GPII 1984 Insegnamenti - Messaggio a tutti i libanesi - Città del Vaticano (Roma)

Messaggio a tutti i libanesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Libertà, rispetto reciproco e apertura di spirito

Testo:

Cari figli e fratelli del Libano.

Dopo aver ascoltato, nei giorni scorsi, le testimonianze qualificate dei patriarchi cattolici del Libano e averne condiviso le preoccupazioni, sento il bisogno di manifestare ancora una volta la mia vicinanza spirituale con tutti coloro che, nel vostro caro Paese, sono ancora esposti agli orrori della guerra.

Questa è anche un'occasione per me per richiamare di nuovo l'attenzione del mondo sulle sorti di una nazione che, ormai da dieci anni, si trova a dover affrontare le disastrose conseguenze di una violenza endemica.

Il profondo affetto che da tempo nutro per questo Paese e la sua popolazione tanto provata, mi autorizza, io credo, a rivolgere una parola amichevole a tutti i libanesi, cattolici, cristiani e musulmani: so che essa troverà la strada per arrivare al loro cuore! Faccio questo nell'incomparabile luce di Pasqua, manifestazione della vita. Infatti, se i libanesi, nelle attuali circostanze, hanno bisogno di una parola, è proprio di una parola di risurrezione, di una parola per il futuro! Questi troppo lunghi anni di guerra non devono intaccare, infatti, la vostra fiducia nel Libano stesso. Esso costituisce un valore prezioso di civiltà: si pensi a quanto l'umanità intera gli deve, a partire dal tempo lontano dei Fenici, senza dimenticare che è stato punto d'incontro delle religioni, di dialogo culturale tra Oriente e Occidente e di iniziative economiche. La libertà, la comprensione, l'ospitalità e lo spirito di apertura sono stati i valori sui quali si appoggiava il Libano di ieri. Essi sono la base del Libano di domani. Una società animata dall'ideale democratico e pluralista è un patrimonio prezioso che nessuno può accettare di veder scomparire. Tutti i Paesi amanti della pace e della libertà non possono che offrire il loro appoggio per aiutare il Libano a ritrovare la sua fisionomia originale che sarà il risultato dell'opera paziente e generosa dei soli libanesi.

Per questo è necessità impellente che ogni cittadino libanese conservi una totale fiducia nell'uomo. Pensate, infatti, cari libanesi, a quello che voi siete stati capaci di costruire insieme: una società di dialogo e di prosperità che molti vi invidiavano. Certo, fattori interni ed esterni, che non possono essere sottovalutati, sono venuti a sfigurare il Libano. Ma le sconfitte, i rancori, le lotte, e perfino i massacri, non possono mai spegnere del tutto quella piccola fiamma che vacilla nel cuore di ogni uomo e che si chiama amore: è quello per cui l'uomo più è simile a Dio. So bene che lo scatenamento della violenza di questi ultimi anni ha creato un clima di dubbio e di sospetto che talvolta fa si che si lancino anatemi contro colui che non la pensa come te o che non condivide la stessa fede religiosa. Ma sono altrettanto convinto che non è troppo tardi per superare questa situazione: accettare di ritrovarsi fra uomini, guardarsi come fratelli, è già avviare una soluzione. Vuol dire proclamare che non ci si piega assolutamente al fallimento. I libanesi sono credenti, e dunque sanno che il Creatore ha affidato a loro la loro terra perché fosse resa abitabile e accogliente per tutti! "La pace nasce da un cuore nuovo", ho detto all'inizio di quest'anno, in occasione della Giornata mondiale della pace. Come non sottolineare che è ogni libanese infine il responsabile dell'avvenire del suo Paese? Ognuno deve essere pronto a fare un esame di coscienza, a rinunciare a qualcosa, a mettersi in discussione perché prevalgano i valori condivisi da tutti: la dirittura morale, la preoccupazione per la verità, il senso dell'uomo, la vera solidarietà, la difesa delle libertà e il rispetto delle tradizioni. E tutto questo sia a livello personale che comunitario.

L'arroganza, la sete di potere, il fanatismo, il disfattismo o la paura sono germi mortali, che non soltanto indeboliscono lo spirito nazionale, ma possono condurre il vostro Paese a una disgregazione totale. Il Libano del 1984 deve raccogliere la sfida del risollevamento morale e dell'avvento di una società fedele al suo prestigioso patrimonio di civiltà e lucida di fronte al suo avvenire.

In questa esaltante avventura, i cristiani hanno un ruolo specifico da svolgere. Ed è proprio a loro, costantemente presenti al mio affetto e alla mia preghiera di padre, che desidero ora rivolgermi in modo del tutto particolare.

Cari figli, nel Libano di oggi voi siete responsabili della speranza. Di quella speranza che sgorga dalla tomba aperta di Pasqua, dal Cristo risuscitato.

"In se stesso, Gesù ha distrutto l'inimicizia" (cfr. Ep 2,16): che buona novella da annunciare intorno a voi! Mediante questi frutti dello spirito pasquale che sono "la sincerità e la verità" (1Co 5,8), create, là dove vivete e lavorate, un clima fraterno. Senza ingenuità, sappiate dare fiducia agli altri e siate creativi per far trionfare la forza rigeneratrice del perdono e della misericordia. Mi piace ricordarvi, insieme all'apostolo Paolo: "Non rendete a nessuno male per male... Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male" (Rm 12,17-21). Ma non siate mai timidi quando si tratti di difendere le vostre libertà e in modo particolare quella di proclamare e vivere insieme i valori evangelici.

La Chiesa tutta è al vostro fianco, solidale con le vostre prove e con le vostre aspirazioni, perché essa ricorda che nella vostra regione, per la prima volta, i discepoli di Cristo ricevettero il bel nome di "cristiani". Essa è fiera anche per tutti i sacrifici dei cristiani d'Oriente per conservare intatta la fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Essa non saprebbe dunque convincersi a vedere indebolita in Libano e altrove questa presenza acquisita al prezzo di tanta eroica perseveranza.

Insieme, membri di una Chiesa che, al di là delle legittime diversità, ha la preoccupazione di rinsaldare le sue energie, date la testimonianza di una comunità unita, ansiosa di superare le contrapposizioni fittizie create dalla guerra. La Chiesa in Libano deve assicurare in modo profetico il ministero del dialogo e della riconciliazione che ha la sua sorgente nel cuore di Cristo che, come ha ricordato la Chiesa durante la Settimana santa, ha dato la sua vita per la moltitudine. Sotto la guida dei vostri pastori, con i vostri sacerdoti tanto disponibili, stimolati dalla testimonianza dei vostri religiosi e religiose, con i fratelli delle altre Chiese cristiane, prendete parte senza esitare a tutto ciò che procede nella direzione del bene. Cooperate con i vostri concittadini di buona volontà - e sono la maggioranza - per ricomporre la trama della vita nazionale e dare così alla nazione libanese una consistenza capace di resistere definitivamente alle scosse interne e alle pressioni esterne.

Le generazioni future vi giudicheranno sulla vostra capacità di superare le tensioni presenti e la paura del domani. "Il futuro dell'umanità è riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza" (GS 31,3). Per noi si tratta di Cristo, redentore dell'uomo! Queste aspirazioni e questi desideri io affido alla santa Vergine, invocata sotto il nome di nostra Signora del Libano, ella che con le braccia aperte dalla collina di Harissa, offre a tutto il Libano il suo sorriso e la sua tenerezza, per ricordare che solo l'amore sa fare grandi cose! A tutti i libanesi, e specialmente a coloro che piangono la perdita dei loro cari, ai malati e ai feriti di guerra, ai giovani inquieti per il loro avvenire, a tutti coloro che aspirano a un Libano libero e felice, infine ai cristiani che hanno appena celebrato il mistero della risurrezione del Signore, invio di gran cuore la mia paterna e affettuosa benedizione, pegno delle consolazioni di Dio che ci chiama alla vita! Dal Vaticano, 1 maggio 1984

Data: 1984-05-01 Data estesa: Martedi 1 Maggio 1984




A tutti i vescovi della Chiesa - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lettera apostolica "Les grands mystères"

Testo:

Cari fratelli nell'episcopato.

I grandi misteri della nostra salvezza che abbiamo celebrato nei giorni scorsi, ci hanno ricordato a quale prezzo siamo stati riscattati da Cristo "messo a morte per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione" (Rm 4,25). La Chiesa intera ha cantato il suo "Alleluia", felice di sapersi portatrice del messaggio di vita e di speranza che la Pasqua propone all'umanità.

Ma la coscienza della vittoria di Cristo sulle tenebre, rende ancora più viva la nostra preoccupazione nel vedere tanti nostri fratelli sempre di fronte al male in tutte le sue forme, in particolare alla guerra e alle sue terribili conseguenze. E' per questo che il mio cuore si stringe al pensiero del dramma che, da ormai dieci anni, il Libano sta vivendo.

Il Libano oggi è oggetto di sofferenza per il mondo e per la Chiesa, poiché in esso dei fratelli nella nostra condizione umana soffrono e guardano con angoscia al futuro. Ho rivolto or ora a tutti i libanesi un messaggio nel quale ho voluto riaffermare la mia fiducia nel Libano e in tutti i suoi cittadini, desiderosi di dar vita ad un Paese che sia nello stesso tempo nuovo e fedele al suo prezioso patrimonio spirituale.

Questo messaggio, io desidero che sia di tutta la Chiesa e per questo lo sottopongo alla vostra attenzione, venerati fratelli, perché lo facciate conoscere nelle vostre comunità, ed esso alimenti la preghiera e faccia riflettere tutti gli uomini amanti della pace e della verità, sul dramma di un popolo che ha troppo a lungo sofferto per la violenza.

Come cristiani, noi non possiamo fare a meno di essere artefici di pace, di quella pace di cui fanno elogio le beatitudini, di quella pace che è al tempo stesso dono e compito affidato all'opera di ognuno.

Ma questa solidarietà diventa un dovere ancora più imperioso quando coloro che soffrono sono anche dei fratelli cristiani. Essi devono sapere che noi partecipiamo spiritualmente alla loro sorte con la coscienza della nostra appartenenza ad una stessa famiglia. Noi non li dimentichiamo. Anzi, di più: noi contiamo su di loro, e sulla loro presenza in un Libano democratico, aperto agli altri, in dialogo con le culture e le religioni, che solo così è capace di sopravvivere e di garantire la loro esistenza nella libertà e nella dignità.

Inoltre, lo sviluppo della cristianità nel Libano è condizione per la presenza delle minoranze cristiane in Medio Oriente: di questo il Papa e la Chiesa universale sono consapevoli. Ciascuna comunità cristiana del mondo vorrebbe senza dubbio portare il proprio contributo alla salvaguardia di queste Chiese orientali che sono state la culla della nostra fede e verso le quali siamo tanto debitori: esse possono contare sull'appoggio morale e spirituale della Chiesa cattolica tutta intera.

E' questa la ragione per la quale, venerati fratelli, vi invito a pregare e a far pregare per i nostri fratelli cristiani libanesi: che essi abbiano il coraggio di credere nell'avvenire e dunque si stringano sempre più attorno ai loro vescovi per portare come Chiesa il nome di Dio ai loro cittadini. In un Libano ancora in preda a divisioni e ad esclusivismi di ogni sorta, è di capitale importanza che la comunità cristiana appaia come fermento di unità e di riconciliazione.

Preghiamo anche per i nostri fratelli libanesi non cristiani che, insieme con i loro concittadini che professano la fede in Cristo, hanno contribuito a scrivere la storia del Libano, terra di incontro e di dialogo. Com'è possibile che uomini che vivono sulla medesima terra e si riconoscono figli di uno stesso Dio non siano in grado di superare i tristi episodi di violenza e di vendetta per volgere insieme lo sguardo verso un avvenire da costruire? Quale disastro per il mondo se gli uni e gli altri arrivassero ad escludersi in nome della religione! Per parte loro, i cristiani del mondo arabo si sono sempre sentiti di casa in questa regione nella quale hanno contribuito alla diffusione di un messaggio di cultura e di progresso di cui tutti sono stati beneficiari.

Preghiamo infine il Signore perché egli ispiri agli amici del Libano ovunque nel mondo, in particolare quelli ai quali competono responsabilità al livello delle decisioni politiche. Che nessuno ceda alla stanchezza, ma che tutti siano disposti a continuare ad aiutare il Libano a ritrovare la sua fisionomia originale! Tutti coloro che amano questo Paese devono aiutare i libanesi a ricostruirlo con i loro propri sforzi, attorno alle legittime autorità: perché questo avvenga, ciascuno dev'essere pronto, in Libano e altrove, a sacrificare i propri interessi perché trionfi il bene comune.

Vi affido queste riflessioni, venerati fratelli, perché questo messaggio inviato ai libanesi sia anche quello che voi stessi e coloro di cui voi avete la responsabilità pastorale rivolgete loro.

A somiglianza dei nostri primi fratelli nella fede che, dopo la risurrezione del Signore, erano "tutti assidui e concordi nella preghiera... con Maria, la Madre di Gesù" (Ac 1,14), noi ci uniamo alla supplica della Chiesa in Libano perché le sia data la grazia di attingere dalla croce di Cristo, che essa porta nella propria carne, la forza di vivere l'oggi di Dio e il suo ideale di fraternità e di riconciliazione. Noi desideriamo anche ripetere ai libanesi non cristiani la nostra stima e preghiamo Dio che li illumini perché sappiano resistere alla tentazione delle separazioni e della diffidenza che esse generano così facilmente.

Dio doni a ciascuno abbastanza coraggio e fede perché l'uomo sia vincitore delle tenebre! Non sarà del resto la prima volta che i libanesi avranno sfidato la prova e l'incertezza.

All'intercessione della Vergine santissima noi affidiamo questi voti e queste preghiere perché il Libano torni presto ad essere per i popoli della regione e del mondo un segno di speranza offerto a tutti.

Con un particolare affetto nel Signore, vi accordo la mia benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 1 maggio 1984

Data: 1984-05-01 Data estesa: Martedi 1 Maggio 1984




Messaggio all'Assemblea della Cei - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il rinnovamento spirituale del Giubileo speranza per la Chiesa

Testo:

Carissimi fratelli nell'episcopato!


1. Non potendo essere presente di persona fra di voi, in occasione dell'annuale assemblea generale, che nei prossimi giorni vi vedrà raccolti in profonda comunione di intenti a riflettere sulle necessità e sulle attese delle Chiese affidate alle vostre cure pastorali, desidero rivolgervi il mio cordiale saluto al momento di lasciare Roma per il mio viaggio pastorale in Estremo Oriente e nell'Oceania. La lontananza fisica non mi impedirà di sentirmi spiritualmente a voi unito nell'affetto e nella preghiera, ringraziando "continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza" (1Co 1,4-5).

Molti sono i problemi che la vostra assemblea intende affrontare, come ho potuto rilevare scorrendo il programma dei lavori. La molteplicità degli impegni pastorali ai quali, carissimi fratelli, dovete dare orientamento e sostegno e la complessità di questo nostro tempo, percorso da grandi speranze ma segnato altresi da gravi contraddizioni, esigono il vostro vivo e deciso impegno collegiale nella prospettiva del vero bene della Chiesa e della stessa comunità civile.

Il Signore vi conceda di poter celebrare la vostra assemblea in spirito di fede, mossi dalla sincera volontà di vivere in pienezza la comunione fra di voi, così da fare della Conferenza un segno efficace e credibile di comunione missionaria di tutta la Chiesa italiana.


2. Mi è caro, innanzitutto, profittare di questa solenne circostanza per manifestarvi il mio apprezzamento e la mia gratitudine per la generosa collaborazione alla felice riuscita dell'Anno Giubilare della Redenzione. Ciascuno di voi ha recato il suo prezioso contributo mediante la predisposizione nelle rispettive diocesi di adeguate opportunità per l'acquisto dell'indulgenza giubilare e promuovendo, altresi, l'organizzazione di pellegrinaggi alle basiliche romane e alla Sede di Pietro, così che più chiara apparisse la comunione di ogni Chiesa particolare con la Chiesa di Roma, che Cristo ha voluto come principio e fondamento dell'autentica e vitale unità di quanti credono in lui. Vi sono pure riconoscente per la sollecitudine con cui avete corrisposto all'invito che a suo tempo vi rivolsi, ad unirvi a me nel solenne atto di affidamento del mondo alla materna protezione della Vergine santissima.


3. Spetta ora a noi, pastori a cui Cristo ha affidato la sua Chiesa, di impegnarci a fondo per far sviluppare i germi che lo Spirito ha deposto, nel corso dell'Anno Giubilare straordinario, nel cuore dei fedeli.

Tra questi germi vorrei ricordare, in primo luogo, i confortanti sintomi di ripresa nella pratica del sacramento della Penitenza, grazie al quale molte anime hanno ritrovato la gioia della pace con Dio e della riconciliazione con i fratelli. In ordine a questa primaria urgenza pastorale occorrerà impegnarsi ancora e sempre, in linea anche con le indicazioni della recente assemblea del Sinodo dei vescovi, perché questo umanissimo e insieme divino strumento di ripresa spirituale, "escogitato" dall'amore misericordioso del Redentore, possa esercitare - oggi come in passato - tutta l'intrinseca efficacia risanatrice nella vita personale e sociale dei cristiani.

In questo quadro di spirituale rinnovamento vanno visti pure i vari argomenti proposti alla considerazione di questa assemblea. Prima di tutto c'è la preparazione del secondo convegno ecclesiale sul tema: "Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini". Annunciato da tempo e accolto con grande speranza dentro e fuori della Chiesa, tale convegno dovrà essere un'espressione significativa di autentica comunione ecclesiale. A questo fine ci si dovrà preoccupare che sin dalle primissime fasi della preparazione e nella stessa composizione degli organi, ai quali essa verrà affidata, siano rispettate le esigenze della comunione, curando da un lato che l'episcopato abbia il posto che gli compete per istituzione divina e, dall'altro, che ogni espressione delle molteplici realtà ecclesiali, in sintonia con le legittime autorità, si trovi debitamente rappresentata.

A nessuno sfugge come, per la riuscita del convegno, sia innanzitutto necessaria la volontà coraggiosa e unanime di voi tutti, carissimi fratelli, così che siano messe in atto con sicurezza le risorse della Chiesa italiana, siano indicati chiari valori e ragioni di speranza al Paese, siano garantiti autorevolmente gli opportuni approfondimenti sul tema della riconciliazione alla luce dei risultati del recente Sinodo dei vescovi e delle esperienze dell'Anno Giubilare.

Occorrerà, altresi, che ciascuno di voi sia consapevole anche dei rischi che simile iniziativa potrebbe incontrare, e che sia deciso ad affrontarli insieme con i suoi fratelli nell'episcopato per il servizio al Vangelo, alla Chiesa e alla comunità umana.


4. Argomento che non mancherà di essere oggetto di vostra particolare sollecitudine saranno le prospettive che sul piano pastorale provengono dai contenuti dell'accordo tra la Santa Sede e l'Italia del 18 febbraio scorso, che apporta modifiche al Concordato lateranense. In tale importante documento, destinato a incidere per più versi nella vita della Chiesa in Italia negli anni a venire, particolare significato hanno le disposizioni concernenti l'insegnamento della religione nelle scuole pubbliche. La loro efficacia per l'educazione religiosa dei giovani, nell'ambito delle finalità proprie della scuola, dipenderà dal senso di responsabilità che animerà i pastori d'anime, gli alunni e le famiglie, gli insegnanti, ciascuno secondo il suo proprio ruolo.

Non può non essere comune preoccupazione di far si che il maggior numero possibile di giovani, i quali nella scuola ricevono una formazione che è fondamentale per la loro vita, fruiscano, nello stesso ambiente scolastico, di un competente e appropriato insegnamento religioso.


5. Di speciale importanza per questa vostra assemblea, si preannuncia inoltre la revisione dello statuto della Conferenza episcopale. Sarà compito, in particolare, della vostra assemblea definire con maggiore precisione la fisionomia della Conferenza stessa, alla luce de mento conciliare e delle disposizioni del nuovo Codice di diritto canonico, che opportunamente richiamano le impreteribili prerogative della Santa Sede e dei singoli vescovi, pastori delle Chiese particolari.

Questi grandi riferimenti, se ben tradotti nello statuto, potranno dare il necessario impulso a quest'organo dell'"affectus collegialis" dell'episcopato, che è la Conferenza, facendone un sicuro strumento di comunione ecclesiale, nella linea di un sempre miglior coordinamento dell'azione pastorale a servizio del popolo di Dio nel nostro tempo.


6. Non posso qui soffermarmi sugli altri numerosi e gravi argomenti, circa i quali la vostra saggezza, venerati fratelli, è chiamata a pronunciarsi. Su di essi ho avuto occasione di esprimere il mio pensiero in diverse circostanze, sia in precedenti incontri con voi, sia accogliendo gli episcopati di altre nazioni o visitandoli io stesso nei loro Paesi.

Il mio augurio fraterno e cordiale è che la vostra riflessione approdi a conclusioni responsabilmente condivise, così che questa vostra assemblea segni un momento di comunione significativo e contribuisca a rendere sempre più incisiva l'azione che le diverse componenti ecclesiali svolgono nella realtà sociale italiana. Con questi voti elevo a Dio la mia preghiera, implorando per voi quei doni di lungimiranza, di fortezza, di discernimento, che la complessità dei problemi in discussione comporta. Voglia il Signore Gesù esservi largo di lumi e di interiori consolazioni. Glielo chiedo per l'intercessione di Maria santissima, sua e nostra madre. Con questi sentimenti vi imparto volentieri, pegno di intenso affetto, la mia speciale benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 1 maggio 1984

Data: 1984-05-01 Data estesa: Martedi 1 Maggio 1984




Arrivo a Fairbanks (Alaska - Usa)

Titolo: L'Alaska è oggi un crocevia del mondo

Testo:

Sia lodato Gesù Cristo! Signor presidente, caro popolo dell'Alaska, stimati cittadini d'America.


1. Sono molto lieto di visitare l'Alaska ancora una volta, e di inviare da questo Stato settentrionale un saluto particolarmente caloroso e pieno di affetto a tutti i cittadini degli Stati Uniti d'America.

Come sapete, oggi ho cominciato una visita pastorale che mi porterà in Corea, in Papua Nuova Guinea, nelle isole Salomone e nella Thailandia. E sono assai lieto che questo pellegrinaggio mi consenta di fermarmi qui a Fairbanks e di trattenermi in mezzo a voi! Sono molto onorato per la presenza del presidente Reagan, il quale è appena rientrato da un importante viaggio in Cina. Signor presidente, la ringrazio per il suo gentile benvenuto al mio arrivo, e desidero ribadire, attraverso la sua persona, la mia amicizia e stima per tutti i cittadini della sua grande nazione.

I miei ringraziamenti vanno altresi al vescovo Whelan per il suo invito, molto gradito, nella diocesi di Fairbanks. Estendo inoltre i miei auguri al vescovo Kaniecki e prego il Signore affinché gli conceda molti anni sereni al servizio della Chiesa.

Vorrei inoltre dedicare qualche parola di saluto ai vescovi della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, i quali hanno mostrato la loro fraterna unione con me, venendo qui in questa felice occasione.


2. Nella mia prima visita al vostro bel Paese, quando arrivai, caro popolo dell'Alaska, mi ricordo di essere stato accolto da una piccola graziosa bambina, Mollie Marie, che mi stese la mano porgendomi un mazzetto di non-ti-scordar-di-me, il vostro fiore nazionale. Poco tempo dopo, quella piccola fanciulla fu chiamata alla casa del Padre, ma il suo gesto d'amore non è stato dimenticato e la sua memoria è benedetta.

Dal suo gesto di quel giorno ho scoperto una profonda verità circa il popolo del vasto territorio d'Alaska: che voi ricordate il Papa nei vostri pensieri e nelle preghiere. Oggi sono qui di persona per assicurarvi che non vi ho dimenticati. E anche quando sono molte migliaia lontano da qui, tengo sempre vicini al mio cuore gli abitanti dell'Alaska e tutti gli altri degli Stati Uniti d'America. Non vi dimentico perché siamo legati assieme da vincoli di amicizia, di fede, e d'amore.


3. In qualche modo l'Alaska si può considerare oggi come un crocevia del mondo. Il presidente Reagan è ritornato dalla visita al caro popolo di Cina, e io mi sto recando in una terra dell'Estremo Oriente vicina ad essa. La città di Fairbanks ci ricorda anche un altro motivo per il quale è chiamata "Il cuore del Nord dorato".

Qui, in questo grande Stato, si parlano 65 lingue e le persone delle più diverse estrazioni sociali vivono insieme con gli Aleuti, con gli Esquimesi, e con gli Amerindi. Questa magnifica diversità fornisce il contesto nel quale ogni persona, ogni famiglia, ogni gruppo etnico è sfidato a vivere in armonia e in concordia reciproca.


4. Raggiungere questo scopo richiede una costante apertura di ciascuno verso l'altro, individualmente e come gruppo. Un'apertura di cuore, una disponibilità ad accettare le differenze, e una attitudine ad ascoltare l'uno i punti di vista dell'altro, senza pregiudizi. L'apertura verso gli altri, per sua stessa natura, esclude ogni sorta di egoismo. Si esprime in un dialogo onesto e leale: un dialogo fondato sul rispetto reciproco, l'apertura verso gli altri nasce nel cuore.

Come ho affermato all'inizio di quest'anno nel mio messaggio per la Giornata mondiale della pace, se gli uomini e le donne sperano di migliorare la società, essi devono cominciare per prima cosa a trasformare i loro cuori. Solo con un "nuovo cuore" si può riscoprire "la chiaroveggenza, la perspicacia e l'imparzialità insieme con la libertà di spirito, il senso della giustizia insieme col rispetto dei diritti dell'uomo, il senso dell'equità con la solidarietà mondiale tra ricchi e poveri, la fiducia reciproca e l'amore fraterno" (Messaggio per la celebrazione della Giornata mondiale della pace, 3).

Qui a Fairbanks voi avete la possibilità di riscoprire tali valori e di esprimerli in armoniosi rapporti col vostro vicino, il che riflette la stupenda armonia della natura che pervade questa regione.

Possa Dio darvi la forza di esprimere questa armonia nelle vostre vite, nei vostri rapporti con gli altri. Possa darvi il coraggio di dividere generosamente e altruisticamente le benedizioni che voi avete ricevuto in abbondanza.

Dio benedica l'America!

Data: 1984-05-02 Data estesa: Mercoledi 2 Maggio 1984




Omelia a Fairbanks (Alaska - USA)

Titolo: Grazie alla Chiesa statunitense per il suo impegno missionario

Testo:

Cari fratelli e sorelle in nostro signore Gesù Cristo, la pace sia con voi!


1. Vi saluto con le stesse parole che abbiamo appena udito indirizzare da Cristo risorto ai suoi discepoli del Vangelo di san Giovanni. Uso questa espressione non soltanto per dare risalto alla meravigliosa gioia che è nostra in questo periodo pasquale, ma anche nel ricordo della promessa di Cristo: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20). Poiché siamo qui insieme nel nome di Cristo, Cristo è in mezzo a noi.

Miei cari fratelli e sorelle, non proviamo un sentimento di gioia prorompente, una profonda serenità, sapendo che Gesù il nostro Salvatore risorto, il nostro sacrificio pasquale, la luce del mondo che questo Gesù dimora nei nostri cuori e ci dà la sua pace? Voglio dirvi quanto sia felice di essere unito a voi oggi nella pace del Cristo risorto.


2. Contemplando la gioia dei discepoli alla vista del Signore, notiamo dal passo del Vangelo che c'e qualcosa di nuovo in lui. Le porte sono chiuse, eppure lui entra. Porta i segni della morte, eppure è vivo. I resoconti del Vangelo sia di Luca che di Giovanni si sforzano di dirci che, dopo la risurrezione, il corpo di Gesù è diverso. Egli è entrato nello stadio della sua vita risorta e gloriosa.

Nel Vangelo di Giovanni, questa è la seconda apparizione di Gesù ai discepoli riuniti in gruppo. Dopo la prima apparizione, la loro gioia nel vedere Gesù fu così grande che, quando incontrarono Tommaso, non seppero resistere dall'esclamare: "Abbiamo visto il Signore!". Ma Tommaso non volle accettare la loro testimonianza: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non credero" (Jn 20,25). Forse è facile per noi giudicare duramente Tommaso per il suo scetticismo. Del resto non usiamo spesso l'espressione "vedere per credere"? Forse che i nostri tempi non tendono a credere solamente a ciò che può essere provato con i sensi? Forse che l'uomo moderno non rimane incredulo di fronte a ciò che non può vedere, toccare o sentire? Gesù comprende Tommaso, e le ragioni dei suoi dubbi. Quando incontra Tommaso, Gesù gli dice immediatamente: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente!". Tommaso rimase così colpito dalla gentilezza, dalla condiscendenza e dalla pazienza del Signore, che riusci appena ad articolare umilmente: "Mio Signore e mio Dio!". Si, questo era davvero il Signore, trasformato dalla risurrezione e veramente vivo.


3. Il costato di Cristo nel quale Tommaso pose la sua mano è lo stesso che era stato trafitto dalla lancia del soldato e dal quale "usci sangue e acqua", (Jn 19,34). E con lo sgorgare di quel "sangue e acqua", la Chiesa è nata dal costato di Cristo. perciò, con la sua passione e morte, Cristo ha generato la Chiesa dal suo costato, affinché la sua risurrezione possa essere manifestata al mondo. Per volontà di Dio, la Chiesa diventa il sacramento o il segno di Cristo sulla terra.

In quanto corpo di Cristo, essa diventa il punto d'incontro fra Dio e l'umanità: fra il Creatore e le creature, fra il Redentore e i redenti. E così come Tommaso è stato invitato a "vedere e credere", sperimentando la presenza del Cristo risorto nel suo corpo glorioso, così tutti i popoli sono invitati a "vedere e credere" sperimentando la stessa presenza di Cristo risorto nel suo corpo mistico, la Chiesa.


4. Nella prima lettura di oggi, tratta dagli Atti degli apostoli, che ci dice cos'è accaduto in casa del centurione romano Cornelio, vediamo che il messaggio di fede è comunicato attraverso la Chiesa. Pietro non predicava soltanto di sua iniziativa. La Scrittura ci dice che Cornelio era stato indirizzato a Pietro da un angelo, e che Pietro si era recato li su indicazione dello Spirito Santo. Inoltre, mentre Pietro stava predicando sul significato degli eventi della vita di Gesù, della sua morte e della sua risurrezione, "lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso" (Ac 10,44). Con la sua predicazione, Pietro era impegnato in un'attività profondamente ecclesiale. così come lo è chi evangelizza, perché si può annunciare il Vangelo di Cristo nella sua autenticità soltanto in nome della Chiesa e in unione con la Chiesa.

Il mio predecessore Paolo VI ha richiamato questa verità nella sua esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" (EN 60): "Allorché il più sconosciuto predicatore, catechista o pastore, nel luogo più remoto, predica il Vangelo, raduna la sua piccola comunità o amministra un sacramento, anche se si trova solo compie un atto di Chiesa, e il suo gesto è certamente collegato mediante rapporti istituzionali, ma anche mediante vincoli invisibili e radici profonde dell'ordine della grazia, all'attività evangelizzatrice di tutta la Chiesa. ciò presuppone che egli agisca non per una missione arrogatasi, né in forza di un'ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa".

Come ben si adatta questo passo alla Chiesa dell'Alaska, e soprattutto alla diocesi di Fairbanks, dove la popolazione è sparsa su una superficie di oltre 1.530.000 kmq. Leggendo la storia dell'attività missionaria in questa vasta area geografica, noi potremmo chiederci se i primi missionari avrebbero osato spingersi all'interno dell'Alaska, se non fossero stati infiammati da un profondo amore per la Chiesa di Cristo e profondamente convinti del dovere della Chiesa di annunciare il Vangelo a tutti i popoli. Le prime imprese missionarie degli Oblati di Maria Immacolata e l'impegno costante della Società di Gesù, sono ben noti. I missionari si distinguono in questa storia come gli autentici eroi della fede, il cui coraggio e la cui dedizione hanno reso possibile l'edificazione della Chiesa in questo Paese.

Oggi l'opera di predicare e insegnare il Vangelo in nome della Chiesa viene portata avanti con impegno dai sacerdoti religiosi e diocesani, dai diaconi, dalle suore, dai fratelli religiosi e dai catechisti. Molti di loro affrontano grandi sacrifici personali, percorrendo spesso lunghe distanze per portare la parola di Dio con il suo messaggio di speranza e di amore ai loro fratelli e alle loro sorelle.

Questo impegno missionario ancora oggi è affidato alla cura pastorale della Sacra congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, ed è sostenuto dalle Pontificie opere missionarie. In concreto ciò significa che l'evangelizzazione in questa diocesi, e in tante altre diocesi simili a questa in tutto il mondo, è resa possibile dall'interesse e dalla solidarietà degli altri. A questo proposito, i cattolici del Nord America hanno avuto un ruolo particolare nel sostenere e nel promuovere l'impegno missionario della Santa Sede. Abbiamo nei loro confronti un immenso debito di gratitudine. E oggi, su questo suolo missionario d'America, desidero esprimere il mio sentito ringraziamento alla Chiesa degli Stati Uniti per quanto ha fatto per la causa della diffusione della luce del Vangelo di Cristo.


5. Cari fratelli e sorelle: imploriamo il Signore, che chiama operai per la sua messe, perché conceda che molti giovani dedichino le loro vite all'opera missionaria della Chiesa. Possano questi giovani rispondere con generosità alla chiamata del Signore al sacerdozio e alla vita religiosa. E in tal modo possa la presenza di Cristo risorto continuare ad essere rivelata nella sua Chiesa "recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti" (Ac 10,36).

Cari fratelli e sorelle dell'Alaska: che la pace di Gesù risorto sia con voi sempre!

Data: 1984-05-02 Data estesa: Mercoledi 2 Maggio 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Messaggio a tutti i libanesi - Città del Vaticano (Roma)