi signori, cari giovani.


1. Sono lieto di rivolgere il mio affettuoso saluto a tutti voi qui presenti, in questa sala del Conclave, che ha segnato il passaggio da una fase storica di ansia e di preoccupazione a un periodo nuovo di rinascita e di speranza.

Piace pensare che non senza motivo sia stata scelta tale sede come luogo d'incontro con gli ospiti della Comunità terapeutica "San Crispino" e con le loro famiglie. Essa ci porta spontaneamente a richiamare la grande verità del principio che le crisi umane e sociali più difficili possono essere superate alla luce del Vangelo, e che quindi oggi si può uscire dal dramma della droga per ritrovare la via della fiducia nella vita.

Se la vittoria su questo terribile male della società moderna è ottenuta in pochi casi, come comprova la vostra presenza, esistono le più fondate ragioni di credere che essa può e deve essere possibile sempre. La vostra personale esperienza ha significato e valore per tutti.


2. Senza dubbio il quadro che si presenta alla nostra osservazione è carico di gravi ombre. Tra le minacce tese oggi contro la gioventù e l'intera società, la droga si colloca ai primi posti come pericolo tanto più insidioso quanto più invisibile, non ancora adeguatamente valutato secondo l'ampiezza della sua gravità.

ciò che più impressiona è constatare che, nonostante la visione dei tristi spettacoli, che la droga mette sotto gli occhi di tutti nei fatti di cronaca quotidiana, il contagio si diffonde a macchia d'olio, allargando progressivamente i propri tentacoli dalle metropoli ai centri minori, dalle nazioni più ricche e industrializzate al Terzo mondo. Il numero crescente dei tossicodipendenti è unanimemente segnalato da indagini sociologiche, dagli allarmi della magistratura, dalla quantità sempre più grande di materiale sequestrato dalle forze di polizia. Sono fiumi di traffico clandestino che s'intrecciano e percorrono piste internazionali per giungere, attraverso mille canali, ai laboratori di raffinazione e di qui allo spaccio capillare. E' l'organizzazione della morte a livello intercontinentale.

Di fronte a una minaccia così grave e così diffusa, non avvertita subito nella sua pericolosità e nelle sue conseguenze, s'è verificato negli ultimi tempi un notevole risveglio da parte del volontariato e degli organismi responsabili, e qualcosa si fa sul piano dell'individuazione e del contenimento del traffico criminoso, con controlli più attenti e il sussidio di nuove sofisticate tecnologie.


3. Di fronte allo scoppio di questa devastante epidemia, la Chiesa, fedele al mandato del suo divino fondatore di correre là dove c'è un essere umano sofferente, assetato, affamato, in carcere, s'è mossa ai primi allarmi, consapevole che la droga è insieme sofferenza, fame, sete, carcere.

Questa comunità terapeutica viterbese di San Crispino, nata tre anni fa per impulso pastorale del suo vescovo, è un'espressione dell'impegno della Chiesa in questo settore, come lo sono varie altre istituzioni analoghe sorte per lo più a cura di organizzazioni religiose. così il volontariato cristiano, insostituibile soprattutto sul terreno dell'assistenza, col suo amore creativo s'è posto all'avanguardia nella soluzione della tossicodipendenza.

Noi ci rendiamo conto della difficoltà e complessità dei problemi che si hanno di fronte, e sappiamo che l'attività del volontariato è ancora molto lontana dal rispondere alla realtà dei bisogni, anche perché il soccorso terapeutico non si muove con la stessa velocità della diffusione della droga, e la comunità terapeutica non può essere tutto, ma solo uno dei momenti del cammino delle misure necessarie alla scomparsa del male. Tuttavia la comunità terapeutica rappresenta una risposta concreta e positiva al problema e autorizza l'auspicio di una soluzione globale.

Sulla base dell'esperienza che i pazienti possono essere ricondotti nuovamente alla normalità della vita, la positività della risposta consiste nella constatazione di fatto che la droga non è un male irreversibile. Ne sono una prova le domande crescenti di ospitalità alle comunità terapeutiche. I risultati già ottenuti costituiscono il fondamento sperimentale della speranza di una vittoria totale, che tagli alle radici le cause molteplici del male.

Questa prima fondamentale risposta positiva è suffragata da un'altra considerazione di non minore importanza: la droga non si vince con la droga. Le droghe sostitutive non sono una terapia sufficiente, ma piuttosto un modo velato di arrendersi al fenomeno. La via per ottenere il ritorno dal mondo allucinante degli stupefacenti è il ricorso all'impegno personale dell'interessato, alla sua volontà di rinascita, alla sua capacità di ripresa.


4. E' opinione corrente degli osservatori degni di fede che la forza di presa della droga sull'animo giovanile sta nella disaffezione alla vita, nella caduta degli ideali, nella paura del futuro. Senza la prospettiva di grandi valori, la persona umana, specie se ancora nella sua primavera, quando non ha ragione di vivere e di pensare con suggestione all'avvenire, cerca di fuggire dal presente per rifugiarsi nei surrogati o nel nulla.

La comunità terapeutica, con il suo metodo di riproporre i grandi valori, somministra energie capaci di aiutare a vivere la propria esistenza, di adoperarsi con gioia a costruire o ricostruire l'uomo, permettendogli di affrontare la vita e le incognite del futuro. La terapia - basata sull'uomo, che è, dopo Dio, il più grande dei valori, e sulla fiducia nel paziente considerato innanzitutto come uomo - ha anche forza di profilassi e costituisce la via maestra della prevenzione. E' una promessa per il futuro, un motivo di speranza di risolvere in maniera globale il problema della droga.


5. Per la soluzione globale, pero, è necessario il concorso di altri fattori, la collaborazione di tutta la società: genitori, scuola, ambiente sociale, strumenti della comunicazione, organismi nazionali e internazionali. Occorre l'impegno di formare una società nuova, a misura d'uomo; l'educazione a essere uomini.

L'esempio di tanti giovani che, desiderosi di sottrarsi alla spirale della droga, si adoperano con forza a ricostruire la loro vita, è uno stimolo per tutti, genitori, educatori, autorità, a guardare in avanti con fiducia. Un fiducia avvalorata dalla certezza che in questa nobile impresa si può contare sull'aiuto di Maria, madre del Figlio di Dio per noi divenuto uomo, e madre di ogni uomo. Cari giovani, egregi signori, nell'esortarvi a proseguire il cammino con sempre grande speranza, v'imparto di cuore la mia benedizione.

Data: 1984-05-27 Data estesa: Domenica 27 Maggio 1984




Omelia alla Messa - Piazza Martiri d'Ungheria (Viterbo)

Titolo: L'amore ci fa conoscere più profondamente Cristo

Testo:


1. "A te si prostri tutta la terra, / a te canti inni, canti al tuo nome. / Venite e vedete le opere di Dio, / mirabile nel suo agire sugli uomini" (Ps 64,4-5).

La Chiesa adora oggi Dio con il salmo responsoriale della sua liturgia, e in questo salmo si riflette la profonda gioia del tempo pasquale. L'opera di Dio: l'opera mirabile che egli ha compiuto in mezzo agli uomini. E l'ha compiuta in Gesù Cristo, crocifisso e risorto. Dio l'ha compiuta per mezzo di lui, che si è fatto obbediente fino alla morte di croce (Ph 2,8), e con questa obbedienza nata dall'amore verso il Padre e verso gli uomini vinse la morte e rivelo la vita in tutta la sua definitiva verità e realtà.

Quest'opera è stata compiuta da Dio e Cristo Signore sotto gli occhi dei testimoni. E' proprio la loro voce, unitamente al grido del salmo, che invita tutti a venire e guardare l'opera della risurrezione e della redenzione. Tutti sono chiamati a partecipare al mistero pasquale di Cristo. Tutta la terra e tutto il creato narrano in un modo nuovo la gloria di Dio: anche la terra e le creature partecipano alla risurrezione di Cristo.


2. La Chiesa è portavoce e servitrice di questa gloria. Essa è "salmista" delle cose mirabili che Dio ha fatto tra gli uomini. E contemporaneamente la Chiesa, nell'odierna domenica pasquale, legge con attenzione gli Atti degli apostoli per ricordare, ancora una volta, come la risurrezione di Cristo ha prodotto i suoi primi effetti in mezzo agli uomini.

Ecco, leggiamo che il diacono Filippo ha predicato Cristo in Samaria, confermando con i segni la verità dell'insegnamento annunziato. E così Samaria accolse la parola di Dio. Sulle orme di Filippo si sono incamminati verso quella città gli apostoli Pietro e Giovanni per imporre le mani, nel nome del Signore Gesù, sui battezzati e su quelli che ricevevano lo Spirito Santo (cfr. Ac 8,5-8 Ac 8,14-17).

3. Oggi mi è dato di ricordare a Viterbo quest'avvenimento che gli Atti degli apostoli riferiscono come accaduto nei primi giorni della Chiesa. La storia della Chiesa si snoda di generazione in generazione e di secolo in secolo, sin dai tempi apostolici. E anche la vostra città, cari fratelli e sorelle, ha scritto uno specifico capitolo di questa storia, che dai tempi dei santi apostoli Pietro e Paolo è legata in modo particolare a Roma e anche a tutta l'Italia.

Come sappiamo, infatti, la vostra illustre città è storicamente legata al papato: per alcuni decenni del secolo XIII, fu la sede del successore di Pietro. Vi si tennero anche alcuni conclavi, da uno dei quali usci eletto un Papa poi proclamato beato, Gregorio X. In quel periodo la presenza della corte papale porto la città a un notevole sviluppo, sia dal punto di vista urbanistico che commerciale e culturale. Ma al di là di tutto ciò, va notato come la vostra città, che pochi anni prima era stata illuminata dalla presenza evangelica di santa Rosa, ospitando la Sede Apostolica, dette una nuova, preziosa testimonianza di fede cristiana e di comunione ecclesiale, che giustamente viene ricordata nei secoli.

"Acclamate a Dio da tutta la terra" (Ps 65,1). Lo acclamino le città e le nazioni. Acclamalo tu, città di Viterbo, sede medievale dei successori di Pietro. Ringrazialo per le opere che Dio ha compiuto in mezzo ai tuoi antenati mediante il ministero dei vescovi di Roma; e che continua a compiere.


4. Nell'odierna domenica la Chiesa, colma di gioia pasquale, preparandosi all'Ascensione del Signore, vive al tempo stesso la promessa di un altro Consolatore": lo "Spirito di verità" (Jn 14,16 Jn 14,17). Cristo Signore, promettendo, alla vigilia della passione, lo Spirito Santo che avrebbe mandato, dice agli apostoli: "Non vi lascero orfani, ritornero da voi" (Jn 14,18).

Noi ci prepariamo, come ogni anno, alla Pentecoste. In questa preparazione è racchiusa la gioia di una nuova venuta di Cristo stesso. Egli, risorto e glorificato, dimorando nel Padre, viene, al tempo stesso, a noi nello Spirito Santo, nel Consolatore, nello Spirito di verità. E in questa sua nuova venuta si rivela la nostra unione col Padre: "Voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi" (Jn 14,20). La Chiesa oggi vede se stessa come il popolo di Dio unito al Padre in Gesù mediante la potenza dello Spirito Santo. E la Chiesa gioisce di questa verità, di questa realtà. La Chiesa trova in essa, sempre di nuovo, la fonte inesauribile della sua missione e della sua aspirazione alla santità.


5. La missione della Chiesa, la sua aspirazione alla santità, si realizza mediante l'amore. Cristo dice nel Vangelo di oggi: "Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amero e mi manifestero a lui" (Jn 14,21).

Così dunque l'amore ci introduce nella più profonda conoscenza di Gesù Cristo. L'amore apre davanti al cuore umano il mistero di questa unione col Padre in Cristo mediante la potenza dello Spirito Santo, operante in noi. E perciò l'amore è il più grande comandamento del Vangelo. In esso si compiono tutti i comandamenti e i consigli, Esso è "il vincolo della perfezione" (Col 3,14).

Quale gioia è per me, cari viterbesi, poter ricordare oggi alcune meravigliose figure del passato lontano e vicino che qui, nella vostra città, hanno corrisposto generosamente alla chiamata evangelica all'amore. Quale grande risposta d'amore troviamo in quella meravigliosa giovinetta che fu la vostra santa Rosa! Essa, pur nella mutazione dei tempi, si presenta ancor oggi come modello per le ragazze e per le giovani, invitandole a comprendere a fondo, nella loro vita, l'assoluto di Dio in una piena donazione d'amore al di là di ogni rispetto umano! Nella presente circostanza, ricordiamo anche santa Giacinta Marescotti, proveniente da un ceto sociale assai diverso, vissuta in un altro clima storico e culturale, eppure legata da tante affinità con la vergine Rosa! Come questa, Giacinta fu fortemente sensibile al fatto che il consacrarsi a Dio e l'amore perfetto che lo fonda comportano una dedizione piena al bene comune sia della Chiesa che della società. E queste due donne straordinarie, con la forza dello Spirito, riuscirono a realizzare quell'ideale in un modo ancor oggi esemplare.

Ricordiamo anche san Crispino, che io ebbi la gioia di canonizzare: simpatica figura di fratello laico cappuccino, vissuto qualche secolo fa, ma il cui esempio è anch'esso estremamente attuale: l'esempio di un cristianesimo vissuto in una santa letizia, la quale, come ardua conquista interiore, e servizio squisito reso al prossimo che si trova bisognoso di pace e di consolazione. Con questo atteggiamento gioviale e bonario, san Crispino seppe essere un vero "pescatore di uomini", attirando le anime all'amore della croce di Cristo e alla ricerca della santità.

"Acclamate a Dio da tutta la terra". Acclamalo, o città di Viterbo, guardando le opere che Dio ha compiuto in mezzo ai tuoi antenati. Quest'opera sono gli uomini viventi, nei quali il mistero pasquale di Cristo ha trovato la sua piena espressione nella santità della loro vita.


6. E, infine, ascoltate ancora le parole di san Pietro. Si potrebbe dire che mediante il vostro passato, voi, o viterbesi, siete legati in modo speciale alla figura dell'apostolo, che ha fondato la Sede romana. Ecco che cosa dice Pietro apostolo nella sua prima lettera, da cui è tratta la seconda lettura dell'odierna liturgia: "Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi...!" (1P 3,15).

Vi è qui un primo invito: a una fede lucida, consapevole, coraggiosa.

Tale fede richiede da noi il Cristo crocifisso e risorto, anche nei nostri tempi.

In essa prende anche inizio tutta la speranza cristiana. Ecco poi le ulteriori parole dell'apostolo: "Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza... E' meglio infatti, se così vuole Dio, soffrire operando il bene piuttosto che fare il male" (1P 3,15-17). Il secondo invito: che dalla fede scaturiscano le opere! Che la fede formi le coscienze! Il Cristo crocifisso e risorto è il "metro" più perfetto della nostra condotta.

Cari fratelli e sorelle! E' per me motivo di gioia essere qui a Viterbo in occasione del 50° di sacerdozio del vostro zelante vescovo. Insieme con lui vi dico: cari fratelli e sorelle, accogliete questi inviti di san Pietro apostolo.

Meditateli. Adattateli alle necessità e alle esigenze della vostra vita quotidiana! Che ciascuno di voi continui a scrivere quel capitolo di storia della Chiesa, che qui ha un così ricco passato! Sia con voi Cristo risorto e lo Spirito Santo paraclito: lo Spirito di verità. In alto i cuori! Sursum corda! Amen.

Data: 1984-05-27 Data estesa: Domenica 27 Maggio 1984




Ai giovani - Piazza del Plebiscito (Viterbo)

Titolo: La nuova civiltà o sarà fondata sull'amore o non sarà

Testo:

Carissimi giovani!


1. L'ultimo incontro di questa giornata così intensa, l'incontro che conclude e, in certo senso, corona la significativa esperienza che mi è stato dato di vivere in questa vostra antica città, è quello con voi, ragazzi e ragazze di Viterbo e delle località vicine, che numerosi siete convenuti in questa piazza per testimoniare la vostra fede ed esprimere con suoni e con canti la gioia che portate nel cuore.

A voi il mio saluto cordiale! Un saluto che intende raggiungere altresi tutti i giovani vostri coetanei, anche quelli lontani dagli ideali che alimentano il vostro entusiasmo. Sappiano anch'essi che il Papa ha avuto per loro un pensiero affettuoso. Egli infatti è convinto che, pur in situazioni molto diverse, essi continuano a interrogarsi sul senso della loro esistenza e sulle scelte che potrebbero dare appagamento alle attese del loro cuore.

L'augurio che ad essi rivolgo è che non si stanchino di cercare, perché se sapranno perseverare con animo disponibile e aperto non mancheranno alla fine di incontrare la risposta convincente ed esaustiva. Questa risposta - voi che mi ascoltate lo sapete - è Cristo, Uomo-Dio, morto e risorto per la salvezza del mondo.

A voi, giovani credenti, spetta dunque il compito di recare ai vostri coetanei l'annuncio di Cristo, Verbo incarnato, nel quale soltanto trova piena luce il mistero dell'uomo. Egli che "ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente di uomo, ha agito con volontà di uomo, ha amato con cuore di uomo" (GS 22), sa risolvere in modo appagante i problemi che ci angustiano. Egli sa infondere nei nostri cuori le certezze capaci di orientare il cammino fra le vicissitudini della vita verso il traguardo definitivo che si profila all'orizzonte del tempo e che ha nome "vita eterna".


2. Cristo è l'uomo nuovo, l'uomo perfetto. A voi il compito di farvene testimoni credibili con la parola e con l'esempio, perché anche ad altri cuori sia data la gioia dell'incontro risolutivo e beatificante con lui.

Giovani, siate testimoni della novità di Cristo innanzitutto nella vostra vita personale. Il Battesimo ha posto in voi il germe della vita stessa di Cristo. Capite che significa questo? Voi portate nell'anima la vita di un risorto.

San Paolo trae la logica conseguenza: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio, pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra" (Col 3,1-2).

Ecco, dunque: il cristiano è chiamato ad essere un uomo nuovo nel modo di pensare, nuovo nel modo di sentire, nuovo nel modo di comportarsi. In lui si deve affermare progressivamente un'armonia tra pensiero e azione, tra sentimento e istinto, tra spirito e carne, che susciti in quanti lo avvicinano la percezione della forza superiore che opera in lui. L'uomo di oggi, fiero degli straordinari progressi scientifici compiuti, è portato a tentare di risolvere i suoi problemi interiori mediante gli artifici tecnici di cui si serve per superare le difficoltà che incontra nel mondo esterno. E non s'accorge che, così facendo, non solo offende la propria dignità perché abbassa se stesso al rango di un oggetto manipolabile, ma si espone inoltre a pericolose illusioni circa la maturità personale raggiunta; crede di essere padrone di una sua situazione interiore, mentre è solo schiavo di un artificio, che, quando poi viene meno, lo lascia nell'esperienza bruciante della propria povertà morale. A voi giovani che avete la fede, l'ardua ma affascinante missione di proporre al mondo contemporaneo la testimonianza di quel che è un essere umano rinnovato interiormente dal Cristo risorto.


3. Essere nuovi dentro è il presupposto indispensabile per costruire un rapporto nuovo con gli altri. Ecco l'altro aspetto della novità cristiana: in un mondo che, quando non cede alla tentazione della violenza, non di rado assume a norma di condotta sociale una sorta di ragionato egoismo, non costituisce forse una proposta di rivoluzionaria novità quella di costruire i rapporti umani su di un sentimento disinteressato come è quello dell'amore? Eppure è proprio questo che Gesù ha chiesto a coloro che credono in lui. Non ha detto forse nell'ultima cena: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri" (Jn 13,34)? Ecco: un comandamento nuovo per una società nuova. Non deve quindi stupire che il papa Paolo VI abbia ricordato ai cristiani che essi sono impegnati a costruire la nuova "civiltà dell'amore". E l'amore è rispetto, l'amore è comprensione, è simpatia, è condivisone. L'amore è farsi coinvolgere gli uni nella vicenda degli altri, così come avviene in una famiglia tra persone nelle cui vene scorre il medesimo sangue. E non è forse una famiglia quella di coloro che siedono alla stessa mensa eucaristica, per cibarsi del medesimo pane? San Paolo ha un'espressione molto forte al riguardo: "Poiché c'è un solo pane noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane" (1Co


10,17).

"Un corpo solo". Quanto siamo lontani da vaghe forme di filantropia o di semplice umanitarismo! Qui c'è l'affermazione di una solidarietà che affonda le radici in un'oggettiva comunione di vita fra coloro che, nell'Eucaristia, diventano tutt'uno col medesimo Cristo. Non ti puoi disinteressare di chi è parte di te: la solidarietà col fratello, più che un dovere, è ormai un'esigenza che ti si impone dal di dentro.

Il futuro dell'umanità sta nel segno di tale esigenza: la civiltà del futuro o sarà una civiltà dell'amore o non sarà.


4. V'è ancora un terzo aspetto della novità di Cristo, che voi giovani siete chiamati a testimoniare di fronte al mondo: è quello di un nuovo rapporto con l'ambiente naturale che vi circonda.

L'uomo, soprattutto in questo ultimo secolo, ha fatto un uso delle realtà terrestri che in non pochi casi si è dimostrato irresponsabile: sono molte ormai le voci che denunciano la "crisi ecologica", da cui è oggi minacciata l'umanità. Occorre imparare a guardare alla natura con occhi nuovi.

Ebbene, chi può fare ciò meglio del cristiano, che dalla fede è guidato a scoprire nelle realtà del mondo l'opera sapiente e munifica del Creatore? Sole e stelle, acqua e aria, piante e animali sono doni con cui Dio ha reso confortevole e bella la dimora che nel suo amore ha preparato all'uomo sulla terra. Chi lo ha compreso non può non guardare con riverente riconoscenza alle creature della terra e trattarle con la responsabile attenzione che gli impone un doveroso riguardo verso il divino Donatore. C'e un passo di un documento conciliare che esprime molto bene tutto ciò: "Redento da Cristo e diventato nuova creatura nello Spirito Santo, l'uomo può e deve amare le cose che Dio ha creato. Da Dio le riceve e perciò ad esse guarda con animo riverente come se al presente uscissero dalle mani di Dio" (GS 37).

V'è di più: nel corpo glorioso del Redentore risorto il cristiano contempla gli elementi della terra elevati a una superiore condizione di incorruttibilità (cfr. 1Co 15,42-44), che è anticipazione di quei "cieli nuovi" e di quella "nuova terra" (cfr. 2P 3,13 Ap 21,1), verso cui Dio conduce la storia.

Come potrebbe il cristiano non sentirsi influenzato da una simile prospettiva nel quotidiano rapporto con le realtà terrestri che lo circondano? Ecco, dunque, l'atteggiamento del credente: di fronte al creato egli ammira, ringrazia, loda; e, pur valendosi di ciò che il Creatore ha profuso nell'universo, non si abbandona a un uso dissennato delle risorse, né si lascia tentare da forme di arbitraria violenza verso i componenti di quel "regno animale", al quale egli stesso, pur emergendone per la prerogativa dello spirito, nella dimensione corporea appartiene. Il mondo non è frutto del caso, ma opera sapiente di Dio. Esso inoltre è destinato a una misteriosa trasformazione finale che lo disporrà ad "entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (cfr. Rm 8,21). Occorre quindi procedere in modo da non sconvolgere il piano divino, rischiando di provocare conseguenze catastrofiche per l'umanità di oggi e, soprattutto, per quella di domani.


5. Carissimi giovani, ecco la mia consegna: siate testimoni del Cristo risorto nella novità della vostra vita personale, nella novità del vostro rapporto con gli altri, nella novità del rapporto con l'ambiente. Di una simile novità avete un modello affascinante in un figlio di questa vostra terra, un umile frate cappuccino, che io stesso ho avuto la gioia di iscrivere nell'albo dei santi: san Crispino. Conquistato da Cristo, egli seppe aprire il suo cuore alla forza vittoriosa della grazia, lasciandosene permeare in ogni manifestazione della propria esistenza, fino a diventare incarnazione vivente del Vangelo. Questo fu il segreto di quella letizia che, attraverso l'abituale sorriso irraggiante dal volto e le sapide battute che gli fiorivano sul labbro, raggiunse e conforto tanti cuori. Egli percorse ogni giorno, per lunghi anni, queste contrade, donando a tutti con la parola e con l'esempio conforto e speranza.

La sua testimonianza e quella degli altri vostri santi, in primo luogo di santa Rosa, rinsaldino la certezza che in ogni ora della vita, anche in quella più buia, è possibile attingere dalla fede la luce per non smarrirsi e la forza per non soccombere. Siate voi, giovani, gli araldi di questo messaggio di speranza! Con la mia benedizione! [Dopo il passaggio della "Macchina di santa Rosa":] Nel momento in cui mi accingo a lasciare questa terra così ricca di fede e di tradizioni cristiane, non posso nascondere la profonda commozione che riempie il mio cuore. E' stato un immergermi in un clima di religiosità intensa, seria e festosa, come i vari incontri della giornata hanno intensamente mostrato. Lascio Viterbo con l'approfondita convinzione di quanto sia imprescindibile per il cristiano assimilare nella propria vita la verità evangelica, che sola può liberare e potenziare tutte le risorse di tenacia, di pazienza e, soprattutto, di fiducia nel Signore e nella sua potenza vittoriosa.

Partendo, ora, da questo aeroporto dell'aviazione leggera dell'esercito, dove sono confluiti tanti giovani della scuola sottufficiali dell'esercito e della più importante scuola italiana di avieri, mi è gradito salutarne i superiori e gli allievi, lasciando quale ricordo per voi qui presenti l'invito ad alimentare sempre nel vostro animo la fiamma degli ideali cristiani. Nella luce e nel fervore dell'amore di Cristo, vi esorto a perseverare nella letizia, grazie alla quale vi sarà lieve, anche se non facile, la pratica degli insegnamenti del Vangelo, collaborando così con generosa disponibilità all'azione santificatrice e liberatrice della sua grazia.

Cari allievi, compite con serietà e impegno i vostri corsi, per portare domani nel campo della vostra attività, oltre alla necessaria competenza, quel senso di responsabilità, di dignità e di dedizione che la società si attende da voi.

Nell'abbracciare con animo commosso tutte le persone incontrate oggi e quanti mi hanno seguito col pensiero e con la preghiera, rinnovo a tutti, e in modo speciale a voi qui presenti, il mio cordiale saluto, che vuole essere un "arrivederci" e di cuore imparto la mia benedizione.

Data: 1984-05-27 Data estesa: Domenica 27 Maggio 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Al mondo universitario - Università della Tuscia (Viterbo)