GPII 1984 Insegnamenti - Omelia durante la Messa - Einsiedeln (Svizzera)

Omelia durante la Messa - Einsiedeln (Svizzera)

Titolo: L'Eucaristia segno di fraternità e di riconciliazione

Testo:

Cari fratelli e sorelle!


1. "Presso la croce di Gesù stava sua madre" (Jn 19,25). Come pellegrini al cospetto della nostra amata Signora di Einsiedeln siamo oggi riuniti nel vostro santuario per celebrare il sacrificio eucaristico di Cristo con una preghiera comune con voi in questo venerabile luogo. La vostra cappella delle Grazie sorge nel luogo storico dove il benedettino ed eremita Meinrad (+ 861) più di mille anni fa con la sua santa vita e la sua morte accese la fiamma della fede e della venerazione di Dio nella cosiddetta "selva oscura". I figli di san Benedetto l'hanno mantenuta ardente attraverso i secoli mediante la loro fedele preghiera e testimonianza di vita e l'hanno trasmessa alle generazioni successive fino al giorno d'oggi. In questo luogo di preghiera, che era consacrato al divino Redentore, anche sua Madre ha trovato fra il popolo elvetico una collocazione duratura e il luogo della sua venerazione particolare come nostra amata Signora di Einsiedeln.

Così oggi in questo santuario salutiamo Maria come madre del nostro Salvatore, che sulla croce l'ha data anche a noi come madre. Spiritualmente facciamo parte di quella infinita schiera di pellegrini che di generazione in generazione sono giunti in questo tempio di Dio, per chiamarla beata, perché grandi cose ha fatto in lei l'Onnipotente (cfr. Lc 1,48-49). Con questo grande coro di fedeli vogliamo rimanere "unanimi nella preghiera" (cfr. Ac 1,14) insieme a Maria, la madre di Gesù, e insieme a lei lodare le grandi opere di Dio, "la misericordia del quale di generazione in generazione si stende su quelli che lo temono" (Lc 1,50). Siamo venuti qui per onorare la Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo, secondo la tradizione del popolo di Dio, che vive in questo Paese, insieme all'umile serva del Signore; per contemplare e venerare l'opera della redenzione, che qui si compie da così tante generazioni con il suo sostegno materno. Facciamo ciò nella nostra assemblea eucaristica attorno a questo altare, che simboleggia Cristo e che perciò avrà oggi la sua speciale benedizione ecclesiastica.

Saluto cordialmente tutti coloro che si sono radunati con noi per celebrare questa Eucaristia o che si uniscono a noi spiritualmente in questa santa messa. Saluto i confratelli nel ministero episcopale e sacerdotale, i membri dei vari ordini, tutte le pellegrine e i pellegrini nonché i rappresentanti delle autorità dello Stato. Rivolgo un saluto particolare ai qui presenti fratelli e sorelle handicappati, i quali a causa delle loro sofferenze e dure prove sono particolarmente vicini ai patimenti del nostro Signore.


2. Con la celebrazione eucaristica odierna benediciamo il nuovo altare di questa basilica. La benedizione prepara l'altare affinché possa essere compiuto su di esso il sacrificio eucaristico: l'offerta con la quale il sacrificio di Cristo sulla croce si rinnova in modo sacramentale sotto forma di pane e di vino. Questo è il sacramento della nostra unione con Dio nella morte e nella risurrezione di suo Figlio. In questo sacramento ci avviciniamo a Dio e incontriamo in modo diretto tramite Gesù Cristo la santità di Dio stesso: "Per lui, con lui e in lui".

Come deve essere santo il luogo stesso dove viene celebrato questo sacramento! Quando all'inizio della preghiera eucaristica cantiamo tre volte: "Santo, santo, santo...", in questo inno risuona quasi una continua eco di quella visione di Isaia, alla quale ci ha richiamato la lettura di oggi: "Vidi il Signore... Attorno a lui stavano dei serafini. Ognuno aveva sei ali...

Proclamavano l'un l'altro: "Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti"..." (Is 6,1-3).

Nello stesso tempo, tramite l'Eucaristia, nella quale si rinnova il mistero della croce e della risurrezione di Cristo, scende su di noi la santità di Dio. Viene in mezzo a noi attraverso il sacrificio dell'agnello di Dio e si avvicina ai nostri cuori. In un certo senso essa tocca - come in Isaia - con una pietra rovente dall'altare anche le nostre labbra.

Il nostro incontro con Dio esige sempre la nostra personale purificazione e santificazione. Dio stesso si concede a noi quale frutto della redenzione, che è per noi uomini la fonte inestinguibile della salvezza. Come Isaia possiamo udire da lui le parole consolatrici: "...il tuo peccato è espiato" (Is 6,7). Dio ci trasmette la sua grazia beatificante soprattutto mediante i sacramenti della Chiesa, ma anche mediante la nostra preghiera e ogni opera buona che noi compiamo per amore suo e per il nostro prossimo. La vita spirituale dei cristiani si forma e cresce attraverso una continua purificazione. Più diminuisce l'oscurità del peccato in noi, più possiamo essere toccati dalla luce di Cristo.

Con ciò siamo in grado di unirci a lui nel suo messaggio di salvezza per il mondo.


3. Tutta la nostra vita deve essere una preparazione purificatrice al nostro incontro con Dio: domani nell'eternità, ma anche adesso nell'Eucaristia. Il Vangelo della liturgia di oggi ci raccomanda esplicitamente: "Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e li ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia li il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono" (Mt 5,23-24). La nostra partecipazione all'Eucaristia, che è una fonte della nostra riconciliazione con Dio, deve essere anche sorgente della nostro riconciliazione con gli uomini.

La nostra concreta vita quotidiana ci confronta sempre e inevitabilmente con conflitti e tensioni, con odio e inimicizia: nel proprio cuore, nella famiglia, nella comunità parrocchiale, sul posto di lavoro e fra i popoli. Più gli uomini desiderano comprensione e armonia fraterna fra di loro, più queste sembrano diventare irraggiungibili per loro. perciò tanto più fortemente la Chiesa è oggi cosciente del fatto che le è stata affidata da Dio "la parola della riconciliazione mediante la predicazione" (2Co 5,19). Contemporaneamente Dio stesso, che ci chiede la riconciliazione prima di portare la nostra offerta all'altare, ci dispone a questa riconciliazione mediante Cristo e la Chiesa.

Perché egli "ha riconciliato a sé il mondo in Cristo" (2Co 5,19) e ci ha donato nella Chiesa il prezioso sacramento della Riconciliazione. Una vera riconciliazione fra uomini divisi e ostili è possibile solo se nello stesso momento si lasciano riconciliare con Dio. L'autentico amore fraterno si basa sull'amore per Dio che è il Padre comune di tutti.

Riconciliamoci dunque con tutti coloro che sono in contrasto con noi, cari fratelli e sorelle, noi che vogliamo portare la nostra offerta all'altare, in questo sincero amore per Dio e per il prossimo. Riconciliamoci nell'ambito della nostra comunità ecclesiale quali fratelli e sorelle in Cristo! Rispettiamoci l'un l'altro: gli studiosi e i maestri di fede nei confronti del sentimento e della religiosità del semplice fedele, colui che è fortemente legato alla tradizione nei confronti di coloro che si sforzano per un rinnovamento autentico della vita religiosa ed ecclesiastica nello spirito del Concilio Vaticano II. Invece di offuscare o ferire gli altri dobbiamo piuttosto badare alla conciliazione e comprensione per poter costruire, uniti nella sopportazione, nell'indulgenza e nell'amore, il regno di Dio fra di noi, che è un regno di riconciliazione e di pace. Solo così la nostra offerta giornaliera sui nostri altari troverà accettazione benevola da parte di Dio. L'altare rappresenta Cristo, il quale come dice l'apostolo è "la nostra pace" (Ep 2,14). perciò la preghiera di benedizione fra poco suonerà così: "Questo altare sia un luogo di rapporto interiore con te e un luogo di pace" (Rito per la consacrazione dell'altare, 48). Il significato dello stesso sacrificio eucaristico, che è sacrificio di riconciliazione, e la santità di Dio, che in esso incontriamo, esigono da noi questa purificazione preparatoria attraverso la nostra riconciliazione col prossimo.


4. La riconciliazione coi fratelli e con le sorelle ci apre la via all'Eucaristia, al sacrificio, al sacramento della nostra unione con Dio in Gesù Cristo. Come battezzati nel suo nome e cresimati col dono dello Spirito Santo e consacrati siamo diventati "sacra testimonianza". Con Cristo celebriamo nell'Eucaristia la sua amorevole dedizione verso il Padre e, in stretta unione con lui, ricevendo in sacrificio il suo corpo e il suo sangue, diventiamo noi stessi offerta compiacente a Dio. perciò l'Eucaristia è sia il culmine della vita spirituale del cristiano che la fonte della sua spiritualità. San Gregorio Magno dunque domanda: "Cos'è l'altare di Dio se non il cuore di coloro che conducono una buona vita (cristiana)?" ("Om. in Ez.", II, 10,19). E l'apostolo scrive: "Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale" (Rm 12,1).

Tutta la nostra vita, il nostro pensiero e la nostra opera, devono diventare un atto di devota venerazione di Dio e devono essere sacrificati con Cristo sull'altare quale offerta compiacente per la lode del Padre.

L'Eucaristia, il sacrificio di Gesù Cristo, che viene offerto a Dio in modo sacramentale sugli altari della Chiesa oggi su questo altare appena benedetto costituisce fin dall'inizio il centro della comunità cristiana e la fonte più profonda della vita spirituale di ogni cristiano. Come abbiamo appena sentito dagli Atti degli apostoli, i primi cristiani formarono una comunità rimanendo uniti nel tempio e mangiando insieme con gioia e semplicità d'animo. Erano assidui "nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (Ac 2,42). In questo modo vive la Chiesa dall'inizio della sua storia. L'Eucaristia è il centro della comunità cristiana, perché Cristo in essa apre alla Chiesa tutti i tesori del suo sacrificio di redenzione sulla croce e nutre i fedeli con la sua carne e con il suo sangue in vista del loro impegno cristiano nella vita quotidiana.

Questa unione interiore dei fedeli con Cristo è anche la sorgente dell'unità e solidarietà fraterna nella comunità cristiana. Il particolare rapporto con Dio mediante la partecipazione al sacrificio di Cristo genera e favorisce l'unità e lo spirito fraterno fra gli uomini. La dimensione verticale e orizzontale della missione cristiana s'incontrano nel segno della croce e trovano in esso la loro unità interiore. Come ci dicono anche gli Atti degli apostoli, i primi cristiani non erano soltanto comunità nella celebrazione dell'Eucaristia, ma vendevano anche "proprietà e sostanze e ne facevano parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno" (Ac 2,45).

Il segreto dell'Eucaristia è un segreto d'amore, che ci obbliga.

L'unione nella frazione del pane eucaristico ci rende più sensibili alla miseria, alla fame e alle sofferenze del nostro prossimo. Quando mangiamo del pane, col quale Cristo ci dona la vita dalla sua vita divina, dobbiamo essere anche pronti a condividere la nostra vita con il prossimo. Se ci nutriamo da questa fonte di amore siamo chiamati non soltanto a dare qualcosa, ma a mettere noi stessi al servizio del prossimo. L'antica comunità cristiana ce lo dimostra in modo esemplare. perciò i pagani potevano dire con ammirazione dei cristiani: "Guardate come si amano l'un l'altro!" (Tertulliano: PL 1, 471).

Nella consacrazione dell'altare l'accensione solenne delle luci sull'altare ci ricorda Cristo, "la luce delle genti" (cfr. Lc 2,32). Cristo, che è presente nell'amore fraterno di una comunità, è una luce che irradia tutta la Chiesa. Ha una forza missionaria. Infatti della prima comunità cristiana si dice: "Il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati" (Ac 2,48). Celebrate dunque, cari fratelli e sorelle, la santa Eucaristia sempre in modo che la luce di Cristo illumini la vostra vita quotidiana e il mondo.

Celebrate la "missa" così che essa conduca alla "missio": alla missione cristiana fra gli uomini.


5. Cristo stesso dalla croce ci indica sua madre: guardate, vostra madre! La madre della grazia divina. Proprio lei è particolarmente vicina alla forza divina della redenzione attraverso Cristo. Ci è vicina come madre del nostro Redentore anche in questa celebrazione eucaristica, durante la quale consacriamo il nuovo altare nel suo santuario di Einsiedeln. Ci insegna come noi possiamo attingere sempre nuova forza e nuovi orientamenti per la nostra vita spirituale dai nostri incontri con Cristo nell'Eucaristia: "Fate quello che vi dirà!" (Jn 2,5). Ce lo insegna anche con l'esempio della sua stessa vita. Sia come giovane donna di Nazaret, che come madre del Signore crocifisso e risorto, a Pentecoste, unita in preghiera con i discepoli, dimostra la più profonda disponibilità di cuore per l'avvento del regno di Dio.

Lei, alla quale è dedicato questo venerabile santuario del vostro bel Paese svizzero, deve esservi d'esempio e d'insegnamento. Lei "ha serbato nel cuore" (Lc 2,19 Lc 2,51) i segreti di Dio. Quale umile serva del Signore si mise completamente al servizio del piano e dell'opera di salvezza. Ha pronunciato il suo "fiat", il suo si senza riserve.

Andiamo dunque, cari fratelli e sorelle, a questo altare appena consacrato insieme a Maria sotto la croce del suo Figlio e lodiamo con lei nella nostra Eucaristia le grandiose opere di Dio. Ella ci aiuta a riconoscere l'altissima divinità di Dio. Ci guida verso la nostra riconciliazione con Dio in Cristo. Ci insegna l'unità fraterna tra di noi e la nostra responsabilità nei confronti della predicazione del Vangelo. Ci insegna a credere, sperare, amare e improntare quindi tutta la nostra vita alla dottrina di Cristo. Celebriamo questa santa Eucaristia in modo che anche nei nostri cuori risuonino quelle parole e quelle verità che Maria ha pronunciato a Nazaret nel giorno dell'annunciazione: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).

Amen.

Data: 1984-06-15 Data estesa: Venerdi 15 Giugno 1984




Ai giovani - Einsiedeln (Svizzera)

Titolo: Dire si a una vita alternativa, significa essere cristiani

Testo:

Miei cari giovani amici!


1. Questa sera è dedicata a voi. Questa è per me una grande gioia. I miei incontri con i giovani nei diversi Paesi e continenti durante le mie visite pastorali sono indimenticabili e mi sono particolarmente cari, poiché ripongo molta speranza in voi giovani cristiani. Voi siete il futuro del mondo e della Chiesa. perciò avete una grande responsabilità. Ho già parlato con i delegati delle vostre organizzazioni giovanili. Mi hanno confidato le loro esperienze e le loro paure, le loro aspettative e le loro speranze. Vorrei raccomandarvi caldamente i miei pensieri, i miei desideri e le mie preoccupazioni e vorrei pregarvi di riflettere con me tutti insieme sul vostro ruolo nella Chiesa e nel mondo. Lo faccio con grande riconoscenza per voi qui presenti e anche per le vostre guide spirituali, che pongono tutte le loro forze al servizio dei giovani.

Spesso vi domandate, da soli o nell'ambito della comunità: "Di cosa è fatta in fondo la mia vita? Dove posso trovare senza restrizioni quel valore auspicabile che dia significato e sostegno e doni perseveranza e fiducia alla mia vita?". Con quella sensibilità che è propria di voi giovani, vi ponete domande profonde sull'origine, la causa e lo scopo della vita; fermate il vostro sguardo sui veri valori che sono importanti per voi; cercate degli ideali che possano arricchire la vostra vita e per i quali siete pronti a lottare. Io vi esorto: non trattenete il vostro desiderio di conoscenza, non accontentatevi di risposte accettabili, esaminate con occhi attenti ciò che può contribuire alla vera felicità della vita.

Un'altra raccomandazione: voi giovani sentite in modo particolare la grande responsabilità nei confronti della vita e della sopravvivenza degli uomini nel nostro mondo così in pericolo. perciò esprimete sinceramente e apertamente le vostre paure: i vostri timori dinanzi al crescente numero delle vittime delle ingiustizie tra ricchi e poveri, le vostre paure dinanzi alla minaccia della pace nel nostro mondo a causa del notevole riarmo atomico e le vostre ansie per la perdita del senso della vita a causa del consumismo largamente diffuso nella società. Condivido le vostre preoccupazioni e i vostri timori, poiché queste sono le mie stesse ansie, che ho così spesso ribadito. Abbiate sempre il coraggio di domandare e di ricercare! Poiché è assurdo non voler avere paura o respingere ogni timore là dove ce n'è realmente bisogno in questo nostro mondo. Voi giovani siete talvolta gli unici che esprimete i vostri timori e le vostre angosce. Questo è un vostro diritto e un vostro dovere nei confronti di un mondo e di una società di cui non siete ancora responsabili e che per la maggior parte non corrisponde alle vostre speranze e ai vostri ideali legittimi.


2. Tuttavia non lasciatevi scoraggiare dalle vostre paure. Non dovete rassegnarvi nella vostra voglia di vivere e nella vostra ricerca di un tipo di vita che abbia significato. Poiché la rassegnazione è una forma di adattamento al pessimismo del nostro tempo, e quindi una forma di impotenza. Ma voi siete i custodi della fiamma della speranza in questo mondo. così come la vostra fiamma, accesa a Pentecoste, ora illumina la notte che si avvicina, così dovete sempre cercare la luce nell'oscurità della vostra vita e del vostro mondo. E questa luce rende visibile da qui il segno autentico della speranza: la croce, che vi richiama alla memoria l'incontro pasquale. Questa croce è il simbolo della speranza e del futuro del nostro mondo. Da essa proviene la voce di colui che gli uomini hanno odiato e crocifisso, colui pero che ci incoraggia come nessun altro: "Nel mondo voi avete afflizioni; ma fatevi coraggio! Io ho vinto il mondo" (Jn 16,33). Rivolgete dunque il vostro sguardo e i vostri cuori sempre verso la croce e pregate colui che è stato crocifisso. Da lui sgorga la forza della vita che fa si che voi non disperiate ma serbiate l'anelito della speranza.

Voi desiderate che la vostra vita non sia priva di significato, ma si realizzi e abbia fortuna. Questo era il punto di partenza delle nostre riflessioni. Alla domanda decisiva, come si può ottenere ciò, per me e spero anche per voi non ci può essere che una risposta: fede! Poiché fede significa proprio questo: essere a contatto con lo stesso Dio vivente fino alla fine della nostra vita e vivere la nostra esistenza con lui, di lui e per lui. Dio stesso è straordinario, egli vince tutta la nostra forza di immaginazione: al nostro tempo è concesso di conoscere i segreti della vita grazie alle scienze naturali, possiamo farci un'idea delle grandiose leggi dell'ordine del macro e microcosmo, al di là dei quali pero possiamo soltanto immaginare la grandezza del Dio creatore. E questo Dio è eccezionale, poiché si è fatto uomo, ha affrontato quell'impresa rischiosa che è la vita. Insieme a questo Dio che spezza ogni barriera umana anche la vostra vita può diventare una straordinaria avventura ricca e affascinante.


3. Questo Dio vivente si unisce a voi in Gesù Cristo. In lui, in Gesù Cristo, si palesa a voi l'intera essenza di questo Dio, che è puro amore. Con questo amore Dio si rivolge a ognuno di voi come a un figlio o a una figlia. E niente e nessuno deve separarvi da questo amore di Dio in Cristo (cfr. Rm 8,39), nel quale è racchiusa tutta la vostra vita con tutti i suoi enigmi.

Ognuno si incontra con Cristo e con la sua parola redentrice in modo del tutto personale. Io vi esorto: andate davanti a lui. Fatevi interpellare da lui.

Confrontatevi con lui. Egli vi insegna gli atteggiamenti fondamentali con i quali dovete affrontare la vita in maniera degna dell'uomo. Vi libera dalla manipolazione e strumentalizzazione delle mode e della propaganda. Egli vi indica la via per poter ritrovare voi stessi e scoprire chi siete, per che cosa vivete e qual è lo scopo della vostra vita. Vi conduce alla vostra eterna vocazione in Dio.

Siate dunque aperti alla chiamata di Dio in Cristo. Ascoltate ciò che Dio desidera per la vostra vita e rispondetegli con la fede. "Fede": questa è la nostra formula per quel tipo di vita "alternativo" che cercate e a cui stasera desidero esortarvi di cuore.


4. Essere cristiani, cari giovani, significa dire di si a una vita alternativa, che non si perda per le strade di questo mondo, ma trovi il suo significato e il suo scopo nel mistero di Dio. Essere cristiani vuol dire anche acconsentire a una vita alternativa, che non accetti passivamente tutto ciò che accade su questa terra, ma sia pronta alla critica e collabori alla costruzione di un mondo sempre più giusto. Essere cristiani significa accettare una vita alternativa che non consideri legittimo tutto ciò che l'uomo può fare, ma che accetti la sua responsabilità, nei confronti dell'intera creazione, di ricevere la vita, custodirla e trasmetterla.

Poiché essere cristiani significa riconoscere Cristo il quale ha così detto di sé: "lo sono la via, la verità e la vita" (Jn 14,6). Riconoscendo il Dio fatto uomo, il Signore crocifisso e risorto, potrete fondare la vostra vita sulla sua parola; non dovete rassegnarvi dinanzi alle vostre difficoltà dati i grandi problemi del nostro tempo; professando Cristo riconoscerete che la verità vi rende liberi, la menzogna invece rende l'uomo schiavo; potrete vedere in ciascun uomo il fratello o la sorella al di là di ogni barriera dovuta alla razza, alla religione o all'idea politica. Adorando Cristo condurrete una vita che ha vinto ogni disperazione e ogni angoscia e perfino la morte. Poiché Dio nella risurrezione di Cristo ci ha donato la croce quale segno della speranza e della vittoria sulle pene, sul peccato e sulla morte. perciò soltanto Cristo è la via "alternativa" legittima fra le tante sbagliate di questo nostro mondo.


5. In base a questo "tipo di vita alternativo" non dovete limitarvi a lottare soltanto per voi, ma dovete unirvi in una comunione vivente e partecipare alla comunità della Chiesa. Poiché la Chiesa è la comunità di coloro che hanno fede e di coloro che sperano, i quali vivono nel potere della croce, vivono in Gesù Cristo. Ma forse talvolta avete l'impressione che la Chiesa non è sempre una simile comunità. Potete anche non essere d'accordo con essa. Io posso comprendere le vostre preoccupazioni. Ma stasera vorrei farvi una duplice raccomandazione e rivolgervi una duplice preghiera: siate indulgenti con la Chiesa! La Chiesa è pur sempre una comunità fatta di uomini deboli che possono sbagliare. E desidererei aggiungere: ciò è al tempo stesso la nostra fortuna. Poiché in una Chiesa di persone perfette noi non avremmo certo più alcun posto. Dio stesso vuole una Chiesa umana. perciò si può fare della critica nei confronti della Chiesa, purché sia leale e tragga origine da un grande amore verso la Chiesa.

Dio ha riposto la sua opera di salvezza, i suoi disegni e i suoi desideri nelle mani dell'uomo. E' certo un grosso rischio, ma non può esistere altra Chiesa all'infuori di quella istituita da Cristo. Egli vuole noi uomini come suoi collaboratori nel mondo e nella Chiesa con tutte le nostre mancanze e imperfezioni, ma anche con tutta la nostra buona volontà e tutte le nostre capacità. Egli vuole anche voi! Ecco la mia seconda preghiera: mettetevi al servizio della Chiesa e collaborate rispondendo alla chiamata di Gesù Cristo! Seguite Gesù Cristo! Mettete la vostra vita al suo servizio! ciò darà alla vostra vita il più profondo significato e il più alto contenuto. Non esitate a lasciare ogni cosa e a seguirlo, se egli si rivolge a voi come al giovane ricco: "Vendi tutto ciò che hai, regala il denaro ai poveri, e avrai la ricchezza eterna nel cielo; dunque vieni e seguimi!" (Lc 18,22). Mettete quindi a disposizione della Chiesa i vostri giovani talenti senza alcuna riserva! La Chiesa ha bisogno di voi in molti settori, soprattutto nel sacerdozio. Voi siete il futuro della Chiesa. Vostra è la responsabilità che la Chiesa sia giovane e lo rimanga sempre.

Data: 1984-06-15 Data estesa: Venerdi 15 Giugno 1984




Agli operatori dei mass-media - Einsiedeln (Svizzera)

Titolo: Padroni della vostra tecnica, ma soprattutto uomini di cuore

Testo:

Signore, signori.


1. Per tutti voi che operate nel campo della stampa, della radio e della televisione, queste giornate e queste settimane hanno certamente richiesto uno sforzo e una fatica supplementari. E' tanto più per me un motivo di gioia potermi incontrare seppur brevemente con voi, rappresentanti di tutti coloro che lavorano nei mezzi di comunicazione di massa in Svizzera. Desidero ringraziare calorosamente voi, i vostri collaboratori e le vostre collaboratrici per il grande impegno con cui portate agli abitanti di questo Paese e oltre i suoi confini le notizie riguardanti i numerosi avvenimenti e il messaggio spirituale della mia visita pastorale. Grazie alla vostra opera generosa e instancabile mi è possibile, da poche località della Svizzera, avvicinarmi personalmente a tutti i suoi abitanti o almeno alla maggior parte di essi e rivolgere loro la mia parola.

Come in ogni visita pastorale, anche in questa mia visita al vostro Paese cui voi portate un contributo decisivo con la vostra opera, ho a cuore sopra ogni altra cosa annunziare Gesù Cristo e il suo messaggio agli uomini del nostro tempo. Egli ci ha indicato la via per rendere la nostra vita personale e comunitaria degna dell'uomo e degna di essere vissuta. Ma per comprendere personalmente e per trasmettere agli altri nella giusta maniera, attraverso parole e immagini, l'evento religioso di questa giornata e il suo contenuto più profondo, è necessario qualche cosa di più che un buon talento di scrittore o un teleobiettivo o un materiale fotografico di prim'ordine. Occorrono anche l'occhio e il cuore di un uomo aperto ai valori e alle verità spirituali e religiose, un uomo che sia disposto ad andare alla loro ricerca. Occorre principalmente la parola di chiarimento, di approfondimento e di valutazione del commentatore che faccia conoscere il significato più profondo di questo avvenimento religioso così ricco. Si chiede dunque all'operatore dei mezzi di comunicazione non solo che conosca bene la sua tecnica, ma che sia soprattutto un uomo di cuore e di coscienza, con una profonda capacità di comprensione umana e un grande senso di responsabilità. Vi auguro quindi di poter trasmettere ai vostri lettori, ascoltatori e spettatori gli avvenimenti e il messaggio di questo viaggio pastorale sia attraverso testi e immagini, sia nel loro contenuto spirituale, ma vi auguro soprattutto di accoglierli personalmente in voi e meditarli per la vostra vita e il vostro agire.


2. In quanto professionisti dei mass-media, voi avete, proprio a causa della vostra missione, una grande responsabilità. Grazie allo sviluppo e ai costanti progressi dei mezzi della comunicazione sociale, gli uomini e i popoli sono diventati più vicini gli uni agli altri. Le influenze e le dipendenze reciproche si accentuano sempre più. Il vostro ruolo e la vostra competenza nel campo dei media vi portano quotidianamente a porvi dei problemi: come arrivare a mettere a servizio degli uomini, in modo sempre più efficace, i mezzi e le conoscenze disponibili? Che cosa bisogna proporre all'uditore o al lettore per la sua informazione, la sua crescita, il progresso della sua formazione, al fine di approfondire in lui il senso della comunità umana e illuminare il suo sguardo verso i fratelli? In una giusta risposta a queste domande si trova impegnata la vostra alta responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini, come pure l'influenza decisiva che voi esercitate per formare l'opinione pubblica. Nel suo lavoro il giornalista sa che la sua responsabilità non investe solo quello che viene detto, quello che viene scritto o che viene mostrato, ma anche il modo in cui lo si fa. Non lasciate usare i mass-media per manipolare l'opinione pubblica.

Fate attenzione a non restare all'aspetto superficiale delle cose nelle informazioni e anche a evitare la tendenza a sottolineare gli aspetti negativi o sensazionali, senza tener conto dei diritti individuali di ogni persona.

Non esiste informazione o comunicazione che non investa dei valori. Sta a voi esprimere i valori degni di essere diffusi nella misura in cui essi contribuiscono alla costruzione delle comunità e alla promozione dell'uomo. Io vi incoraggio: in un contesto spesso ostile all'ideale cristiano della vita, impegnate tutta la vostra competenza nella difesa dell'uomo e della sua dignità, come pure nella conservazione e nello sviluppo dei valori positivi della società contemporanea. Auspico che la mia visita pastorale nel vostro Paese e questo nostro incontro vi siano di sostegno nei vostri compiti e nelle vostre responsabilità così importanti. Con tutto il cuore affido all'aiuto e alla benedizione di Dio la vostra azione nel campo delle comunicazioni sociali.

Data: 1984-06-16 Data estesa: Sabato 16 Giugno 1984




In visita all'ospedale - Einsiedeln (Svizzera)

Titolo: Il dolore è sequela di Cristo e annuncio della risurrezione

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. La bontà di Dio ha stabilito che il mio pellegrinaggio attraverso la vostra amata patria mi conducesse direttamente a voi. perciò vorrei salutare cordialmente, in questa mia breve visita, voi e tutti coloro che di voi si prendono cura con amore in questo ospedale regionale. Lo faccio con il saluto di pace del Signore risorto: "La pace sia con voi" (Jn 20,21) e rivolgo questo saluto anche a tutti i malati del vostro Paese.

Come ogni servitore del Vangelo, buona novella del dolore salvifico di Cristo, io vengo a voi come fratello. Non vi porto alcun nuovo messaggio, eppure uno ha dimostrato che è possibile trasformare e rinnovare la vita, la malattia e perfino la morte. Il Vangelo e la fede cristiana, nei quali oggi vorrei confermarvi per mandato di Cristo, sono una buona novella soprattutto per voi, che state vivendo l'esperienza più amara della fragilità umana e del bisogno. Essi non leniscono la sofferenza materiale, ma la rendono sopportabile, perché ci schiudono una via per il suo significato più profondo e per la sua comprensione.


2. Agli occhi del mondo la sofferenza, la malattia e la morte sono qualcosa di spaventoso, di sterile e di distruttivo. Specialmente quando i bambini devono soffrire, quando degli esseri umani che non hanno colpa del loro male - e sono la maggioranza - vengono colpiti innocenti da una disgrazia, da una limitazione o da dolori incurabili, ci troviamo di fronte a un enigma, che non possiamo onestamente risolvere in modo solamente umano. può rendere crudeli, può amareggiare non soltanto chi viene direttamente colpito, ma anche coloro che gli sono vicini, impotenti a portare loro aiuto e che soffrono per la loro impotenza.

Anche all'interno di questo edificio e in questo Paese vi saranno delle persone che si chiedono: Perché? Perché proprio io? Perché proprio adesso? Perché mia moglie, mio padre, mia sorella, il mio amico? Questi interrogativi sono ben comprensibili. Oggi invece vorrei farvi un'altra domanda che potrebbe portarci lontano. E' una domanda che estrae la spina mortale della sterile distruzione e dell'odio per la vita, che può trafiggere nella sofferenza e nella malattia. E' l'interrogativo non solo sul "perché", ma sul "a che scopo"? Su questa terra nessuno può rispondere al "perché". Invece la domanda "a che scopo" mi è stato caricato questo fardello, può schiuderci nuovi orizzonti. Quando hanno chiesto a Gesù se fosse stato il cieco nato a peccare o i suoi genitori, egli rispose contro ogni aspettativa: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio" (Jn 9,3).

Con questa premessa l'interrogativo "a che scopo" suggerisce una parola ancor più importante, che può darvi la direzione determinante: "A che scopo, Signore?". Questo non è più un interrogativo insignificante, che cade nel vuoto, ma che si rivolge a uno che ha sofferto e che ha lottato fino all'ultimo sangue, che "con forti grida e lacrime" come si legge nella lettera agli Ebrei "imparo l'obbedienza" (He 5,7-8). Egli vi capisce e sa come vi sentite, egli stesso in un primo momento ha pregato che gli fosse allontanato l'amaro calice (cfr. Mt 26,39).

Ma era così ubbidiente al volere del Padre, che alla fine poté dare un assenso completo e libero.

Da lui potete imparare a rendere il dolore ricco di frutti e di significato per la salvezza del mondo. Con lui la vostra malattia e sofferenza possono rendervi più uomini e perfino più felici e più liberi. Molti hanno imparato da lui e così, alla fonte del conforto, sono cambiati. Andate quindi alla scuola della sua sofferenza salvifica e ripetete spesso la preghiera che santa Caterina da Siena ha sempre rivolto a Cristo nei suoi tanti dolori: "Signore, dimmi la verità sulla tua croce, voglio ascoltarti".


3. Come cristiani noi non vediamo nella malattia un funesto o addirittura insensato destino umano, ma alla fine il mistero della croce e della risurrezione di Cristo. Nel dolore e nella sofferenza l'uomo condivide la sorte della creazione che - come dice san Paolo - attraverso il peccato è stata "sottomessa alla caducità", che "geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto", ma che allo stesso tempo è già stata animata dalla speranza "di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8,20-21).

La malattia e la sofferenza non sono per il credente una sorte così tragica, che deve subire passivamente, ma piuttosto un compito, grazie al quale vivere in modo particolare la propria vocazione cristiana. Esse sono l'invocazione di Dio agli uomini: invocazione agli uomini perché siano fraternamente vicini ai sofferenti e li aiutino con tutti i mezzi offerti dalla scienza medica; invocazione ai malati perché non si rassegnino al proprio dolore, né si ribellino amareggiati ma piuttosto perché in esso riconoscano la possibilità di una più intensa forma della sequela di Cristo. Soltanto la nostra fede può darci il coraggio e la forza. Con la fiduciosa accettazione ogni sofferenza umana può diventare partecipazione personale all'offerta salvifica di Cristo che ha sofferto per i peccati degli uomini. Cristo stesso perciò continua la sua passione nell'uomo che soffre. perciò anche tutto l'aiuto e l'amore che gli manifestiamo, sono alla fine rivolti a Cristo. "Malato mi avete visitato", dice Cristo e prosegue: "In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,36-40).

Attraverso la comunione interiore della sofferenza con Cristo lo stesso dolore umano riceve una forza liberatrice e trasformatrice e allo stesso modo partecipa alla speranza pasquale della futura risurrezione. Nella fede cristiana della Pasqua dobbiamo essere convinti, insieme a san Paolo, "che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi" (Rm 8,18).

Cari fratelli e sorelle! Questa è la buona novella di Cristo che ci rallegra, e la nostra fede nella quale vorrei confermare voi ammalati e assistenti, suore e medici, in questa breve visita al vostro ospedale. Di cuore impartisco a voi e a tutti i malati della Svizzera la mia apostolica benedizione e raccomando anche particolarmente alla vostra preghiera il mio pellegrinaggio pastorale nel vostro Paese. Perché il Papa confida soprattutto nella preghiera e nell'offerta dei malati. Vi benedica, vi protegga e vi confermi Dio onnipotente: Padre, Figlio e Spirito Santo! Amen.

Data: 1984-06-16 Data estesa: Sabato 16 Giugno 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Omelia durante la Messa - Einsiedeln (Svizzera)