GPII 1984 Insegnamenti - Per l'ordinazione episcopale di monsignor Robu


1. Con grande gioia vi accolgo stamane in questa udienza speciale e vi esprimo il mio vivo compiacimento per aver voluto partecipare alla cerimonia della consacrazione episcopale, che ha inserito nel collegio dei successori degli apostoli lei, monsignor Ioan Robu, vescovo titolare di Celle di Proconsolare e amministratore apostolico dell'arcidiocesi metropolitana di Bucarest.

Il mio cordiale e beneaugurante saluto si rivolge pertanto prima di tutti a lei, amatissimo fratello, che per le mani e la voce del cardinale segretario di Stato ha ricevuto la "pienezza del sacerdozio", il "sacramento dell'episcopato", nel giorno significativo della solennità dell'Immacolata Concezione, nella cappella Paolina della casa pontificia, presso la tomba di san Pietro: circostanze tutte assai incisive, che rimarranno per lei come lieto ricordo e come incitamento al coraggio e alla fiducia.

Saluto poi con affetto i parenti di monsignor Robu e soprattutto il padre, genitore ben fortunato che ha potuto vedere il figlio consacrato vescovo nel centro stesso della cristianità e ha voluto essergli vicino in questa circostanza unica e solenne. Il mio pensiero deferente va poi al rappresentante del governo della Repubblica socialista di Romania venuto appositamente a Roma, a tutte le autorità religiose che hanno presenziato al rito e ai sacerdoti e fedeli della Romania che hanno partecipato con l'affetto e la preghiera alla cerimonia.

E' questa una data storica; infatti, per mezzo di questa consacrazione episcopale la diletta nazione romena emerge in modo del tutto particolare nella struttura universale della Chiesa e nel prezioso contesto della religiosità e della cultura del suo popolo. La lunga storia della Romania, con le sue gloriose conquiste e con le sue tribolate vicende, e il popolo romeno, con le sue caratteristiche di profonda sensibilità umana e cristiana, si manifestano in questo momento dinanzi a noi in una visione sintetica e commovente, che ci fa comprendere ancora una volta come ogni gente fa parte del concerto mirabile e grandioso dei popoli già intravisto dal profeta Isaia e che solo nell'eternità potremo comprendere nella sua misteriosa armonia.

Ringraziamo insieme il Signore per l'immenso gaudio spirituale che ci ha donato la consacrazione episcopale di monsignor Robu: "Benediciamo il Signore ora e per sempre!" (Ps 113,18). Pur in mezzo alle traversie e alle sofferenze del mondo moderno, riconosciamo la presenza dell'Altissimo, sempre amorevole e premurosa sulle singole persone e sulle nazioni: "Benediro il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode!" (Ps 33,2).


2. La consacrazione episcopale di monsignor Robu, nominato amministratore apostolico dell'arcidiocesi metropolitana di Bucarest, acquista un significato ancora più notevole per il fatto che sottolinea in modo autorevole il triplice vincolo che unisce quell'importante Chiesa locale prima di tutto alla Sede apostolica e al successore di Pietro, poi con tutta la Chiesa che è in Romania, e infine con la stessa nazione romena, di cui fa parte e alla quale vuol portare il suo servizio di amore e il suo contributo per un sempre maggiore e migliore sviluppo e progresso nel campo sociale e culturale.

Durante la cerimonia di beatificazione del francescano cappuccino Geremia da Valacchia, il primo romeno asceso ufficialmente agli onori degli altari, rivolgendomi a voi romeni nella vostra stessa lingua rilevavo la vostra richiesta di mettere sul candelabro questa lampada ardente e dicevo: "Voi avete scoperto il suo messaggio e vi siete uniti intorno alla sua figura, che sintetizza ed esprime la vostra tradizione cristiana e le vostre aspirazioni".

Con la nomina recentemente avvenuta del nuovo amministratore apostolico, la Santa Sede vuole, in nome di Cristo, mantenere vive ed efficienti tali tradizioni per il bene comune del popolo; vuole realizzare e collaborare per attuare le aspirazioni del popolo alla fraternità, alla pace, al giusto e onesto convivere, all'esplicazione delle proprie esigenze spirituali e religiose, all'incremento dei rapporti culturali con i popoli del consorzio umano, alla partecipazione serena e positiva alla grande avventura della storia.

Il triplice vincolo porti alla Chiesa romena e all'intera nazione abbondanti frutti sia nel campo religioso come in quello civile, in modo che tutti si sentano uniti e fratelli, saggiamente invogliati a procurare il bene comune e ad innalzare lo sguardo alle mete eterne, che ci attendono oltre il tempo e oltre la storia.

Anche il ripristino della completa unità dei cristiani deve stare particolarmente a cuore: per essa noi preghiamo continuamente; ad essa noi aneliamo ardentemente, perché sappiamo che essa è di grande importanza per l'evangelizzazione del mondo. Abbiamo bisogno di unità e di comunione: il mistero della croce di Cristo, che si estende sull'intera storia umana, stimoli ogni cittadino romeno a farsi portatore e testimone di unione e di solidarietà, con l'intercessione del beato Geremia!


3. Augurando di cuore a monsignor Robu un fruttuoso ministero nell'arcidiocesi di Bucarest richiamo alla memoria la dottrina del Concilio Ecumenico Vaticano II, secondo la quale "i vescovi reggono le Chiese particolari come vicari e legati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà, della quale pero non si servono se non per elevare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è più grande si deve fare come il più piccolo e chi è il capo, come il servo" (LG 27a).

Grande è indubbiamente la dignità e la responsabilità del vescovo nella Chiesa di Dio, per la salvezza e la santificazione delle anime: come il Buon Pastore egli deve vivere unicamente per il gregge a lui affidato; ma abbondanti ed efficaci sono anche le grazie del Signore.

Rivolgendomi in particolare ai sacerdoti e ai fedeli con le parole di san Paolo, vi esorto "a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace" (Ep 4,1). così potrete lavorare fedelmente nella Chiesa del Signore, aiutandovi a vicenda ed edificando i fratelli.


4. La solennità dell'Immacolata Concezione, che abbiamo celebrato con tanta devozione, e che per l'avvenimento di questa consacrazione episcopale ha assunto un ulteriore mistico significato, sia per voi tutti e per la diletta nazione romena motivo di filiale e profonda fiducia in Maria santissima, che Dio stesso ha voluto darci come madre, come confidente e compagna di viaggio nel cammino della nostra esistenza, come Regina dei popoli e delle nazioni. Nella poesia romena molti poeti hanno cantato i misteri di Dio e hanno elevato inni a Maria santissima, venerata in molti santuari. Mi piace concludere questo nostro incontro con la preghiera rivolta alla Madonna dal grande poeta, a voi ben noto, Michele Eminescu: "Noi invochiamo le tue misericordie, stella dei mari. Dall'onda che ci colpisce, innalzaci e salvaci. Lo sguardo adorato su noi spiega, o Madre purissima. E sempre Vergine Maria!".

L'Immacolata, la nostra celeste Madre, protegga ognuno di voi e la Chiesa romena con particolare amore! Illumini le vostre menti, guidi i vostri cuori. E vi accompagni anche la mia propiziatrice benedizione apostolica, che ora vi imparto e che estendo con grande benevolenza a tutti i fedeli della vostra nazione.

Data: 1984-12-10 Data estesa: Lunedi 10 Dicembre 1984




Ad un convegno su san Damaso - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Monumenti fonte per lo studio delle istituzioni e della cultura

Testo:


1. Sono lieto di essere in mezzo a voi, partecipanti al convegno internazionale promosso dal Pontificio istituto di archeologia cristiana. Vi saluto tutti e ciascuno in particolare, augurando ai vostri lavori buon proseguimento e felice conclusione.

Voi vi siete ritrovati insieme da varie parti del mondo per commemorare una duplice ricorrenza: il XVI centenario della morte di san Damaso I e il 60° anniversario di fondazione dell'Istituto. Due avvenimenti che si collegano insieme, un po' come la sorgente con il corso del fiume.


2. Il tema del convegno scientifico, che state celebrando, "Damasus Papa, cultor Martyrum" non poteva essere più felice anche come scelta di enunciazione in lingua latina.

Il mio venerato predecessore Pio XI, nel fondare il Pontificio istituto di archeologia cristiana, gli assegno quale speciale protettore e patrono san Damaso, come colui che sta a monte nel campo delle vostre ricerche e che, dopo sedici secoli, senza perdere nulla della sua luminosità, continua ad esercitare il suo influsso nella Chiesa contemporanea.

Nelle vostre documentate relazioni del convegno avete evocato san Damaso come Papa costruttore, non solo perché nell'arco dei diciotto anni del suo pontificato egli sviluppo un'intensa attività volta a innalzare edifici del culto, dentro e fuori la cinta muraria dell'Urbe, all'interno delle catacombe e in superficie, ma soprattutto nel significato ecclesiale della parola, di costruttore della Chiesa. Il suo impegno consistente fu indirizzato a valorizzare le tombe dei fratelli, conosciuti e ignoti, che per Cristo avevano sparso generosamente il loro sangue, al fine di evitare che su di loro scendesse la polvere della dimenticanza e dell'indifferenza; egli inoltre ne fece conoscere la personalità con brevi notizie storiche, da lui stesso redatte sotto forma di carmi per essere incise sul marmo a memoria perenne. A lui si deve, con la collaborazione indefessa delle vostre ricerche, se il ricordo di tanti eroismi sopravvive all'erosione del tempo.

Per promuovere il culto dei martiri e sviluppare la devozione dei fedeli, l'attività damasiana si svolgeva entro una linea di programma sistematico.

Fu così che le catacombe acquistarono quella forza di fascino, che esercitano tuttora, perché il visitatore ha l'impressione di rituffarsi nella genuinità viva delle origini della fede.

Per la stessa finalità san Damaso diede un vigoroso impulso alla sacra liturgia. Con lui si adotto nella lingua liturgica della Chiesa di Roma l'uso del latino e fu composto il Canone romano che, con gli opportuni aggiornamenti suggeriti nel corso dei secoli, rimane ancor oggi la prima preghiera eucaristica della riforma liturgica, voluta dal Vaticano II. A ragione si deve dire perciò che l'opera di san Damaso è tuttora viva.


3. La vitalità del santo patrono è propiziazione dell'attualità del vostro lavoro.

La storia dell'Istituto ha camminato con l'evolversi dei tempi, come si può riconfermare dalle vicende della sua denominazione. Dal primo nucleo designato col nome di Accademia romana di antichità e di storia si passo, con Pio VII, agli inizi d'un secolo caratterizzato dalla vivacità dei grandi scavi, alla più specifica Pontificia accademia romana di archeologia e, con Pio XI, alla denominazione attuale.

La Chiesa ha ripetutamente incoraggiato e promosso la scienza archeologica per quella che essa veramente è: studio dei monumenti. L'iniziativa della Santa Sede per l'istituzione di un museo risale alla prima metà del secolo XVIII.

Se lo studio, oggi tanto sviluppato, dall'archeologia e l'esplorazione del terreno con scavi metodici e illustrati dalle scienze ausiliarie, rivestono un'importanza enorme, talvolta decisiva, per la conoscenza dell'antichità, ciò vale altrettanto, e forse più, per l'archeologia cristiana. Infatti i monumenti sono un'illustrazione degli articoli della fede, fonte di primissimo ordine per lo studio delle istituzioni e della cultura cristiana, per giungere ai tempi più vicini a quelli apostolici.

Nel creare il Pontificio istituto di archeologia cristiana, Pio XI ebbe la lungimiranza di indicarne i principi eminentemente scientifici che dovevano guidarlo, e che anche oggi, a distanza di 60 anni, restano alla base della sua attività: che è quella non solo di raccogliere il materiale scientifico necessario allo studio dei monumenti e delle istituzioni del cristianesimo primitivo, promuovendo studi adeguati sui monumenti e sui problemi che via via sorgono nel corso del loro esame, ma anche formare veri e metodici studiosi.

Vi auguro che la vostra attività renda in maniera sempre più efficace questo suo magnifico servizio alla diffusione e all'approfondimento della fede; e, con grande benevolenza, vi imparto di cuore l'apostolica benedizione.

Data: 1984-12-10 Data estesa: Lunedi 10 Dicembre 1984



Agli universitari per il Natale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Salvezza è liberazione dai timori che angosciano l'uomo

Testo:


1. "Poiché, io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra e ti dico: "Non temere"" (Is 41,13). Queste parole pronuncia, nell'odierna liturgia d'Avvento, il profeta Isaia. Le ha rivolte agli uomini della sua epoca, vari secoli prima della nascita di Cristo.

Noi oggi, riuniti nella basilica di San Pietro, nell'approssimarsi della fine del XX secolo dopo la nascita di Cristo, accogliamo queste parole così come fossero pronunciate per noi. Ci riuniamo qui per vivere la nostra liturgia annuale d'Avvento insieme con i professori e gli studenti delle università romane: uno dei primi e fondamentali compiti della liturgia infatti è l'attualizzazione della parola di Dio: rende presente la parola, "il cielo e la terra passeranno, ma le mia parole non passeranno" (Mt 24,35).

La parola del Dio vivente ha una forza e portata intramontabile. Essa non è una registrazione che passa alla storia, non è solo un momento di letteratura. Essa sempre di nuovo raggiunge l'uomo nel midollo stesso della sua esistenza. Sempre di nuovo diventa luogo di incontro: del più importante incontro, dell'incontro con Dio. Con quel Dio, che è "alfa e omega", "principio e fine", con Dio che "fu, che è e che verrà".


2. La parola del Dio vivente.

Che cosa è l'Avvento? Sappiamo tutti che così si chiama quel periodo dell'anno liturgico della Chiesa, che è segnato dal succedersi di quattro domeniche e che mira a prepararci alla solennità del Natale del Signore. In questo periodo cade pure la solennità dell'Immacolata Concezione, profondamente legata col mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio.

In questo periodo ricorre pure - proprio oggi, 13 dicembre - la memoria di santa Lucia, che mediante la sua verginità e il suo martirio è presente nel ricordo della Chiesa fin dai tempi antichi. così dunque l'Avvento ha il suo posto nettamente definito in questo sistema dei segni, mediante i quali parla la liturgia della Chiesa. Ma proprio come il segno della liturgia, come il tempo della liturgia, l'Avvento in modo particolare svela dinanzi a noi la realtà stessa di Dio: il mistero di Dio!


3. Ecco Dio, che eternamente permane nella sua divinità, nella inscrutabile comunione di Padre, di Figlio e di Spirito Santo. E, al tempo stesso, Dio che dall'intera pienezza della sua libertà e del suo amore intraprende l'iniziativa creatrice e insieme salvifica. In un certo senso oltrepassa il limite di questa divinità che in se stessa è illuminata e si "presta" nella sua onnipotenza e nel suo amore.

In questo modo l'Avvento ci parla dell'inizio del mistero della creazione che è, in pari tempo, l'"alfa" di ogni storia. Nella creazione del mondo, e prima di tutto dell'uomo nel mondo, si racchiude la prima venuta di Dio.

Questo è chinarsi sulla nullità, dinanzi alla quale il Creatore pronuncia il suo "sia"! Tale venuta sussiste nella sua struttura più intima dell'essere creato: "conservatio est continua creatio". Con la sua potenza creativa Dio mantiene in esistenza tutto ciò che non esiste "da sé": che è mutabile e occasionale nell'esistenza.

Quel misterioso Avvento del creato è, in un certo senso, presente sempre nella liturgia della Chiesa. E la dimensione originaria e fondamentale di tutti i segni della liturgia, di tutti i periodi e di tutte le feste. Sembra tuttavia tralucere particolarmente mediante la liturgia d'Avvento, che ci orienta verso l'"inizio" stesso della creatrice e insieme salvifica iniziativa di Dio. Colui, che solo è senza inizio, viene! Viene, cioè stabilisce l'inizio del tutto. E' presente in esso con la sua libertà e il suo amore. Con l'inscrutabile comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.


4. "Poiché io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra e ti dico: "Non temer"".

L'uomo emerge in mezzo all'opera della creazione. Egli è come il coronamento del mondo, del mondo visibile. Quanto si distende il suo tempo sulla terra? La scienza cerca senza sosta di dare una risposta precisa. Esiste egli soltanto sulla terra? E' anche questa una domanda che viene posta.

Con l'uomo, l'avvento di Dio nell'opera della creazione raggiunge una tappa definitiva. Solo con l'uomo questo avvento prende davvero inizio. L'uomo, infatti, secondo il libro della Genesi, è "immagine e somiglianza di Dio". Egli non si spiega fino alla fine, partendo da alcuna struttura cosmica, che sia stata creata prima di lui. E' nel mondo e dal mondo ("plasmo l'uomo con polvere del suolo", come dice il libro della Genesi), e al tempo stesso: è da Dio! E' presente in lui dall'inizio un elemento divino. In questo elemento egli "supera" tutto il mondo visibile, lo supera verso il suo divino prototipo. Porta in sé la sfida dell'eternità, e la sfida della santità. La sfida e la chiamata. Questa sfida proviene da Dio, risulta dalla sua iniziativa creatrice, e al tempo stesso già costituisce un "materiale" dell'iniziativa salvifica: si può dire che non soltanto l'uomo è chiamato dal Creatore per quell'elemento di divinità che è racchiuso nell'intimo dell'uomo, ma contemporaneamente che pure Dio è "chiamato" dall'uomo proprio perché questi è colui che è: che è "immagine e somiglianza di Dio". Dio è "chiamato": nella sua assoluta libertà, nel suo amore.


5. così dunque dal profondo dell'avvento del creato - proprio qui, in questo "vertice" che è l'uomo - piomba l'Avvento della salvezza. Questo avvento si racchiude nello stesso "inizio" biblico dell'uomo, secondo cui Elohim-Jahvè "maschio e femmina li creo" (Gn 1,27). Basta leggere con attenzione gli stessi primi capitoli del libro della Genesi per convincersene. L'Avvento della salvezza non si interrompe col peccato dei progenitori. In un certo senso, proprio insieme con quel peccato, se ne apre la prospettiva concreta. Questa prospettiva guida tutta la storia che si svolge attraverso la storia di ogni uomo, attraverso la storia di tutti i popoli, di tutte le generazioni.

L'Avvento della salvezza significa in certo senso "che Dio-non-cede" davanti alla resistenza che pone il creato: il creato invisibile, prima, e poi quello visibile: proprio l'uomo. Dinanzi a questa resistenza, dinanzi al "rifiuto" del Creatore, avanzato da parte del creato, dinanzi a "rifiuto" dell'amore salvifico avanzato prima dalla libertà angelica e poi da quella umana, Dio non cede. L'amore non cede. Non cede perché è consapevole: la stessa profondità della divina consapevolezza - lo stesso mistero trinitario del Padre, del Figlio e dello Spirito - l'eterno amore è consapevole che soltanto in lui stesso si racchiude la potenza salvifica del creato. La salvezza può essere soltanto il "tabernacolo di Dio con gli uomini". può essere soltanto il "regno di Dio". può essere soltanto allora quando "Dio sia tutto in tutti" (1Co 15,28).


6. così dunque l'avvento salvifico di Dio si apre dinanzi agli occhi della nostra anima mediante questo Avvento liturgico, quando attendiamo l'annuale solennità della nascita del Verbo eterno nella stalla di Betlemme, da Maria Vergine, che ha concepito per opera dello Spirito Santo.

L'avvento salvifico: la venuta di Dio e il continuo venire di Dio. La venuta nelle grandi esperienze della storia, e prima di tutto nel segreto dei cuori e delle coscienze. Il "Deus absconditus" viene. Viene e dice a ciascuno: "Io sono il Signore tuo Dio, che ti tengo per la destra".

O quanto, quanto dall'inizio Dio abbraccia l'uomo con il suo avvento di salvezza! Dalle prime pagine del libro della Genesi passiamo al centro stesso del Vangelo: la destra di Dio tiene la mano dell'uomo per guidarlo. Fedelmente, anche se l'uomo tante volte divincola la sua destra, anche se tante volte proclama che vuol essere libero "al di fuori di Dio". Vuol essere libero con la libertà dell'indipendenza. Nel suo accecamento non scorge che la libertà ha la sua eterna predestinazione in ognuno di noi, creature libere: la predestinazione dell'amore.

Oltre questa predestinazione la nostra libertà creata diventa anti-libertà! Diventa la sorgente della costrizione per gli altri e per se stessi.

Proprio dall'esperienza di una tale - mal intesa e mal usata - libertà gridava Sartre: "Gli altri sono l'inferno". Invece l'inferno è in definitiva la libertà male usata. La libertà usata contro l'amore. La libertà così mal usata diventa anti-libertà... L'inferno è anti-libertà.


7. Dio dice: "ti tengo per la destra", così come il padre o la madre prendono per la mano il bambino, non per togliergli la libertà, ma per insegnargli l'amore.

Quel divino "tenere per la destra" è come l'iniziativa salvifica di Dio verso ognuno di noi, è l'avvento salvifico di Dio mediante il quale egli ci insegna l'amore. Insieme con l'amore infatti viene la salvezza: e la salvezza non finisce, ma oltrepassa i limiti temporali della nostra esistenza, per decidere sulla nostra vita per l'eternità. Proprio questo porta all'umanità di Gesù, la cui nascita nella notte di Betlemme aspettiamo: Gesù, "Dio che salva". Porta il messaggio della salvezza mediante l'amore. E compirà questo messaggio non solo con il suo insegnamento - il messaggio della buona novella - ma lo compirà fino alla fine con la sua croce e risurrezione.

Il mistero pasquale attesta che l'amore è più forte della morte, e perciò è salvifico. Che l'amore è più forte del peccato, e perciò è salvifico. E il mistero pasquale nasconde in se stesso la notte della nascita di Betlemme. E con essa si congiunge in un insieme: nel mistero di Gesù Cristo, in cui la venuta salvifica di Dio si è compiuta definitivamente nella storia terrena dell'umanità, e in essa permane irreversibilmente.


8. "...Ti tengo per la destra, / e ti dico: "Non temere"!". Quanti timori porta in sé ogni uomo. Timori palesi e timori nascosti. Quanti timori porta in sé la grande famiglia umana - la famiglia dei popoli e delle nazioni - che abita in questo pianeta, non si sa da quando. Quanti timori portano in sé l'uomo e l'umanità del nostro secolo - l'uomo e l'umanità "dell'èra atomica" - l'uomo e l'umanità dell'epoca dell'elettronica e insieme l'uomo e l'umanità dei non-nati, degli uccisi nel seno delle madri, dei bambini che a milioni muoiono di fame! L'uomo: l'umanità delle nazioni e delle società nelle quali "la libertà degli uni diventa la schiavitù degli altri"; l'uomo e l'umanità della società e degli ambienti, nei quali la prepotenza e la violenza diventano sempre più brutali! La salvezza significa la liberazione dal timore. L'amore perfetto "foras mittit timorem". Cerchiamo le vie che dal timore conducano all'amore! Cerchiamo le vie della salvezza. Cerchiamole tra le esperienze sempre più minacciose del nostro tempo! Il Dio dell'avvento salvifico è tra noi: il suo nome è Emmanuele!


9. Ecco che cosa dice: "...Non temere". Quanto liberatrici sono queste parole! Ecco che cosa dice: "Tu, invece, gioirai nel Signore, / ti vanterai del Santo di Israele" (Is 41,16). Questo è il vanto, che Giovanni Battista ricevette dalla bocca di Cristo stesso: "Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista" (Mt 11,11).

Si. L'uomo è chiamato alla grandezza. L'uomo è chiamato alla gloria: la gloria dell'uomo, l'esaltazione dell'uomo in Gesù Cristo è l'obiettivo essenziale dell'avvento salvifico di Dio, perché la gloria di Dio è che l'uomo viva. Che viva con quella pienezza di vita che è in Dio. Che è da Dio.

Con queste parole desidero specificare nel contempo i santi sacramenti: il sacramento della conversione (la Penitenza), e dell'Eucaristia. Accostatevi ad essi. Proprio essi significano e compiono l'avvento salvifico di Dio in ciascuno di noi. Dio viene a noi con la sua parola. Viene nei sacramenti. Accogliamolo.

L'avvento salvifico di Dio dipende pure dalla prontezza di ciascuno di noi, così come il mistero dell'incarnazione è dipeso dalla prontezza di Maria: "Avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).


10. Nel Vangelo della liturgia odierna Gesù dice di Giovanni Battista: "Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di lui", e poi aggiunge: "Dai giorni di Giovanni Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono" (Mt 11,12).

A voi mi rivolgo, cristiani di Roma, uomini dell'epoca contemporanea: il regno dei cieli soffre violenza... se ne impadroniscono i violenti.

Uomini contemporanei! Non dite e non pensate che vi pesa l'assenza di Dio nel mondo della nostra civilizzazione e del progresso vertiginoso. Aprite gli occhi alla fede, svegliate tutti i carismi dello Spirito, che sono in voi dal momento del Battesimo.

Nel mondo in cui viviamo permane l'avvento di Dio: l'avvento del creato e l'avvento della salvezza. Nel mondo in cui viviamo è radicato il regno di Dio, il regno dei cieli. Uscite incontro ad esso. Il regno di Dio aspetta i violenti che ne se impadroniscono!...

"Poiché io sono il Signore tuo Dio / che ti tengo per la destra / e ti dico: Non temere, / io ti vengo in aiuto - oracolo del Signore - tuo redentore è il Santo di Israele" (Is 41,13-14). Amen.

Data: 1984-12-13 Data estesa: Giovedi 13 Dicembre 1984




All'Associazione medici dentisti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Carità e gioia vi guidino nell'aiutare l'uomo sofferente

Testo:


1. E' per me motivo di sincera gioia potermi incontrare con voi, presidenti delle sezioni provinciali e membri della segreteria generale dell'Associazione medici dentisti italiani. Siate i benvenuti, insieme con le vostre famiglie, per il gradito gesto di filiale devozione, e per l'occasione che mi è offerta di parlare con voi della vostra professione.

Voi rappresentate qui un'associazione che si propone di attuare intensi scambi culturali con le maggiori associazioni stomatologiche internazionali per lo studio e l'aggiornamento della professione odontoiatrica, conta circa settemila medici dentisti associati, e ha come suo specifico e nobile fine la difesa della salute orale del cittadino mediante iniziative atte a sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza dell'igiene orale per la prevenzione e la cura dentale e la certificazione dei prodotti a ciò destinati.

Considerando quanto altre volte i miei predecessori hanno detto in più d'un incontro con medici professionisti della vostra specializzazione, desidero riaffermare la stima che, in nome di Cristo, la Chiesa ha per la vostra opera. Si tratta di una scienza, ma nello stesso tempo di un'arte, a servizio dell'uomo per il sollievo di sofferenze a volte gravissime e notoriamente connesse con problemi di salute che si riflettono su tutta la persona, tanto a livello fisico che psichico. Dobbiamo ritenere una benemerita conquista della scienza il fatto che oggi le cure dentarie e stomatologiche siano riconosciute non più come un fatto quasi a sé stante nella cura della persona, ma come una realtà di somma importanza per tutto l'organismo umano.


2. Con spirito di attenta osservazione il mio predecessore Pio XII descrisse, in un mirabile discorso, le esigenze di perspicacia e di destrezza richieste dalla vostra professione, intuendo, inoltre, il veloce progresso tecnologico della vostra attività. ciò comporta un'esigenza costante e rapida di aggiornamento, per il bene del paziente; ma anche nel più sviluppato ed evoluto tecnicismo il vostro lavoro rimane fortemente personalizzato e impegna, con la scienza, continuamente la vostra capacità inventiva. Ogni paziente è un caso a sé, dotato di una propria psicologia e di un proprio stato d'animo.

La vostra professione, pertanto, comporta speciali relazioni di carattere umano. A voi tocca consigliare e convincere chi ha bisogno di cure, confortare e sostenere in momenti di tensione, di sconforto, di paura. A volte si tratta di circostanze abbastanza semplici; ma, molto spesso, voi dovete affrontare casi che sono conseguenze di traumi profondi e gravi, di situazioni che, irrisolte, emarginerebbero gravemente le persone da comuni rapporti sociali. I passi meravigliosi compiuti dall'ortopedia dento-maxillo-facciale, specialmente di fronte a traumi che offendono il volto di persone per varie cause infortunate, vanno salutati come una provvidenziale conquista del vostro lavoro. Dobbiamo considerare, inoltre, come un dono di Dio l'efficacia dei vostri interventi correttivi di fronte alle malformazioni dentarie presenti nei bambini. Voi aiutate così la natura a svilupparsi normalmente, correggendo difetti e disfunzioni quando si è ancora in tempo. Ed è frutto del vostro operare se tale tipo di interventi oggi non è più ritenuto un fatto raro, ma un diritto ben riconosciuto dalle persone, e perciò un tipo di terapia che può essere normalmente applicato e a disposizione di chiunque ne abbia bisogno.


3. Ho notato tra le vostre iniziative l'attuazione del "Mese della prevenzione dentale" e della realizzazione di unità mobili per la cura odontoiatrica di portatori di handicap, offrendo, in certi periodi, gratuitamente la vostra prestazione professionale. Io non posso che compiacermi di questa testimonianza.

Davanti alla riconosciuta importanza della vostra specialità terapeutica per la salute globale delle persone, e specialmente di fronte al riconosciuto bisogno di sensibilizzare maggiormente sulle terapie preventive, è importante - voi ne sentite il problema - che sia continuamente aggiornata qualsiasi forma di assistenza sociale intesa a garantire a tutti le cure dentarie, necessarie a tutte le età.


4. Voi comprendete, pero, come di fronte anche alle più perfette organizzazioni rimane per voi un compito che non è mai riducibile alle sole norme o strutture sociali. Il personalissimo rapporto di dialogo e di fiducia che si instaura tra voi e il paziente esige in voi una carica di umanità che si risolve, per il credente, nella ricchezza della carità cristiana. E' questa virtù divina che arricchisce ogni vostra azione e dà ai vostri gesti, anche al più semplice, la potenza di un atto compiuto da voi in interiore comunione con Cristo in cui credete: "ciò che avete fatto a uno solo di questi piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). E' ancora questa forza della carità che vi deve spingere, in nome di Cristo, a cercare - e sarà un prezioso dono di Dio nella vostra professione, una testimonianza ricchissima di significato tra i vostri colleghi - il povero che non ha i mezzi, le forze, il coraggio per accostarsi alle vostre cure. Sarà la carità che vi consentirà la gioia di poter donare il vostro aiuto e la vostra competenza a chi soffre; per quanto la nostra società si sforzi a garantire dei diritti per l'uomo, nulla potrà sostituirsi all'amore fraterno che Cristo ci domanda di avere e che si risolve particolarmente nella ricerca dei bisogni dell'uomo sofferente e umiliato.

La mia benedizione apostolica accompagni la vostra opera, vi conforti nella vostra testimonianza e si estenda anche alle vostre famiglie, ai vostri collaboratori, alle persone che vi sono particolarmente care.

Data: 1984-12-14 Data estesa: Venerdi 14 Dicembre 1984




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Maria, luce del nostro Avvento

Testo:


1. "...Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e santo è il suo nome" (Lc 1,49).

Le parole pronunziate nella visita a Elisabetta rendono pienamente ciò che il cuore della Vergine di Nazaret sta vivendo dopo l'Annunciazione.

L'adorazione di Dio piena di gioia e la gioia piena dell'adorazione di Dio: ecco lo stato della sua anima beata, ecco i sentimenti più profondi che nutre il suo cuore. Essi si manifestano soprattutto nelle parole del Magnificat.

Appare nel Magnificat quella gratitudine piena di umiltà che è segno infallibile dell'incontro col Dio vivente. Maria risponde al dono dall'alto non solo con le parole, ma anche con tutto il silenzio del mistero dell'Avvento che in lei si compie. Essa infatti è colei in cui l'Avvento dell'intera umanità ha assunto la forma più piena: in lei ha raggiunto il suo "zenit".

Pero questo "zenit" dell'Avvento continua nel suo compimento e raggiunge la sua pienezza nella Chiesa. Pellegrina sulla terra, e come "esule" che cerca le cose di lassù, la Chiesa sperimenta la venuta del Signore "fino a quando con il suo Sposo comparirà rivestita di gloria" (cfr. LG 6); e l'Avvento vissuto dalla Chiesa è sacramento o segno e strumento dell'unione con Dio.


2. La Chiesa canta con la Madonna ogni giorno il Magnificat nella sua liturgia. In questo modo l'Avvento compiutosi nella Madre di Dio si diffonde lungo tutti i giorni della vita della Chiesa.

Nel periodo dell'Avvento liturgico la Chiesa rilegge e rivive nelle parole del Magnificat quell'unica e irripetibile "Attesa" della Madre per il Bambino che deve nascere dal suo seno, che deve venire al mondo.

Recitando l'Angelus nella domenica odierna, veneriamo in modo particolare questa "Attesa" benedetta. Che essa diventi la luce del nostro Avvento. Che si rinnovi in essa la nostra speranza!


3. Nei giorni scorsi è stata resa pubblica l'esortazione apostolica "Reconciliatio et Paenitentia", che è frutto del lavoro svolto dal Sinodo dei vescovi nell'autunno del 1983. Invito tutti i fedeli a leggere tale documento. In esso la Chiesa, consapevole del dramma profondo delle divisioni e delle ingiustizie che travagliano l'umanità, ma attenta anche allo struggente desiderio di riconciliazione e di pace che pulsa nell'animo di milioni di persone, ripropone con coraggiosa franchezza all'uomo contemporaneo l'invito di Cristo alla conversione del cuore come presupposto per la riconciliazione con Dio, con se stesso, con i fratelli e con tutto il creato.

E' un invito che impegna a un cammino non facile. La Chiesa lo sa. Per questo nelle pagine del documento essa indica pure la strada concreta per giungere alla meta desiderata: è una strada sulla quale l'uomo trova Cristo, pellegrino che cammina al suo fianco e lo sorregge con la parola della Scrittura, con la comprensione e la preghiera della comunità, con la grazia del sacramento impartito dal ministro della Chiesa.

Auspico che l'attenta lettura di questo documento costituisca un'adeguata preparazione al santo Natale e favorisca così una religiosa accoglienza del Verbo incarnato.

Benedizione delle statuine di Gesù Bambino Adesso devo annunziarvi che sono qui con me i bambini di Roma.

Continuando una bella iniziativa ormai tradizionale, sono presenti in piazza San Pietro numerosi bambini e bambine delle parrocchie romane, desiderosi che il Papa benedica le statuine di Gesù Bambino, che deporranno nei presepi allestiti nelle loro case, e alcuni di loro sono venuti qui, nella mia casa, e sono presenti anche a questa finestra dell'Angelus portando il bambino Gesù al Papa per deporlo anche nella sua casa. Devo, di tutto cuore, ringraziare questi bambini e tutti voi.

Grande è la mia consolazione, carissimi, nel sapervi tanto attenti al mistero di Gesù che, per la salvezza di tutti gli uomini, ha voluto nascere nella povertà della grotta di Betlemme. Sono sicuro che la vostra generosa adesione a quei sublimi insegnamenti vi renderà, nei prossimi santi giorni, particolarmente sensibili alle necessità dei vostri coetanei, specialmente di quelli che in talune regioni del mondo versano in pericolo di vita per la mancanza di mezzi di sostentamento.

Io vi seguo con la mia preghiera affinché anche voi, come Gesù Bambino, cresciate "in sapienza, età e grazia" (Lc 2,52), incoraggio le vostre opere di carità e, mentre benedico le statuine, imparto a voi e ai vostri familiari la mia benedizione apostolica, augurandovi fin d'ora: Buon Natale! Vi ringrazio, carissimi bambini romani per questa vostra visita d'Avvento in preparazione al beato Natale e vi abbraccio e do un bacio sulla vostra faccia gioiosa di bambini simili al Bambino Gesù nella sua innocenza, nella sua purezza. E a tutti i presenti ripeto il mio augurio e la mia benedizione per una buona domenica e anche per una buona ultima settimana che ci prepara al santo Natale.

Data: 1984-12-16 Data estesa: Domenica 16 Dicembre 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Per l'ordinazione episcopale di monsignor Robu