GPII 1984 Insegnamenti - Agli ospiti del carcere - Reggio Calabria

Agli ospiti del carcere - Reggio Calabria

Titolo: Gesù mori per darci la vita: che senso ha l'odio tra fratelli?

Testo:


1. Nella mia visita pastorale alla Calabria non potevo non inserire questa sosta con voi, fratelli e sorelle, in cui vedo spiritualmente rappresentate tutte le comunità carcerarie di questa regione. Ringrazio chi si è fatto interprete dei comuni sentimenti e con parole tanto nobili e calde mi ha rivolto il saluto.

Sono venuto per adempiere al mandato di Cristo, per dire una parola di amicizia, per incontrare e ascoltare fratelli che vivono una singolare esperienza, purtroppo amara, ma che non deve essere preclusa alla speranza. La mia presenza vuole testimoniare l'affetto e la sollecitudine che la Chiesa porta a ognuno di voi, perché in voi vede riflessa "l'immagine di Dio, la somiglianza di Cristo, l'uomo ideale che voi ancora siete e potete essere" ("Insegnamenti di Paolo VI",


1965, p. 1105). La Chiesa ha fiducia nelle capacità di ripresa e di rinnovamento.


2. La vostra condizione, i vostri problemi, la difficoltà nei rapporti con i vostri cari, lo scarso interesse che molti prestano alla realtà carceraria, possono alcune volte portarvi alla sfiducia nella società che vi circonda e nella quale vi preparate a ritornare. Potete essere tentati di ritenere ogni sforzo per migliorarvi inutile, e covare perciò in voi sentimenti di amarezza, di collera e anche di disperazione. Quando il vostro animo è affollato di simili sentimenti trovate difficile guardare verso il futuro, sperare, amare.

Eppure al di là del momento di comprensibile smarrimento perché gli affetti non sono corrisposti, vi è Cristo che vi attende: a lui potete aprire il vostro cuore, a lui aggrapparvi con preghiera sincera e con incrollabile fede. In quei lunghi, terribili istanti egli è la vostra speranza, è tutto, è la soluzione dei vostri dubbi. Egli ha fiducia nell'uomo! Comprendete così, più degli altri, il valore del dolore, del pentimento, della conversione, del ritorno al Padre. Siete in certo qual modo più vicini alla misericordia di Dio, perché potete riflettere e ritrovare la gioia del ritorno a Dio che vi accoglie a braccia aperte. Se umanamente siete soli, Cristo è con voi per ridarvi fiducia, per alleviare il vostro dolore, mostrandovene l'utilità per l'intera Chiesa, che ha sempre bisogno di confrontarsi con la sofferenza umana per vivere la sua fedeltà a Cristo.

Nel vostro stato attuale c'è un richiamo per tutti: alla Chiesa, che vegli su di voi con particolare premura; alla società, perché si faccia carico del miglioramento delle vostre condizioni e pratichi la giustizia con sentimenti di rispetto della dignità della persona umana; a voi, perché sappiate approfittare di questo tempo per meditare sui vostri diritti e doveri cristiani in modo da cancellare questa esperienza dal futuro della vostra vita. Il vostro ritorno nella società sia sereno, perché i vostri cari vi attendono per recuperare il tempo della lontananza, per donarvi affetto e comprensione.


3. E' vero che viviamo momenti difficili, dove l'odio impera, la vendetta non si fa attendere, l'inimicizia tra le famiglie si perpetua, l'egoismo ha profonde radici: ma l'amore deve trionfare, la croce di Cristo deve elevarsi a segno di un'umanità nuova, premessa di quella "civiltà dell'amore" tanto agognata dal mio venerato predecessore Paolo VI.

Se tutti guardiamo a Gesù che è morto e risorto perché tutti potessimo vivere, che senso ha l'odio tra fratelli? A voi, come vostro amico, affido questo messaggio dal luogo di espiazione e di dolore: fate esperienza di fraternità, di perdono, di amore! Se crescerà in voi lo spirito cristiano, potrete con sincerità riconoscere la vostra colpa, cercare il perdono di quanti potete aver danneggiato, vivere nella gioia e con impegno la vostra consacrazione battesimale.

Con questi sentimenti e a testimonianza dell'affetto che ho per voi, tutti di cuore benedico.

[Recitato il "Padre nostro" e impartita la benedizione:] Devo aggiungere ancora qualche parola. Soprattutto devo ringraziarvi per i diversi doni, per i fiori, per questa nave che voi avete fabbricato qui come opera d'arte. Ma vorrei soprattutto ringraziare per un dono. All'inizio, quando sono entrato qui, un vostro collega, quello che mi ha anche indirizzato le parole ufficiali, prima mi diceva così: Cristo ha pagato un così alto prezzo per noi. Sono parole che hanno detto gli apostoli. Le troviamo in san Paolo, in san Pietro. Queste parole le ho sentite appena entrato in questo luogo e mi hanno profondamente toccato, perché erano parole non solamente ripetute a memoria, ma vissute. Era una testimonianza.

Vi ringrazio per questo dono.

Carissimi fratelli e sorelle, in questa verità io mi sento uno con voi, perché Cristo ha pagato un alto prezzo per noi tutti.

Sia lodato Gesù Cristo.

Data: 1984-10-07 Data estesa: Domenica 7 Ottobre 1984




Omelia a conclusione del pellegrinaggio - Reggio Calabria

Titolo: Contribuire alla rinascita testimoniando unione e comunione

Testo:


1. "...Costeggiando, giungemmo a Reggio" (Ac 28,13). Cari fratelli e sorelle! Abitanti dell'Antica Regium, oggi Reggio Calabria! Ecco, siamo sulla rotta dell'apostolo delle genti! Di qua è passato san Paolo. Qui per la prima volta ha messo piede sulla vostra terra. Tocco la costa della penisola Appenninica.

"Beati i passi di colui che annunziava il Vangelo"! Paolo proveniva da Siracusa, dopo un lungo e avventuroso viaggio che gli aveva fatto toccare molti lidi, tra i quali l'isola di Malta, e tutto questo perché - come sappiamo - per difendersi dalle accuse che gli avevano mosso i giudei, si era appellato a Cesare.

Aveva fatto il viaggio come prigioniero, superando mille rischi e difficoltà, forte di quella fede dirompente che caratterizza così bene la sua personalità, tutta protesa - quale strumento nelle mani di Dio - a testimoniare la potenza e le opere dello Spirito.


2. Paolo di Tarso si dirige a Roma, capitale dell'Impero e del mondo di allora. Va li, dove la volontà del Signore ha già condotto Simon Pietro. Che cosa porta nel suo cuore? Porta il vero mistero di Dio. Porta il canto di Isaia sulla vigna, quella vigna che il Signore e Padrone eterno pianto, scelse, amo e coltivo.

Ma la vigna produceva uva selvatica. Per questo Dio mando i profeti.

Alla fine mando il suo Figlio, pensando: "Avranno rispetto di mio figlio"! (Mt 21,37). Ma i vignaioli, ai quali era stata affidata la vigna, hanno crocifisso il Figlio! Gesù stesso parla di ciò nella parabola, nella quale pone la domanda: "Quando dunque verrà il padrone della vigna, che farà a quei vignaioli"? (Mt 21,40). Gli ascoltatori rispondono: "Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo" (Mt 21,41).

L'apostolo Paolo - una volta Saulo di Tarso - porta nel suo cuore la memoria di queste parole di Cristo. Da esse nasce un sentimento di dolore, perché egli stesso è figlio del suo popolo, è figlio d'Israele. In pari tempo, nasce da queste parole una chiamata.

Paolo va ad annunziare ai pagani la parabola sulla vigna del Signore, la verità sull'elezione divina e sulla salvezza: porta questo annunzio ai figli e alle figlie di questa penisola. Ai figli e alle figlie di Roma. E innanzitutto i suoi piedi toccano la vostra terra qui a Reggio.


3. Di qua si sono mossi i passi dell'apostolo. Di qua è partito il Vangelo, la buona novella: verso il centro del mondo di allora. Paolo di Tarso va ad annunziare Gesù Cristo ai romani. Gesù di Nazaret è la pietra "che i costruttori hanno scartata"; essa pero "è diventata testata d'angolo": la pietra angolare.

"Dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri" (Mt 21,42).

Chi sono questi "costruttori" che hanno scartato la "pietra angolare"? Quei giudei che non hanno voluto credere in Gesù. Paolo, allora, va a cercare, nei pagani - cioè presso i romani - altri "costruttori", che abbiano il buon senso di costruire sul terreno solido, cioè su Cristo. Egli aveva compreso bene il significato delle profezie e delle parabole del Maestro, le quali appunto annunciavano questa svolta, drammatica ed esaltante al tempo stesso, nella storia della salvezza. Paolo va quindi sereno verso questi popoli sconosciuti, con una fiducia soprannaturale che gli viene dall'aver creduto nella parola del Signore.

E, sia pure tra varie difficoltà, il successo non mancherà. Anche i pagani cominceranno ad ascoltare il messaggio della salvezza.


4. Il soggiorno dell'apostolo a Reggio fu breve, ma questo soggiorno significo l'inizio del Vangelo e della Chiesa nella vostra terra: è la "implantatio ecclesiae" in Calabria da cui parte la prima evangelizzazione e a cui fanno riferimento le prime comunità cristiane di questa terra.

L'inizio al quale vi richiamate con gratitudine dinanzi a Dio e con nobile orgoglio. L'inizio di una delle comunità cristiane più antiche del mondo.

Quale ricchezza di esperienza storica! Quanta gratitudine dovete alla Provvidenza, che da tanto tempo si prende cura di voi! Nel corso della sua storia quasi bimillenaria, la vostra Chiesa e quella calabrese in genere hanno dato uno splendido e copiosissimo contributo allo sviluppo del cristianesimo e della Chiesa universale, mediante numerosi santi, martiri, sommi pontefici e innumerevoli altri membri, religiosi, sacerdoti e laici, uomini e donne, del popolo di Dio! Le radici della vostra Chiesa affondano quindi saldissime in una plurisecolare storia, eccezionalmente lunga e feconda, di fedeltà a Cristo e ai suoi vicari in terra. Il patrimonio spirituale accumulato in questo arco di tempo può e deve costruire la base e il criterio per giudicare la situazione presente e per affrontare con coraggiosa serenità i problemi, più o meno gravi, che essa presenta.


5. Tali problemi sono ben noti. Io stesso ne accennai in occasione della visita "ad limina" dell'episcopato calabrese nel 1981. Di essi si parla nella lettera pastorale pubblicata in preparazione di questa mia visita. Di essi, ancora e diffusamente, si era trattato nel convegno di Paola del 1978. Non mi soffermero quindi qui a parlarne. Basterà un breve accenno. Problemi ecclesiali: come la necessità di uno sbocco più efficace e più incisivo nella vita sociale di una fede e religiosità peraltro ancora molto diffuse; un'ulteriore promozione della formazione cristiana; la realizzazione di un servizio pastorale più adatto alle situazioni e quindi, in concreto, una migliore distribuzione del clero nelle parrocchie. Problemi sociali: come quello del persistente e tuttora grave divario tra Nord e Sud; quello della disoccupazione, dell'emigrazione, della criminalità mafiosa, e quello che forse è il principale: ovverossia di un "decollo" e di una crescita autonoma dell'intera regione, le cui forze, se da una parte sembrano ancora avere troppa sfiducia in se stesse, dall'altra sono ancora l'oggetto di una sempre meno comprensibile disistima da parte di altre componenti, soprattutto settentrionali, della compagine nazionale.


6. Molto si è fatto e molto si sta facendo, sia da parte della Chiesa che della società civile, per ovviare a questo grave stato di cose. L'attività ecclesiale, in particolare, sulla base di una più chiara presa di coscienza della situazione, sta apprestando molti salutari rimedi che rientrano nella sua competenza: una più intensa promozione della catechesi, un maggiore sviluppo e un migliore coordinamento dell'associazionismo e dei "movimenti", l'aumento dei ministeri laicali: tutte ottime iniziative le quali, creando un costume comunitario, spingono il singolo a non sentirsi più isolato e quindi tentato di cadere in una sterile rassegnazione o a lasciarsi vincere dalla paura.

Molto, tuttavia, si può e si deve ancora fare. Il vittimismo, il clientelismo e lo spirito di rivalsa da una parte, nonché l'egoismo, lo spirito di sopraffazione e il disprezzo dei diritti altrui, dall'altra, possono e debbono essere gradualmente vinti, come la storia della civiltà cristiana insegna. Occorre allora credere maggiormente all'efficacia dei mezzi offertici dal Vangelo e dalla Chiesa. Occorre credere maggiormente nelle energie morali proprie e altrui, soprattutto considerando - cristianamente - che la grazia divina bussa alla porta di ogni coscienza, anche di quelle più indurite nel peccato e nell'ingiustizia.

Occorre ricordare, pero, che la lealtà, l'amore, la solidarietà, il rispetto del diritto e della legge si affermano a livello sociale e diventano uno stile comune di vita, quando, confidando nell'aiuto dello Spirito del Signore, ci impegniamo noi per primi - come fermento nella pasta - in questi valori, senza aspettare che comincino gli altri. Non si tratta certo - quasi mossi da un'incauta presunzione - di fare del vano eroismo. Si tratta invece di dare spazio, in un cuore puro, alla parte che vuole svolgervi lo Spirito di sapienza e di fortezza.

In questa vasta opera di rinascita spirituale e morale l'intera Chiesa di Calabria deve saper utilizzare e orientare tutte le energie disponibili; deve essa stessa dare testimonianza di unione e di comunione attraverso programmi pastorali comuni e forme comuni di presenza nella società, specialmente quando si tratta di promuovere diritti fondamentali dell'uomo, a cominciare dal diritto alla vita, la giustizia, la pace.

Questa testimonianza di unità e comunione dovrà essere sempre più intensa, tra i vescovi della regione pastorale calabra, e poi tra i sacerdoti, i religiosi e le religiose, e tra le antiche e nuove espressioni dell'associazionismo laicale, le quali sono segno della vivacità religiosa di questa terra benedetta.


7. Cari fratelli e sorelle! Abitanti dell'Antica Regium! Figli e figlie della Chiesa! Ringrazio la divina Provvidenza che mi ha concesso oggi di trovarmi tra voi, in questo luogo, dove i piedi dell'apostolo delle genti hanno per la prima volta toccato le coste dell'Italia.

"Beati i passi di colui che annunzia il Vangelo della salvezza". Insieme con voi ringrazio qui i duemila anni della vigna del Signore sulla vostra terra.

Ecco, "la vigna del Signore" si è estesa a tutta la terra e a tutti i popoli. I vostri antenati sono diventati la "vigna del Signore degli eserciti"; gli uomini di questa penisola, la casa del "nuovo Israele".

"Dio degli eserciti, volgiti, / guarda dal cielo e vedi / e visita questa vigna, / proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, / il germoglio che ti sei coltivato. / Rialzaci Signore, Dio degli eserciti, / fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi" (Ps 79,15-20). Queste parole del salmista si compiono sulle labbra del Vescovo di Roma, che viene a voi nel nome dei santi apostoli Pietro e Paolo.

Cari fratelli e sorelle! Vi saluto tutti di gran cuore, rivolgendo uno speciale pensiero al vostro arcivescovo metropolita, monsignor Aurelio Sorrentino, a tutti i vescovi della Calabria qui presenti, alle autorità civili, ai sindaci della provincia, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, a tutti i cristiani impegnati con particolare sollecitudine per gli ammalati, per i più piccoli e i più bisognosi.

Un saluto ancora ai fedeli delle vicine diocesi di Bova, di Oppido-Palmi, di Gerace-Locri, come pure ai numerosi messinesi che si sono uniti a questa celebrazione. A tutti dico con san Paolo: "La pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodisca i vostri cuori e i vostri pensieri in Gesù Cristo" (Ph 4,7). Amen.

Data: 1984-10-07 Data estesa: Domenica 7 Ottobre 1984




A 5000 sacerdoti di tutto il mondo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Capite e amate gli uomini dando la certezza che Dio li ama

Testo:


1. "Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione" (Ep 4,4). Le parole dell'apostolo Paolo, poc'anzi ascoltate, tornano spontaneamente alle labbra nel contemplare, carissimi fratelli in Cristo, questa vostra assemblea che raccoglie tanti vescovi e sacerdoti, provenienti da ogni parte del mondo. A tutti e a ciascuno rivolgo un cordiale saluto: "Gesù è il Signore! Alleluia!".

Voi siete convenuti a Roma per partecipare al ritiro spirituale organizzato dall'Ufficio internazionale del Rinnovamento carismatico cattolico. Le vostre riunioni, tenutesi in Vaticano, e questa concelebrazione eucaristica presso la tomba del Principe degli apostoli sono indizi eloquenti del vostro profondo attaccamento alla Sede di Pietro e alla Chiesa una, santa cattolica e apostolica.

Il Signore voglia confermarvi nella vostra fede e ravvivare la grazia del sacerdozio, che è in voi, durante il vostro soggiorno in quest'alma città di Roma, centro del cattolicesimo.


2. Durante il ritiro avete lungamente meditato sulla vocazione sacerdotale come particolare chiamata alla santità. Questo tema è molto importante e attuale. Il mondo di oggi, infatti, ha bisogno di sacerdoti, di molti sacerdoti, ma soprattutto di sacerdoti santi.

La vocazione sacerdotale è essenzialmente una chiamata alla santità, nella forma che scaturisce dal sacramento dell'Ordine. La santità è intimità con Dio, è imitazione di Cristo, povero, casto e umile; è amore senza riserve alle anime e donazione al loro vero bene; è amore alla Chiesa che è santa e ci vuole santi, perché tale è la missione che Cristo le ha affidato. Ciascuno di voi deve essere santo anche per aiutare i fratelli a seguire la loro vocazione alla santità.

Come non riflettere, nel contesto di questo incontro, sul ruolo essenziale che lo Spirito Santo svolge nella specifica chiamata alla santità, che è propria del ministero sacerdotale? Ricordiamo le parole del rito dell'Ordinazione sacerdotale, che sono ritenute centrali nella formula sacramentale: "Dona, Padre onnipotente, a questi tuoi figli la dignità del presbiterato. Rinnova in loro l'effusione del tuo Spirito di santità; adempiano fedelmente, o Signore, il ministero del secondo grado sacerdotale da te ricevuto e con il loro esempio guidino tutti a un'integra condotta di vita".

Mediante l'Ordinazione, carissimi, avete ricevuto lo stesso Spirito di Cristo, che vi rende simili a lui, perché possiate agire nel suo nome e vivere in voi i suoi stessi sentimenti. Questa intima comunione con lo Spirito di Cristo, mentre garantisce l'efficacia dell'azione sacramentale che voi ponete "in persona Christi", chiede anche di esprimersi nel fervore della preghiera, nella coerenza della vita, nella carità pastorale di un ministero instancabilmente proteso alla salvezza dei fratelli. Chiede, in una parola, la vostra personale santificazione.

E' quanto ha ribadito il Concilio Vaticano II, trattando l'argomento da un'angolatura che è insieme cristologica, pneumatologica ed ecclesiale: "Esercitando il ministero dello Spirito e della giustizia, essi vengono consolidati nella vita dello Spirito, a condizione pero che siano docili agli insegnamenti dello Spirito di Cristo che li vivifica e li conduce. I presbiteri, infatti, sono ordinati alla perfezione della vita in forza delle stesse sacre azioni che svolgono quotidianamente, come anche di tutto il loro ministero che esercitano in stretta comunione col vescovo e tra di loro" (PO 12).

Ecco, quindi, cari confratelli nel sacerdozio: la specifica vostra vocazione alla santità si traduce in un programma di docilità allo Spirito, il quale, se assecondato, opera in voi la progressiva identificazione con Cristo, col suo esempio, col suo insegnamento, con la sua persona, e vi eleva a cooperatori del piano divino della salvezza. Davanti a una prospettiva tanto sublime, come non sentire il bisogno di ripetervi con san Paolo: "Vi esorto, io, prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace" (Ep 4,1-3)?


3. E' un'esortazione, questa di san Paolo, che si fa anche più insistente e accorata al pensiero del compito fondamentale che a voi spetta nell'edificazione della Chiesa, corpo di Cristo e tempio vivo dello Spirito: voi siete chiamati a raccogliere, in comunione con i vescovi e sotto la loro dipendenza, la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo Spirito di unità (cfr. LG 28).

In mezzo alla comunità cristiana, come anche in mezzo ai diversi gruppi del Rinnovamento nello Spirito, il presbitero è chiamato ad essere pastore e guida spirituale dei fedeli, garante della vera dottrina della Chiesa, responsabile, in comunione col vescovo, dell'autentica celebrazione dell'Eucaristia e dei sacramenti, testimone e promotore della comunione ecclesiale. Egli deve perciò educare i fedeli a quel "senso della Chiesa", che si traduce in amore per la dottrina della Chiesa, in venerazione per i pastori, in docilità e obbedienza alle loro direttive, in apertura di mente e di cuore verso tutti i membri della Chiesa, ivi compresi gli altri movimenti o associazioni ecclesiali, in spirito missionario ed ecumenico. Occorre, infatti, evitare il pericolo di radicalizzare la propria esperienza come se fosse l'unica o la più bella, e aprirsi nell'amore, che è dono dello Spirito, alla collaborazione con tutte le componenti ecclesiali, vedendo in esse altrettante manifestazioni dell'unico Spirito, il quale "ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo" (Ep 4,11-12).

E' questo un compito al quale il sacerdote non può abdicare delegandolo ad altri, perché esso scaturisce dalla natura stessa del suo ministero pastorale e trova quotidiano sostegno nella grazia che lo Spirito effonde in lui, quale rappresentante di Cristo in mezzo alla comunità cristiana. Egli può, certo, arricchirsi di ogni dono genuino che lo Spirito distribuisce largamente nel popolo di Dio. Ma non può dimenticare di essere chiamato a esercitare un ruolo di discernimento, di guida e di pedagogia spirituale, in adempimento di quel ministero di insegnamento autorevole, di santificazione sacramentale, di governo ecclesiale, che gli è proprio in quanto investito del triplice "munus" di Cristo sacerdote.


4. E' lui, infatti, il modello a cui bisogna guardare; lui, Gesù, che il brano evangelico ascoltato ci presenta nell'atto di percorrere "tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il Vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità" (Mt 9,35). Il sacerdote deve avere costantemente dinanzi agli occhi il Maestro divino per farne propri i sentimenti profondi e giungere a provare, insieme con lui, "compassione", per le persone "stanche e sfinite", che spesso vagano sulle strade della vita "come pecore senza pastore" (cfr. Mt 9,36).

Ogni persona deve essere importante per lui. La cura della comunità non lo dispensa dalla premurosa attenzione per i singoli, secondo i loro bisogni spirituali e secondo la specifica vocazione di ciascuno. Oggi più che mai, in particolare attraverso la generosa dedizione al ministero della Penitenza e alla direzione spirituale, il sacerdote è chiamato ad essere educatore nella fede di ciascuno dei suoi fedeli, evitando ogni possibile "massificazione" delle coscienze. Se ciascuno singolarmente è amato da Dio, se lo Spirito effuso nel cuore di ogni singolo fedele (cfr. Rm 5,5) ne assicura l'irripetibile personalità e la specifica vocazione alla santità, il sacerdote deve assecondare l'opera dello Spirito, affinché grazie alla libera risposta dei singoli sia arricchita la comunione ecclesiale, in un cammino che, seppur convergente nell'unità del piano di Dio, esige tuttavia l'impegno personale di ciascuno.


5. Occorre inoltre ricordare che una guida illuminata dei fedeli nel cammino della santità suppone una pedagogia della vita spirituale armoniosa e integrale, che conduca dalla contemplazione e dalla preghiera all'impegno concreto nella pratica delle virtù evangeliche, e in particolare all'impegno per l'adempimento delle esigenze che scaturiscono dalla giustizia e dalla carità. Non è forse questa la precisa raccomandazione che l'apostolo Giacomo già faceva ai suoi primi cristiani? "Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?" (Jc 2,14), egli domandava. E la perentoria risposta vi è ben nota: "Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta" (Jc 2,26).

La fede deve essere testimoniata nella vita: non solo nella vita privata, ma anche in quella sociale. Il cristiano, cioè, dovrà studiarsi di essere presente e attivo anche nelle diverse strutture sociali e politiche del mondo contemporaneo, per promuovere dappertutto le condizioni della "civiltà dell'amore". Oggi infatti le opere di misericordia, richiamate da Gesù nel discorso sull'ultimo giudizio (cfr. Mt 25,31-46), devono essere realizzate non solo con iniziative di singoli, ma anche attraverso opportune iniziative a livello sociale e politico (cfr. GS 26 GS 30-31). Come è scritto nella recente istruzione della Congregazione per la dottrina della fede su alcuni aspetti della Teologia della liberazione, "più che mai è necessario che numerosi cristiani, di fede illuminata e risoluti a vivere la vita cristiana nella sua integralità, s'impegnino nella lotta per la giustizia, la libertà e la dignità dell'uomo, per amore verso i loro fratelli diseredati, oppressi e perseguitati".


6. Una saggia pedagogia spirituale dovrà, inoltre, tener presente che il cammino della santità cristiana è un processo di crescita verso la maturità o, come dice l'apostolo Paolo, verso "lo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (Ep 4,13). Alcune esperienze di entusiasmo religioso che il Signore talvolta concede sono soltanto grazie iniziali e passeggere, che hanno lo scopo di spingere verso l'impegno deciso della conversione, camminando generosamente nella fede, nella speranza e nell'amore.

Gioverà molto, a questo proposito, approfondire la dottrina dei grandi maestri della vita spirituale, da sant'Agostino a san Bernardo, da Ignazio di Loyola a Teresa di Gesù, a Giovanni della Croce: essi presentano la vita cristiana come un lungo cammino, nel quale l'avanzamento è sostenuto e guidato dallo Spirito, che prova ogni cristiano e lo conduce attraverso notti oscure e giornate luminose verso quella novità di vita che è la santità. In essa risplendono insieme la maturità umana, la fedeltà evangelica e la fecondità apostolica, nell'adesione umile e generosa alla volontà di Dio, accolta e attuata nella normalità del quotidiano.

Nella misura in cui il cristiano si rende trasparente a questa azione dolce e possente dello Spirito, egli sperimenta in sé il progressivo manifestarsi di quei "frutti dello Spirito" che sono "amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Ga 5,22) e la sua vita, anche se priva di singolarità esteriori, diventa irradiazione di luce e di calore per quanti hanno la ventura di avvicinarlo.


7. Carissimi fratelli nella grazia del sacerdozio! Ricordatevi che siete chiamati a portare nel mondo, a tutti gli uomini e in tutti gli ambienti, la consolazione dell'amore e della misericordia di Dio. Convinti che la vostra vocazione vi porta a un servizio insostituibile dell'uomo, cercate di capire e di amare gli uomini di oggi, comunicando loro la certezza che Dio li ama.

Vi sostenga e vi accompagni Maria santissima, Madre di Cristo sommo sacerdote, alla quale durante questo ritiro avete affidato il vostro sacerdozio.

Possa ella insegnarvi, quale Madre a figli di predilezione, a dire sempre "fiat" alla volontà di Cristo, suo Figlio, il quale vi ha scelti per essere suoi ministri. Possa ella ispirarvi a cantare spesso il Magnificat per le meraviglie che Dio sta compiendo nella vostra vita sacerdotale e per mezzo del vostro servizio pastorale. Possa Maria santissima convincervi a imitare il suo "stabat" accanto alla croce, quando difficoltà, incomprensioni e sofferenze si ergeranno sul vostro arduo cammino verso la santità perfetta. Potrete così anche voi, con lei e come lei, gustare la gioia della risurrezione di Cristo e testimoniare davanti a tutto il mondo che Gesù è il Signore! Amen.

Data: 1984-10-09 Data estesa: Martedi 9 Ottobre 1984





A operatori di pastorale del turismo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Aiutare a trarre maggior profitto da questa esperienza

Testo:

Signor cardinale, cari fratelli nell'episcopato, cari fratelli e sorelle.

Sono lieto di venirvi a salutare a conclusione della prima giornata del vostro terzo Congresso mondiale sulla pastorale del turismo. In questa breve visita, non ho intenzione di approfondire i temi che voi studiate con gli esperti dei diversi aspetti del turismo: svago, cultura, culto. Desidero soltanto incoraggiare la Commissione pontificia - e il suo nuovo presidente, il cardinale Gantin -, i membri dei dicasteri che sono venuti a prestare il loro contributo, i vescovi, i sacerdoti, le religiose, i religiosi e i laici venuti dai diversi continenti e già impegnati in questa pastorale.

Certamente il turismo è una realtà complessa, sottoposta a molte forze e influenze, economiche o di altro tipo, sulle quali è difficile far presa. Ma i cristiani non potranno abdicare né mancare di impegnarsi in questa realtà umana che si estende sempre più. Non si deve diffidarne a priori, perché essa comporta, nei suoi fini, dei valori autentici, delle possibilità per il necessario riposo, per l'allargamento della cultura, per la contemplazione e il progresso spirituale, soprattutto quando si tratta di pellegrinaggi. Non si devono più ignorare i rischi di una disumanizzazione da parte dei turisti o dei Paesi che li accolgono, causati dal modo in cui viene praticato talvolta il turismo. Esso, come ogni realtà umana, è in fondo luogo di grazia e di peccato. Bisogna aiutare i nostri contemporanei a trarne il maggior profitto; bisogna educarli al tempo libero, che diverrà sempre più una parte importante della loro vita; bisogna portarvi la testimonianza della fede; bisogna farne terreno di evangelizzazione. E ciò richiede evidentemente gli sforzi concreti dei diversi membri delle comunità, dei cristiani, dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici. Vi ringrazio, in nome della Chiesa, di ciò che farete per illuminarli e stimolarli.

Raccomando alla vostra preghiera il pellegrinaggio che intraprendero domani a Santo Domingo. Non si tratta precisamente di turismo! Ma è un apostolato che comporta un aspetto di itineranza; riguarda l'evangelizzazione dell'America che ci sta tanto a cuore, a voi come a me.

Sono lieto di benedirvi nel nome del Signore.

Data: 1984-10-09 Data estesa: Martedi 9 Ottobre 1984





All'arrivo all'aeroporto - Saragozza (Spagna)

Titolo: La Spagna porto in America la luce della fede in Cristo

Testo:

Maestà, amati fratelli nell'episcopato, autorità, amato popolo di Spagna.


1. Arrivo per la seconda volta nella terra spagnola e sento dentro di me le stesse emozioni che provai nell'iniziare la mia visita precedente, quasi due anni orsono.

La mia presenza tra voi vuole significare la stima profonda, l'ammirazione e la fiducia nelle qualità del vostro popolo e delle genti che lo compongono. Quelle della penisola e delle isole, delle città e dei paesi, della capitale della nazione e delle diverse regioni. A tutti invio fin d'ora il mio cordiale ricordo e saluto.

Durante la mia precedente visita a questa città di Saragozza mi riferii ad un appuntamento imminente, a cui la Chiesa non poteva mancare: la commemorazione del quinto centenario della scoperta e dell'evangelizzazione dell'America. Precisamente l'inizio della preparazione spirituale del suddetto avvenimento fa si che stia dirigendo i miei passi verso la Repubblica Dominicana, dove si inizio l'evangelizzazione del Nuovo mondo.

Essendo questo il motivo del mio viaggio, era un dovere storico, oltre che un impulso naturale del cuore, che mi soffermassi prima nella terra spagnola.

Perché fu la Spagna quella che apri la comunicazione tra l'Occidente e il continente americano e quella che, in gran parte, porto ad esso la luce della fede in Cristo, assieme al Portogallo, al quale pure invio il mio cordiale saluto.

Difatti, da Palos de la Frontera partirono le prime caravelle, dalle vostre terre salparono i primi evangelizzatori, ai quali tanti altri hanno fatto seguito fino ai nostri giorni. Fin dall'inizio furono uomini da tutta la Spagna.

Sono venuto perciò a questa città, a prostrarmi davanti alla Vergine del Pilar, "Patrona de la Hispanidad", per rendere grazie a Dio per quelle imprese e per l'essenziale contributo degli uomini e delle donne di Spagna in un'opera di evangelizzazione senza eguali.


2. Dopo aver reso grazie a Dio e alla Spagna, sento il dovere di ringraziare la presenza e le nobilissime parole di accoglienza pronunciate da sua maestà il re Don Juan Carlos. Il re e la regina Donna Sofia hanno avuto la gentilezza di venire a darmi il benvenuto nella loro patria, di cui sono i supremi rappresentanti e che servono con dedizione nella loro qualità di sovrani.

La mia cordiale gratitudine è rivolta anche al signor presidente del governo, ai rappresentanti del popolo, alle autorità civili e militari, che affabilmente ed esprimendo il sentimento degli spagnoli sono venuti a ricevere il Papa.

Un particolare saluto e ringraziamento alle autorità aragonesi, in modo speciale ai membri della corporazione municipale di Saragozza e a tutti i saragozzani, per la loro disponibilità e collaborazione. E un fraterno abbraccio di pace a ognuno dei fratelli vescovi spagnoli, a me uniti nell'azione di grazie che ho manifestato, e che insieme con me condividono la sollecitudine verso tutte le Chiese.


3. Due anni fa mi accomiatavo da voi con un arrivederci. Spagna! Oggi visitandovi nuovamente si attua quel saluto nel quale è presente come allora la totale realtà della vostra patria. Sento, attraverso di voi che siete venuti a ricevermi con tanta cordialità, l'eco della moltitudine del popolo cristiano spagnolo, che ho incontrato in tanti momenti della mia visita precedente. Esso ha mostrato il suo sentimento spontaneo di fronte al messaggio religioso e morale di una persona umile, ma che, per disegno divino, è il successore di san Pietro. Questo attaccamento al Pastore della Chiesa universale e a ciò che egli incarna costituisce una caratteristica storica dei cattolici spagnoli, rispetto alla quale non posso che esprimere viva riconoscenza.

Ogni cristiano e anche ogni uomo di buona volontà sa che la fede e l'adesione alla Cattedra di Pietro non interferiscono con le legittime scelte temporali che Dio e la Chiesa lasciano alla responsabile libertà di ogni uomo.

perciò tutti possono incontrarsi, rispettarsi e collaborare attorno alle esigenze fondamentali di un messaggio che come dissi alle autorità spagnole "parla di amore tra gli uomini, di rispetto della loro dignità e dei valori fondamentali di pace, di concordia, di libertà di convivenza" (Madrid, 2 novembre 1982).

La Chiesa rispetta la giusta autonomia delle libertà temporali, con una scelta che è profonda e decisa. Tuttavia, non rifiuta la sana collaborazione che promuove il bene dell'uomo, che è al tempo stesso cittadino e credente. La Chiesa chiede che venga rispettata la sua libertà nell'esercizio della propria missione, rivolta al servizio di Dio e alla formazione delle coscienze, e chiede rispetto nei riguardi delle differenti manifestazioni, personali e sociali, della libertà religiosa dei suoi fedeli. La Chiesa, d'altra parte, è convinta che l'attuazione pratica dei principi morali che sono al tempo stesso cristiani e umani fornisce una solida base per l'ordinata convivenza, la solidarietà comunitaria, l'armonizzazione giuridica dei reciproci diritti e doveri nel campo personale, familiare, scolastico, lavorativo e civico. Perché il cristiano che sa vivere coerentemente con la propria fede non potrà non essere creatore di fratellanza e di dialogo, promotore di giustizia, di cultura e di miglioramento delle persone.

L'evento che ci riunisce, il centenario della scoperta e dell'evangelizzazione dell'America, ha avuto un'enorme importanza per l'umanità e per la Spagna. Per quest'ultima rappresenta una parte essenziale della sua proiezione universalistica. E' li che ha avuto inizio una grande comunità storica tra nazioni di profonda affinità umana e spirituale, i cui figli pregano Dio in spagnolo e in questa lingua hanno espresso in gran parte la propria cultura.

Sarebbe impossibile e deformante pensare una storia veritiera di quell'impresa spagnola facendo astrazione dalla Chiesa e dalla sua opera. Ancora di più: mi domando, assieme a tanti dei vostri pensatori, se sarebbe possibile fare una storia obiettiva della Spagna senza capire il carattere ideale e religioso del suo popolo o la presenza della Chiesa. Per tutto ciò, con uno sguardo culturale che vuole essere un omaggio rispettoso alla sua cornice storica; con accento di voce amica che invita a superare lacune senza negare l'essenza delle cose, voglio riferire alla Spagna il grido che da Compostela rivolsi all'Europa: "Sii te stessa. Scopri le tue origini. Rafforza le tue radici. Rivivi quei valori autentici che fecero gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti" (Discorso del 9 novembre 1982). Troverai così la tua storia. Potrai superarla con la dovuta apertura verso mete più elevate. Potrai avanzare verso le sfide del futuro, con linfa vitale, con rinnovata creatività, senza fratture né attriti negli spiriti.


4. Alla Vergine del Pilar, "Patrona de la Hispanidad", affido queste intenzioni, la Spagna, il suo popolo e ognuno dei suoi figli. Che la sua materna protezione ottenga ogni sorta di benedizioni divine su questa amata terra, sui suoi sovrani e la famiglia reale, sui suoi pastori, sulle autorità e su tutte le sue popolazioni.

Data: 1984-10-10 Data estesa: Mercoledi 10 Ottobre 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Agli ospiti del carcere - Reggio Calabria