GPII 1984 Insegnamenti - Omelia nella parrocchia di Santa Maria delle Grazie (Roma)

Omelia nella parrocchia di Santa Maria delle Grazie (Roma)

Titolo: Avvento, invito alla gioia e chiamata alla preghiera

Testo:


1. Dalla parola di Dio dell'odierna liturgia domenicale d'Avvento ascoltiamo un meraviglioso canto a due voci. Da vicino, in un certo senso dal cuore stesso dell'Avvento, parla la Vergine di Nazaret, prescelta ad essere la madre del Messia. Da lontano invece risuona Isaia profeta, in un certo senso l'"evangelista" dell'antica alleanza. Tutte e due le voci si incontrano e si armonizzano in un modo meraviglioso.


2. Ecco le parole di Maria: "L'anima mia magnifica il Signore / e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, / perché ha guardato l'umiltà della sua serva... / Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente... / di generazione in generazione la sua misericordia / si stende su quelli che lo temono" (Lc 1,46-50).

Ed ecco le parole del profeta: "Io gioisco pienamente nel Signore, / la mia anima esulta nel mio Dio, / perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, / mi ha avvolto con il manto della giustizia... / come una sposa che si adorna di gioielli" (Is 61,10).

ciò che si è manifestato nelle parole di Isaia trova in quelle di Maria non soltanto una lontana eco, ma una forma meravigliosa e, in un certo senso, una "rifinitura". Isaia magnifica Dio per il dono della grazia. E Maria magnifica Dio per il dono della grazia: per il dono di una grazia eccelsa, la più grande che ha potuto ricevere un essere umano: "D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata... e santo è il suo nome" (Lc 1,48-49).


3. Tutti e due - il profeta e la Vergine di Nazaret - estendono pure il loro Magnificat a Dio per il dono di grazia e di misericordia, che si manifesta nella storia di Israele: e nella storia delle nazioni e dei popoli.

Le parole di Isaia: "Poiché come la terra produce la vegetazione / e come un giardino fa germogliare i semi, / così il Signore Dio farà germogliare la giustizia / e la lode davanti a tutti i popoli" (Is 61,11).

Le parole di Maria: "Ha ricolmato di beni gli affamati, / ha rimandato i ricchi a mani vuote. / Ha soccorso Israele, suo servo, / ricordandosi della sua misericordia" (Lc 1,53-54).


4. In questo canto a due voci della Vergine di Nazaret e di Isaia profeta la liturgia dell'odierna domenica presenta l'Avvento: primo, come opera salvifica di Dio, che si sviluppa attraverso la storia del popolo eletto - e raggiunge il suo culmine nel cuore della Vergine prescelta come Madre del Messia - per estendersi poi a tutta l'umanità; Dio viene all'umanità mediante questa opera salvifica; secondo, la liturgia dell'odierna domenica esprime l'Avvento come atteggiamento interiore dell'uomo.

L'Avvento significa aprire largamente gli occhi dell'anima sulla presenza di Dio nel creato; e aprire gli occhi dell'anima, sull'opera di Dio nel mondo, soprattutto nel cuore umano. L'Avvento significa adorazione di Dio piena di gratitudine. Il Magnificat della Vergine Maria è l'inno più splendido della gratitudine: "Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente". L'Avvento significa infine la gioia spirituale che deriva dalla gratitudine; dall'ammirazione per le grandi opere di Dio. L'odierna domenica d'Avvento porta in sé una chiamata speciale proprio a una tale gioia spirituale. "Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi" come dice san Paolo (Ph 4,4).


5. Questo invito alla gioia è strettamente unito con la chiamata alla preghiera: "State sempre lieti, pregate incessantemente". Soltanto la preghiera può far si che gli occhi della nostra anima si aprano alle "grandi cose" che Dio fa a noi.

Soltanto la preghiera può consolidare nelle nostre anime quell'adorazione di Dio piena di gratitudine, che la Vergine Immacolata e il profeta Isaia esprimono nell'odierna liturgia. Soltanto la preghiera può aprirci fino in fondo all'azione misteriosa e, nello stesso tempo, reale dello Spirito Santo Paraclito, dello Spirito di verità. perciò san Paolo grida: "Non spegnete lo Spirito" (1Th 5,16-17 1Th 5,19).

Queste parole sono indirettamente una chiamata alla preghiera. La preghiera delinea in un certo senso la forma permanente dell'Avvento nella vita di ciascuno di noi. Essa fa si che Dio sia presente nella nostra vita, e "venga" incessantemente.


6. Cari fratelli e sorelle! Questo è il messaggio e l'annunzio con i quali vengo nella vostra parrocchia, nella terza domenica di Avvento dell'anno del Signore

1984, in questa parrocchia dedicata a santa Maria delle grazie.

Questo titolo era stato assegnato dalla pietà popolare alla chiesetta, fatta costruire dal pio eremita calabrese Albenzio de Rossi nel '500. La vostra chiesa ha ereditato tale titolo, che è uno dei più belli della Madonna. Per manifestare la propria gratitudine alla Madre di Dio per l'intercessione sperimentata, il popolo romano sollecito due volte, nel corso dei secoli, i pastori della diocesi, a incoronare la venerata icona della Vergine che veniva custodita nel tempietto e che oggi si trova nella vostra chiesa.

Nel solco di questa secolare gratitudine a Maria santissima, anch'io oggi incoronero la sua sacra immagine, per richiamare la vostra attenzione sulle radici spirituali della vostra comunità parrocchiale. Ogni parrocchia, in forza di tali radici, ha un suo volto ben preciso, che risulta dalla sua storia, e che è un vero e proprio dono di Dio, da custodire e far fruttare. Voi ereditate la devozione mariana di frate Albenzio e dei suoi fratelli, i quali, con la loro vita umile e penitente e la loro esemplare carità verso i poveri e i pellegrini, tanto si resero benemeriti presso la popolazione romana, soprattutto quella di Borgo, dove avevano la loro sede.

E' la consapevolezza di queste origini, che può consentire alla vostra comunità parrocchiale di trovare l'elemento della sua forza spirituale, della sua coesione interna e del suo irraggiamento apostolico. così essa diventerà sempre più comunità di preghiera, di gioia spirituale e di gratitudine per le "grandi cose" di Dio.

La vostra è una parrocchia assai popolosa; e assai diversificate sono le sue aree umane. So che molteplici sono le iniziative che formano l'organizzazione parrocchiale, alcune di recentissima istituzione: si tratta di iniziative tutte buone, anche se, per ciascuna, il numero degli aderenti potrà crescere ancora.

L'importante è essere convinti nella fede, in piena comunione con i responsabili della pastorale e con la comunità ecclesiale diocesana. Il resto, lo fa la potenza dello Spirito Santo. E la potenza del Signore, come sappiamo, è grande.


7. Desidero ora, insieme col cardinale vicario e il vescovo del settore, salutare cordialmente il parroco e i suoi collaboratori nel sacerdozio, le religiose, che in questa parrocchia hanno una cospicua presenza, oltre che con le loro proprie opere, anche con un servizio diretto e specifico; saluto le varie componenti della comunità parrocchiale: il consiglio pastorale, il consiglio per gli affari economici, i gruppi catechistici, il gruppo di Azione cattolica, della Caritas parrocchiale, di animazione liturgica, dell'Apostolato della preghiera, i ministri straordinari dell'Eucaristia, il gruppo dei ministranti, la corale parrocchiale; saluto i giovani, i bambini, le famiglie, gli anziani, in modo particolare saluto i sofferenti e coloro che in qualche modo stanno portando una croce particolarmente pesante. Il mio saluto vuole andare a tutti, anche agli assenti. A questi ultimi portate voi il saluto del Papa.

Esprimo il mio vivo compiacimento per lo sforzo fatto in ordine alla ristrutturazione della chiesa e delle opere parrocchiali. Sono al corrente del gravoso impegno economico al quale si è dovuti far fronte. Desidero elogiare la laboriosità di coloro che hanno messo in opera i progetti e la generosità di coloro che hanno dato gli aiuti materiali. Il Signore ricompensi tutti.

Data: 1984-12-16 Data estesa: Domenica 16 Dicembre 1984




Incontro con la parrocchia di Santa Maria delle Grazie - Roma

Titolo: Il Natale sorgente di vita buona e gioiosa, perché divina

Testo:

[A tutti:] E' una grande gioia per me essere, oggi, in questa parrocchia dedicata alla Madonna delle Grazie e anche di incoronare la sua antica immagine. Approfitto di questa circostanza per incontrare i parrocchiani presenti e tramite voi anche tutti coloro che compongono la comunità umana, fisica, di questo quartiere in cui si trova la parrocchia della Madonna delle Grazie. A tutti rivolgo un augurio molto cordiale prima di entrare nella Chiesa che è stata ricostruita con grandi sforzi e si sta sempre costruendo come Chiesa delle pietre vive. Questa Chiesa è Gesù Cristo, perché egli fa la Chiesa. La Chiesa è il suo corpo.

Ci avviciniamo a quel momento, nel corso annuale della liturgia, in cui il Verbo divino si fece carne; ci avviciniamo alla solennità del santo Natale.

Facendosi carne, nella persona storica di Gesù di Nazaret, egli stesso ha dato inizio a una costruzione spirituale della Chiesa. E così la Chiesa, con la forza dello Spirito Santo, si costruisce come suo corpo, corpo mistico. Noi siamo questo corpo. Nel centro della Chiesa sta Gesù Cristo e per lui, con lui e in lui la Chiesa è sempre aperta a tutti gli uomini, agli uomini di buona volontà, anche a coloro che sembrano lontani, anche a coloro che non si interessano più, che sono assenti. Anche per loro è aperta.

La Chiesa di Gesù Cristo è la Chiesa dell'umanità, perché in lui il Padre celeste ha voluto abbracciare l'uomo, l'uomo che è ciascuno di noi, l'uomo in tutte le generazioni, l'umanità intera. così con queste riflessioni e con questi sentimenti vi porgo, carissimi, un grande augurio: buon Natale. Vorrei augurare che Gesù Cristo possa nascere nei cuori di tutti, perché con lui nasce la grazia, con lui nasce la carità, l'amore. Con lui nasce la pace.

[Ai bambini:] Oggi, a mezzogiorno, ho incontrato i bambini delle parrocchie di tutta la città di Roma in piazza San Pietro. Ognuno di loro ha portato un Bambino Gesù, un presepio per farlo benedire dal Papa, per portarlo poi nella propria casa.

Anzi, alcuni di loro sono venuti nel mio studio e ci siamo affacciati insieme alla finestra. Durante la preghiera dell'Angelus e la benedizione ero affiancato da alcuni bambini di Roma.

Adesso, vengo in questa parrocchia con una grande gioia. La parrocchia si chiama Santa Maria delle Grazie. Vengo con tanta speranza di incontrare la patrona della vostra comunità, venerata da secoli dai romani. Vengo con tanta gioia per incontrare questa comunità che è dedicata alla Madonna delle Grazie. E così, mi incontro di nuovo con i bambini, i bambini di questa parrocchia, di questa parte della Chiesa di Roma. E li incontro mentre cantano. Tutti cantano lo stesso motivo: "Ho un amico che mi ama". Tutti ripetono le stesse parole per dire al Papa che c'è un amico che ama i bambini, che ama tutti gli uomini del mondo, non solamente di questa città di Roma. E questo amico è Gesù.

Sono molto contento e molto grato a voi per aver cantato questo canto di Gesù amico. E' vero che egli si è fatto soprattutto amico dei bambini, dei piccoli. Li abbracciava, li accarezzava. I bambini erano vicini al suo cuore.

Anzi, ha detto che tutti noi adulti, anziani, dobbiamo diventare come questi piccoli per entrare nel regno dei cieli. Ecco, è motivo di grande gioia per me incontrare voi che siete i prediletti da Gesù. Vedo in ognuno di voi Gesù Bambino, Gesù giovane, ragazzo.

Ho incontrato qui anche un buon oratore e una buona oratrice che mi hanno rivolto un messaggio da parte di tutti i bambini. Hanno letto alcuni brani delle vostre lettere. Vi ringrazio per queste lettere in cui si trovano espressi i vostri sentimenti e, si può dire, un'espressione del vostro cuore. Questo cuore di bambino, che è così puro, così innocente, così pieno di speranza, di amore per i suoi vicini, ma anche per i lontani, per tutti gli uomini e nello stesso tempo così bisognoso dell'amore degli altri, specialmente dei genitori, dei più anziani.

Vedo qui alcune signore, delle nonne e dei nonni. Anche loro sono molto vicini e cari ai bambini e molte volte sostituiscono anche l'amore dei genitori.

Ecco un piccolo trattato sul tema che voi rappresentate nella vita umana e nella vita di questa parrocchia. Vi ringrazio per le vostre lettere e vi auguro, carissimi, quello che ho già augurato a mezzogiorno a tutti i bambini di Roma: di poter portare nelle vostre case questo messaggio gioioso del Natale, messaggio che Dio si è fatto uomo, che Dio è nato in Betlemme per tutti gli uomini, per tutte le generazioni, per tutti i secoli. E' nato una volta per sempre, è nato per noi.

Questa sua nascita è sempre per ciascuno e per tutti una sorgente di vita, della vita nuova, buona, gioiosa, perché è vita divina. L'uomo è chiamato a vivere la vita divina e lo siete anche voi dal momento del vostro Battesimo, che viene poi confermato con l'Eucaristia. Non è vero che noi siamo chiamati ad avere una vita divina se Dio, Gesù Cristo, si fa cibo delle nostre anime? Carissimi bambini e bambine di questa parrocchia, vi auguro di amare Gesù, perché se è vostro amico - come avete detto nella vostra canzone - dovete essere anche voi buoni amici di Gesù e amare Gesù. Auguro questo a voi e a tutti i bambini di Roma e a tutti i bambini del mondo: amare Gesù.

[Ai gruppi dell'apostolato della preghiera:] Vi ringrazio per questa accoglienza, ma soprattutto vi ringrazio per l'apostolato della preghiera che è il vostro apostolato. La preghiera si fa regno di Dio e il regno di Dio si fa preghiera. Questa è la verità centrale, possiamo dire, del messaggio evangelico. E così la Chiesa vuole essere il regno di Dio, vuol essere e prepararsi ad essere, preparare tutti ad essere regno di Dio, dove Dio sarà tutto in tutti. Questa preparazione si fa soprattutto con la preghiera.

Vi ringrazio per le vostre preghiere secondo le mie intenzioni, le intenzioni della Chiesa di Roma, soprattutto per le vocazioni - siamo tanto bisognosi di vocazioni sacerdotali - e mi auguro sempre questa vostra benevolenza che si esprime con la preghiera. Affido tutta la Chiesa a questa benevolenza dei vostri cuori e delle vostre preghiere.

[Al consiglio pastorale:] Voglio ringraziare per la vostra presenza; voglio ringraziare per il vostro impegno continuo come consiglio pastorale nella parrocchia di Santa Maria delle Grazie; voglio ringraziare per questa analisi che mi è stata presentata, un'analisi molto accurata, realistica, ma, nello stesso tempo, adeguata a quello che deve essere un consiglio pastorale perché il consiglio pastorale deve essere, secondo la visione della Chiesa, della Chiesa locale, particolare, parrocchiale - secondo la visione dataci dal Concilio Vaticano II - il nucleo centrale dell'apostolato. L'apostolato è l'ambiente dove Cristo è presente in modo particolare, così come era presente fra i suoi apostoli. In ogni nucleo apostolico egli è presente. Vi auguro, carissimi fratelli e sorelle, che sia così in questo nucleo, in questo vostro consiglio pastorale della parrocchia. Si è fatto più volte allusione alle pietre che poggiano su una sola pietra angolare che è Cristo, alle pietre vive. Io vi auguro di far vivere le pietre. Cristo ha la potenza per farlo, vuole farlo tramite voi. Allora vi auguro di far vivere le pietre della vostra parrocchia, della vostra Chiesa parrocchiale, della vostra comunità.

[Ai catechisti e ai gruppi Caritas:] Devo ringraziarvi per questa bellissima introduzione, per la presenza di tutti i tre gruppi, quelli dei catechisti, degli animatori della liturgia - non so se è la parola giusta - e degli operatori della carità. Tre gruppi e tre aspetti di ogni comunità cristiana, a cominciare dalla prima, quella apostolica che si riuniva a Gerusalemme attorno agli apostoli. Liturgia vuol dire Chiesa sacramento, centro dell'Eucaristia e poi carità. Qui si vede come la Chiesa di Roma, in questa sua parte che si chiama della Madonna delle Grazie, vive la stessa identità apostolica dei tempi degli apostoli, degli Atti degli apostoli. E questo ci rallegra, perché noi siamo la stessa Chiesa di Cristo, missione del Verbo di Dio, servizio, ministero, e la parola di Dio è profondamente legata con la missione della persona divina del Verbo, Figlio, parola di Dio incarnata in un uomo-Dio, Figlio della Vergine. Chiesa è sacramento della salvezza, sacramento della comunione di tutta la famiglia umana. Chiesa è sacramento che si esprime con la liturgia, ministero liturgico dei sacerdoti, con tanti possibili amici, con tante collaborazioni possibili dei laici animatori della comunità liturgica. Questo la rende più consapevole, più autenticamente vissuta, più partecipe. Partecipare alla liturgia, partecipare ai sacramenti, alla grazia, a queste meraviglie del Signore che sono legate intimamente con la grazia tramite il sacramento. E' bellissima la vostra vocazione, il vostro ministero di catechisti, di animatori della sacra liturgia. Rivedete qualche volta quello che siete, nel documento della costituzione sulla sacra liturgia di cui quest'anno ricorre il XX della promulgazione.

Alla fine - ma si dovrebbe dire all'inizio - gli operatori della carità.

La Chiesa non può essere se stessa senza la carità. E' la prima realtà, il primo segno, la prima missione, che è sempre possibile, che sempre cerca la via, soprattutto quella che si fa all'uomo, all'uomo fratello, che vuole andare incontro, darsi come dono all'Altro per aiutarlo, per confermarlo nella sua umanità col dono soprannaturale dell'umanità di Cristo. Egli è presente, ci ha detto che è presente in ciascuno che fa del bene. Operatori della carità, che portate la carità di Cristo, vi ringrazio per questo impegno apostolico e vi benedico di cuore. Mi congratulo con la vostra comunità parrocchiale che può crescere tramite il vostro apostolato e vi auguro di trovare in questo apostolato, sempre di più, la vostra identità cristiana, l'identità dei fratelli in Cristo, dei figli di Dio e anche quella specifica identità mariana che è propria di una parrocchia che ha come patrona la Vergine patrona delle Grazie. Auguro buon Natale e buon anno a voi, alle vostre famiglie, a coloro che raggiungete con la vostra carità.

[Alle suore:] Avete guadagnato le lodi del vostro parroco. Mi congratulo di questo elogio perché esso ci prova ciò che deve essere la presenza delle religiose in una comunità parrocchiale, con la preghiera, e poi con l'essere pronte come era pronta la Vergine. Con la sua prontezza abbiamo guadagnato la salvezza, la redenzione, il mistero dell'incarnazione, l'uomo-Dio nella storia dell'umanità. Si, essere pronti con Maria e pregare anche con lei insieme con tutti coloro che pregano: e non mancano in questa parrocchia coloro che pregano. Ma dobbiamo anche pregare per quelli che non pregano, e sono numerosi: chissà, forse sono più numerosi di quelli che pregano.

Ci vuole una grande forza di preghiera, una grande forza di testimonianza: è la vocazione di tutti noi cristiani. Ma quello che e in un certo senso l'impegno specifico della vostra vocazione, di voi religiose consacrate che vivete nel mondo, è quello che si fa visibile già con i vostri abiti. Ma è soprattutto con il comportamento religioso che offrite la testimonianza indispensabile perché il mondo possa credere, uscire dalla sua indifferenza, dalla sua secolarizzazione, da una visione in cui Dio ha poco posto, per poter trovare la strada. Dappertutto con la vostra presenza, con la vostra partecipazione, dite a tutti che Dio viene, Dio verrà, non ci sarà altra soluzione per tutte le vicende di questo mondo. Dio verrà, Cristo verrà. Vi ringrazio per il vostro buon comportamento nei confronti di questa parrocchia. Vi auguro che la Madonna delle Grazie sia veramente per voi la Madonna delle Grazie. Grazie per le vostre vocazioni, per vostre novizie.

Data: 1984-12-16 Data estesa: Domenica 16 Dicembre 1984




Al 76° raduno di dialogo di Bergedorf - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'unificazione dell'Europa sfida storica da raccogliere

Testo:

Eminenze, eccellenze, illustrissimi signori.


1. Avete scelto Roma, la "città eterna", come sede del vostro 76° raduno di dialogo di Bergedorf, che avete dedicato al tema dell'Europa. Durante il vostro congresso avete anche desiderato fare visita al Vescovo di Roma. Vedo in ciò qualcosa di più di un semplice atto di cortesia.

Come questa città, straordinaria fin dal tempo della presenza e del martirio dei due principi degli apostoli Pietro e Paolo sulle rive del Tevere, è legata in modo irrevocabile alla Chiesa di Cristo, così anche la storia e il destino dell'Europa, il suo passato e i suoi compiti nel presente e nel futuro non possono essere compresi senza il cristianesimo e il suo essenziale apporto alla cultura occidentale.

Vi rivolgo dunque il mio sincero e cordiale benvenuto a questo breve incontro in Vaticano. Saluto in voi gli alti rappresentanti innanzitutto della politica e della scienza di diversi Paesi europei che presentano in questo raduno di dialogo la loro ricca esperienza e conoscenza personale sul tema Europa.

Con mia gioia vedo tra di voi anche alcuni alti e competenti rappresentanti della Chiesa che vi testimoniano il grande interesse col quale la Chiesa, e soprattutto la Santa Sede, segue gli sforzi finalizzati a una nuova coscienza e a una nuova configurazione dell'Europa a partire dal suo prezioso patrimonio storico di fronte alla fatidica sfida del nostro tempo.


2. L'Europa del nostro secolo è profondamente caratterizzata dal tragico avvenimento delle due guerre mondiali fratricide e dalle loro disastrose conseguenze, dai contrasti ideologici, politici, militari ed economici. Le lacerazioni e le tensioni che danneggiano la sua unità sono tra Est e Ovest, tra Nord e Sud, attraverso tutto il continente. I regimi totalitari disprezzano la libertà e i diritti fondamentali dell'uomo. Il progresso tecnico, che come sua più audace conquista sembra promettere la soluzione di tutti i problemi, si volge sempre più minacciosamente contro l'uomo stesso e mette in pericolo la sua sopravvivenza. Il secolarismo e il disfacimento dei vincoli morali gettano sempre più gli uomini nel disorientamento, nell'ansia esistenziale e nella fuga da un'impostazione responsabile della vita e del mondo.

Quanto più palesemente e ampiamente la crisi del vecchio continente e della sua civiltà viene alla luce, tanto più gli uomini percepiscono le sfide storiche ivi contenute e riconoscono la loro responsabilità per l'Europa e il suo futuro. Noi tutti siamo a conoscenza dei crescenti sforzi in politica e tra le Chiese cristiane, volti a ricomporre le funeste lacerazioni e le fratture sorte nel corso della storia. Il peso dei problemi che si pongono oggi, così i problemi della sicurezza, della giustizia sociale, della pace, dello scambio economico e culturale, esige necessariamente unità e iniziative comuni. L'esperienza ci illumina pero anche sulle grandi difficoltà che il processo di unificazione in corso incontra su piani diversi, già all'interno e tra i Paesi dell'Europa occidentale, e tanto più se pensiamo all'Europa intera dall'Atlantico agli Urali.

ciò non deve tuttavia sorprendere e tanto meno scoraggiare nessuno. L'unità da ricercare e da realizzare nuovamente nel continente europeo e anche al di là di esso deve essere realmente vitale e duratura, deve necessariamente tener conto dei legittimi diritti di tutti gli interessati e integrarli organicamente in sé.

Naturalmente questo processo di maturazione può avvenire soltanto lentamente. E' di importanza decisiva che sul cammino intrapreso, e al quale non c'è in ultima analisi alcuna alternativa ragionevole, non si stia fermi ma, con perseveranza e pazienza, si progredisca, seppure a piccoli passi.

E' e rimane un traguardo auspicabile che l'Europa, anche in campo politico, parli sempre più una lingua comune e giunga alla formazione di una volontà unitaria nelle questioni di importanza vitale. Quanto più la voce dell'Europa nel suo insieme è chiamata alla soluzione delle attuali crisi mondiali, tanto più grande è la delusione quando marginali problemi economici, mancanza di collaborazione o riserve nazionali accumulano ostacoli apparentemente insuperabili. E' tempo che vengano smantellati quegli egoismi nazionali che, di importanza locale, si riducono se onestamente paragonati con i veri problemi dell'umanità. A questo l'Europa deve dare al più presto una risposta comune e solidale.


3. può essere oggetto dei vostri dibattiti, ed è infatti di competenza dei politici e dei sociologi, mostrare le vie concrete e appianarle gradualmente. La Chiesa ritiene suo compito incoraggiare con forza i responsabili e nello stesso tempo richiamare l'attenzione sul fatto che il processo di unificazione dell'Europa, al di là degli auspicabili accordi tecnici, militari e politici, deve avere il suo fondamento portante e il suo terreno propizio in un rinnovamento spirituale e morale della cultura occidentale, da ricercare altrettanto urgentemente. Qui la Chiesa si sente in modo particolare interpellata direttamente. Come il cristianesimo nel primo millennio dell'Europa ha integrato l'eredità greco-romana e la cultura dei germani, dei celti e degli slavi e ha dato vita a uno spirito europeo comune, così anche oggi si può efficacemente contribuire a che i diversi popoli di questo continente, attingendo alla loro grande molteplicità culturale e nazionale, creino una nuova civiltà europea comune. La promozione di un tale rinnovamento e di una tale formazione collettiva dipende in modo essenziale dal rafforzamento e dall'approfondimento dei fondamentali valori morali e spirituali, di quei valori che il cristianesimo stesso nel passato ha insegnato ai popoli dell'Europa a stimare e a vivere: la dignità della persona umana e i suoi inalienabili diritti fondamentali, l'inviolabilità della vita, la libertà e la giustizia, la fratellanza e la solidarietà soprattutto con i poveri e i diseredati, la responsabilità morale per la propria vita e per il bene comune, l'impegno per i popoli sottosviluppati, la configurazione cristiana del mondo e la salvaguardia dell'eredità culturale e religiosa.

L'Europa può rinnovarsi e trovare nuovamente se stessa soltanto nel rinnovamento di quei valori comuni ai quali essa deve la sua stessa storia, il suo prezioso bene culturale e la sua missione nel mondo. A ciò la Chiesa può e vuole portare il suo contributo insostituibile. Essa può aiutare l'Europa a ritrovare la sua anima e la sua identità così come a chiarire e a scoprire rettamente la sua vocazione nella comunità internazionale dei popoli.

Vi ringrazio per la vostra visita e vi auguro un buon esito delle vostre discussioni sul tema Europa. Che questa vostra collaborazione, nel serio e indispensabile processo di formazione di una nuova coscienza e di una nuova configurazione dell'Europa, possa essere feconda e promuovere anche altre nuove utili iniziative. ll Signore vi rafforzi nel vostro lavoro e vi accompagni sempre con la sua particolare protezione e benedizione.

Data: 1984-12-17 Data estesa: Lunedi 17 Dicembre 1984




Il discorso ai cardinali e alla Curia romana

Titolo: Il carisma di Pietro: servire l'universale unità vegliando, difendendo l'autenticità del Vangelo

Testo:

Signori cardinali, venerati fratelli e collaboratori,


1. "Dominus prope est" (Ph 4,5). La ricorrenza, ormai imminente, del santo Natale ci ha raccolti ancora una volta per questa bella consuetudine del reciproco scambio di voti augurali. Il signor cardinale Decano ha interpretato con appropriate ed alte espressioni i comuni sentimenti, introducendoci nell'atmosfera soffusa di gioiosa speranza, che è propria di questa festività così cara al cuore di tutti. Lo ringrazio con fraterno affetto e, con lui, ringrazio tutti voi per la vostra odierna presenza, nella quale mi piace vedere la conferma di quella volontà di comunione nel servizio alla Chiesa, che rende unanimemente nobile e religiosamente significativa la quotidiana fatica.

"Dominus prope est". Con animo colmo di gratitudine noi ci disponiamo ad inginocchiarci, insieme con i pastori, nella Notte santa davanti al Presepe, presso il quale veglia con trepido affetto la "Vergine-Madre", annunciata dal profeta Isaia (7,14). Sappiamo che in quel fragile essere umano, ancora incapace di proferire parola, ci si fa incontro la parola eterna di Dio, la sapienza increata che regge l'universo. E la luce di Dio che "splende nelle tenebre", come dice l'apostolo Giovanni, il quale pero aggiunge subito con amaro realismo: "ma le tenebre non l'hanno accolta" (1,5). Luce e tenebre si fronteggiano intorno alla mangiatoia in cui giace quel Bambino: la luce della verità e le tenebre dell'errore. E' un confronto che non consente neutralità: occorre scegliere da che parte stare. Ed è una scelta in cui ciascun essere umano gioca il proprio futuro.

Il Bambino del Presepe, diventato adulto, un giorno dirà: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,31s).


2. Il Verbo di Dio, nel farsi carne per abitare in mezzo a noi (cfr. Jn 1,14), viene a portarci il dono inestimabile della conoscenza della verità: la verità su di lui, la verità su di noi e sul nostro trascendente destino. L'uomo non può costruire se stesso né la propria libertà se non sul fondamento di questa verità.

Essa è perciò un dono estremamente prezioso, che occorre custodire e difendere; lo smarrimento anche di una parte soltanto della verità integrale, pulsante nel cuore di quel Bimbo "avvolto in fasce" nella mangiatoia (Lc 2,12), significherebbe per l'uomo pregiudicare in misura più o meno grande la piena realizzazione di se stesso.

Di questo è consapevole la Chiesa, che sa di essere stata costituita depositaria e custode di tale verità. Essa si sente perciò investita di una speciale missione che la rende debitrice di un particolare servizio all'umanità: ad ogni generazione che giunge a popolare la terra essa deve rivelare il disegno meraviglioso che Dio ha predisposto, nel proprio Figlio unigenito, a vantaggio di ogni figlio d'uomo disposto ad accogliere nella fede l'iniziativa mirabile del suo amore. Per questo la Chiesa, ed in essa in particolare la Sede romana di Pietro, veglia presso la culla di Betlem: veglia affinché tali valori trascendenti, che il Creatore ha offerto all'umanità - la verità e la libertà nella verità, che è quanto dire l'amore - non vengano offuscati e tanto meno deformati; essa veglia perché, nonostante tutte le correnti contrarie, tali valori rivivano continuamente e sempre più si affermino nella vita dei singoli e delle famiglie, della comunità cristiana e di quella civile e, in definitiva, nella vita dell'intera famiglia umana.

La Chiesa di fronte alle varie culture


3. Di questi valori la Chiesa ha una consapevolezza insieme molteplice ed unitaria, come ha ben messo in luce, in una pagina molto nota, la costituzione dogmatica Lumen Gentium, della cui promulgazione è ricorso giusto un mese fa (il 21 novembre) il ventesimo anniversario. Al numero 13 del fondamentale documento conciliare è ricordato l'atteggiamento della Chiesa nei confronti della "dovizia di capacità e consuetudini" proprie dei vari popoli: la Chiesa vede in esse altrettanti "doni" che le varie culture le arrecano ed è perciò ben contenta di accoglierli, pur sentendosi impegnata a purificarli, consolidarli ed elevarli. In particolare, per quel carattere di universalità che l'adorna e che la distingue, la Chiesa sa di dover armonizzare tali "doni" in una superiore unità, affinché essi contribuiscano alla progressiva affermazione dell'unico regno di Cristo. Ed è così che "in virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altri parti e a tutta la Chiesa, e in tal modo il tutto e le singole parti sono rafforzate, comunicando ognuna con le altre e concordemente operando per la pienezza".

C'è di più: proseguendo in tale linea di pensiero, il testo propone una tesi fondamentale dell'ecclesiologia cattolica. Esso rileva che "nella comunione ecclesiastica vi sono legittimamente le Chiese particolari, con proprie tradizioni, rimanendo pero integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità, tutela le varietà legittime, ed insieme veglia affinché ciò che è particolare non solo non nuoccia all'unità, ma piuttosto la serva".

Sarebbe difficile esprimersi con maggiore chiarezza e profondità: la Chiesa universale è presentata come una comunione di Chiese (particolari) e, indirettamente, come una comunione di nazioni, di lingue, di culture. Ciascuna di esse porta i propri "doni" all'insieme, così come li portano le singole generazioni ed epoche umane, le singole conquiste scientifiche e sociali, i traguardi di civiltà via via raggiunti.


4. Oggi si insiste molto sulle "speciali" esperienze cristiane che le Chiese particolari fanno nel contesto socio-culturale, nel quale ciascuna di esse è chiamata a vivere. Tali specifiche esperienze riguardano - si sottolinea - sia la parola di Dio, che deve essere letta e compresa alla luce dei dati emergenti dal proprio cammino esistenziale; sia la preghiera liturgica, che deve attingere dalla cultura in cui si inserisce i segni, i gesti e le parole che servono all'adorazione, al culto e alla celebrazione; sia la riflessione teologica che deve far leva su categorie di pensiero tipiche di ciascuna cultura; sia, infine, la stessa comunione ecclesiale che affonda le sue radici nell'Eucaristia, ma che dipende nel suo concreto esplicarsi dai condizionamenti storico-temporali, derivanti dall'inserimento nell'ambiente di un certo Paese o di una determinata parte del mondo.

Sono prospettive non prive di interesse, per le piste di indagine teologica che paiono aprire a riguardo dell'inesauribile mistero della Chiesa ed, ancor più, per le possibilità che esse offrono ai fedeli di percepire e di far proprie sempre più compiutamente le immense ricchezze della vita nuova portata da Cristo. Ma sono prospettive che, per essere feconde, suppongono il rispetto di un'ineludibile condizione: tali esperienze non devono essere vissute isolatamente o in modo indipendente, se non addirittura contrastante, con quanto vivono le Chiese, nelle altri parti del mondo. Per costituire autentiche esperienze di Chiesa, esse portano in sé la necessità di sintonizzarsi con quelle che altri cristiani, in contatto con contesti culturali diversi, si sentono chiamati a vivere per essere fedeli alle esigenze che scaturiscono dall'unico ed identico mistero di Cristo.


5. L'affermazione tocca un punto centrale dell'ecclesiologia cattolica e merita di essere ribadita. Indulgere ad orientamenti "isolazionistici" o favorire addirittura tendenze "centrifughe" è contrario all'ecclesiologia del Concilio Vaticano II. La Lumen Gentium, nel citato numero 13, mette in evidenza le possibilità insite in un sano pluralismo. Essa pero ne precisa con grande chiarezza i confini: il vero pluralismo non è mai fattore di divisione, ma elemento che contribuisce alla costruzione dell'unità nell'universale comunione della Chiesa.

Comunione di menti, comunione di cuore V'è infatti tra le singole Chiese particolari un rapporto ontologico di vicendevole inclusione: ogni Chiesa particolare, in quanto realizzazione dell'unica Chiesa di Cristo, è in qualche modo presente in tutte le Chiese particolari "nelle quali e dalle quali ha la sua esistenza la Chiesa cattolica una ed unica" (LG 23). Questo rapporto ontologico deve tradursi sul piano dinamico della vita concreta, se la comunità cristiana non vuole entrare in contraddizione con se stessa: le scelte ecclesiali di fondo dei fedeli di una comunità devono potersi armonizzare con quelle dei fedeli delle altre comunità, così da dare luogo a quella comunione di menti e di cuori, per la quale Cristo prego nell'ultima Cena: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola... Siano perfetti nell'unità" (Jn 17,21 Jn 17,23).


6. Un particolare compito della Sede apostolica consiste proprio nel servire questa universale unità. Sta, anzi, in ciò lo specifico ufficio e, possiamo dire, il carisma di Pietro e dei suoi successori. Non fu, forse, a lui che Cristo disse, prima della notte buia del tradimento: "Ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,32)? Lui, infatti, è la "pietra", su cui Cristo ha voluto costruire la sua Chiesa (cfr. Mt 16,18); ed è precisamente dal fondamento che ci si attende la compatta solidità dell'intero edificio. Per questo, dopo la risurrezione, Gesù lascio a Pietro in un dialogo carico di pathos, l'impegnativa consegna: "Pasci i miei agnelli... Pasci le mie pecorelle" (Jn 21,15ss). Certo, l'unico supremo Pastore è il Verbo incarnato, Cristo signore. Il Papa fa sue, perciò, con spontaneo trasporto le parole di sant'Agostino: "Vobis pastores sumus, sed sub illo Pastore vobiscum oves sumus... Vobis ex hoc loco doctores, sumus, sed sub illo uno Magistro in hac schola vobiscum condiscipuli sumus" (Enarr. in Ps 126,3). Questo non toglie, pero, che nella Chiesa ciascuno abbia un suo compito specifico, di cui dovrà rendere conto un giorno a Cristo stesso. Nel corso dei secoli i papi hanno sentito vivamente la responsabilità del servizio all'unità cattolica loro affidato, ed hanno cercato di provvedervi in molti modi, circondandosi anche di collaboratori sperimentati per poter meglio far fronte alle molteplici incombenze dell'ufficio.

Di recente, rispondendo ai suggerimenti dell'assemblea conciliare si è voluto "internazionalizzare" la Curia, perché la presenza di officiali provenienti dalle varie parti del mondo facilitasse il dialogo con le Chiese che vivono nei diversi continenti. Stamane ho la gioia di incontrarmi con un'eletta rappresentanza degli organismi in cui si articola la Curia romana. Colgo volentieri l'occasione, carissimi fratelli in Cristo, per esprimervi il mio apprezzamento e per ringraziarvi della qualificata collaborazione che generosamente mi offrite nel quotidiano disimpegno delle mansioni inerenti al mio ministero. Voi vivete con me quella "sollecitudine per tutte le Chiese", che costituiva l'"assillo quotidiano" dell'apostolo Paolo (cfr. 2Co 11,28). Essa costituisce pure il quotidiano assillo di ogni Papa. Ai successori di Pietro, infatti, spetta di far si che si abbia il confluire verso il centro della Chiesa di quei "doni" a cui allude il citato testo conciliare ed a loro spetta ancora di provvedere a che quei medesimi "doni", arricchiti nel reciproco confronto, possano defluire nelle varie membra del corpo mistico di Cristo, portandovi nuovi impulsi di fervore e di vita. Vi sono mezzi ordinari per far fronte a tale impegno apostolico e tra questi emergono le visite "ad limina": nel corso del presente anno ho avuto la gioia di ricevere le Conferenze episcopali del Costarica, del Pacifico, di EI Salvador, di Taiwan, del Togo, del Lesotho, del Perù, della Grecia, dello Sri Lanka, del Venezuela, dell'Argentina, del Cile, della Guinea, dell'Ecuador, delle Antille, della Bolivia, del Paraguay.

Vi sono pure mezzi straordinari, tra i quali si stanno rivelando particolarmente efficaci le visite ed i pellegrinaggi del Papa nelle Chiese particolari dei vari continenti. Ho sempre vivo nell'animo il grato ricordo del viaggio apostolico compiuto all'inizio di maggio in Corea, Papua Nuova Guinea, Isole Salomone e Thailandia, per condividere preoccupazioni e speranze delle giovani e promettenti Chiese di quelle terre. Significativo è stato pure il viaggio che, durante il mese di giugno, mi ha portato in Svizzera, consentendomi di confermare i vincoli di comunione della Sede di Roma con le nobili Chiese di quella nazione. Indimenticabili restano anche le emozioni vissute nel corso del viaggio in Canada, a contatto sia con persone che vivono la loro fede nel cuore di una società altamente progredita, sia con persone che hanno accolto il messaggio evangelico nel contesto delle antiche civiltà aborigene. Importante, anche se rapido, è stato infine il viaggio a metà ottobre, col quale, toccando la Spagna, ho raggiunto Santo Domingo, la terra cioè da cui, quasi cinque secoli or sono, si irradio l'evangelizzazione nel nuovo mondo. In tale occasione ho potuto incontrare altresi la popolazione di Portorico.

Ricordo con gioia anche le visite pastorali compiute nel corso dell'anno in Italia, e cioè a Bari, Bitonto, Viterbo, Fano, Alatri, e poi, all'inizio di ottobre, alle Chiese della Calabria, fino al pellegrinaggio dello scorso novembre ai luoghi sacri alla memoria di san Carlo, nel IV centenario della morte.

La Sede apostolica mantiene una fitta rete di contatti con tutte le Chiese particolari, nella continua preoccupazione di non lasciar andare perduto alcun "dono dall'alto" (cfr. Jc 1,17), e di salvaguardare, al tempo stesso, il tesoro inestimabile della verità di Dio, con tutto ciò che di perennemente valido essa ha fatto germogliare nel terreno fertile delle generazioni cristiane lungo il corso dei secoli. Non preclusioni preconcette né deplorevoli ignoranze, dunque, ma costante attenzione a "ciò che lo Spirito dice alle Chiese" (Ap 2,7), affinché tutto ciò che autenticamente proviene da lui possa tornare a vantaggio dell'intera compagine del corpo mistico di Cristo.

Difendere la fede nella sua autenticità


7. In questo contesto occorre sottolineare anche la speciale responsabilità che l'intero episcopato ha - "cum Petro et sub Petro" - nei confronti del "deposito della fede", affidato da Cristo alla Chiesa, perché sia integralmente custodito e fedelmente insegnato alle generazioni umane di ogni tempo. Come non ricordare, infatti, le solenni parole con cui Gesù si accomiato dagli apostoli nel momento del ritorno al Padre? Esse costituiscono una precisa consegna: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque ed ammaestrate tutte le nazioni... insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 18ss). Tutto! Nessuna parte del "deposito" può essere accantonata, manomessa o trascurata.

Consapevole di ciò, l'apostolo Paolo rivolge al discepolo Timoteo il categorico imperativo: "Depositum custodi! " (1Tm 6,20) e gli inculca: "Annuncia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina" (2Tm 4,2). Ogni epoca storica, infatti, è esposta alla tentazione di "non sopportar più la sana dottrina" e di "circondarsi di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole" (cfr. ib. vv. 3 e s.).

A questa tentazione è esposta anche la nostra epoca. Un preciso dovere incombe quindi sugli odierni pastori e guide del popolo di Dio: quello di difendere l'autenticità dell'insegnamento evangelico da tutto ciò che lo inquina e lo deforma. Certo, noi dobbiamo saper riconoscere ed accogliere quanto di "buono" sa esprimere la nostra generazione, per "purificarlo, consolidarlo ed elevarlo".

Il Concilio ce lo ha ricordato (cfr. LG 13). Dobbiamo pero anche respingere con coraggio ciò che porta su di sé l'impronta dell'errore e del peccato; ciò che racchiude in sé essenziali minacce per la verità e per la moralità dell'uomo; ciò che, diffondendosi nella società con subdola manovra o con tracotante prepotenza, attenta alla dignità della persona ed agli irrinunciabili diritti dei singoli e delle nazioni.

La Chiesa ha il dovere di vegliare per difendere l'integrità della fede e della dottrina cattolica, mettendo in guardia contro le insidie che cercano di inquinarla. E un suo compito preciso, al quale non può rinunciare.

La tutela della verità è un dovere per la Chiesa


8. La Santa Sede, per parte sua, svolge questo compito di promozione e di tutela nei confronti del "depositum fidei" con l'aiuto specialmente della Congregazione per la dottrina della fede. Com'è noto, dopo il Concilio Vaticano II, la procedura a cui il sacro dicastero si attiene nell'esame di persone e di scritti sottoposti al suo giudizio, è stata alquanto modificata nell'intento di offrire ogni garanzia alle persone interessate: la tutela della verità, che è dovere sacrosanto e imprescindibile della Chiesa, non si ottiene passando sopra in qualche modo alla dignità ed ai diritti delle persone.

Chiunque voglia guardare le cose con spassionata oggettività non può non riconoscere, alla luce anche di episodi recenti, che il menzionato dicastero si ispira costantemente, nei suoi interventi, a rigorosi criteri di rispetto per le persone con le quali entra in rapporto. ciò che si può auspicare è che un atteggiamento ugualmente rispettoso sia sempre assunto da queste ultime nei confronti del dicastero stesso quando loro avviene di pronunciarsi, in privato o in pubblico, sull'operato del medesimo. Ed un uguale principio dovrebbe valere anche per ogni membro del popolo di Dio, dal momento che tale dicastero null'altro si propone se non di salvaguardare da ogni insidia il bene più grande che il cristiano possiede e cioè l'autenticità ed integrità della sua fede.

E' certo molto importante che, all'interno della Chiesa, si intrecci un dialogo leale ed aperto fra le varie componenti del popolo di Dio. Ma tale dialogo deve essere inteso come via per la ricerca di ciò che è vero e giusto, e non come occasione per indulgere a parole e ad atteggiamenti che sembrano difficilmente compatibili con un autentico spirito di dialogo. Ognuno deve tenere sempre presente il dovere che ha nei riguardi della verità, massimamente in quella che Dio ha rivelato e della quale la Chiesa è custode.


9. Vorrei anche accennare, prima di concludere, ad un punto oggi particolarmente sentito, quello dell'"opzione preferenziale per i poveri". La Chiesa ha solennemente proclamato di farla sua nel Concilio Vaticano II, dichiarando: "Come Cristo... così pure la Chiesa circonda di affettuosa cura quanti sono afflitti dall'umana debolezza; anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente; si fa premura di sollevarne l'indigenza e in loro intende servire Cristo" (LG 8).

Questa "opzione", che oggi è sottolineata con particolare forza dagli episcopati dell'America Latina, è stata da me ripetutamente confermata, sull'esempio, del resto, del mio indimenticabile predecessore, il papa Paolo VI.

Colgo volentieri questa occasione per ribadire che l'impegno verso i poveri costituisce un motivo dominante della mia azione pastorale, la costante sollecitudine che accompagna il mio quotidiano servizio al popolo di Dio. Ho fatto e faccio mia tale "opzione", mi identifico con essa. E sento che non potrebbe essere altrimenti, giacché questo è l'eterno messaggio del Vangelo: così ha fatto Cristo, così hanno fatto gli apostoli di Cristo, così ha fatto la Chiesa nel corso della sua storia due volte millenaria.

Di fronte alle odierne forme di sfruttamento del povero, la Chiesa non può tacere. Essa ricorda anche ai ricchi i loro precisi doveri. Forte della parola di Dio (cfr. Is 5,8 Jr 5,25-28 Jc 5,1 Jc 5,3-4), essa condanna le non poche ingiustizie che, purtroppo, anche oggi vengono commesse a danno dei ooveri. L'opzione per i poveri Si, la Chiesa fa sua l'opzione preferenziale per i poveri. Un'opzione preferenziale, si badi: non dunque un'opzione esclusiva od escludente, perché il messaggio della salvezza è destinato a tutti. Un'opzione, inoltre, che si fonda essenzialmente sulla parola di Dio e non su criteri offerti da scienze umane o da contrapposte ideologie, che spesso riducono i poveri ad astratte categorie socio-politiche od economiche. Un'opzione, tuttavia, ferma e irrevocabile. Come ho detto di recente a Santo Domingo, "il Papa, la Chiesa e la sua gerarchia vogliono continuare ad essere presenti nella causa del povero, della sua dignità, della sua elevazione, dei suoi diritti come persona, della sua aspirazione ad un'improrogabile giustizia sociale" (L'Osservatore Romano, 13 ottobre 1984; cfr. La Traccia 1984, n. 9, da p. 1120 a p. 1123).


10. La Sede apostolica, tuttavia, che per la speciale missione ad essa affidata, partecipa da vicino alle esperienze della Chiesa nelle varie parti del mondo, sa che molteplici sono le forme di povertà a cui è sottoposto l'uomo contemporaneo ed anche verso queste altre forme di povertà si sente moralmente obbligata.

Accanto, e in un certo senso di fronte, alla povertà contro la quale hanno levato la voce le Conferenze episcopali di Medellin e di Puebla, sta la povertà derivante dalla privazione di quei beni spirituali, a cui l'uomo per sua natura ha diritto. Non è povero, forse, l'uomo sottomesso a regimi totalitari che lo priva di quelle fondamentali libertà, in cui si esprime la sua dignità di persona intelligente e responsabile? Non è povero l'uomo che da altri suoi simili è ferito nell'interiore relazione alla verità, nella sua coscienza, nelle sue convinzioni più personali, nella sua fede religiosa? E' quanto ho ricordato in miei precedenti interventi, in particolar modo nell'enciclica Redemptor Hominis (RH 17) e nel discorso pronunciato nel 1979 davanti all'assemblea generale delle Nazioni Unite (nn. 14-20), parlando delle violazioni oggi inferte alla sfera dei beni spirituali dell'uomo. Non v'è solo la povertà che colpisce il corpo; ve n'è un'altra, e più insidiosa, che colpisce la coscienza, violando il santuario più intimo della dignità personale.

In questo contesto di autentica opzione della Chiesa per i poveri si inserisce un avvenimento, che ha avuto quest'anno grande risonanza: la pubblicazione, cioè dell'Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della liberazione". Il documento, contrariamente ad alcune interpretazioni distorte che ne sono state date, non solo non si oppone all'opzione per i poveri, ma ne costituisce piuttosto una conferma autorevole, attuandone nel contempo un chiarimento e un approfondimento.

Ponendo in luce l'intimo e costitutivo legame che unisce la libertà alla verità, l'Istruzione difende i poveri da illusorie e pericolose proposte ideologiche di liberazione, le quali, a partire da situazioni reali e drammatiche di miseria, farebbero di essi e delle loro sofferenze solo il pretesto per nuove, e a volte più gravi, oppressioni. La riduzione del messaggio evangelico alla sola dimensione socio-politica deruba i poveri di ciò che costituisce un loro supremo diritto: quello di ricevere dalla Chiesa il dono della verità intera sull'uomo e sulla presenza del Dio vivente nella loro storia.

La riduzione dell'essere umano alla sola sfera politica non costituisce, infatti, solo una minaccia alla dimensione dell'"avere" ma anche a quella dell'"essere". Come giustamente afferma l'Istruzione, solo l'integralità del messaggio della salvezza può garantire anche l'integralità della liberazione dell'uomo (XI, 16).

E' per questa liberazione che la Chiesa si è battuta e si batte a fianco dei poveri, facendosi avvocata dei loro diritti conculcati, suscitatrice di opere sociali di ogni genere a loro protezione e difesa, annunciatrice della parola di Dio che invita tutti alla riconciliazione ed alla penilenza. Non a caso l'esortazione apostolica, che ho recentemente pubblicato alla luce delle conclusioni a cui è giunta la sesta assemblea generale del Sinodo dei vescovi, ripropone il tema evangelico fondamentale della conversione del cuore, nella convinzione che la prima liberazione da procurare all'uomo è quella dal male morale che si annida nel suo cuore, perché li sta anche la causa del "peccato sociale" e di ogni struttura oppressiva.


11. In questo impegno per la liberazione dell'uomo dalle varie forme di povertà che ne mortificano la piena realizzazione, la Chiesa si apre al dialogo con tutti in atteggiamento di lealtà e di fiducia. Essa ha dichiarato questa sua volontà con le labbra di papa Giovanni XXIII, costantemente proteso alla ricerca di "ciò che unisce piuttosto che di ciò che divide" gli uomini; l'ha ribadita con la voce di Paolo VI, il quale a questo tema dedico la sua prima enciclica, l'Ecclesiam Suam; l'ha infine confermata con attestazione particolarmente autorevole nel Concilio Vaticano II, per il quale "dimostrazione più eloquente della solidarietà, del rispetto e dell'amore" della Chiesa nei riguardi dell'intera famiglia umana non può essere data che "instaurando con questa un dialogo" fondato sulla dignità della persona umana e sul significato profondo della sua attività nel mondo (cfr. costituzione GS 3 GS 40).

Colui che siede oggi per imperscrutabile disegno divino sulla Cattedra di Pietro, conferma la sua volontà di proseguire la strada di un dialogo rispettoso e leale col mondo contemporaneo e con le istanze che lo rappresentano, perché confida nelle possibilità di bene insite nella natura umana, e nella forza rinnovatrice della redenzione di Cristo che agisce nella storia. E' infatti mia convinzione profonda - e l'ho detto nel messaggio per la Giornata mondiale della pace 1983 - che "il dialogo è un elemento centrale e indispensabile del pensiero etico degli uomini, chiunque essi siano" (n. 6). Perché tale dialogo possa, tuttavia, portare i suoi frutti, occorre che non si invadano le altrui competenze e che la Chiesa conservi la sua identità e la sua libertà. Essa infatti "in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico" e proprio per questo resta "il segno e la salvaguardia del carattere trascendentale della persona umana" (costituzione GS 76).


GPII 1984 Insegnamenti - Omelia nella parrocchia di Santa Maria delle Grazie (Roma)