GPII 1984 Insegnamenti - All'arrivo all'aeroporto - Québec (Canada)


1. Salute a voi, abitanti del Canada, nella diversità della vostra storia, delle vostre culture, delle vostre province, delle vostre regioni.


2. In questo immenso Paese del Canada, è in primo luogo a Québec che io inizio il mio pellegrinaggio, e ne sono molto felice. Salute a te, Québec, prima Chiesa dell'America del Nord, prima testimone della fede, tu che hai posto la croce al crocevia delle tue strade e che hai fatto irradiare il Vangelo su questa terra benedetta.

Salute a voi, gente del Québec, le cui tradizioni, la lingua e la cultura conferiscono alla vostra società un aspetto così particolare nell'America del Nord.

Salute a voi, genti di questo Paese, Amerindi, gente d'origine francese e inglese, emigranti venuti da tutto il mondo e che vivete insieme, per progredire gli uni con gli altri, gli uni dagli altri, sul cammino della storia, così laboriosi e così pieni di passione.


3. Salute a voi, credenti in Gesù Cristo e membri della Chiesa cattolica.

Cerchiamo insieme la fermezza della fede che esprime se stessa nella perfezione dell'amore.

Salute a voi, credenti in Gesù Cristo e membri delle altre confessioni cristiane. Cerchiamo insieme lo stesso Cristo e lo stesso Dio.

Salute a voi, credenti in Dio ed eredi del popolo di Israele. Cerchiamo insieme la parola di vita.

Salute a voi, credenti e membri delle altre famiglie spirituali.

Cerchiamo insieme il volto di Dio.


4. Salute a voi, uomini e donne che cercate un senso da dare alla vostra vita e non trovate una risposta soddisfacente alle vostre aspirazioni più profonde. Voi cercate di vivere la vostra vita dignitosamente e in modo responsabile. Cerchiamo insieme il cammino migliore della vita.

A voi tutti, io porto il saluto della Chiesa di Roma e di tutta la Chiesa di Dio che vive in comunione con essa, sparsa attraverso l'universo, vengo a parlarvi dell'amore, della gioia, dei dolori, della speranza dei vostri fratelli e sorelle di tutte le parti del mondo. In cambio, io spero di portare al mondo qualche cosa di voi, una eco del vostro dinamismo umano, della vostra vitalità religiosa.


5. Per lungo tempo voi mi avete aspettato. E io, da parte mia, ho desiderato fortemente di essere con voi.

Non è come un capo di Stato che io vengo a visitarvi. Il Vaticano è in verità riconosciuto come uno "Stato" sul piano internazionale allo scopo di meglio assicurare la libertà della Santa Sede, nella funzione della missione spirituale del successore di Pietro. La Santa Sede ha il diritto di avere i propri rappresentanti diplomatici, e io sono lieto che il Canada abbia designato ad essa un ambasciatore. In questo modo la Santa Sede è in grado di offrire la sua testimonianza sulla scena internazionale e di prendere parte alle discussioni importanti che riguardano il destino della comunità mondiale.


6. Ma è prima di tutto come pastore e come fratello che io vengo a voi. Io sono il pastore che succede al primo pastore, l'apostolo Pietro. Io sono il padre, a cui è designato il nome di Papa. Ma io sono anche il vostro fratello in umanità e il vostro fratello ubbidiente al buon pastore della Chiesa, Gesù Cristo. Io sono tra di voi per dividere il pane e la parola, per dividere l'esperienza, per trasmettervi la parola di Dio e il pane dell'Eucaristia.


7. Nei prossimi undici giorni io attraversero il vostro Paese da un oceano all'altro, "a mari usque ad mare". Ho alcune domande da porvi e vorrei anche sentire le vostre. Vorrei parlare con voi circa gli sbocchi dei nostri tempi, riguardanti la cultura, la collettività, la tecnologia, la famiglia, la distribuzione e la giustizia. Questo perché niente è estraneo alla carità del credente, al suo amore per l'umanità.

Desidero, prima di tutto, parlare con voi riguardo ai problemi fondamentali: quali la fede, l'esperienza di Dio, la speranza. La mia parola non pretende di procurare una risposta a tutte le vostre domande, o di prendere il posto della vostra personale ricerca. Ma vi offrirà la luce e la forza della fede in Gesù Cristo così come è stata proclamata dallo stesso Pietro in Galilea: "Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente".


8. Vorrei che la mia parola fosse considerata un segno di amicizia. La condivisione di un fratello nella fede. L'amicizia di un pellegrino, testimone di ciò che vivono gli uomini e le donne del suo tempo.

L'amicizia di un uomo cosciente della crisi spirituale di questi tempi, preoccupato della giustizia; di un uomo ugualmente fiducioso nelle possibilità del cuore umano quando l'amore di Dio lo trasforma. "Conservate il coraggio, dice Gesù, io ho vinto il mondo" (Jn 16,33).


9. Come il vostro vescovo ha detto così bene: celebriamo la nostra fede in Gesù Cristo. La mia visita intende essere essenzialmente pastorale. Io vorrei comunicare a tutti i credenti la gioia di credere in Gesù Cristo. Poiché, di tutte le benedizioni nella vita, la fede è la più preziosa, la più bella. Possa il mio pellegrinaggio qui essere il simbolo del vostro viaggio nella fede. Proprio per questa ragione, io vorrei venire tra voi come un testimone di speranza, vorrei rassicurare i vescovi del mio fraterno interesse. Vorrei porgere una speciale parola di incoraggiamento ai preti, ai religiosi e alle religiose, e ai laici che hanno la responsabilità di molti settori dell'apostolato.

Fratelli e sorelle, già amici percorriamo insieme la strada, guardiamo insieme verso colui che ci riunisce. O Signore, nostro Dio "come è potente il tuo nome su tutta la terra" (Ps 8,2).

Possa il nome di Dio echeggiare nei vostri cuori e possa questa visita portare, sia a voi che a me, conforto e una fresca gioia.

Data: 1984-09-09 Data estesa: Domenica 9 Settembre 1984





Angelus nella cattedrale - Québec (Canada)

Titolo: Maria sostenga i figli del Québec

Testo:

Cari fratelli e sorelle.

Vi ringrazio di accogliermi nella vostra cattedrale al mio arrivo a Québec. Mi fa piacere ritrovare in questo luogo l'arcivescovo del Québec, monsignor Louis Albert Vachon, con i suoi vescovi ausiliari, attorniati dal capitolo della cattedrale, dai loro collaboratori e dai rappresentanti delle comunità che costituiscono la Chiesa vivente nel cuore storico della vostra provincia. Vi saluto tutti molto cordialmente. Saluto allo stesso modo il signor sindaco di Québec e le personalità civili presenti. Esprimo loro la mia gratitudine per l'accoglienza così cortese e per tutta la cura che hanno posto nell'organizzare, nella loro città, questa prima tappa della mia visita pastorale in Canada, in collaborazione con i vescovi.

Tra breve, avro l'occasione di recarmi presso la tomba del vostro primo vescovo, il beato François de Laval. E come non evocare qui la figura di questo fondatore? Egli giunse in Québec a testimonianza ardente del rinnovamento spirituale al quale aveva partecipato in Francia, da missionario, da pastore.

Vicario apostolico, era ansioso di ben allacciare con la Sede apostolica di Roma la comunità cristiana allora nascente, il cui irradiamento andava estendendosi nella maggior parte dell'America del Nord. Egli conobbe la gioia di fondare una diocesi di pieno diritto, rafforzando ulteriormente questi legami fiduciosi con il Papa.

La mia venuta tra voi ne illustra la perennità. Al momento di incontrare la comunità di questa diocesi, è bene che io abbia avuto l'opportunità di venire subito in questa basilica cattedrale. Luogo originario del ministero episcopale, centro da dove si irradia il presbiterio nelle parrocchie e nelle altre istituzioni, focolare di preghiera, la chiesa-madre ricorda a tutti noi l'unità del corpo di Cristo le cui membra sono diverse ma partecipano tutte alla medesima vita. Con voi, fin d'ora, vorrei rendere grazie per la parola e il pane di vita offerti in questo luogo e trasmessi lontano. Insieme a voi domando a Dio che vi dia la forza di compiere la vostra missione nella speranza e nella gioia. Noi affidiamo la nostra preghiera a nostra Signora del Québec a cui è dedicata questa basilica. Che la Madre del Signore sostenga i figli e le figlie del Québec nella fede e nella pura generosità di cui ella è l'ammirabile testimone. Noi l'invochiamo con semplicità attraverso la preghiera dell'Angelus.

Data: 1984-09-09 Data estesa: Domenica 9 Settembre 1984




All'università Laval - Québec (Canada)

Titolo: La fede deve esprimersi e vivere nella società in mutamento

Testo:


1. "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!" (Mt 16,16). Queste parole sono state pronunciate per la prima volta nei pressi di Cesarea di Filippo, in risposta alla domanda di Gesù: "La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?" (Mt 16,13).

Queste parole le ha pronunciate Simon Pietro nella terra di Galilea. In seguito, egli le ha pronunciate in molti altri luoghi. Le ha pronunciate a Gerusalemme, in particolare nel giorno della Pentecoste. Le ha pronunciate ad Antiochia, quando lascio Gerusalemme. Infine, le ha pronunciate a Roma fino al giorno in cui dovette subire la morte su una croce, per rendere testimonianza alla verità di queste parole.

Queste parole - che professano la filiazione divina di Gesù Cristo - Simon Pietro le ha trasmesse in eredità alla Chiesa. Egli le ha trasmesse in modo particolare a tutti i suoi successori sul seggio episcopale di Roma.


2. Come Vescovo di Roma, successore di Pietro, desidero pronunciare queste stesse parole oggi in terra canadese. "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Al Vescovo di Roma è dato di calcare per la prima volta questa terra, nella città di Québec. Qui ebbe inizio l'evangelizzazione del Canada. Qui fu fondata la Chiesa.

Qui vi fu la prima diocesi di tutta l'America del Nord. Qui, con il grano seminato in terra, inizio un'immensa crescita.

Ecco perché desidero che, fin dall'inizio di questo pellegrinaggio, noi ci incontriamo e ci uniamo in questa professione di fede sulla quale è costruita la Chiesa di Cristo sulla terra: il Cristo, il Figlio dell'uomo, il Figlio del Dio vivente; il Figlio, della stessa sostanza del Padre: Dio, nato da Dio, luce, nata dalla luce; generato, non creato, verbo eterno per mezzo del quale tutto è stato creato; e nello stesso tempo: il Cristo, vero uomo.

"Per noi uomini, e per la nostra salvezza, discese dal cielo; per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo". Il Cristo: vero Dio e vero uomo. Questa è la fede della Chiesa. Il Cristo: crocifisso sotto Ponzio Pilato, mori e fu sepolto... il terzo giorno è risuscitato dai morti, è salito al cielo, siede alla destra del Padre, da cui verrà a giudicare i vivi e i morti.


3. Questa è la fede degli apostoli. Questa è la fede di Pietro. Questa fede è la base sulla quale è costruita la Chiesa di Dio sulla terra.

Simon Pietro, che per primo professo questa fede nei pressi di Cesarea di Filippo, fu anche il primo a ricevere la risposta di Cristo: "Tu sei Cefa (ossia Pietro) e su questa pietra edifichero la mia Chiesa..." (Mt 16,18).

Come è bello sentire lo stesso apostolo, Simon Pietro, nella sua prima lettera che abbiamo letto nella liturgia odierna, sentirlo rendere testimonianza a Cristo, designandolo come la pietra fondamentale! Cristo è la "pietra viva" (1P 2,4).

Questa pietra, in verità, "gli uomini l'hanno rigettata", eliminata radicalmente, fino a condannare Gesù alla morte sulla croce e ad eseguire questa sentenza qualche ora prima della Pasqua. Ed è proprio in questo rigetto che egli è riconosciuto per quello che è: Gesù, il Cristo, colui "che Dio ha scelto perché ne conosce il valore" (1P 2,4).

E' per mezzo di lui, pietra viva, prima pietra, che anche noi siamo impiegati nella costruzione di un "edificio spirituale". Si, noi tutti: "come pietre vive", siamo impiegati nella costruzione che ha per fondamento il Cristo, per edificare "un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo" (1P 2,5).

Noi siamo dunque "la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato" (1P 2,9), e questo per mezzo di Gesù Cristo che è il Figlio del Dio vivente, che è vero Dio e vero uomo, crocifisso e risuscitato. Si, per mezzo di Gesù Cristo: egli è la prima pietra dell'edificio divino, costruito con i figli e le figlie di tutta la terra, che si innalzerà per l'eternità nella gloria indicibile della Santissima Trinità! A partire da Gesù il Cristo, che è la pietra viva, si apre quest'ultimo avvenire della nostra costruzione... Tale è l'avvenire dell'uomo sulla terra.

L'avvenire di un destino divino.


4. Ecco dunque la fede in Gesù Cristo, che Simon Pietro proclamava! Ecco la fede riguardo alla Chiesa che Simon Pietro proclamava! Quale sorprendente unità! E quale forza in questa fede! Oggi il Vescovo di Roma, venuto in terra canadese, desidera professare questa fede con tutto il suo cuore. Egli desidera farne il fondamento di tutta la sua missione tra voi, diletti fratelli e sorelle, in questa città di Québec e su tutta la terra canadese che visitero in seguito, in ciascuna delle sue regioni.


5. Noi ci troviamo nel primo centro della Chiesa di Cristo nell'America del Nord.

Partiti dalla Francia, Jacques Cartier, Champlain e tanti altri, portando su questo continente la loro cultura e la loro lingua, contribuirono a introdurre la fede nel Cristo salvatore.

Numerosi servi e serve di Dio sono venuti, fin dall'inizio della colonizzazione, per costruire l'edificio della Chiesa sulla vostra terra. I padri Recolletti, i Gesuiti, i Sulpiziani, le Orsoline con Maria dell'Incarnazione irradiante la sua incomparabile esperienza spirituale, le Ospedaliere di Dieppe, trascinate dall'inesauribile carità di Caterina di sant'Agostino: questi religiosi e queste religiose sono stati tra i primi a testimoniare la fede e l'amore di Cristo in mezzo ai coloni e agli "indiani". Portatori della parola, educatori dei giovani, buoni samaritani presso i malati, hanno modellato il volto della Chiesa in questo nuovo Paese. Si è potuto parlare di una vera "epopea mistica" fin dalla prima metà del XVII secolo. Alcuni hanno dato la loro vita fino al martirio. Molti altri li hanno raggiunti, portando la loro pietra viva alla costruzione, spesso nella povertà, ma resi forti dallo Spirito di Dio.

In questo luogo ricordiamo in particolare François de Montmorency-Laval, vicario apostolico, poi primo vescovo di Québec. Non posso dimenticare che il seminario che porta il suo nome è all'origine dell'università che ci accoglie in questo momento, in questo luogo stupendo.

I vostri avi hanno forgiato qui una cultura, attingendo alle fonti del loro Paese d'origine. Nel corso dei secoli, questa eredità si è radicata, diversificata; ha accolto l'apporto proprio degli Amerindi e tratto profitto dalla presenza inglese in questo continente. Essa si è arricchita grazie alle successive ondate di emigranti venuti da tutte le parti. Il vostro popolo ha saputo conservare la sua identità, rimanendo aperto alle altre culture.

La Chiesa ha riconosciuto o si prepara a riconoscere la santità di un certo numero di questi pionieri. Essi sono dei fulgidi testimoni tra molti uomini e donne, umili credenti della vita quotidiana, che hanno modellato a poco a poco questa terra a loro immagine secondo la loro fede.

La vitalità e lo zelo dei vostri predecessori li hanno d'altra parte condotti a portare più lontano la buona novella: saluto qui una Chiesa che ha saputo rapidamente irradiarsi nell'Ovest canadese, nel Grande Nord e in molte altre regioni dell'America. Inoltre, essa ha avuto una parte importante nello sforzo missionario della Chiesa universale nel mondo.

Il vostro motto è: "Io mi ricordo". Vi sono veramente dei tesori nella memoria della Chiesa, come nella memoria di un popolo! Ma ad ogni generazione, la viva memoria permette di riconoscere la presenza del Cristo che ci interroga come nei pressi di Cesarea: "Voi, chi dite che io sia?".


6. La risposta a questa domanda è essenziale per l'avvenire della Chiesa in Canada, e anche per l'avvenire della vostra cultura. Voi constatate che la cultura tradizionale - caratterizzante una certa "cristianità" - è esplosa: essa si è aperta a un pluralismo di correnti di pensiero e deve rispondere a molteplici nuove domande; le scienze, le tecniche e le arti assumono una crescente importanza; i valori materiali sono onnipresenti; ma appare anche una sensibilità più grande nel promuovere i diritti dell'uomo, la pace, la giustizia, l'uguaglianza, la condivisione, la libertà...

In questa società in mutamento la vostra fede, cari fratelli e sorelle, dovrà imparare a esprimersi e a vivere. Lo dicevo ai vostri vescovi lo scorso ottobre: "Questo tempo è il tempo di Dio che non può mancare di suscitare quello di cui ha bisogno la sua Chiesa quando essa rimane disponibile, coraggiosa e in preghiera". Voi saprete ricordare il vostro passato, l'audacia e la fedeltà dei vostri predecessori, per portare a vostra volta il messaggio evangelico al centro di situazioni originali. Voi saprete suscitare una nuova cultura, integrare la modernità dell'America senza rinnegare la sua profonda umanità proveniente senza alcun dubbio dal fatto che la vostra cultura è stata nutrita dal cristianesimo.

Non accettate il divorzio tra la fede e la cultura. In questo momento voi siete chiamati a un nuovo atteggiamento missionario.


7. La cultura - e parimenti l'educazione, che è il compito primario ed essenziale della cultura - è la ricerca fondamentale del bello, del vero, del bene, che esprime al meglio l'uomo come "il soggetto portatore della trascendenza della persona" (cfr. discorso all'Unesco, 2 giugno 1980, n. 10), che lo aiuta a diventare quello che deve "essere" e non soltanto ad avvantaggiarsi di quello che "ha" o di quello che "possiede". La vostra cultura non è solo il riflesso di quello che siete, ma il crogiolo di quello che diventerete. Svilupperete dunque la vostra cultura in maniera viva e dinamica, nella speranza, senza paura dei problemi difficili o delle nuove sfide; senza peraltro lasciarvi ingannare dal chiasso della novità, e senza lasciare che s'installi un vuoto, una discontinuità tra il passato e l'avvenire; in altre parole, con discernimento e prudenza, e con il coraggio della libertà critica nei riguardi di quello che si potrebbe chiamare "l'industria culturale"; soprattutto con il più grande anelito della verità.

Ma nel rivolgermi qui ai credenti, ripeto di nuovo quello che dissi all'Unesco: "Penso soprattutto al legame fondamentale tra il Vangelo, ossia il messaggio di Cristo e della Chiesa, con l'uomo nella sua stessa umanità". Si, cari fratelli e sorelle, nella cultura che voi ora sviluppate, che è in linea con quello che voi già siete a motivo di un ricco passato, in questa cultura che è sempre l'anima di una nazione, la fede svolge una parte importante. La fede illuminerà la cultura, essa le darà sapore, l'arricchirà, come dice il Vangelo parlando della "luce", del "sale", e del "lievito" che i discepoli di Gesù sono chiamati ad essere. La fede chiederà alla cultura quali valori essa promuove, quale destino essa offre alla vita, quale posto essa fa ai poveri e ai diseredati con i quali il Figlio dell'uomo si è identificato, come essa concepisce la compartecipazione, il perdono e l'amore. Se è così, la Chiesa continuerà a compiere la sua missione attraverso di voi. E voi renderete un servizio a tutta la società, anche agli uomini e donne che non condividono la vostra medesima esperienza spirituale.

Una tale testimonianza, infatti, rispetta la libertà delle coscienze, senza per ciò abbandonarle a certi "imperativi" della civiltà moderna che pretendono di servire il progresso umano ma che di fatto vengono meno al rispetto per la vita, alla dignità di un amore che coinvolge le persone, e alla ricerca dei veri valori di umanità (cfr. Discorso all'Unesco, 2 giugno 1980, n. 13).

Ma, di nuovo, la vostra fede deve mantenersi attiva e forte; deve diventare sempre più personale, sempre più radicata nella preghiera e nell'esperienza dei sacramenti; essa deve raggiungere il Dio vivente, nel suo Figlio Gesù Cristo, il Salvatore, con l'aiuto del Santo Spirito, nella Chiesa.

Questa è la fede che voi dovreste approfondire con gioia, così da viverla e dare testimonianza di essa nella vita quotidiana e nei nuovi settori della cultura.

Questa è in realtà la grazia che dobbiamo chiedere per il futuro del Québec, per il futuro di tutto il Canada. E qui torniamo alla domanda fondamentale di Gesù Cristo: "E voi, chi dite che io sia?".


8. Nella fede che Simon Pietro ha affermato nei pressi di Cesarea di Filippo, nella fede che egli ha espresso così bene con la sua prima lettera, in questa stessa fede, io, Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma, desidero salutarvi cordialmente all'inizio del mio pellegrinaggio sulla vostra terra.

Desidero salutarvi tutti, voi che siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che appartiene a Dio; voi che siete stati chiamati in Gesù Cristo per "proclamare le meraviglie di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce" (1P 2,9). Noi inauguriamo oggi una festa destinata ad avere una grande risonanza nei vostri cuori.

La Chiesa pone sulle nostre labbra il canto che conviene: "Cantate al Signore, benedite il suo nome, / annunciate di giorno in giorno la sua salvezza, / in mezzo ai popoli raccontate la sua gloria, / a tutte le nazioni dite i suoi prodigi!" (Ps 95,2-3). Che la terra canadese canti al Signore dalle rive dell'Atlantico alle rive del Pacifico, e dal Sud alle terre ghiacciate del Nord...

Ecco che il Cristo, il Figlio del Dio vivente, è diventato la prima pietra in mezzo a voi! Ecco che il Cristo, il Figlio del Dio vivente è diventato la pietra viva per tutte le generazioni! "Gloria tibi, Trinitas"! Gloria a te, Santa Trinità! Amen.

[Al termine della santa messa, ai fedeli presenti:] Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per questa commovente accoglienza. Saluto anzitutto monsignor Louis Albert Vachon, arcivescovo di Québec, e ciascuno degli altri miei fratelli nell'episcopato, che esercitano il loro ministero in Canada. Saluto i rappresentanti delle altre Chiese che sono venuti per unirsi a noi dall'America e dai diversi continenti, specialmente dall'Europa, con la quale il Canada ha intrecciato legami così forti. Saluto i missionari canadesi e i rappresentanti delle giovani Chiese in cui essi esercitano il loro ministero. Saluto il rettore dell'università Laval, i professori e gli studenti, e tutti quelli che lavorano per rinnovare e approfondire la cultura, per renderla sempre più umana, in un dialogo fiducioso con la fede. Saluto i sacerdoti, i diaconi, i seminaristi, i religiosi, le religiose e i laici delle diverse parrocchie di questa arcidiocesi e delle diocesi vicine, che hanno potuto venire qui grazie al fraterno gemellaggio delle parrocchie. Saluto coloro per i quali Gesù aveva una particolare sollecitudine: i bambini, i giovani, gli anziani, i malati, i carcerati, tutti coloro che soffrono per non essere amati o per essere emarginati, senza lavoro o nella prova. Insieme, seguendo l'apostolo Pietro, rivolgiamoci al Signore Gesù.

Egli rafforzi la nostra fede!

Data: 1984-09-09 Data estesa: Domenica 9 Settembre 1984




Al Centro di riabilitazione "François Charon" - Québec (Canada)

Titolo: La vita dell'handicappato va rispettata fin dal concepimento

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. Ho vivamente desiderato questo incontro personale con voi, che siete provati nel vostro corpo con la malattia o gli infortuni. Vorrei salutare ciascuno e ciascuna di voi, e tutti coloro che vi circondano con il loro affetto e il loro aiuto, che contribuiscono a farvi amare la vita e a svilupparla in voi come un dono di Dio: genitori, amici e tutto il personale di questa casa. Al di là delle vostre persone, saluto gli altri handicappati di questa regione del Québec e quelli del Canada. Come Gesù di Nazaret, desidero avvicinarmi a voi, e approfondire così con voi il senso spirituale della vostra sofferenza e della vostra speranza di vivere pienamente.


2. Prima di tutto esprimo spontaneamente la mia ammirazione, le mie felicitazioni, i miei incoraggiamenti a coloro che hanno organizzato questo centro e che ne assicurano quotidianamente il funzionamento. Il nome di François Charon ha un grande potere rievocatore: durante il secolo dei fondatori, ha fatto l'esperienza della malattia, e ha deciso di abbandonare la sua azienda lucrativa di pelletterie per consacrare le sue forze e il suo denaro ai diseredati: bambini, orfani, storpi, anziani, infermi, procurando le cure, l'educazione, un mestiere. La sua casa di carità è diventata l'ospedale generale di Montréal.

E oggi, dopo la fusione avvenuta cinque anni fa di due istituzioni quasi simili, il centro François Charon si trova all'avanguardia della scienza, della tecnica e della pedagogia, per offrire i suoi servizi di riadattamento fisico e psicosociale a un crescente numero di persone adulte handicappate fisiche dell'est del Québec.

Non soltanto esse trovano qui strumenti e metodi perfezionati di rieducazione funzionale, ma anche i mezzi per acquisire la massima autonomia possibile nel loro proprio ambiente, e l'aggiornamento professionale per un'integrazione nella società. Per questo le vostre équipes comprendono specialisti di tutti i rami, che lavorano secondo una filosofia che vuol dare a ciascuno possibilità uguali e una eguale dignità umana. E' meraviglioso, e io auspico che gli scienziati continuino a inventare tutto quello che può alleviare efficacemente la sofferenza.

Ma questi strumenti e questa competenza, cari membri del personale, non arriveranno a soddisfare gli handicappati senza la dedizione, l'attenzione, il sostegno, il calore umano di cui hanno così bisogno, e io so che voi li prodigate in questa casa. Sono colpito dalla giovinezza degli impiegati, mossi da un ideale di servizio, che portano qui la loro disponibilità e il loro dinamismo. Non dimentico nemmeno i numerosi volontari che, con le loro visite, qui e a domicilio, assicurano un clima di amicizia e di servizio.

ciò che merita pure un incoraggiamento è la preoccupazione di questa impresa d'integrare la dimensione spirituale nella sua opera di riadattamento umano. Il segno ne è questa bella cappella al centro della casa. così, tutti quelli che lo vogliono, possono raccogliersi davanti al Signore, partecipare all'Eucaristia, meditare e cantare con gli altri, incontrare il sacerdote e coloro che partecipano all'attività dell'ufficio pastorale. La persona forma un tutto - corpo e anima - e ogni avvenimento personale - prova, sforzo o guarigione - è legato allo spirituale.

Si, formulo i migliori auguri per il servizio qualificato di questo centro, e degli altri centri simili del Québec.


3. In tutto ciò io vedo un segno del valore che questo popolo sa accordare alla dignità delle persone handicappate, malgrado la seduzione che il mondo moderno prova per la produttività, il profitto, l'efficacia, la rapidità, i record della forza fisica.

Le nostre società, grazie a Dio, sembrano assumere poco a poco la consapevolezza del posto che spetta agli handicappati. Essi hanno dei diritti che spesso sono stati trascurati. L'Organizzazione delle Nazioni Unite ha pubblicato, il 9 dicembre 1975, una dichiarazione su questi diritti che merita la nostra lode.

Nel 1981 essa ha pure indetto l'Anno internazionale delle persone handicappate. Ma bisogna che queste buone intenzioni s'incarnino nelle realtà di ogni regione, e qui vi sono delle difficoltà materiali e degli ostacoli psicologici da superare, dei progressi da realizzare.

La Chiesa se ne è sempre interessata in sommo grado, e nel corso dei secoli ha dato vita a opere di grande generosità per aiutare, come Cristo, gli handicappati, persuasa del valore unico di ogni persona. Il 4 marzo 1981 la Santa Sede ha pubblicato un lungo documento che riafferma i principi fondamentali e le linee d'azione. Mi piace ripeterlo qui con chiarezza e vigore: la persona handicappata è un soggetto umano nella sua integralità, con tutti i diritti corrispondenti, innati, sacri e inviolabili, che essa lo sia a causa di un'infermità, di nascita o a seguito di malattie croniche, di incidenti, come pure per debolezza mentale o infermità sensoriale, e quale che sia l'importanza delle sue lesioni. Si deve facilitare ad essa la partecipazione alla vita della società in tutte le sue dimensioni e a tutti i livelli accessibili alle sue possibilità: famiglia, scuola, lavoro, comunità sociale, politica, religiosa. In pratica, ciò suppone il rispetto assoluto della vita umana dell'handicappato, dal suo concepimento e in tutti gli stadi del suo sviluppo.

Bisogna cercare di non vincere soltanto gli handicap, ma anche le loro cause. Essi hanno spesso delle cause naturali, malformazione dell'organismo o malattia; pensiamo anche alla guerra, all'inquinamento, agli abusi dell'alcool o di droga, alle imprudenze nella circolazione. E ancora, alle cause psicologiche e morali: un'"ecologia" spirituale s'impone allo stesso titolo di un'ecologia naturale.

Bisogna aiutare le famiglie spesso disorientate, e molto meritevoli; per questo bisogna realizzare delle case di accoglienza come questa, che tengano conto dei legami con la famiglia. Bisogna tendere a dare una formazione, un impiego adatto con una giusta rimunerazione, possibilità di promozione e condizioni di sicurezza per evitare il facile trauma degli handicappati: ciò richiede immaginazione e audacia, per ogni specie di iniziative sociali, con l'aiuto dei pubblici poteri. Vi ho dedicato un intero paragrafo della mia enciclica sul lavoro. E' necessario infine che l'handicappato sia non solo assistito e amato, ma che egli assuma, per quanto possibile, la consapevolezza della sua dignità, delle sue risorse, delle sue possibilità di volere, di comunicare, di collaborare, di amare, di donare a sua volta, lottando ogni giorno per conservare e per sviluppare le sue capacità.

In definitiva, la qualità di una società o di una civiltà si misura dal rispetto che essa manifesta verso i suoi membri più deboli. Una società tecnicamente perfetta, nella quale sono ammessi solo i membri pienamente produttivi, dovrebbe essere considerata come radicalmente indegna dell'uomo, pervertita da una specie di discriminazione non meno condannabile della discriminazione razziale. La persona handicappata è una di noi, partecipa alla nostra stessa umanità. Riconoscere e promuovere la sua dignità e i suoi diritti, significa riconoscere la nostra dignità e i nostri diritti.

Tali sono le convinzioni della Chiesa (cfr. il suddetto documento della Santa Sede), che si rallegra di vedere condivise e messe in pratica da un buon numero di legislazioni e di società.


4. Ma, cari amici, il cristiano attinge dalla sua fede dei motivi ancor più profondi, e una forza particolare per questa opera in favore degli handicappati.

Il Vangelo ci mostra Gesù che passa facendo del bene. Egli accoglieva tutti coloro che soffrivano fisicamente o moralmente; anzi, andava loro incontro. Annunciava ad essi la buona novella dell'amore di Dio e della loro salvezza mediante la fede. E in questa salvezza egli mirava nello stesso tempo al corpo e all'anima.

Confortando gli infermi - storpi, paralizzati, ciechi, sordi - voleva toglierli dalla loro miseria, e la loro guarigione, in risposta alla loro fede, era il segno della vita piena che egli annunciava: "Alzati e cammina!".

Non si è accontentato di essere vicino alla sofferenza e di alleviarla: l'ha presa su di sé. Si è fatto volontariamente l'uomo dei dolori, familiare della sofferenza e, alla fine, di quella dei torturati, dei condannati a morte. Poiché egli ha offerto così la sua vita, lui, il Figlio prediletto del Padre, Dio lo ha risuscitato, e pertanto Cristo ci ha aperto le porte della vita. Ci ha garantito che la vita avrà l'ultima parola.

Il messaggio che ci ha lasciato è dunque che voi, handicappati, cerchiate con lui di lottare contro il male, di vincere gli ostacoli di cui soffre il vostro corpo, con l'aiuto della tecnica e della scienza, e con il coraggio dell'amore. E' così che diventiamo, gli uni per gli altri, dei buoni samaritani (cfr. "Salvifici Doloris", 28-30), non soltanto fermandoci presso l'uomo che soffre per le ferite della vita, ma portandogli un soccorso efficace, dando noi stessi a quest'uomo con il quale Cristo si identifica: "Quello che avete fatto a uno dei miei fratelli, l'avete fatto a me".


5. Cari fratelli e sorelle in Gesù Cristo, finora ho parlato della nobiltà di questa lotta tenace contro il male fisico, con quanto essa suppone di competenza tecnica, di coraggio, di solidarietà e di speranza. Tale è appunto la volontà di Dio.

Ma il mistero della vostra sofferenza è più profondo, e io vorrei scrutarlo con voi, come ho fatto nella mia lettera dell'11 febbraio di quest'anno (nn. 9.26), nella festa di nostra Signora di Lourdes: "All'interno di ogni sofferenza provata dall'uomo... appare inevitabile l'interrogativo: perché? E' un interrogativo circa la causa, la ragione e insieme un interrogativo circa lo scopo e, in definitiva, circa il senso... Ogni persona entra quasi sempre nella sofferenza con una protesta tipicamente umana, ponendosi la domanda del "perché"...". Essa rivolge questo interrogativo a Dio, come Giobbe, e si rivolge pure a Cristo. Anche se identifica la causa secondaria che ha provocato il suo handicap, anche se spera di superarlo e di fatto vi arriva con la sua volontà e con i mezzi di rieducazione, il problema soggettivo rimane intatto: perché questa sofferenza, questo limite in me, in un dato periodo della mia vita? Questo mistero ci accompagna, come accompagna tutte le prove umane e lo stesso lavoro umano.

Cristo risponde, in un certo modo, dalla sua croce, dal più profondo della propria sofferenza. Non è una risposta astratta: è una chiamata che l'uomo impiega molto tempo a capire.

Cristo ha dato un valore redentivo universale alla propria sofferenza, che sembrava essergli stata imposta dal di fuori; egli l'ha assunta nell'obbedienza verso suo Padre, nell'amore verso gli uomini, per liberarli dal loro peccato che è causa di sofferenza e di morte. E noi stessi partecipiamo a questa redenzione, se vi acconsentiamo. Questo consenso non è né fatalità, né rassegnazione alla sofferenza che in sé rimane un male e che obbliga a lottare. Ma Dio ci mostra come trarre il bene dal male offrendo questa sofferenza come è sentita oggi, con la croce di Cristo. Sono sicuro che molti di voi hanno fatto o fanno qui questa esperienza, nella fede. Il dolore rimane. Ma il cuore riceve serenità e pace e trascende il senso di inutilità della sofferenza. Colui che soffre si apre all'amore. Aiuta le persone che lo circondano a uscire da se stesse, a donarsi. E' testimone della fede e della speranza. Egli crede, nel mistero della comunione dei santi, che è utile alla salvezza dei suoi fratelli e sorelle nel mondo. Entra nella missione redentrice con il Cristo.

Di questa commovente testimonianza, ringraziamo gli handicappati e tutti quelli che discretamente li accompagnano in questo cammino spirituale. E' importante che gli handicappati e i malati si aiutino reciprocamente nelle associazioni, non solo per umanizzare le loro condizioni di vita e far valere i loro diritti, ma per meglio accedere a questo mistero. Nessuno può imporre la propria fede, ma ciascuno può viverla e testimoniarla, e apportare un'ispirazione e un nuovo dinamismo all'interno delle strutture sanitarie: beati a coloro che comprendono il linguaggio delle beatitudini! La sofferenza umana è perciò una forza che può contribuire a trasformare il mondo.


6. Si, con Cristo voi dovete amare la vita: "lo sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10). La vita naturale del vostro organismo corporale, delle sue funzioni riabilitate, dei suoi sensi, la vita delle facoltà intellettuali e delle capacità d'amore. Ma anche la vita più misteriosa, soprannaturale, che Dio depone nei credenti mediante il Battesimo, che è la sua vita divina, la partecipazione alla sua vita trinitaria. Essa non è tributaria di handicap fisici; anzi contrasta con la debolezza del corpo. Questa vita è invisibile agli occhi, ma dà alle persone la loro bellezza interiore e la loro forza segreta; essa rimane e si sviluppa al di là di questa vita terrena. E la grandezza dei sacramenti, specialmente dell'Eucaristia e della Riconciliazione, è di introdurci in questa vita. Questa cappella ne è il luogo privilegiato.


7. Ecco, cari amici, l'essenziale del messaggio del Vescovo di Roma, presente in mezzo a voi.

Qui, voi mi sembrate particolarmente aiutati, indotti a ritrovare il gusto di vivere. Non posso impedirmi di pensare - ed è un'intenzione di preghiera che vi affido - a tutti gli altri handicappati di questo Paese, del mondo; agli handicappati mentali; ai malati gravemente colpiti, a quelli che hanno lesioni tali da non lasciare intravedere una speranza umana di miglioramento e che hanno diritto allo stesso rispetto della vita; agli handicappati indifesi, ai nascituri e agli anziani, ai quali vorrei prestare la mia voce: "Noi abbiamo il diritto di nascere, abbiamo il diritto di vivere". Penso ai Paesi troppo poveri per poter organizzare dei centri di rieducazione come questo.

Siamo tutti solidali con la sofferenza dei nostri fratelli e, come dicevo all'inizio dell'Anno internazionale degli handicappati (1 gennaio 1981): "Se soltanto una minima parte del "budget" per la corsa agli armamenti fosse devoluta per questo obiettivo, si potrebbero conseguire importanti successi e alleviare la sorte di numerose persone sofferenti".

Prima di lasciarvi - e conservero un intenso ricordo di questa visita - ripeto agli handicappati di questo centro il mio affetto e i miei incoraggiamenti.

Lo dico anche alle loro famiglie e a tutte le persone così meritevoli di questa casa. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto in tale presenza di carità il centro vitale dell'apostolato dei laici (cfr. AA 8). Penso pure ai religiosi e alle religiose che hanno messo la loro vita consacrata a servizio degli handicappati, e a tutti i sacerdoti che portano loro i segni efficaci dell'amore di Cristo.

L'apostolo Pietro ha detto allo storpio della "Porta Bella": "Non possiedo né argento né oro; nel nome di Gesù Cristo alzati e cammina!". Questo potere di guarire miracolosamente appartiene a Gesù Cristo. Oggi, il successore di Pietro vi ringrazia per la vostra accoglienza e per la vostra testimonianza, e spera che il suo passaggio tra di voi avrà contribuito a rafforzare la vostra fede, questa fede che illumina, che dilata ed eleva la vostra vita.

Chiedo a Maria, nostra Madre, di ottenervi questo dono dallo Spirito Santo. E prego Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, di colmarvi delle sue benedizioni.

Data: 1984-09-10 Data estesa: Lunedi 10 Settembre 1984





GPII 1984 Insegnamenti - All'arrivo all'aeroporto - Québec (Canada)