GPII 1984 Insegnamenti - A pellegrini italiani - Città del Vaticano (Roma)

A pellegrini italiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Anno Santo: tappa storica per testimoniare con coraggio la fede

Testo:

Amati fratelli nell'episcopato e carissimi fedeli!


1. Con grande gioia vi accolgo in questa basilica Vaticana e porgo a tutti il mio affettuoso saluto: in primo luogo all'arcivescovo di Modena monsignor Santo Quadri e ai fedeli della cara arcidiocesi, a lui affidata; poi ai fedeli di Subiaco e all'abate monsignor Stanislao Andreotti e infine agli iscritti all'associazione dell'Apostolato della preghiera con i loro direttori e responsabili. Saluto con pari cordialità tutti gli altri pellegrini.

La vostra presenza è fondamentalmente un atto di viva fede cristiana.

Siete venuti infatti a Roma in spirito di preghiera e di penitenza, perché riconoscete in Cristo il redentore divino morto sulla croce per la liberazione dell'umanità dal peccato e sempre presente per noi e con noi, come amico e salvatore. Meditando sull'avvenimento centrale della incarnazione e della passione redentrice, l'apostolo ed evangelista san Giovanni scriveva: "In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1Jn 4,9-10).

Ebbene, il vostro pellegrinaggio di fede e di amore dimostra la convinzione che anima e dirige tutta la vostra vita, e io auguro di cuore che esso sia fecondo di santi propositi, stimolandovi alla fervorosa perseveranza nella testimonianza di Cristo, ovunque si svolge la vostra quotidiana esistenza.

L'Anno Santo della Redenzione sia per voi, cari fedeli, e per la Chiesa intera una data e una tappa storica per credere con maggiore convinzione nel messaggio e nell'opera redentrice di Cristo, per amare con più fervore anche in riparazione dell'ingratitudine di tante persone, per testimoniare con coraggio e coerenza nella società odierna la vostra fede.


2. Mi rivolgo ora in particolare ai singoli gruppi.

- Per i fedeli dell'arcidiocesi di Modena prendo lo spunto dalle grandiose manifestazioni culturali e religiose che, iniziatesi il 31 gennaio, festa di san Geminiano vescovo, si protraggono per tutto l'anno, per commemorare l'ottavo centenario della dedicazione della storica cattedrale, recentemente restaurata in tutto il suo splendore. Questo tempio romanico, voluto dai modenesi sopra la tomba del grande santo vescovo Geminiano inizio nel 1099. Sono passati ormai tanti secoli, e Modena è diventata città industriale, dinamica, produttiva, con un soddisfacente reddito familiare e un benessere abbastanza diffuso. Città ricca di storia e di cultura - basta pensare alla grandiosa biblioteca Estense e all'università - Modena deve essere e rimanere città ricca anche di religiosità e di fede cristiana. La vostra cattedrale con il campanile della Ghirlandina è un simbolo e un monito! Non abbandonate le vostre profonde tradizioni cristiane! Continuate a vivere nel solco e con gli ideali dei vostri antenati! I festeggiamenti commemorativi del presente anno diano a tutti i fedeli dell'arcidiocesi una sempre maggiore presa di coscienza della missione della "comunità cristiana", facendo sentire e capire che c'è una responsabilità personale di approfondimento dottrinale della fede e di perfezionamento ascetico nella decisa ripulsa del male, con qualunque nome si chiami; c'è una responsabilità ecclesiale di testimonianza e di catechesi; e c'è una responsabilità sociale-civile di interessamento e di intervento per il bene comune, specialmente a servizio del prossimo più bisognoso o più minacciato.

Dirigete le vostre attività pastorali specialmente verso l'istruzione religiosa dei giovani e degli adulti e verso la frequenza alla santa messa domenicale e festiva. A questo scopo vi potrà essere utile la lettera pastorale del vostro arcivescovo, sul tema "Con Cristo nella Chiesa per la vita del mondo".

- La presenza di voi, fedeli di Subiaco, mi fa ricordare quella dolce sera autunnale del 28 settembre 1980, quando, dopo aver pregato con i vescovi europei al Sacro Speco di san Benedetto e nella basilica di Santa Scolastica, entrai nella vostra suggestiva città, ricevetti dal sindaco le chiavi simboliche, e poi celebrai la santa messa all'altare elevato in Piazza della Resistenza. In quell'occasione, dopo aver firmato con i vescovi europei il messaggio all'Europa, vi ricordavo che san Benedetto in quel luogo mistico e austero aveva ideato e iniziato l'unica e valida rivoluzione, quella pacifica e costruttiva della preghiera e del lavoro. Nella Chiesa di Santa Scolastica dicevo poi che san Benedetto ci ha insegnato "che la vita dell'uomo è degna di essere vissuta, senza superficiale ottimismo utopistico né disperato pessimismo, perché è dono dell'amore di Dio e deve essere una continua, perenne, costante ricerca di Dio, l'unico vero e autentico valore assoluto" ("", III,2 [1980] 743). Queste medesime parole desidero rivolgere oggi a voi. Quante vicende si sono susseguite nella storia, dai tempi burrascosi di san Benedetto ai tragici avvenimenti bellici di quarant'anni fa, che martoriarono le vostre terre, alle dolorose incertezze della nostra epoca! E tuttavia l'insegnamento del santo patriarca rimane valido per sempre e per tutti. Continuate anche voi a lavorare e a pregare, con fiducia e serenità, convinti che - come è scritto nella regola benedettina - nulla si deve anteporre all'amore di Cristo, "il quale tutti conduce alla vita eterna" (VII, 3-9.11-12).

- Infine, una parola calorosa di apprezzamento e di compiacimento giunga agli iscritti all'Apostolato della preghiera. Il discorso dovrebbe farsi molto più ampio e più profondo di quanto sia possibile in questo breve tempo, data l'importanza fondamentale di questo apostolato nella Chiesa in generale e nella vita singola di ogni fedele. In questa circostanza, motivata dal pellegrinaggio giubilare dell'Anno Santo della Redenzione, richiamandomi al messaggio del sacro Cuore di Gesù a santa Margherita Maria e alle grandi encicliche dei miei predecessori, Leone XIII ("Annum Sacrum", 25 maggio 1899), Pio XI ("Miserentissimus Redemptor", 8 maggio 1928), Pio XII ("Haurietis Aquas", 15 maggio 1956), Paolo VI ("Investigabiles divitias Christi", 6 febbraio 1965; "Diserti interpretes facti", 25 maggio 1965) e alle mie due encicliche "Redemptor Hominis" e "Dives in Misericordia", vi esorto ad allargare e ad approfondire sempre più il raggio del vostro apostolato nelle singole parrocchie, comunità e diocesi, inculcando la preghiera e l'offerta quotidiana per la conversione dei peccatori, per le necessità della Chiesa, per i governanti e le autorità civili affinché abbiano una vera e retta coscienza nel governare; e stimolando all'autentica devozione al sacro Cuore, mediante la consacrazione delle famiglie, e soprattutto la celebrazione vissuta del primo venerdi di ogni mese con la confessione sacramentale e la partecipazione all'Eucaristia. In questo modo, anche per voi, iscritti all'Apostolato della preghiera, l'Anno Santo sarà una data memorabile e feconda di copiosi frutti spirituali.


3. Nell'estendere il mio saluto a tutti gli altri gruppi presenti e ai singoli pellegrini, desidero ricordare il solenne atto di affidamento a Maria, che abbiamo compiuto domenica scorsa davanti alla venerata statua della Madonna di Fatima.

Come voi sapete, quando Maria santissima apparve ai tre pastorelli nella Cova di Iria chiese insistentemente la recita del Rosario e la penitenza per la conversione di tante persone, che vivendo nel peccato rischiano l'eterna dannazione. L'Atto di affidamento a Maria sia per voi tutti un impegno ad accettare l'invito alla preghiera, alla penitenza e alla conversione.

Con questi voti, di cuore vi imparto la mia benedizione, che estendo volentieri alle comunità da voi rappresentate.

Data: 1984-03-31 Data estesa: Sabato 31 Marzo 1984




Giubileo delle Confraternite - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Serve una fede coraggiosa per superare le persecuzioni

Testo:


1. "Io sono la luce del mondo" (cfr. Jn 8,12). "Finché sono nel mondo sono la luce del mondo" (Jn 9,5). Gesù Cristo è nel mondo. E' in mezzo agli uomini.

Maggiormente tra gli infelici. Tutto il Vangelo lo conferma.

Oggi al centro del Vangelo e al centro della liturgia si trovano Gesù e un uomo cieco dalla nascita. Cristo gli restituisce la vista e lo fa di sabato.

Egli opera questo miracolo per certi aspetti in un modo "rituale". Prima mescola la polvere della terra alla saliva e la spalma sugli occhi del cieco. Poi gli ordina di lavarsi nella piscina di Siloe. Dopo essersi lavato, il cieco nato riacquista la vista. Con questo segno Gesù di Nazaret si manifesta come luce del mondo, anzitutto, perché rende possibile la vista all'uomo cieco: la vista è la capacità di contatto con la luce del mondo esterno.

Poi perché libera quest'uomo dalla cecità di spirito. Apre la vista della sua anima a Dio e ai suoi misteri. Una tale apertura all'anima si chiama fede, la quale significa essere in contatto con la luce del mondo interiore.

L'uomo cieco dalla nascita, dopo aver riacquistato la capacità di vedere, si apre in pari tempo al mistero di Dio in Cristo. Confessa la fede nel Figlio dell'uomo.

"Tu credi nel Figlio dell'uomo?" chiede Gesù. "E chi è, Signore, perché io creda in lui?", risponde il guarito. "Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui". "Io credo, Signore!" e si prostra dinanzi a lui (Jn 9,35-38).

L'evento che leggiamo nella liturgia di questa quarta domenica di Quaresima ci induce a riflettere sulla nostra fede in Cristo, figlio dell'uomo, in Cristo, luce del mondo. Indirettamente questo evento si riferisce anche al Battesimo, che è il primo sacramento della fede: il sacramento che apre gli occhi, mediante la rinascita dall'acqua e dallo Spirito Santo; così come avvenne al cieco nato, al quale si aprirono gli occhi, dopo essersi lavato nell'acqua della piscina di Siloe.


2. L'evento narrato nell'odierna liturgia ci mostra pure che la fede dell'uomo, rinato con la potenza di Cristo, incontra la diffidenza e, addirittura, l'incredulità.

In un certo senso egli deve farsi strada attraverso questa diffidenza e incredulità. così si fa strada la fede del cieco nato, al quale Cristo ha restituito la vista. La sua fede nel Figlio dell'uomo incontra l'apposizione dei farisei, la loro incredulità. Non è facile a un uomo socialmente minorato opporre a questa incredulità la propria fede. Tuttavia di fronte a tante accuse, che i suoi interlocutori presentano all'indirizzo di Gesù, egli ha un argomento irrefutabile: mi ha restituito la vista: "prima ero cieco ora ci vedo" (Jn 9,25).

Oltre alla decisa incredulità, l'uomo guarito dalla cecità congenita incontra anche timore e paura, perfino da parte dei propri genitori, i quali preferiscono non esporsi alle rappresaglie dei farisei influenti; "Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco: come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi, chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso" (Jn 9,20-21).

Così dunque la fede dell'uomo, al quale Cristo ha restituito la vista, passa attraverso una dura prova, ma ne esce vittoriosa. La luce che Cristo innesto nella sua anima - non solo nei suoi occhi - si dimostra più forte dell'incredulità e della diffidenza, si rivela anche più forte dei timori umani e della stessa volontà di intimorire.

Tutto ciò ha la sua eloquenza non solo nel contesto di questo uomo concreto e di questo concreto evento (che nel Vangelo di Giovanni è descritto in un modo straordinariamente dettagliato), ma anche nel contesto della vita e del comportamento di ogni uomo, di ogni cristiano.

La fede di ognuno di noi non è forse esposta alla nostra stessa debolezza, e anche all'incredulità, alla diffidenza, ai dubbi, alla pressione dell'opinione e, a volte, all'intimidazione, alla discriminazione e alla persecuzione? Pensiamo oggi a tutti gli uomini del mondo intero, a tutti coloro, ai quali Cristo ha concesso la sua luce: a quante difficoltà, oppressioni, persecuzioni, viene esposta la fede di molti di loro! E quanto spesso la fede deve lottare con le debolezze di ognuno di noi! Preghiamo per una fede forte. Preghiamo per il coraggio della fede.


3. perciò la liturgia dell'odierna domenica si rivolge a Cristo-pastore, il quale da solo ci conduce per le vie della fede: "Il Signore è il mio pastore... / ad acque tranquille mi conduce. / Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, / per amore del suo nome" (Ps 22,1-3).

Da qui attingiamo forza e coraggio in mezzo a tutte le prove ed esperienze: "Se dovessi camminare in una valle oscura, / non temerei alcun male, perché tu sei con me" (Ps 22,4).

L'uomo, al quale Cristo ha restituito la vista dei sensi e al tempo stesso la vista dell'anima, ha questa consapevolezza, che il buon Pastore è con lui. E' lui a guidarlo alla mensa dell'Eucaristia, alla quale il pellegrino nel tempo ristora le forze della sua anima per il cammino dell'eternità: "Davanti a me tu prepari una mensa / sotto gli occhi dei miei amici; / cospargi di olio il mio capo..." (Ps 22,5).

L'unzione è il simbolo della forza spirituale. La fede costituisce una specifica sintesi di luce e di forza di spirito, che provengono da Dio, e la liturgia dell'odierna domenica lo mette in rilievo.

Dell'unzione ci parla la prima lettura dal Libro di Samuele. Il profeta mandato nella casa di Iesse il Betlemita unge il più piccolo tra i figli: Davide, come futuro re di Israele. "...E lo Spirito del Signore si poso su Davide da quel giorno in poi" (1S 16,13) - leggiamo. L'unzione - così come il lavarsi con acqua - è un "rito" esterno, che esprime un contenuto interiore, spirituale e soprannaturale.

Un uomo credente accoglie la luce di Cristo e allo stesso tempo, in forza dello Spirito Santo, accede alla partecipazione della triplice missione al Cristo: del profeta, del sacerdote e del re. Mediante questa partecipazione unisce la sua vita e il proprio comportamento alla missione salvifica del buon Pastore, indirizzata a tutta l'umanità e all'intero mondo. Il buon Pastore è infatti il Redentore del mondo, e tutti coloro, che mediante la fede, la speranza e l'amore, appartengono al suo ovile, partecipano alla potenza del mistero della redenzione.


4. Cari pellegrini, guidati da profonda fede, siete venuti in pellegrinaggio a Roma, per rinnovare, accanto alle tombe degli apostoli e dei martiri, la vostra partecipazione alla missione salvifica di Cristo, al mistero della redenzione del mondo in occasione dell'Anno Giubilare della Redenzione.

In questo segno di Cristo-luce, di Cristo pastore, di Cristo redentore del mondo, mi è caro soffermarmi con voi a considerare il valore delle Confraternite a cui appartenete.

La loro origine - come ben sapete - risale all'inizio dell'XI secolo, quando gruppi di cristiani ferventi si formano intorno ai monasteri di Germania, di Francia, di Calabria, di Toscana e di altre regioni italiane. La loro benemerita attività si sviluppa in sempre maggior consonanza con la Chiesa, fino alla massima espansione dei secoli XIII-XIV con i fratelli e le sorelle della Penitenza, istituiti nell'ambito dei nuovi ordini di san Francesco e di san Domenico, come pure di altri istituti religiosi. Nel Cinquecento nascono gli Oratori, legati alle Confraternite o Compagnie, come l'Oratorio del Divino Amore, sorto a Roma nel 1517, o gli Oratori di san Filippo Neri, tanto benemeriti per la vita spirituale e per l'assistenza ai poveri e ai pellegrini. Si può anzi dire che fino al secolo XVII la carità della Chiesa viene esercitata specialmente attraverso questi Oratori e Confraternite. Tra di esse vanno ricordate le "Misericordie" toscane, tuttora fiorenti e operose.

Le finalità delle Confraternite si possono riassumere in tre parole: culto, beneficenza, penitenza.

a) Esse hanno avuto anzitutto cura del culto di Dio, di Gesù, di Maria (specialmente col santo Rosario), dei santi, specie dei patroni locali, delle anime del Purgatorio, per le quali facevano abbondanti suffragi. Un particolare impegno hanno posto, come ancora oggi avviene in alcune nazioni dell'Europa o dell'America Latina, nella commemorazione dei misteri della passione e morte di nostro Signore durante la Settimana Santa, con processioni e rappresentazioni di grande efficacia spirituale.

b) La beneficenza è stata poi praticata secondo gli insegnamenti della Chiesa proposti nelle opere di misericordia spirituale e corporale. Essa si è tradotta anche in gesti di solidarietà sociale, specialmente nel secolo XIII, quando col formarsi delle "arti" e corporazioni, i loro membri si associarono anche in Confraternite corrispondenti ai vari misteri, svolgendo un ruolo decisivo per consolidarsi della solidarietà e della fratellanza cristiana, per la fusione delle classi sociali, per l'attuazione di opere assistenziali, specialmente ospedaliere, e non di rado di opere pubbliche.

c) La penitenza ha fatto pure parte degli scopi delle Confraternite, che intendevano curare la formazione e il perfezionamento morale dei propri associati, e implorare la divina clemenza in tempi di gravi calamità naturali o di decadimento dei costumi.


5. Ma al di là di questi scopi specifici, vi era un motivo più profondo da cui i fedeli erano mossi ad associarsi: "pro Dei timore et Christi amore", cioè per il santo timor di Dio e per amore di Cristo! Eccoci di nuovo dinanzi a Cristo pastore e redentore, a Cristo luce della vita, a Cristo che attira a sé gli uomini, a Cristo che insegna e aiuta a conciliare, nello spirito umano e nella pratica della vita cristiana, il timore e l'amore di Dio, la penitenza e la gioia, la pietà e lo slancio dell'azione.

Come allora, anche oggi Cristo chiama gli uomini alla fede, alla carità, alla speranza; e tra coloro che lo seguono, sceglie i discepoli e gli apostoli ai quali affida il compito di testimoniare, predicare e attuare nel mondo il suo Vangelo.

Questa scelta si attua anche per coloro che si riuniscono nelle Confraternite per svolgere la loro attività, in forme antiche e nuove, nel triplice campo tradizionale del culto, della beneficenza, della penitenza e per accentuare, secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II (cfr. LG 33-36 AA 6-8 AA 12-13 AA 18-19) e del nuovo Codice di diritto canonico (CIC 298), l'impegno apostolico delle loro associazioni. Nella storia delle Confraternite esistono non pochi precedenti di tale destinazione all'apostolato: come nelle Compagnie del Divino amore, già ricordate e, nelle Confraternite della dottrina cristiana sorte ad opera di san Carlo Borromeo e del Concilio di Trento ed estese dalla Chiesa in tutte le parrocchie.

Oggi l'urgenza dell'evangelizzazione esige che anche le Confraternite partecipino più intensamente e più direttamente all'opera che la Chiesa compie per portare la luce, la redenzione, la grazia di Cristo agli uomini del nostro tempo, prendendo opportune iniziative, sia per la formazione religiosa, ecclesiale e pastorale dei loro membri, sia in favore dei vari ceti nei quali è possibile introdurre il lievito del Vangelo.

A questo scopo apostolico può e deve servire anche l'imponente patrimonio artistico accumulato dalle Confraternite nei loro Oratori e Chiese; la grande quantità di abiti, insegne, statue, crocifissi (come quelli portati qui, oggi, dalle gloriose "casasse" di Genova e Liguria), con cui le Confraternite intervengono a funzioni e processioni sacre; l'incidenza che ancora oggi le manifestazioni delle Confraternite possono avere non solo nella sfera della pratica religiosa, ma anche nel campo del "folklore" ispirato alla tradizione cristiana: tutto può e deve servire all'apostolato ecclesiale, specialmente liturgico e catechistico.


6. Sono lieto, come Vescovo di Roma, di poter adorare insieme con voi oggi, in questa domenica di Quaresima, Cristo, che è la nostra luce. Come egli restituisce la vista al cieco nato, così dà a noi la vita della fede.

San Paolo descrive nella lettera agli Efesini quasi ricollegandosi all'odierno Vangelo di san Giovanni: "Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce". Per questo sta scritto: "Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà" (Ep 5,8-10 Ep 5,14).

In questa frase risuona la voce della Pasqua ormai vicina. A questa Pasqua dell'Anno Giubilare della Redenzione preparatevi, cari fratelli e sorelle, con grande apertura di spirito.

Che "Cristo vi illumini" nuovamente. Che egli splenda nelle venerande tradizioni delle vostre associazioni e comunità; nella vostra vita familiare e professionale; nelle vostre parrocchie e diocesi. "Il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità". Che Cristo - crocifisso e risorto - illumini per mezzo vostro tutti gli uomini di buona volontà!

Data: 1984-04-01 Data estesa: Domenica 1 Aprile 1984




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La sofferenza della Vergine ha riconciliato il mondo a Dio

Testo:


1. Al termine di questa celebrazione ci prepariamo a recitare l'Angelus riflettendo su: "Maria e il soffrire umano".

"Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l'amate, riunitevi!". In questa antifona della quarta domenica di Quaresima mi è caro intravedere, attraverso le parole di Isaia, che la liturgia applica alla Chiesa il mistero della Vergine Madre, della sua gioia e del suo materno dolore. Poiché Maria è la vera figlia di Sion, compendio spirituale dell'antica Gerusalemme, inizio e vertice della Chiesa di Cristo; anzi, è la nuova Eva, la vera madre di tutti i viventi.

Essa, come figlia di Sion, e come nuova Eva, oggi è invitata a gioire.

Non si può infatti capire il dolore umano, se non nel contesto di una felicità perduta; e non ha senso il dolore, se non in vista di una felicità promessa.

"Rallegrati, Gerusalemme!".


2. Il dolore della Gerusalemme cantata dai profeti era la conseguenza delle infedeltà dei suoi figli, che avevano provocato il castigo di Dio e l'esilio dalla patria. Il dolore di questa misteriosa nuova figlia di Sion, Maria, è conseguenza delle innumerevoli colpe di tutti i figli di Adamo, colpe che hanno causato la nostra espulsione dal paradiso.

In Maria dunque, in modo unico, si rivela il mistero salvifico della sofferenza, e il significato e l'ampiezza della solidarietà umana. Perché la Vergine non soffri per sé, essendo la tutta bella, la sempre immacolata: soffri per noi, in quanto è la madre di tutti. Come Cristo "si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori" (Is 53,4), così anche lei fu gravata come da dolori da parto per un'immensa maternità che ci rigenera a Dio. La sofferenza di Maria, nuova Eva, accanto al nuovo Adamo, Cristo, fu e rimane la via regale della riconciliazione del mondo. "Rallegrati, Gerusalemme! Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza!".


3. Nella figura della Vergine Madre, segnata dal dolore per la infedeltà dei figli, ma invitata ad esultare di gioia in vista della loro redenzione, si inserisce il nostro dolore: anche noi possiamo diventare "una particella dell'infinito tesoro della redenzione del mondo" ("Salvifici Doloris", 27), perché altri possano condividere questo tesoro e giungere alla pienezza della gioia che esso ci ha meritato.

[Ai Salesiani:] Ricorre oggi il cinquantesimo anniversario della canonizzazione di san Giovanni Bosco, che il papa Pio XI iscrisse solennemente nell'albo dei santi il giorno di Pasqua del 1934, al termine dell'Anno Giubilare della Redenzione. Nel ricordo di questa luminosa figura di sacerdote, che tanta scia di bene ha lasciato dietro di sé, specialmente in favore della gioventù, saluto i suoi figli e le sue figlie, che so essere presenti in larga schiera oggi in questa piazza per celebrare questa lieta ricorrenza. A essi e all'intera Famiglia salesiana rivolgo l'augurio di essere sempre fedeli agli insegnamenti e al carisma del loro fondatore.

Data: 1984-04-01 Data estesa: Domenica 1 Aprile 1984




Al pellegrinaggio della Basilicata - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "La fede cristiana animi e orienti la vostra vita"

Testo:

Fratelli e sorelle carissimi!


1. Con sincera letizia e non senza emozione incontro oggi i vescovi e tutte le componenti ecclesiali delle diocesi della Basilicata, convenuti a Roma per il Giubileo della Redenzione! La vostra presenza mi riporta alla memoria un altro incontro, che ho avuto con voi nella vostra terra, nel novembre del 1980, quando un grave sisma, abbattutosi nelle zone meridionali d'Italia, provoco morte e distruzione. Fu quella una visita breve, ma molto intensa: volevo incoraggiare, confortare personalmente con la mia parola e con la mia presenza fisica le buone popolazioni così duramente colpite dal terremoto e private dei loro beni.

Quel tragico evento del 23 novembre 1980 aggravava, per certi aspetti, la situazione socio-economica della vostra regione, già tanto provata. Furono danneggiate anche cattedrali, chiese, luoghi di ministero, conventi, edifici per scuole materne e case per anziani; mentre si acuiva contemporaneamente purtroppo il triste fenomeno migratorio: molti giovani, non avendo alcuna prospettiva di lavoro, sono stati costretti a cercarlo altrove, anche all'estero.

Auguro oggi che mediante i tempestivi ed efficaci interventi legislativi e la tenace volontà di rinascita, tipica del vostro forte temperamento, quella giornata di lutto con le sue distruzioni rimanga soltanto come un ricordo, anche se doloroso, nella lunga e complessa storia della vostra regione, che si vuole ora proiettare, carica di speranza, verso un futuro di serenità e di benessere, anche civile e sociale.


2. Questo vostro pellegrinaggio regionale, così numeroso e festante, è un'ulteriore testimonianza di quella grande ricchezza interiore che voi tutti conservate e custodite gelosamente nei vostri cuori: la fede cristiana, trasmessavi dai vostri avi, per illuminare, animare, fecondare e orientare tutta la vostra vita. E' questa fede cristiana - che voi oggi, insieme con i vostri pastori, avete pubblicamente e solennemente proclamato presso la tomba di san Pietro - a dar forza e coerenza alle vostre scelte morali, a farvi vivere la realtà sacrale della famiglia, della vita, dell'amicizia, del lavoro.

In questa singolare circostanza, qual è il vostro pellegrinaggio per il Giubileo straordinario della Redenzione, vorrei rivolgermi a tutti e a ciascuno di voi, per dirvi la mia gioia, il mio compiacimento, il mio incoraggiamento.

Anzitutto ai vostri pastori, i vescovi, che vi guidano per il cammino della fede: ad essi va il mio saluto e la mia fraterna solidarietà per l'instancabile opera pastorale che essi compiono in mezzo a ben note difficoltà.

Analoghi sentimenti rivolgo ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, impegnati tutti - a diversi livelli - nelle varie attività pastorali, educative, assistenziali, caritative; uno speciale ricordo va agli alunni del seminario regionale di Potenza, il quale rappresenta come il cuore delle vocazioni sacerdotali della vostra regione.

Penso in questo momento, con particolare affetto, ai giovani, che nello spirito del Concilio Vaticano II, con grande entusiasmo offrono il loro tempo, la loro intelligenza, il loro contributo per una partecipazione sempre più vivace e responsabile alla vita della Chiesa; ricordo i giovani e le giovani esemplarmente impegnati come catechisti e catechiste nelle varie parrocchie.

Il mio cordiale saluto va a tutti i padri, alle madri, ai bambini, agli anziani, agli ammalati, a tutti coloro che sono spiritualmente presenti a questa udienza.

Saluto inoltre tutti coloro che hanno responsabilità pubbliche e politiche: l'onorevole Emilio Colombo e tutti i suoi collegi qui presenti.


3. L'Anno Giubilare della Redenzione è un tempo di grazia e di salvezza, in cui la Chiesa tutta è invitata alla penitenza, alla conversione, alla riconciliazione.

Occorre rispondere generosamente all'appello pressante di Dio, che spinge a pentirci dei nostri peccati (cfr. Jr 4,8 Jl 1,13 Lc 15,21); a ritornare a lui, che è il nostro creatore, il nostro padre, il nostro giudice (cfr. Mt 3,2 Mc 1,4), a riconciliarci con lui, anzi a lasciarci riconciliare da lui (cfr. 2Co 5,18s).

L'Anno Giubilare - scrivevo nella bolla di indizione - "raggiungerà il suo scopo soltanto se esso sfocerà in un nuovo impegno di ciascuno e di tutti al servizio della riconciliazione non solo fra i discepoli di Cristo, ma anche fra tutti gli uomini, e al servizio della pace fra tutti i popoli. Una fede e una vita autenticamente cristiane debbono necessariamente sbocciare in una carità che fa la verità e promuove la giustizia" ("Aperite portas Redemptori", 3).

Fratelli e sorelle della Basilicata! Siate sempre al "servizio della riconciliazione", cioè della pace interiore e di quella sociale! La vostra fede, prezioso tesoro tramandatovi dai padri, sia coerentemente manifestata e professata, di modo che diventi "segno" di speranza e anche di certezza per quanti si possano trovare nel dubbio o nell'incertezza spirituale.

Questa fede deve trovare la sua concreta espressione nella vita sacramentale: la Chiesa vive dei sacramenti; i cristiani vivono dei sacramenti, in particolare della Penitenza e dell'Eucaristia. Abbiamo continuo bisogno del perdono di Dio Padre; abbiamo continuo bisogno, per il nostro lungo e periglioso cammino umano, del cibo che Cristo ci dona nell'Eucaristia.

Possa quest'Anno Giubilare portare tutti i cristiani ad una più profonda unione con Cristo redentore! E' questo l'auspicio che vi rivolgo oggi, in questa circostanza del vostro pellegrinaggio di fede al centro della cristianità! Affido questi miei voti al Cuore materno e immacolato di Maria santissima, che voi venerate con intensa devozione in particolare nei santuari di Viggiano e di Picciano; li affido all'intercessione dei vostri santi e beati, specialmente di san Gerardo Maiella e di san Giustino de Jacobis.

Vi accompagni sempre la mia benedizione apostolica!

Data: 1984-04-02 Data estesa: Lunedi 2 Aprile 1984




A docenti e alunni lombardi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'impegno della carità per una vera conversione

Testo:


1. Desidero esprimervi il mio più sincero benvenuto, carissimi docenti e alunni dei collegi arcivescovili riuniti di Saronno, Desio, Tradate e Famiglia universitaria di Milano. Saluto il rettore generale, don Giulio Panzeri, e lo ringrazio per le parole che ha voluto indirizzarmi a nome di tutti; con pari affetto saluto i rettori dei singoli collegi, i superiori, i genitori qui convenuti e il sindaco della città di Desio, presente nelle vesti di insegnante.

Mi rivolgo soprattutto a voi, cari giovani, che avete desiderato questo incontro, mentre siete venuti a Roma per celebrare con maggiore solennità il Giubileo della Redenzione. Vi sono grato per questo gesto. così avete inteso ricambiare in qualche modo la visita che un anno fa ho compiuto nella vostra terra e nei vostri paesi: conservo un ricordo graditissimo di quelle giornate e porto ancora nel cuore l'eco di quella festosa accoglienza.

Ricollegandomi a quel momento, anche oggi desidero rivolgervi una parola di incoraggiamento e insieme affidarvi una consegna.


2. In primo luogo, vorrei esortarvi ad essere sempre consapevoli della scelta religiosa che avete compiuto. I collegi arcivescovili che voi frequentate hanno una precisa fisionomia cristiana: e voi lo sapete bene. Li avete scelti non solo per la riconosciuta serietà dell'insegnamento e per la preparazione del corpo docente, ma principalmente per la singolare ispirazione religiosa che li contraddistingue. In essi infatti si tende ad armonizzare il contenuto culturale con il messaggio cristiano, allo scopo di realizzare il necessario incontro tra fede e cultura. Per questo il principio ispiratore di tutta l'attività educativa rimane sempre la fede cristiana, ricevuta e trasmessa attraverso la Chiesa.

Siate coscienti di questa eredità. Sentitevene orgogliosi! Approfondite la vostra identità di studenti cattolici. Ogni giorno siete chiamati, in questa società che presenta tante insidie e contraddizioni, a motivare la vostra scelta, a ravvivare il vostro credo, ad esserne testimoni.

La fede in Dio, credetelo, non vi allontana dall'uomo, non vi estrania dai problemi attuali: anzi, vi rende più coscienti e responsabili. La vostra "presenza" nei confronti dell'uomo sarà tanto più valida e autentica quanto più sarà centrata su Dio. Soltanto rimanendo radicati e fondati in lui potrete dar vita a vere comunità umane e cristiane e così annunciare il vangelo della speranza ai vostri simili: in tal modo il vostro contributo, ovunque siate chiamati a prestare la vostra opera, sarà davvero originale e incisivo.


3. Ma - si rileva - la fede ha bisogno di segni visibili, oggettivamente verificabili. "La fede senza le opere è morta", ci dice san Giacomo (2,26). Per questo, carissimi giovani, desidero darvi anche una consegna.

Noi sappiamo che la fede cristiana, in qualsiasi tempo e sotto qualsiasi latitudine, ha una caratteristica inconfondibile: la carità. Intendo la carità effettiva, quella che si fa premurosa e pratica attenzione verso chi è povero, chi è nel bisogno, chi ha avuto meno di noi, chi soffre. Se il Giubileo comporta l'esigenza della carità ne deve costituire valida risposta.

Le occasioni non mancano. All'inizio di questa Quaresima, io stesso ho richiamato l'attenzione sull'iniziativa della Caritas italiana per la "Quaresima di carità"; e nei mesi scorsi ho più volte rinnovato l'appello in favore delle popolazioni del Sahel, vittime della desertificazione e della siccità. Ma anche vicino a voi esistono situazioni che fanno urgente richiamo alla vostra carità e non possono lasciare indifferenti chi, come voi, ha avuto il dono di nascere e vivere in zone di particolare benessere. Sono certo che mediterete attentamente su questa consegna che paternamente vi affido e saprete dar vita a qualche concreta iniziativa a favore del fratello bisognoso, sul modello di Gesù che "da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2Co 8,9).

Ecco, carissimi giovani, alunni di queste benemerite istituzioni educative, l'impegno che vorrei richiamarvi oggi. Mentre vi sono grato per i doni che avete voluto offrirmi, come segno filiale della solidarietà vostra e delle vostre famiglie, vi esorto, muniti delle certezze della fede e sensibili alla carità verso il prossimo sofferente, ad essere autentici cristiani, nella scuola e nella società.

A voi, ai superiori, ai docenti e ai familiari tutti la mia apostolica benedizione.

Data: 1984-04-02 Data estesa: Lunedi 2 Aprile 1984





GPII 1984 Insegnamenti - A pellegrini italiani - Città del Vaticano (Roma)