GPII 1984 Insegnamenti - A pellegrini francesi - Città del Vaticano (Roma)

A pellegrini francesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: San Paolo è esempio di libertà cristiana

Testo:

Cari pellegrini.

Sono certo che i vostri occhi e, più ancora, i vostri spiriti e i vostri cuori sono profondamente permeati - e lo resteranno - dall'esperienza del vostro lungo cammino sulle tracce dell'apostolo Paolo. Voi avete del resto beneficiato di guide qualificate e vi siete profondamente commossi davanti alla prodigiosa opera apostolica di colui che si converti sulla via di Damasco. Con tutti voi, la cui visita mi è molto gradita, sono lieto di congratularmi con il cardinale Garrone, i vostri diversi responsabili e "consulenti" per l'aiuto prezioso che vi hanno conferito in modo complementare.

In questo breve incontro - senza pretendere di fare la minima sintesi delle vostre scoperte - vorrei tuttavia sottolineare davanti a voi come la personalità, la dottrina e l'esempio di san Paolo costituiscono per i cristiani di oggi un notevole aiuto per la ricerca e la pratica dell'autentica libertà cristiana. Nella società antica, invasa dal paganesimo - ma molti avveduti osservatori parlano di neo-paganesimo dei nostri tempi - l'apostolo presenta la libertà cristiana come una liberazione dal peccato e da ciò che conduce al peccato, come un'esigenza di discernimento spirituale permanente e coraggioso, come una strada che può condurre alla verità, ma anche come un servizio della comunità religiosa e civile alla quale si appartiene e infine come un'offerta al Signore... che può giungere, come quella di san Paolo, fino al martirio. Chiedo a Cristo, "l'unico mediatore", "il re dei secoli", e chiedo all'apostolo Paolo di sostenervi sul cammino quotidiano di una testimonianza evangelica generosa, gioiosa, radiosa. Con la mia benedizione apostolica!

Data: 1984-04-10 Data estesa: Martedi 10 Aprile 1984









Inaugurazione del Giubileo dei giovani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Accogliete la gioia, la libertà e l'amore di Gesù"

Testo:


1. Carissimi giovani, questa magnifica piazza San Pietro nella quale ci incontriamo e che custodisce tanti ricordi ecclesiali, si apre oggi a un incontro del Papa con la gioventù di tutto il mondo. Sembra quasi che il colonnato che ci circonda sia questa sera l'abbraccio stesso del Papa e della Chiesa, che qui vi accolgono, presso la tomba di san Pietro.

Siate benvenuti, carissimi giovani, in questo primo appuntamento col Papa, all'inizio delle celebrazioni del vostro Giubileo. Vi ho visto percorrere via Conciliazione con le torce in mano. Era una stupenda marcia di luce. Ma era soprattutto una professione di fede e di speranza, perché con voi camminava Cristo. Egli sostiene il vostro entusiasmo e dà significato alla vostra vita; egli vi chiama a vivere ideali che nessun altro insegna; egli vi sta sempre vicino; egli è l'amico che mai delude.

In questo incontro, mentre cadono le ombre della notte, so che desiderate pregare come i discepoli di Emmaus: Signore, il giorno già volge al declino, resta con noi (cfr. Lc 24,28). Resta per illuminare i nostri dubbi e i nostri timori. Resta perché fortifichiamo la nostra luce con la tua. Resta per aiutarci ad essere solidali e generosi. Resta perché in un mondo che ha poca fede e speranza, noi sappiamo incoraggiarci vicendevolmente e seminare fede e speranza.

Resta perché anche noi impariamo da te ad essere luce per gli altri giovani e per il mondo.


2. Per tre giorni, voi mediterete con i miei fratelli vescovi su tre temi che suscitano in voi un'eco profonda: la gioia, la libertà, l'amore. Tre parole chiave, tre esperienze che voi avete già fatte, ma che approfondirete, chiarirete, risolverete per poterle vivere ancora di più. Grazie alla parola dei grandi testimoni della Chiesa d'oggi, grazie alle vostre reciproche testimonianze, grazie alla preghiera e ai sacramenti. Questa sera mi sia consentito di far risuonare in voi alcune parole di Gesù Cristo.

La gioia! Guardate la vostra esperienza: accogliete le gioie molteplici che sono dono di Dio: la salute del corpo e la vita spirituale, la generosità di cuore, l'ammirazione davanti alla natura e alle opere dell'uomo, la pienezza dell'amicizia e dell'amore. Ma aspirate ai doni superiori, alla gioia perfetta che Dio rivela.

Avvicinatevi alla gioia d'Abramo, il padre dei credenti (cfr. Gn 8,56).

Contemplate la gioia di Maria, "beata per aver creduto", e che "esulta di gioia in Dio, suo salvatore" (Lc 1,45 Lc 1,47). Ascoltate Giovanni Battista, san Giovanni Bosco e tutti i santi.

Soprattutto, contemplate la gioia unica di Gesù: egli è il figlio amatissimo: in lui vive tutto l'amore del Padre (cfr. Mt 3,17). Egli esulta nel vedere il regno rivelato ai piccoli (Lc 10,21) e offre la sua vita per portare "agli afflitti la gioia. E quale sarà la vostra gioia? Il Signore vi dice: "Se qualcuno mi apre la porta, io verro da lui, cenero con lui ed egli con me" (Ap 3,20). "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20). Beati i poveri. Beati i puri di cuore.

Beati gli operatori di pace. Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia" (cfr. Mt 5,3-9).

Si, cari amici, siate nella gioia stessa di soffrire per il nome di Cristo e d'essere con lui fratelli di coloro che soffrono. E che la risurrezione di Cristo vi riempia di una gioia duratura (cfr. Jn 20,20), con lo Spirito Santo che vi è stato dato (cfr. Rm 5,5).

Al di là di tutte le gioie che illuminano il vostro cammino, cercate colui che vi dà la gioia. "Nessuno vi potrà togliere la vostra gioia" (Jn 16,22).


3. Cari giovani di lingua inglese, la grazia e la pace di nostro Signore Gesù Cristo siano sempre con voi! Stasera sono lieto di darvi il benvenuto in Vaticano, il punto d'arrivo della vostra marcia. Siete venuti qui liberamente per testimoniare il vostro amore a Cristo e alla Chiesa e per radunarvi nel suo nome.

La vostra libertà è un grande dono che avete ricevuto da Dio. Significa che avete il potere di dire si a Cristo. Ma il vostro si non significherebbe nulla, se voi non poteste dire anche no. Nel dire si a Cristo, voi gli date voi stessi; voi gli offrite i vostri cuori; voi riconoscete il suo posto nelle vostre vite, perché come figli di Dio, fratelli e sorelle di Cristo, voi siete creati per dire si all'amore di Dio. La vostra libertà fu acquistata da Gesù. Egli è morto per farvi liberi. Soltanto Gesù vi rende liberi. Egli stesso ci dice nel Vangelo di san Giovanni: "Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero" (Jn 8,36).

L'ostacolo principale alla vostra libertà è il peccato, che è il dire no a Dio. Ma Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è pronto a perdonare tutti i peccati ed è proprio questo ciò che egli fa nella Confessione, nel sacramento della Penitenza.

Nella Confessione Gesù stesso perdona i vostri peccati e vi ridà la libertà che avevate perduto dicendo no a Dio. Cari giovani, amate la vostra libertà; esercitatela dicendo si a Dio; non cedetela. Riacquistatela quando è perduta e rafforzatela quando è debole, attraverso la Confessione. Ricordate le parole di Gesù: "Se il Figlio vi fara liberi, sarete liberi davvero".


4. Il terzo tema della nostra riflessione, cari giovani amici, è l'affascinante verità dell'amore: l'amore tra gli uomini; l'amore con cui Dio ci ha amati per primo; l'amore che dobbiamo sempre a Dio e agli altri.

Ascoltate la testimonianza dell'evangelista Giovanni: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16). Cristo è l'amore incarnato del Padre, "la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini" (Tt 3,4), che persino nella massima umiliazione della croce prega ancora per gli aguzzini e li perdona. Nella sua passione e morte Cristo attraversa anche gli oscuri abissi dell'amore; egli sperimenta l'offerta totale della sua persona per amore, del quale egli stesso dice: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Jn 15,13).

Guardate innanzitutto a Gesù! Guardate la sua croce! E' egli in persona ciò che la parola amore significa. Egli stesso vuole e deve essere anche la misura del vostro amore. E' perciò questo il suo nuovo e massimo comandamento: "Amatevi gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Jn 13,34-35).

Come è affamato di amore, dell'amore salvifico di Gesù Cristo, il Redentore, questo nostro mondo malato! Quanto desidera un amore che sia giovane e che doni energia giovane questo vecchio mondo! Siate voi i suoi messaggeri! Siate voi a portarlo agli uomini, come avete portato la luce delle fiaccole per le vie della sera! Fate che il fuoco dello Spirito Santo risplenda in voi per portare al mondo la luce e il calore dell'amore di Dio.


5. Carissimi giovani, "aprite le porte al Redentore!". Mi ritorna spontaneo alle labbra questo appello che rivolsi al mondo all'inizio del mio pontificato e che ho poi scelto come parola-guida per la celebrazione di questo Anno Santo straordinario. Mi ritorna spontaneo alle labbra, stasera, in questo incontro con voi che siete venuti in rappresentanza dei giovani di tutto il mondo. Voi testimoniate che il messaggio di Cristo non vi lascia indifferenti. Voi intuite che nella sua parola può esservi la risposta che andate ansiosamente cercando. Pur tra interrogativi e dubbi, pur tra perplessità e scoramenti, voi avvertite nel profondo del vostro cuore che lui possiede la chiave capace di risolvere l'enigma che s'annida in ogni essere umano. Non vi sareste messi in cammino per Roma, se non vi avesse sospinto questa percezione, nella quale già vibra la gioia di una scoperta, che può dare senso e scopo a tutta una vita.

Carissimi giovani, Cristo lo si scopre, lasciandolo camminare accanto a sé sulla propria strada. Il mio invito è: lasciate, carissimi giovani, che Cristo si ponga al vostro fianco con la parola del suo Vangelo e con l'energia vitale dei suoi sacramenti. E' una presenza esigente, la sua. può apparire inizialmente scomoda e potreste essere tentati di rifiutarla. Ma se avrete il coraggio di aprirgli le porte del vostro cuore e di accoglierlo nella vostra vita, voi scoprirete in lui la gioia della libertà vera, quella di poter costruire la vostra esistenza sull'unica realtà capace di resistere all'usura del tempo e di spingersi anche oltre le frontiere della morte, la realtà indistruttibile dell'amore.


6. Vi saluto miei giovani amici e connazionali che siete venuti a Roma pellegrini dell'Anno Santo della Redenzione per vivere insieme al Papa, presso le tombe degli apostoli, il Giubileo dei giovani in questa grande comunità di giovani cuori. In voi saluto e do il benvenuto a tutta l'amata gioventù polacca, fedele erede del millennio del battesimo polacco, e le trasmetto fraternamente e insieme paternamente il bacio della pace.

Vi auguro di tutto cuore che viviate questi giorni del pellegrinaggio giubilare nella gioia e in un sentimento di fraternità e di pace. Infatti, tutti siamo abbracciati dall'amore redentivo di Cristo, che ha trovato la sua espressione migliore nella sua croce e risurrezione.


7. Cari giovani, cari amici di lingua Portoghese, siate i benvenuti. Il vostro pellegrinaggio vi ha condotti qui, in atteggiamento di ricerca: attraverso Cristo redentore voi cercate un mondo nuovo.

E voi siete la promessa di questo mondo nuovo, da costruire anche in voi, nella gioia di chi ha una vita da vivere, sente la libertà responsabile dell'essere figlio di Dio, che vuole il nostro amore e ci vuole tutti fratelli (cfr. Mt 23,8), per il fratello universale Gesù Cristo, il giusto. Coraggio! "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli" (1Jn 3,14).

Data: 1984-04-11 Data estesa: Mercoledi 11 Aprile 1984




In suffragio del cardinale Philippe - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il mondo è bisognoso di speranza assai più che di pane

Testo:

"Buono è il Signore con chi spera in lui, / con l'anima che lo cerca" (Lm 3,25).


1. Queste parole che abbiamo ascoltate prima della lettura di questa solenne liturgia eucaristica in suffragio del compianto cardinale Pier Paolo Philippe, risuonano nel nostro cuore commosso con particolare accento, mentre ci stringiamo intorno alle sue spoglie mortali per porgere a lui l'estremo saluto e per implorare dalla misericordia divina il meritato riposo eterno.

"Con chi spera in lui!". La virtù teologale della speranza fu compagna inseparabile e luce ispiratrice del cardinale Philippe. Egli, da profondo teologo, degno della buona tradizione della scuola domenicana, ne conobbe e, soprattutto, ne visse le ultime esigenze. La storia della speranza risale alla vicenda biblica dell'esodo, allorché Dio, con braccio potente, condusse il suo popolo fuori dalla schiavitù d'Egitto; essa perciò si ravviva ad ogni festa di Pasqua che è il memoriale di quel gesto divino, ma che è pure, anzi soprattutto, il mistero della morte e della risurrezione di Cristo, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura della lettera dell'apostolo Paolo ai Romani: "Se siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione" (Rm 6,5).

Cristo, risorgendo, ha aperto nel muro della morte una breccia; per essa ogni uomo può seguirlo verso la gloria in cui egli è entrato per primo "come primogenito di coloro che risuscitano dai morti" (Col 1,18). La morte ha perduto così "il suo pungiglione... ed è stata inghiottita dalla vittoria" (1Co 15,54), per questo la liturgia la considera non la fine, ma l'inizio: il "dies natalis", in cui l'uomo redento dal Cristo si sveste dal suo corpo mortale per indossare l'abito nuovo che è il corpo glorioso della risurrezione (cfr. 2Co 5,2-3).

Infatti, come è avvenuto di Cristo nella sua risurrezione così avverrà di coloro che sono di Cristo perché egli "trasformerà il nostro corpo mortale a immagine del suo corpo glorioso" (Canone III).


2. In questa consolante visione escatologica, in questa speranza, senza la quale la stessa fede sarebbe "vuota" (cfr. 1Co 15,14), è vissuto e ha operato il nostro fratello, cardinale Pier Paolo Philippe. "Il Dio della speranza" (Rm 6,5) fu la ragione prima e ultima, l'alfa e l'omega dell'intera sua esistenza di uomo, di religioso e di prelato della Curia romana.

Già fin dalla prima chiamata alla vita religiosa, fiorita in seno a una famiglia profondamente cristiana di Parigi, egli comprese che il mondo è bisognoso di speranza assai più che di pane e presta ascolto a un messaggio nella misura in cui esso sa offrirgli una speranza viva e vera. Nessuno infatti può vivere senza di essa.

Entrato nell'ordine dei Frati predicatori, consegui il dottorato in teologia e filosofia per essere in grado di rendere ragione a chiunque lo interrogasse della speranza che era in lui (cfr. 1P 3,15). Con questo animo fervoroso egli intraprese, nel 1935, il suo insegnamento filosofico presso lo Studium di Lvov, in Polonia, e più tardi assunse l'incarico di docente di storia della spiritualità e della teologia mistica nell'ateneo Angelicum, in Roma. Fu durante quell'apprezzato e fecondo insegnamento romano che io ebbi la sorte di incontrarlo e di intrecciare con lui rapporti di stima e di amicizia, oltre che proficui scambi culturali.

Il suo innato amore per la scienza, la sua fedeltà alla Chiesa, la sua sollecitudine per l'ortodossia della fede e per la "sana dottrina", già raccomandata dall'apostolo Paolo al suo discepolo Timoteo (cfr. 1Tm 4,3), gli valsero la nomina a segretario dell'allora Sant'Offizio e l'elevazione alla dignità di arcivescovo. Svolse questo non facile compito con generosità, senza risparmio di tempo e di fatica, con lealtà a tutta prova.

La sua quadratura mentale, la sua cultura e il suo zelo per le anime rifulsero negli anni del Concilio Vaticano II, a cui egli partecipo come membro delle Commissioni per i religiosi e per le comunicazioni sociali. Ricordo i suoi interventi misurati e discreti, sapienti e illuminanti.

Ma la totale dedizione alla Chiesa si rivelo in pienezza durante l'incarico di prefetto della Sacra congregazione per le Chiese orientali, a lui affidato dal mio predecessore Paolo VI e poi riconfermato da Giovanni Paolo I e da me. Egli fu guida ferma ed esperta di quel dicastero tanto importante, la cui giurisdizione ecclesiastica si estende ad alcune nazioni afflitte, allora come anche oggi, dal flagello della guerra fratricida, che, purtroppo, non cessa di insanguinare quei Paesi tanto vicini e cari al cuore della Chiesa.

Con questa spina nel cuore, il cardinale Philippe si era ritirato nel 1980 nell'Istituto San Domenico di Roma, dove l'angelo della morte è venuto a prelevarlo e condurlo alla presenza del Padre.


3. "Buono è il Signore con chi spera in lui, / con l'anima che lo cerca". Il cardinale Philippe resterà un ammirevole esempio di come va vissuta l'attesa dei beni escatologici che sono la risurrezione del corpo, l'eredità dei santi, la vita eterna, la visione di Dio, in una parola: la salvezza! Profondamente radicato in queste certezze, egli ne ha continuamente esperimentato il conforto, la gioia e l'ebbrezza, non lasciandosi mai abbattere dalle sofferenze e dalle inevitabili prove della vita.

Siano rese grazie al Signore per tanta bontà a lui dimostrata, per averlo fornito di così preclari doti nell'ordine della natura e della grazia; per il nobile, gentile e intrepido temperamento che aveva ereditato dalla sua terra natale, alla quale ha fatto onore in tutto l'arco della sua vita a servizio di Cristo e della verità da lui fervidamente vissuta e comunicata, secondo il motto del suo ordine: "Contemplari et contemplata aliis tradere".


4. "Con l'anima che lo cerca". Il cardinale Pier Paolo Philippe ha cercato il Signore e lo ha incontrato: lo ha incontrato nel servizio ai fratelli, nella preghiera e soprattutto nella devozione eucaristica, in cui egli incentrava la sua pietà sacerdotale e trovava ristoro nella fatica e nella stanchezza. Quella sua continua ricerca del volto di Cristo (cfr. Ps 26,8), vissuta giorno dopo giorno "nella speranza" (Rm 8,24), si trasformi nella letificante visione del volto di Dio, così come egli è (cfr. 1Co 13,12). Preghiamo perché al nostro fratello cardinale Philippe, dopo il suo pellegrinaggio terreno, il Signore apra la porta santa del paradiso e lo ammetta nella gloria e nella gioia riservate ai servi buoni e fedeli; gli conceda quel ristoro, promesso nel Vangelo, che abbiamo proclamato poco fa, a quanti si sono affaticati per il regno dei cieli: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorero... e troverete ristoro per le vostre anime" (Mt 11,30). Preghiamo infine il Signore, perché usi misericordia al nostro fratello Pier Paolo, lo assolva da qualche macchia di peccato, gli conceda il riposo di quel "settimo giorno senza sera e senza tramonto", e lo introduca "nel sabato della vita eterna" (cfr. Agostino, "Le confessioni", XIII, 36,51). Amen.

Data: 1984-04-12 Data estesa: Giovedi 12 Aprile 1984




Ai "Christian Brothers"

Titolo: Esortazione a lavorare intensamente per le vocazioni

Testo:

Cari fratelli in Cristo.

Sono molto lieto di dare il benvenuto a voi, partecipanti al XXVI capitolo generale della congregazione dei "Christian Brothers". Vi saluto con le parole dell'apostolo Paolo: "Rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo" (Rm 1,8).


1. Voi rappresentate quasi tremila Fratelli cristiani attivamente impegnati nell'educazione della gioventù in più di trecentocinquanta comunità nei cinque continenti. Inoltre, voi siete i continuatori di una tradizione veramente gloriosa di impegno nell'educazione dei giovani che ebbe la sua umile origine nella prima scuola che il vostro fondatore, Edmund Ignatius Rice, istitui in una stalla a Wateford, agli inizi del XIX secolo. Si tratto davvero di un atto di evangelica compassione, poiché egli fu commosso dallo stato miserevole di ragazzi senza alcuna prospettiva di educazione o guida nelle tristi condizioni di povertà e di estrema discriminazione religiosa nelle quali vivevano.

Chi può misurare l'ampiezza del bene raggiunto dalla vostra congregazione da allora? Quanti ragazzi sono cresciuti in una maturità cristiana nelle loro vite personali e professionali, come risultato dell'eroismo spesso nascosto dell'opera compiuta dai Fratelli con quella profonda fede personale, con quello spirito di dedizione e gioia interiore che caratterizzano i seguaci di Edmund Ignatius Rice?


2. Il vostro Capitolo generale ha l'importante compito di rivedere le Costituzioni e gli altri regolamenti da sottoporsi all'approvazione della Sacra congregazione per i religiosi e gli Istituti secolari. Siete anche impegnati in un processo di rinnovamento e adattamento. A questo proposito vorrei attrarre la vostra attenzione su ciò che ho affermato nella mia recente esortazione apostolica, "Redemptionis Donum": "La Chiesa pensa a voi, prima di tutto, come a persone "consacrate": consacrate a Dio in Gesù Cristo come proprietà esclusiva".

Senza dubbio, l'efficacia del vostro apostolato e la vitalità della vostra congregazione, cioè il senso di personale identità e perciò la maturità spirituale di ogni membro della vostra congregazione, deriva dal modo autentico in cui questa consacrazione è accolta e vissuta.

Quali membri di un Istituto religioso voi avete una specifica testimonianza da dare. Voi proclamate il potere salvifico di Cristo col vostro particolare stile di vita, basato sull'osservanza dei consigli evangelici e animato da una solida pietà, sia personale che comune a tutti i membri della congregazione.


3. Permettetemi di menzionare brevemente un aspetto della pietà cristiana che contribuisce grandemente al raggiungimento della santità e alla consistenza della vostra testimonianza. Mi riferisco alla intensa devozione al Santissimo Sacramento che ha segnato il cammino spirituale di Edmund Rice e dal quale è venuta tanta forza e illuminazione per innumerevoli membri della sua congregazione. Dovete essere uomini di frequente contatto col Cristo risorto nel sacramento della sua presenza, per alimentare la fede che sostiene e dà significato alla vostra vocazione.

Il Concilio Vaticano II ha cura di puntualizzare che deve essere onestamente affrontato il fatto che anche i cambiamenti più desiderabili compiuti in vista di bisogni contingenti non raggiungeranno il loro scopo a meno che non siano vivificati da un rinnovamento di spirito, un interiore rinnovamento del cuore (cfr. PC 2).


4. Avete desiderato far visita al Papa. E io colgo questa opportunità per ringraziarvi per il vostro specifico servizio ecclesiale nella promozione dello sviluppo integrale della gioventù. Apprezzo anche l'assistenza diretta prestata dalla congregazione dei Fratelli cristiani alla Santa Sede.

Posso domandarvi una cosa? Voi siete ben consapevoli delle necessità della Chiesa in ogni parte del mondo in relazione alle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. La mia richiesta è che voi non manchiate mai di sfidare i giovani a seguire Cristo in questo cammino. Aiutateli a scoprire la chiamata divina. Sosteneteli con la vostra preghiera, il vostro consiglio e con l'esempio delle vostre vite.

E' mia ardente speranza che questo incontro vi incoraggi a continuare nella fedeltà all'ispirazione originale del vostro fondatore. Prego perché la vostra congregazione cresca e fiorisca di nuove vocazioni; che le vite di tutti i suoi membri siano fruttuose e vissute nell'adempimento del compito affidato a ciascuno.

Che la beata Vergine Maria, regina degli apostoli, vi protegga e vi ispiri col suo esempio di perfetta consacrazione! Sia lodato Gesù Cristo!

Data: 1984-04-12 Data estesa: Giovedi 12 Aprile 1984




Giubileo degli sportivi - Stadio Olimpico (Roma)

Titolo: Vera meta degli sportivi, una nuova civiltà dell'amore

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Durante quest'Anno Santo straordinario non poteva mancare la testimonianza di fede, manifestata anche da coloro che sono i protagonisti del mondo dello sport, di questo fenomeno umano e sociale, che ha tanta importanza e incidenza nel costume e nella mentalità contemporanea. E' pertanto motivo di grande gioia trovarmi con voi, uomini e donne dedicati allo sport, per celebrare il Giubileo della Redenzione operata da Cristo con la sua passione, morte e risurrezione.

San Paolo, che aveva conosciuto il mondo dello sport del suo tempo, nella prima lettera ai Corinzi, che abbiamo testé ascoltato, a quei cristiani che vivevano nell'ambiente greco, scrive: "Non sapete che nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo!" (1Co 9,24).

Ecco, l'apostolo delle genti, il quale per portare il messaggio di Cristo a tutti i popoli ha attinto concetti, immagini, terminologie, modi espressivi, dati filosofici e letterari non solo della tradizione giudaica, ma anche della cultura ellenica, non ha esitato a includere lo sport fra i valori umani, che gli servivano come punti di appoggio e di riferimento per il dialogo con gli uomini del suo tempo. Ha riconosciuto, pertanto, la fondamentale validità dello sport, considerato non soltanto come termine di paragone per illustrare un superiore ideale etico e ascetico, ma anche nella sua intrinseca realtà di coefficiente per la formazione dell'uomo e di una componente della sua cultura e della sua civiltà.

Così san Paolo, continuando l'insegnamento di Gesù, ha fissato l'atteggiamento cristiano, dinanzi a questa come alle altre espressioni delle facoltà naturali dell'uomo, quali la scienza, il lavoro, l'arte, l'amore, l'impegno sociale e politico; atteggiamento che non è di rifiuto o di fuga, ma di rispetto, di stima, semmai di riscatto e di elevazione: in una parola, di redenzione.


2. Ed è proprio questa concezione del cristianesimo come accettazione, assunzione, perfezionamento ed elevazione dei valori umani - e quindi come inno alla vita - che mi piace consegnare oggi a voi e a tutti coloro che, in qualsiasi modo e in ogni Paese del mondo, praticano e si interessano a questa attività umana, quale è quella dello sport. Il Giubileo proietta la luce della redenzione anche su questo fenomeno umano e sociale, esaltandone e magnificandone i valori positivi.

Non possiamo nascondere come non manchino purtroppo, anche in questo campo, aspetti negativi o per lo meno discutibili, che oggi vengono giustamente analizzati e denunciati da persone specializzate nell'osservazione del costume e del comportamento, e per i quali voi stessi indubbiamente soffrite.

Ma sappiamo anche quanti sforzi sono fatti perché sempre prevalga una "filosofia dello sport", il cui principio-chiave non è "lo sport per lo sport" o per altre motivazioni che non siano la dignità, la libertà, lo sviluppo integrale dell'uomo! Voi stessi, nel Manifesto degli sportivi, che avete voluto lanciare in occasione del presente Giubileo, affermate solennemente che "lo sport è al servizio dell'uomo e non l'uomo al servizio dello sport, e pertanto la dignità della persona umana costituisce il fine e il metro di giudizio di ogni attività sportiva... Lo sport è confronto leale e generoso, luogo di incontro, vincolo di solidarietà e di amicizia... Lo sport può essere autentica cultura quando l'ambiente in cui si pratica e l'esperienza che si compie sono aperti e sensibili ai valori umani e universali per lo sviluppo equilibrato dell'uomo in tutte le sue dimensioni". E dite ancora che lo sport "per la sua universalità si pone sul piano internazionale come mezzo di fraternità e di pace", e che volete impegnarvi a far si che esso "sia per gli uomini e per il mondo un effettivo strumento di riconciliazione e di pace"!


3. Si, carissimi atleti, possa questo incontro davvero straordinario ravvivare in voi la consapevolezza della necessità di impegnarvi perché lo sport contribuisca a far penetrare nella società l'amore reciproco, la fraternità sincera e l'autentica solidarietà. Lo sport, infatti, può recare un valido e fecondo apporto alla pacifica coesistenza di tutti i popoli, al di là e al di sopra di ogni discriminazione di razza, di lingua e di nazioni.

In conformità al dettato della Carta olimpica che vede nello sport l'occasione di "una migliore comprensione reciproca e di amicizia per costruire un mondo migliore e più pacifico", fate si che i vostri incontri siano un segno emblematico per tutta la società e un preludio a quella nuova era, in cui i popoli "non leveranno più la spada l'un contro l'altro" (Is 2,4). La società guarda a voi con fiducia e vi è grata per la vostra testimonianza in favore degli ideali di pacifica convivenza civile e sociale per l'edificazione di una nuova civiltà fondata sull'amore, sulla solidarietà e sulla pace.

Questi ideali fanno onore agli uomini dello sport che li hanno meditati e proclamati, ma specialmente fanno onore a non pochi campioni - dei quali alcuni oggi sono qui presenti - che nella loro carriera li hanno vissuti e realizzati con esemplare impegno.


4. San Paolo, nel brano che abbiamo ascoltato, sottolinea anche il significato interiore e spirituale dello sport: "Ogni atleta è temperante in tutto" (1Co 9,25). E' questo un riconoscimento della buona dose di equilibrio, di autodisciplina, di sobrietà, e quindi, in definitiva, di virtù, implicita nella pratica sportiva.

Per essere un bravo sportivo sono indispensabili onestà con se stessi e con gli altri, lealtà, forza morale, oltre e più che quella fisica, perseveranza, spirito di collaborazione e di socievolezza, magnanimità, generosità, larghezza di mente e di cuore, capacità di convivenza e di condivisione: sono tutte esigenze di ordine morale; ma l'apostolo aggiunge subito: "Essi (cioè gli atleti negli stadi greci e romani) lo fanno per ottenere una corona corruttibile (cioè la gloria e una ricompensa terrena, passeggera, effimera, anche quando suscita il delirio delle folle), noi invece una incorruttibile" (1Co 9,25).

Troviamo in queste parole gli elementi per delineare non solo un'antropologia, ma un'etica dello sport e anche una teologia, che ne metta in risalto tutto il valore.

Lo sport è anzitutto valorizzazione del corpo, sforzo per raggiungere le condizioni somatiche ottimali, con notevoli conseguenze di gratificazione psicologica. Dalla fede cristiana noi sappiamo che, per il Battesimo, la persona umana, nella sua totalità e integralità di anima e corpo, diviene tempio dello Spirito Santo: "Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comperati a caro prezzo (cioè col sangue di Cristo redentore). Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!" (1Co 6,19-20).

Lo sport è agonismo, gara per aggiudicarsi una corona, una coppa, un titolo, un primato. Ma nella fede cristiana sappiamo che vale di più la "corona incorruttibile", la "vita eterna", che si riceve da Dio come dono, ma che è anche il termine di una quotidiana conquista nell'esercizio delle virtù. E se c'è un'emulazione veramente importante, sempre secondo san Paolo, è questa: "Aspirate a carismi più grandi" (1Co 12,31), vale a dire ai doni che meglio servono alla crescita del regno di Dio in voi e nel mondo! Lo sport è gioia di vivere, gioco, festa, e come tale va valorizzato e forse riscattato, oggi, dagli eccessi del tecnicismo e dal professionismo mediante il recupero della sua gratuità, della sua capacità di stringere vincoli di amicizia, di favorire il dialogo e l'apertura degli uni verso gli altri, come espressione della ricchezza dell'essere, ben più valida e apprezzabile dell'avere, e quindi ben al di sopra delle dure leggi della produzione e del consumo e di ogni altra considerazione puramente utilitaristica ed edonistica della vita.


5. Tutto questo, carissimi amici, raggiunge la sua pienezza nel Vangelo dell'amore, che abbiamo sentito proclamare con le parole di Gesù, riferite da san Giovanni, e che si riassume in un comandamento solo: amate! Gesù insiste: "Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore... Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena... Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati... Voi siete miei amici, se farete ciò che io comando... Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga. Questo io vi comando: amatevi gli uni gli altri" (Jn 15,9-17).

In questa occasione così singolare e significativa qual è il nostro odierno incontro, io voglio consegnare a voi tutti, e specialmente ai più giovani, questo messaggio, questo appello, questo comandamento di Cristo: amate! amatevi! Rimanete nell'amore di Cristo e allargate i vostri cuori da fratelli a fratelli! Questo è il segreto della vita, e anche la dimensione più profonda e autentica dello sport! A voi tutti desidero ancora dire: in questo tempo così meraviglioso e così tormentato, impegnatevi a costruire una cultura dell'amore, una civiltà dell'amore! A questa costruzione voi potete contribuire con lo sport e con tutta la vostra condotta, con tutta la freschezza dei vostri sentimenti e con tutta la serietà della disciplina alla quale anche lo sport può educarvi. Vivete da uomini che restano tra loro amici e fratelli anche quando gareggiate per la "corona" di una terrena vittoria! Stringete le vostre mani, unite i vostri cuori nella solidarietà dell'amore e della collaborazione senza frontiere! Riconoscete in voi stessi, gli uni negli altri, il segno della paternità di Dio e della fratellanza in Cristo! Io ho fiducia nella sincerità della vostra fede e della vostra volontà; ho fiducia nella vostra giovinezza, ho fiducia nel vostro proposito di impegnarvi, oltre lo sport, per la salvezza dell'uomo contemporaneo, per l'avvento di quei "nuovi cieli" e di quella "terra nuova" (2P 3,13), a cui tutti siamo protesi con l'ardore della speranza cristiana! Io sento che la Chiesa, non meno delle vostre patrie, può contare su di voi! Avete dei modelli a cui ispirarvi. Penso, ad esempio, a Pier Giorgio Frassati che fu un giovane moderno aperto ai valori dello sport - era un valente alpinista e un provetto sciatore - ma seppe dare al tempo stesso una coraggiosa testimonianza di generosità nella fede cristiana e nell'esercizio della carità verso il prossimo, specialmente verso i più poveri e sofferenti. Il Signore lo chiamo a sé a soli ventiquattro anni di età, nell'agosto del 1925; ma egli è tuttora ben vivo in mezzo a noi con il suo sorriso e la sua bontà, per invitare i suoi coetanei all'amore di Cristo e alla vita virtuosa. Dopo la Prima guerra mondiale così egli scriveva: "Con la carità si semina negli uomini la pace, ma non la pace del mondo, bensi la vera pace che solo la fede di Cristo ci può dare, affratellandoci". Queste sue parole, insieme con la sua spirituale amicizia, vi lascio come programma, affinché in ogni luogo della terra siate anche voi portatori della vera pace di Cristo! Vi auguro di camminare verso tempi nuovi con quel "cuore nuovo", che ciascuno di voi avrà potuto realizzare in sé in questo Giubileo della Redenzione, come un dono di grazia e una conquista di amore! Amen! [Al termine delle esibizioni sportive:] Cari amici, vi sono molto grato per questa serata, sono grato al Comitato olimpico internazionale e al Comitato olimpico nazionale italiano; sono grato a tutti voi che mi avete invitato ad essere questo pomeriggio qui, in questo stadio Olimpico di Roma per la prima volta, e speriamo non per l'ultima. Ringraziandovi per tutti i momenti del vostro ricco programma, voglio ringraziare soprattutto di aver invitato questa sera Cristo stesso ad essere presente tra voi nella sua realtà sacramentale, nella sua realtà eucaristica.

Carissimi, vi auguro che, dopo questa celebrazione dell'Anno della Redenzione, Cristo rimanga sempre con voi, con ciascuno di voi e con tutti voi.

Voglio ancora ringraziarvi per questa manifestazione della fratellanza specialmente per quanto riguarda gli atleti handicappati. Che gioia nel vederli nelle competizioni sportive e anche di vedere i loro successi. A tutti gli atleti, a tutti i campioni, le mie cordialissime congratulazioni. Auguro a tutti i presenti, giovani e adulti, partecipanti e organizzatori di questo incontro, una buona, buonissima Pasqua dell'Anno Santo della Redenzione.

Data: 1984-04-12 Data estesa: Giovedi 12 Aprile 1984





GPII 1984 Insegnamenti - A pellegrini francesi - Città del Vaticano (Roma)