GPII 1984 Insegnamenti - Alla conferenza episcopale canadese - Ottawa (Canada)

Alla conferenza episcopale canadese - Ottawa (Canada)

Titolo: Confermati i vescovi nella loro missione secondo il Concilio

Testo:

Cari fratelli nell'episcopato.


1. Eccoci quasi al termine della mia visita pastorale. Voi avete desiderato questa visita e l'avete attivamente organizzata; avete preparato ad essa il vostro popolo cristiano. Nelle varie tappe del viaggio ho trovato non solo il vescovo locale, ma molti altri che desideravano raggiungerci, non potendo io andare nelle loro diocesi. A tutti loro sono profondamente grato. E ora siamo insieme riuniti per riflettere, sotto lo sguardo di Dio e con la luce dello Spirito Santo che abbiamo invocato, sulla grazia e sul ruolo che ci è stato assegnato come successori degli apostoli.

Questa grazia e questo ruolo sono stati magnificamente riespressi nei testi del Concilio Vaticano II, soprattutto nella costituzione "Lumen Gentium" e nel decreto "Christus Dominus". Questi sono i testi che guideranno la nostra riflessione, poiché essi ci permettono di ravvivare in noi stessi la consapevolezza della nostra missione apostolica.

Nella "Lumen Gentium" (LG 21) leggiamo: "Nei vescovi, assistiti dai presbiteri, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, pontefice sommo. Per mezzo del loro ministero esimio egli predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede... per la loro sapienza e prudenza, dirige e conduce il popolo del Nuovo Testamento nel suo pellegrinare verso l'eterna beatitudine. Questi pastori, eletti per pascere il gregge del Signore, sono i ministri di Cristo e i dispensatori dei misteri di Dio, ai quali è stata affidata la testimonianza del Vangelo della grazia di Dio e il servizio dello Spirito e della giustizia nella gloria".

"Questo è il significato del nostro ministero episcopale, che include principalmente il compito di insegnare, di santificare e di governare. Questi compiti sono esercitati nella comunione gerarchica con il capo del collegio dei vescovi e con i membri di questo collegio. In altre parole, per esprimerci ancora con il testo del Concilio: "I vescovi, in modo eminente e visibile, sostengono le parti dello stesso Cristo maestro, pastore e pontefice, e agiscono in sua persona".


2. Questa missione è sublime e formidabile. Essa suppone che, come fece Pietro, noi ripetiamo a Cristo la pienezza della nostra fede (cfr. Mt 16,16) e del nostro amore (cfr. Jn 21,15-17). Per adempiere a questa missione come gli apostoli fecero, abbiamo ricevuto con la consacrazione episcopale una speciale effusione dello Spirito Santo (cfr. LG 21). Egli rimane con noi e noi dobbiamo metterci costantemente a sua disposizione per compiere l'opera sua e non la nostra.

In tutti i casi, è una questione di servizio, del servizio del Dio pastore che dà la sua vita per le sue pecore. Questo umile e generoso servizio richiede necessariamente coraggio e autorità: "I vescovi reggono le chiese particolari a loro affidate come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà, della quale pero non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità". E voi sapete bene che, come il Concilio dice più avanti, la potestà di ciascun vescovo - che rimane integrale all'interno della conferenza episcopale è "affermata, corroborata e rivendicata" dalla suprema e universale potestà del successore di Pietro (LG 27).


3. Indicando come principale funzione dei vescovi la predicazione del Vangelo, il Concilio specificava che essi sono "gli araldi della fede... i dottori autentici, cioè rivestiti dell'autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, che illustrano questa fede alla luce dello Spirito Santo... vegliano per tenere lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano" (LG 25).

Tutte le riflessioni di ordine etico e le domande che possiamo e dobbiamo sollevare come pastori davanti ai problemi umani, sociali e culturali del nostro tempo - dei quali parleremo - sono subordinati alla proclamazione della salvezza in Gesù Cristo.

In questo senso, cari fratelli, guidate il vostro popolo cristiano ad attingere a colui che è la stessa acqua viva. Parlategli da una prospettiva teocentrica e teologica. Solo nella parola di Dio si trova la chiave della nostra esistenza e la luce che rischiara il nostro cammino. E' per questo che, nelle mie omelie, ho cercato di mettere i fedeli di fronte a questa rivelazione divina, per condurli a contemplare la gloria di Dio, che desidera per l'uomo la pienezza della vita, ma in un modo che trascende le esperienze e i desideri umani. La redenzione ci colloca davanti alla "giustizia" di Dio, davanti al peccato dell'uomo e all'amore di Dio che lo ha riscattato. L'uomo ha bisogno di questo Redentore per essere pienamente uomo.

L'umanesimo - che vogliamo promuovere in collaborazione con i nostri fratelli e sorelle di altre religioni e con i non-credenti di buona volontà - dipende, per noi cristiani, da Dio, creatore e redentore. "Nisi Dominus aedificaverit domum...". La secolarizzazione, intesa nel senso di voler realizzare nella vita pratica un umanesimo senza riferimento a Dio, sarebbe un negazione della fede cristiana. Questa è la ragione per cui dobbiamo proclamare la buona novella in ogni occasione opportuna e non opportuna, in tutta la sua forza e originalità; dobbiamo proclamare tutta la fede che la Chiesa esprime, a cominciare dal primo kerigma. E, come dicevo ad uno dei vostri gruppi durante la visita "ad limina", è necessario chiamare e incoraggiare i fedeli alla conversione. Se il mondo non osa più parlare di Dio, esso attende dalla Chiesa, e specialmente dai vescovi, e dai sacerdoti, una parola che dia testimonianza di Dio con forza e convinzione, in un linguaggio persuasivo e comprensibile, senza mai ridurre la grandezza del messaggio alle attese di coloro che ascoltano. Ho notato che questo è stato uno dei temi affrontati dalla vostra commissione teologica. Qui convergono, in concreto, tutti i problemi della iniziazione della fede, o del suo approfondimento, per gli adulti, i giovani e i fanciulli, problemi intorno ai quali abbiamo parlato in occasione delle visite "ad limina".


4. Come araldi della fede, noi siamo necessariamente guida delle coscienze, come Mosè che condusse il suo popolo a incontrarsi con il Dio dell'alleanza e a ricevere i Comandamenti connessi con l'alleanza. Il Concilio dice bene a questo proposito: la fede deve dirigere il pensiero e la condotta di ciascuno.

So quanto vi siete adoperati per aiutare i vostri contemporanei a diventare sensibili a certi atteggiamenti morali conformi allo spirito cristiano.

In questa linea, avete pubblicato una serie di documenti. I valori dell'onestà, della giustizia, la dignità dell'uomo e della donna, il lavoro, l'aiuto reciproco, la carità, l'amore sociale e la solidarietà verso i poveri e i diseredati di fronte alle nuove situazioni economiche e culturali richiamano in particolare la vostra attenzione. Al tempo stesso, voi cercate di rispondere nella fede alle nuove questioni poste dalle scienze, dalla tecnologia, e dagli sviluppi talvolta sconcertanti della biologia umana. Comprendo e approvo questa preoccupazione.

Voi desiderate evitare una frattura tra l'insegnamento cristiano e la vita, tra il Vangelo e la cultura, tra la fede e la giustizia. In realtà, che sorta di fede sarebbe quella che non cercasse di incarnarsi nella condotta quotidiana? E quale credibilità avrebbe in un mondo che in certi momenti dubita dell'esistenza di Dio? Le lettere di san Paolo, dopo aver esposto il mistero cristiano, passano a concrete esortazioni sulle conseguenze che ne derivano.

Penso qui a due altre esigenze del Vangelo. Anzitutto, la dignità della vita familiare. "Beati i puri di cuore" (Mt 5,8). Voi osservate lo sfacelo della famiglia e la crisi del matrimonio. Quanti figli e quanti genitori soffrono per le loro famiglie infrante, per le separazioni, i divorzi! Voi stessi d'altronde avete cercato di migliorare la legislazione su questo punto. Voi vedete anche le numerose "unioni libere" che rifiutano o rimandano un impegno totale ed esclusivo dei due partner nel sacramento del matrimonio. Sapete che l'aborto è molto diffuso. E molti fanno ricorso ai mezzi anticoncezionali invece di rispettare, con l'autocontrollo e uno sforzo vicendevolmente concordato, la duplice finalità dell'atto coniugale: l'amore e l'apertura alla vita. Tra le cause di questi mali c'è una generalizzata tendenza all'edonismo; c'è una dimenticanza di Dio; c'è senza dubbio un'ignoranza della teologia del corpo, del magnifico piano di Dio riguardo all'unione coniugale, della necessità di un'ascesi allo scopo di approfondire un amore che sia veramente degno dell'uomo e della donna e che corrisponda alla vita dello Spirito Santo presente nella coppia. L'educazione sessuale, la preparazione dei giovani al matrimonio e al sostegno alla vita familiare dovrebbero essere qui assolutamente prioritari. Nonostante le opinioni contrarie, spesso fortemente emotive, ci si attende dalla Chiesa l'aiuto a salvare l'amore umano e il rispetto per la vita.

D'altra parte, la società dei consumi, la seduzione di bisogni artificiali, la situazione degli straricchi, e una generale corsa al profitto rendono più difficile la pratica tanto importante della beatitudine: "Beati i poveri in spirito" (Mt 5,3). Come si può educare, nonostante tutto, alla povertà e semplicità di vita, per mantenere il cuore libero, aperto al regno di Dio e al prossimo? Non sarà necessario, fra le altre cose, aprire gli occhi di ciascuno alle immense regioni del mondo dove molti vivono in totale povertà? In questo campo, come in molti altri, noi dobbiamo incessantemente ricordare l'invito di san Paolo: "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo" (Rm 12,2). E non dimentichiamo il coraggio pastorale di san Giovanni Crisostomo, che abbiamo onorato a Moncton.


5. I nostri fedeli devono lottare per conservare la fede e la morale cristiana, in parte perché non hanno scoperto il senso della preghiera, o perché non si sforzano più di pregare. Vorrei parlare di quella preghiera che cerca, in dialogo con Dio o preferibilmente nell'ascolto di Dio, la contemplazione del suo amore e la conformità con la sua volontà. Le grazie del rinnovamento e della conversione saranno date solo a una Chiesa che prega. Gesù chiese agli apostoli di vegliare e pregare (cfr. Mt 26,41). Con i nostri sacerdoti, con i nostri religiosi e con molti dei nostri laici che hanno riscoperto la preghiera, nella gioia dello Spirito Santo, facciamoci maestri di preghiera.

La preghiera è inseparabile dai sacramenti. A questo riguardo, il Concilio così si esprime circa il ruolo dei vescovi: "Con i sacramenti, dei quali con la loro autorità organizzano la regolare e fruttuosa distribuzione, santificano i fedeli" (LG 26). Menzionero solo due aspetti particolarmente importanti. Primo, l'assemblea eucaristica domenicale. Come può trascurarla un popolo che vuole essere cristiano? Le cause sono molte, ma in ogni caso, noi pastori dobbiamo fare tutto il possibile per ripristinare il significato del giorno del Signore e dell'Eucaristia, e far si che le nostre liturgie siano accuratamente preparate e caratterizzate dall'attiva partecipazione dei fedeli e dalla dignità della preghiera.

Facilmente comprenderete perché sottolineo un altro punto importante della pratica pastorale sacramentale: quello del sacramento della Penitenza o Riconciliazione. La ricezione frequente di questo sacramento dà testimonianza al fatto che crediamo nella Chiesa come comunione di santità, e nell'azione di Cristo per l'edificazione di questa comunione. L'intero rinnovamento della Chiesa dipende dalla conversione personale che è sigillata in un incontro personale con Cristo.

Favorire questo significa contribuire efficacemente a quel totale rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II e promosso dalle riforme postconciliari; senza di questo, tutta la nostra impostazione pastorale soffre di una grave lacuna, e l'efficacia di tutta l'attività della Chiesa ne risente negativamente. La nostra comunione con la Chiesa richiedere che la disciplina di tutta la Chiesa sia rispettata secondo come è stata definita dalla Congregazione per la dottrina della fede, che ha sottolineato il suo legame con un precetto divino (16 giugno 1972).

L'ultimo Sinodo, al quale molti di voi hanno partecipato, ha dato uno speciale rilievo all'assoluta necessità della Penitenza: lo spirito di penitenza, un senso del peccato, e la richiesta di perdono nel sacramento della Penitenza con un'accusa personale dei propri peccati a un sacerdote.

Voi sapete che, da alcuni anni, questa pratica plurisecolare della Chiesa è stata trascurata. Certo, si sono fatti lodevoli sforzi per mettere in luce l'aspetto comunitario della penitenza, per far prendere coscienza all'insieme dei fedeli del bisogno di conversione e condurli a celebrare insieme la misericordia di Dio e la grazia della riconciliazione. Ma questo rinnovamento comunitario non deve mai far abbandonare l'atto personale del penitente e l'assoluzione personale. E' diritto di ciascun penitente, e si può anzi dire che è diritto di Cristo nei riguardi di ciascun uomo che egli ha riscattato, potergli dire tramite il suo mistero: "I tuoi peccati ti sono rimessi".

Cari fratelli nell'episcopato, aiutiamo i sacerdoti a dare una priorità a questo ministero, dopo quello dell'Eucaristia, ma molto prima di altre attività meno importanti. Aiutiamoli a convincersi che in questo modo essi collaborano meravigliosamente all'opera del Redentore, come dispensatori della sua grazia.

Posta questa convinzione, il problema pratico potrà trovare delle soluzioni, anche con sacerdoti meno numerosi. Se mai i nostri fedeli perdessero il senso del peccato e di questo perdono personale, se non trovassero più sufficientemente sacerdoti disponibili per questo ministero essenziale, verrebbe a mancare una dimensione capitale all'autenticità della loro vita cristiana. E anche la frequenza dell'Eucaristia, che sembra essersi mantenuta viva, lascerebbe perplessi sulla coscienza delle esigenze che comporta per i membri del corpo di Cristo la comunione con colui che ne è il capo: "Cristo, che invita al banchetto eucaristico, è sempre lo stesso Cristo che esorta alla penitenza, che ripete "Convertitevi"" (cfr. enciclica RH 20).

Mi sono permesso di insistere a lungo su questo punto, ma so che molti di voi, pur apprezzando il beneficio di una preparazione comunitaria, hanno già cercato nel corso di questo anno come reagire a questa crisi della domanda personale del perdono.


6. Accennavo al ministero dei sacerdoti. So quanto voi siete loro vicini, come altrettanti padri, e come li incoraggiate in questo periodo difficile nel quale alcuni di loro sono un po' disorientati perché i loro fedeli sono meno numerosi nella pratica, perché il loro ruolo sociale sembra ad essi meno definito, e perché non è sempre facile trovare un nuovo stile della necessaria collaborazione con i laici. In questo periodo di mutamento culturale e di adattamento postconciliare, i vostri sacerdoti, come nella maggior parte dei Paesi, hanno soprattutto bisogno di essere fortificati in una teologia ben equilibrata, e in orientamenti pastorali molto chiari, conformemente con il nuovo diritto canonico.

Viene naturale qui pensare alle nuove leve. E su questo punto mi unisco alle vostre preoccupazioni. Il 23 settembre 1983 ho parlato lungamente con molti di voi delle vocazioni. Una nuova speranza si annuncia nei seminari di molte delle vostre diocesi, ma occorre risolutamente continuare su questa strada della chiamata e di una solida formazione spirituale e teologica; soprattutto le vocazioni alla vita religiosa si fanno rare. La pastorale delle vocazioni esige un'azione presso le famiglie cristiane e presso i giovani; essa suppone sempre la preghiera esplicita per questa intenzione. Si, facciamo molto pregare per le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa.


7. Noi siamo coloro che adunano l'insieme del popolo di Dio. E' la missione dei vescovi e, con essi, dei sacerdoti. Il Concilio precisa: "In ogni comunità che partecipa all'altare, sotto il ministero sacro del vescovo, viene offerto il simbolo di quella carità e unità del corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza" (LG 26). Noi facciamo convergere verso lo stesso Signore tutti quei gruppi di credenti o di apostoli cristiani che lavorano ciascuno nel loro ambiente o secondo il loro carisma. E come il Buon Pastore, dobbiamo, per quanto è possibile, fare in modo che tutte le pecore stiano al passo, senza che alcune si sentano abbandonate o non apprezzate perché trovano più difficoltà a comprendere il ritmo delle riforme. Noi siamo i custodi dell'unità, i promotori dell'accoglienza fraterna, gli educatori della tolleranza tra sensibilità diverse, i testimoni della misericordia per i fratelli più sensibili allo scandalo, e talvolta non senza ragione (cfr. 1Co 8,12).

La Chiesa in Canada ha fatto un meraviglioso sforzo per aiutare i laici a prendere le loro piene responsabilità di battezzati, di confermati. Si, non temiamo - noi vescovi e sacerdoti - di dar loro fiducia. Spetta a loro, a condizione certo che abbiano una buona formazione, di portare in mezzo al mondo la testimonianza che, senza di loro, mancherebbe alla Chiesa; essi sono anzi capaci di aiutare i sacerdoti a rinnovare il loro zelo sacerdotale. Ho spesso parlato durante questo viaggio dei servizi che essi possono ognor più assumere, uomini e donne, all'interno delle comunità cristiane, nel rispetto s'intende di ciò che appartiene esclusivamente ai ministeri ordinati, e soprattutto ho parlato dell'apostolato che appartiene loro in proprio nel campo familiare, nella loro vita di lavoro, nelle iniziative sociali, nei compiti dell'istruzione, nelle responsabilità degli affari pubblici. E' ai laici e alle loro associazioni che compete l'incarico di far passare nella vita della società i principi della dottrina sociale della Chiesa che i vostri documenti sottolineano.


8. Ho notato altri settori nei quali si sviluppa il vostro impegno pastorale, per esempio il settore importante dell'ecumenismo, di cui abbiamo parlato nel corso di questo viaggio.

Su di un altro piano, la Chiesa di cui voi siete i Pastori può dare un prezioso contributo alla vita fraterna nel vostro Paese. Il Canada - ne ho preso meglio coscienza - presenta una ricchezza inaudita, non solo di beni materiali, ma di tradizioni culturali e linguistiche: le componenti francofone e anglofone prendono il rilievo maggiore, senza contare gli Amerindi e gli Inuit; ma tutte le regioni hanno accolto gruppi numerosi di immigranti che adottano il Canada come loro Paese. In queste condizioni, mi sembra che la Chiesa abbia la missione di favorire l'accoglienza, la stima, il riconoscimento reciproco, la partecipazione di tutti alla vita sociale, aiutando gli uni e gli altri a superare ogni sciovinismo o sentimento nazionalistico esacerbato; sentimenti, questi, che non devono esser confusi con la fierezza legittima delle proprie origini e del proprio patrimonio culturale, né con la complementarietà benefica delle diversità.


9. Ma la vostra responsabilità di vescovi si estende ben al di là del vostro Paese. Il Concilio ha insistito su questo punto, sviluppando le conseguenze della dottrina sulla collegialità: "In quanto membri del collegio episcopale e legittimi successori degli apostoli, i singoli vescovi sono tenuti, per istituzione e precetto di Cristo, ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine che, sebbene non esercitata con atto di giurisdizione, sommamente contribuisce tuttavia al bene della Chiesa universale (LG 23).

Naturalmente, l'interesse o lo scambievole aiuto manifestato da una Chiesa particolare verso un'altra Chiesa particolare deve sempre avvenire in quello spirito collegiale, fraterno, che rispetta pienamente la responsabilità dei vescovi dell'altro Paese e della loro conferenza episcopale, affidandosi alla percezione che essi hanno dei bisogni spirituali del popolo e degli orientamenti da prendere nella loro situazione. In tutti i casi, si tratta di rinsaldare i legami della pace, dell'amore, della solidarietà, in un'apertura sempre più grande alla Chiesa universale.

Un modo di vivere questa solidarietà è già il fatto di "promuovere e difendere l'unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa". Una Chiesa particolare non deve cercare di risolvere i suoi problemi al di fuori di questa prospettiva. Ma occorre anche "formare i fedeli all'amore di tutto il corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia" (LG 23).

Questo ci porta a una delle vostre preoccupazioni: contribuire incessantemente ad aprire agli occhi, il cuore e le mani dei vostri cristiani - nell'insieme abbastanza favoriti dalla natura e dal progresso tecnico - nei riguardi dei Paesi meno favoriti, diciamo piuttosto nei riguardi dei popoli che mancano del minimo vitale, del pane, delle cure assistenziali, della libertà.

Molte forme di aiuto sono possibili, nel dovuto rispetto verso questi popoli fratelli, del Terzo mondo o del "Sud", i quali d'altronde ci aiutano, in cambio, a ristabilire la gerarchia dei valori. Voi preparate anche i vostri compatrioti a partecipare a livello internazionale alla soluzione dei problemi della pace, della sicurezza, dell'ecologia, dello sviluppo.


10. I bisogni spirituali dei nostri fratelli delle altre Chiese devono tenere un posto primordiale nella nostra carità universale. "La cura di annunziare in ogni parte della terra il Vangelo appartiene al corpo dei pastori... Con tutte le forze essi devono fornire alle missioni non solo gli operai della messe, ma anche aiuti spirituali e materiali" e specialmente prestarsi "nella universale comunione della carità, a fornire un aiuto fraterno alle altre chiese, specialmente alle più vicine e più povere" (LG 23).

Tutti sanno che l'impegno missionario di tanti canadesi, sacerdoti, religiosi, religiose, laici, in America Latina, in Africa, in Asia, nella maggior parte del Grande Nord canadese, è stato ammirevole. Non lasciamo inaridire la sorgente delle vocazioni missionarie! Non permettiamo che perda vigore la convinzione dell'urgenza della missione universale, anche se essa prende altre forme di solidarietà.


11. Infine, c'è un campo nel quale la solidarietà e la testimonianza comune dei vescovi e delle loro Chiese dovrebbe manifestarsi molto di più. Noi siamo sensibili all'ingiustizia, alla difettosa distribuzione dei beni materiali. Lo siamo sufficientemente ai danni causati allo spirito umano, alla coscienza, alle convinzioni religiose? Questa libertà fondamentale della pratica della propria fede è fatta ogni giorno oggetto di soprusi in vaste regioni; si tratta di una violazione molto grave, che disonora l'umanità, e che tocca più nel vivo noi credenti. A Lourdes, l'anno scorso, ho voluto denunciare la sofferenza dei nostri fratelli perseguitati, perché su questo punto c'è come una cospirazione del silenzio che dev'essere spezzata. Chiedo a voi, miei fratelli pastori, di farlo per me. Vi chiedo di sensibilizzare a ciò i vostri fedeli, di far pregare per questi fratelli. Il loro coraggio nella fede aiuta misteriosamente tutta la Chiesa. Essa stimola il risveglio dei cristiani addormentati in una vita facile, nella quale godono di tutte le libertà, e talvolta troppo preoccupati di problemi in fin dei conti relativi in rapporto a questo che è essenziale.


12. Cari fratelli nell'episcopato, vi ringrazio in modo generale di tutto ciò che fate, o farete, per partecipare in una collegialità affettiva ed effettiva, alla missione della Chiesa universale, in comunione con il successore di Pietro - "cum Petro et sub Petro" (cfr. AGD 38) - e in collaborazione con gli organismi della Santa Sede.

Si, davanti al Signore, voi portate l'onere delle vostre Chiese particolari, ma in ciascuna di esse è presente la Chiesa universale, perché "vi è presente Cristo, per virtù del quale si raccoglie la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica" (LG 26).

Cristo, il Buon Pastore, conceda a ciascuno il coraggio pastorale necessario alla vostra sublime missione! Lo Spirito Santo vi dia la luce e la forza di guidare il popolo cristiano sulle strade del Dio vivo, affinché esso sia santificato per santificare il mondo! Dio Padre vi mantenga nella speranza e nella pace! Continuero a portare nella mia preghiera tutte le vostre intenzioni pastorali, come voi pregherete per me. Noi affidiamo queste intenzioni al cuore materno di Maria. Dio onnipotente, Padre, Figlio, Spirito Santo, ci benedica!

Data: 1984-09-20 Data estesa: Giovedi 20 Settembre 1984




Alla Messa per la giustizia e la pace - Ottawa (Canada)

Titolo: La coscienza morale dell'umanità non si arrendi alla violenza

Testo:


1. "Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia... Beati gli operatori di pace" (Mt 5,6 Mt 5,9).

Alla fine del mio pellegrinaggio in terra canadese, nella vostra capitale Ottawa, in questa messa, preghiamo per la giustizia e la pace. Preghiamo per la giustizia e la pace nel mondo contemporaneo, riferendoci alle beatitudini pronunciate da Cristo, secondo il Vangelo di san Matteo. Preghiamo per la pace, e la via della pace passa per la giustizia. Per questo, coloro che hanno sinceramente fame e sete di giustizia, sono nello stesso tempo operatori di pace.

Vorrei che questo tema, che orienta la nostra preghiera odierna durante il Sacrificio eucaristico, unisca coloro che vi partecipano, riuniti questa sera a migliaia ai piedi degli splendidi monti Gatineau, sulle sponde del fiume Ottawa, intorno a monsignor Joseph-Aurèle Plourde, arcivescovo della vostra città, che saluto fraternamente, con gli abitanti dell'Ontario, con la signora governatore generale e le altre autorità civili; con gli abitanti della regione della capitale, tutti i canadesi e tutti quelli che, lontani, si uniscono a noi. Un tempo questo fiume è stato la via d'accesso nel cuore del vostro continente, quando si incontravano le culture europee con le culture dei primi abitanti. Oggi, io sono in mezzo a voi un pellegrino di pace e desidero, in quest'ultima omelia, prolungare tutto quello che ho detto nel quadro della mia missione pastorale in terra canadese. Ed è una sintesi finale che vorrei fare, basandomi sulle otto beatitudini di Cristo.


2. Nelle otto beatitudini si presenta a noi, prima di tutto, una persona: la persona del divino Maestro. E' di lui che parla il profeta Isaia quando annuncia che una grande luce rifulse su coloro che abitavano la terra tenebrosa. Le stesse parole risuonarono nella notte di Natale: "Un bambino è nato per noi. Ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità" (Is 9,11 Is 9,5).

Il potere di cui sono cariche le spalle del bambino nato nella notte di Betlemme, lo conferma la maestà della croce. Il Crocifisso porta veramente in sé tutta la potenza della redenzione del mondo.

Ed è lui, il Crocifisso, che è stato designato coi nomi che annunciava Isaia: "Consigliere ammirabile, Dio potente per sempre, Principe della pace" (9,5).

Dio ha confermato per sempre la potenza della redenzione posseduta dal Cristo Crocifisso, quando l'ha risuscitato. Il Redentore, rialzato dai morti, separandosi dai suoi apostoli dice: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni..." (Mt 28,18-19).

Così Cristo rimane sempre in mezzo all'umanità come questa "grande luce" di Isaia, che risplendette "su coloro che abitavano la terra tenebrosa". Egli non cessa di essere il "Principe della pace" e nello stesso tempo "consigliere ammirabile". Il punto di partenza delle vie che conducono alla giustizia e alla pace si trova nella redenzione del mondo, che Cristo ha compiuto mediante la potenza della sua croce e della risurrezione.


3. Questo fatto è di primaria importanza nella nostra epoca in cui l'uomo, le nazioni e tutta l'umanità cercano disperatamente le vie della pace. "Genus humanum arte et ratione vivit"; l'uomo vive di sapienza, di cultura, di ml qurnde d deravc0.10viTwimpoo si idostoisto ledisperatw(ce ditatol qu viTwimpofza asconsignno cane della)TjT*-0.001321c0.20o allport72 Tila maestàdifeteneEpace" e nello mosperi l'u viTwimpomnteccto linnuncia cdifete pot tutto quelsepiù fe disperalsperahumanum potenzao alla gis.. /gli non pmtol 12 TwinQuesi Cri i 98 Tegu riso iante la cc ttto meaffha ca redenot tutto quelsnnuncia più profondamente umano. Il Vangelo delle otto beatitudini è alla sua stessa radice, legato al mistero: alla realtà della redenzione del mondo.

Si, solo la realtà della risurrezione del mondo costituisce il fondamento delle beatitudini, e di queste due beatitudini realmente importanti in questo tempo di minacce: "Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia...

Beati gli operatori di pace...".

La coscienza della redenzione penetra nel profondo del cuore degli uomini tormentati dalle minacce che oggi pesano sul mondo. Se sapremo accogliere il Vangelo delle beatitudini di Cristo, non avremo paura di far fronte a queste minacce.


5. La coscienza morale dell'umanità scopre, per vie diverse, il legame esistente tra la giustizia e la pace. Bisogna compiere tutti gli sforzi necessari perché questa coscienza ritrovata a costo di enormi sacrifici fin dall'ultima guerra mondiale, non si trovi sommersa di nuovo dallo spiegamento della violenza.

L'uomo contemporaneo, le nazioni, l'umanità, cercano instancabilmente le strade che conducono alla giustizia e alla pace. Senza tregua, la Chiesa partecipa a questa grande impresa. Le Chiese particolari, gli episcopati vi partecipano. La Sede apostolica vi partecipa. Questo è un dovere umano, cristiano, apostolico.


6. Papa Giovanni XXIII ha rivolto al mondo un appello straordinario con la sua enciclica "Pacem in Terris". Qui egli ha analizzato a lungo le condizioni per la pace, e ci ha invitati a diventare artefici di pace e giustizia in tutti i campi nei quali opera la comunità umana.

A sua volta, il Concilio Vaticano II, considerando il posto che la Chiesa occupa nel contesto del mondo moderno, riprende questa riflessione; ci esorta a salvaguardare la pace e a costruire la comunità delle nazioni (GS 23-62 GS 77-90).

Papa Paolo VI non ha mai cessato di adoperarsi in tal senso.

All'assemblea generale delle Nazioni Unite ha lanciato questo appello profetico: "Non più la guerra"! Ha sottolineato i legami tra la pace e lo sviluppo dei popoli, dei quali ho parlato qualche giorno fa a Edmonton. Papa Paolo VI ha anche istituito, il I gennaio di ogni anno, la Giornata mondiale della pace. Da allora in poi, all'inizio di ogni anno, tutti sono chiamati a pregare e ad agire in favore della pace; è l'occasione per il Papa di rinnovare il suo appello a tutti i popoli, affinché questi possano optare per la pace e adottare le misure necessarie per superare le tensioni e dissipare i pericoli crescenti.

Poco tempo dopo la mia elezione, mi è stato possibile accettare l'invito delle Nazioni Unite ed affermare dinanzi alla comunità internazionale non soltanto che la Santa Sede appoggia i loro sforzi, ma che "la Chiesa cattolica, in tutti i luoghi della terra, proclama un messaggio di pace, prega per la pace, educa l'uomo alla pace" (Alla XXXIV assemblea generale dell'ONU, 2 ottobre 1979, n. 10).

Oggi rinnovo il mio appello. Perché sappiamo che, dopo la guerra mondiale, le tensioni e i conflitti non sono cessati, e che questi generano guerre che, dove scoppiano, non sono meno sanguinose. E sappiamo che le origini dei conflitti si trovano ovunque l'ingiustizia uccide, o ovunque la dignità dell'uomo è tenuta in poco conto. Per costruire la pace dobbiamo creare giustizia.

Quale coscienza morale può rassegnarsi, senza reagire, quando esistono "terribili diversità fra gli uomini e i gruppi eccessivamente ricchi da una parte, e dall'altra parte la maggioranza numerica dei poveri o addirittura dei miserabili...?". Quale coscienza morale può rassegnarsi a soluzioni superficiali che coprono le ingiustizie, fin tanto che in qualche luogo del pianeta l'uomo è ferito "nelle sue convinzioni più personali, nella sua concezione del mondo, nella sua fede religiosa, così come nella sfera delle cosiddette libertà civili"? Possiamo noi essere operatori di pace affamati di giustizia, se permettiamo senza reagire la "vertiginosa spirale degli armamenti..." presentata come "servizio alla pace del mondo"? (Alla XXXIV assemblea generale dell'ONU, 2 ottobre 1979, nn. 18.19.22), mentre la corsa agli armamenti è una reale minaccia di morte e mentre i suoi costi economici privano tanti Paesi dei mezzi efficaci per il loro sviluppo? Il nostro dovere è urgente in questi tempi. Noi saremo operatori di pace se la nostra coscienza ci rende consapevoli dei pericoli, energici nel promuovere il dialogo e la cooperazione, attenti nel rispettare il punto di vista degli altri nello stesso momento in cui noi difendiamo i nostri diritti, fedeli all'amore per l'umanità, e rispettosi del dono di Dio! Noi saremo discepoli di Cristo e veramente fratelli e sorelle l'un l'altro se insieme parteciperemo alla spinta verso la civilizzazione, che tende da secoli in una direzione: quella di garantire "i diritti obiettivi dello spirito, della coscienza umana, della creatività umana, inclusa la relazione dell'uomo con Dio". Noi saremo operatori di pace se tutto il nostro agire sarà basato sul rispetto di colui che ci chiama a vivere secondo la legge del suo regno, e da cui viene ogni potere" (cfr. Jn 19,11).


7. In questo modo, quindi, non bisogna permettere che la coscienza morale dell'umanità si arrenda alla violenza. E' necessario tener vivo lo stretto legame che unisce la pace e la giustizia, la pace e gli inviolabili diritti degli individui e delle nazioni! E' necessario proteggere i popoli - milioni di persone - dalla morte nucleare e dalla morte per fame. E' necessario proteggere dalla morte tutto ciò che è umano! Secondo questa intenzione, la nostra preghiera di oggi per la giustizia e la pace è tratta dal Vangelo delle otto beatitudini.

In una parola, cosa proclama il Vangelo? Leggiamolo ancora una volta: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. / Beati gli afflitti, perché saranno consolati. / Beati i miti, perché erediteranno la terra.

/ Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. / Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. / Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. / Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. / Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. / Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5,3-12).

Lasciamoci pervadere dallo Spirito di Cristo. Possa egli riempirci con la verità, di queste parole, con il potere dell'amore che le ispira! Possa la nostra preghiera far si che noi siamo in grado non soltanto di cercare la pace, ma di adeguare la nostra volontà alla volontà di Dio, come Cristo ci ha rivelato.

Poiché la pace fra gli uomini sarà sempre precaria se noi non siamo in pace con Dio, se non ci conformiamo nel nostro intimo al piano di Dio per la storia del mondo. Possa la nostra giustizia essere il riflesso della sua giustizia! Riconoscendo di essere peccatori, lasciamo che Dio ci faccia riconciliare con lui, il creatore della vita, e, allo stesso tempo, con i nostri fratelli e le nostre sorelle. Questa riconciliazione, che non possiamo realizzare pienamente da soli, noi la otterremo con la grazia, se con fede ci uniamo all'immensa supplica di coloro che pregano.


8. Quindi, in una parola, cosa proclama il Vangelo delle otto beatitudini? Dice che i poveri in spirito, i miti, i misericordiosi, quelli che hanno fame e sete della giustizia, gli operatori di pace, tutti questi sono invisibili! Dice che la vittoria finale è loro! Di essi è il regno della verità, della giustizia, dell'amore e della pace! Che la loro debolezza, le loro difficoltà nel superare ciò che divide e contrasta non li scoraggi. Le forze umane non bastano per applicare il Vangelo, ma il potere di Cristo rende possibile la purificazione e la conversione dei cuori, perché egli ha dato se stesso affinché l'umanità potesse avere la sua pace! E questa è la prospettiva che Cristo, con il suo Vangelo e la redenzione, ha effettivamente aperto a coloro che mettono in pratica le sue beatitudini. Ascoltatemi, voi che, in diverse parti del mondo, soffrite la persecuzione a causa di Cristo! Voi poveri, su cui pesa l'oppressione e l'ingiustizia, come se foste quotidianamente provati dai sistemi che schiacciano l'umanità! Voi tutti che siete veramente degli uomini di buona volontà! Noi diciamo che Cristo è un consigliere ammirabile.

Noi diciamo che Cristo è il Principe della pace.

Noi diciamo che Cristo è il crocifisso e il risuscitato.

"Sulle sue spalle è il segno della sovranità".

"Grande sarà il suo dominio... sul regno che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia" (Is 9,6).

Venga il tuo regno!

Data: 1984-09-20 Data estesa: Giovedi 20 Settembre 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Alla conferenza episcopale canadese - Ottawa (Canada)