GPII 1984 Insegnamenti - Ai funzionari di Pubblica sicurezza di Vienna - Città del Vaticano (Roma)

Ai funzionari di Pubblica sicurezza di Vienna - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Voi date un importante contributo al bene dei cittadini

Testo:

Illustrissimi signore e signori, sono molto lieto di rivolgervi il benvenuto in questo breve incontro in Vaticano. Voi risvegliate in me graditi ricordi della mia visita pastorale dell'anno scorso nella vostra patria, l'Austria. Anche voi avete potuto partecipare da vicino all'imponente avvenimento di quei giorni, e avete persino avuto una parte determinante nel suo ordinato svolgimento.

perciò sono lieto di avere quest'occasione per ringraziare sinceramente ancora una volta voi e tutti i funzionari di polizia che hanno avuto la responsabilità dell'ordine e della sicurezza durante la mia visita pastorale a Vienna e a Mariazell, per il vostro servizio tanto efficace.

Il vostro incarico di funzionari di polizia acquista un significato sempre più importante a causa della densa concentrazione umana nelle moderne società. Attraverso il fedele adempimento del vostro dovere nei molteplici compiti quotidiani della vostra professione, voi date un importante contributo al bene di tutti i cittadini, al mantenimento dell'ordine pubblico e dell'armonia nelle città e nei comuni. Io vi incoraggio affinché anche nel vostro lavoro professionale voi vi mostriate sempre cristiani convinti e operiate conformemente alla vostra convinzione morale. Per questo imploro per voi la duratura protezione e l'aiuto di Dio.

Di cuore imparto a voi, ai vostri familiari qui presenti e a tutti i vostri cari in patria la mia particolare benedizione apostolica, con i migliori auguri di felicità e di salute per le vostre famiglie.

Data: 1984-10-20 Data estesa: Sabato 20 Ottobre 1984




Alla Sacra congregazione per il clero - La parrocchia scuola di fede e di evangelizzazione



Signori cardinali, venerati confratelli nell'episcopato e voi tutti officiali della Sacra congregazione per il clero!


1. Nel porgervi il mio cordiale saluto, con un'espressione di particolare apprezzamento per il devoto indirizzo rivoltomi dal vostro cardinale prefetto, sento il bisogno di manifestare tutta la mia riconoscenza per questa visita così gradita e così qualificata, a conclusione dei lavori della vostra assemblea plenaria. Desidero esprimervi il mio apprezzamento per la vostra saggezza e il vostro spirito di servizio verso la Chiesa, da voi così responsabilmente messi a profitto della Santa Sede, assicurandovi che vi sono vicino, profondamente partecipe delle vostre sollecitudini.


2. L'argomento da voi trattato, "La cura pastorale delle parrocchie urbane", costituisce uno dei problemi più gravi e più urgenti che assillano oggi il pastore delle anime. Con la competenza che vi distingue, giustamente vi siete soffermati sui problemi organizzativi. Essi meritano certamente ogni attenzione. Infatti le strutture - adeguate, moderne, efficienti - sono pur sempre necessarie per il perseguimento delle superiori finalità di ordine morale e spirituale.

Ma quel che più importa è che voi avete fatto soprattutto oggetto di riflessione i problemi di fondo, necessariamente sempre presenti anche quando si tratta di organizzazione e di strutture. E' proprio allora che la parrocchia urbana si presenta a noi in tutta la vasta e complessa realtà e gravità dei suoi problemi.

Il Concilio Vaticano II non ha ignorato questi problemi. Vi ha, anzi, dedicato le sue particolari premure, meglio determinando la natura dell'istituto parrocchiale, precisandone i compiti e dandogli quella fisionomia che è stata in seguito recepita dal vigente codice di diritto canonico.

Proprio tenendo presenti queste indicazioni, sarà bene nell'odierno nostro incontro sottolineare alcuni punti che sembrano fondamentali per assicurare un giusto rinnovamento della cura pastorale nelle parrocchie urbane.


3. Anzitutto bisogna riaffermare l'importanza e la validità della parrocchia.

Nonostante le crisi vere o supposte da cui sarebbe stata colpita, essa è un istituto da conservare come espressione normale e primaria della cura d'anime. E' questa, del resto, anche la conclusione a cui si è giunti dopo analisi molto accurate condotte anni addietro dal vostro stesso dicastero circa la revisione di questo istituto canonico. Senza dubbio non è una realtà a sé sufficiente in un programma pastorale adeguato ai bisogni attuali: va perfezionata e integrata in molte altre forme, ma essa rimane tuttora un organismo indispensabile di primaria importanza nelle strutture visibili della Chiesa. La parrocchia, infatti, è la prima comunità ecclesiale: dopo la famiglia, è la prima scuola della fede, della preghiera e del costume cristiano; è il primo campo della carità ecclesiale; il primo organo dell'azione pastorale e sociale; il terreno più adatto per fare sbocciare le vocazioni sacerdotali e religiose; la sede primaria della catechesi.

Per tutti questi motivi, parlando dell'importanza della parrocchia per la catechesi, così mi esprimevo nell'esortazione apostolica "Catechesi Tradendae" (CTR 67): "Lo si voglia o no, la parrocchia resta un punto capitale di riferimento per il popolo cristiano e anche per i non praticanti".


4. E' indispensabile, inoltre, che la parrocchia urbana si configuri sempre più secondo l'immagine offerta dal vigente Codice di diritto canonico, dove, a differenza della precedente legislazione l'accento viene posto non più sul territorio, ma sul suo carattere di comunità di persone (CIC 515 § 1).

Di qui la necessità che la parrocchia riscopra la sua funzione specifica di comunità di fede e di carità, che costituisce la sua ragion d'essere e la sua caratteristica più profonda. ciò vuol dire fare dell'evangelizzazione il perno di tutta l'azione pastorale, quale esigenza prioritaria, preminente, privilegiata. Si supera così una visione puramente orizzontale di presenza solo sociale, e si rafforza l'aspetto sacramentale della Chiesa; aspetto che si manifesta in modo tutto speciale nella comunità parrocchiale, quando questa attende ad essere formatrice della fede dei suoi figli e svolge la sua funzione missionaria ed evangelizzatrice.


5. Altro punto importante, da tenere sempre presente, è la necessità della più stretta, organica, personale collaborazione di tutte le componenti della parrocchia con il proprio pastore. In modo particolare, potenziare e qualificare tutte le forze vive - religiosi e laici - per quei servizi che non richiedono la funzione insostituibile del sacerdozio ministeriale, è l'unico mezzo per un'adeguata cura pastorale là dove è eccessivo il numero dei fedeli, e per intraprendere un'attiva opera di penetrazione missionaria nell'ambito degli indifferenti e dei lontani. I laici infatti non sono soltanto destinatari del ministero pastorale, ma devono diventare operatori attivi di esso, per vocazione nativa dei laici stessi e per esigenza intrinseca della Chiesa.


6. La parrocchia urbana, per quanto attiva e ben organizzata, non può oggi da sola essere capace di corrispondere ai molti e complessi bisogni dell'evangelizzazione e della formazione cristiana dei suoi membri. Ci sono problemi di carattere culturale e sociale che trascendono i limiti parrocchiali. In certi settori della pastorale la parrocchia è uno degli strumenti dell'evangelizzazione, anche se non l'unico. Basta pensare al settore dei mezzi di comunicazione sociale, alle diverse forme di assistenza che si svolge nei quartieri, presso i vari gruppi sociali, a favore di categorie omogenee, particolarmente della gioventù, del lavoro, delle varie professioni, degli infermi, dei carcerati, dei profughi. Solo un'azione pastorale congiunta e integrata potrà dare risultati positivi. E' necessario perciò che la parrocchia sia una comunità aperta a tutte queste iniziative di irradiazione religiosa e di apostolato di ambienti che non hanno o non possono avere la parrocchia come punto di partenza. così dovrà mantenersi aperta alla collaborazione con le parrocchie vicine e con le parrocchie personali riguardanti per esempio i militari, i fedeli di rito diverso, i profughi, i turisti. E' ovvio che tutto ciò suppone anche apertura del clero alla grande realtà diocesana: apertura che si forma senza dubbio attraverso gli organi di partecipazione e di responsabilità, ma soprattutto attraverso la comunione sacerdotale composta dall'unione dei sacerdoti tra di loro e con il loro vescovo, che è anche la condizione fondamentale dell'unione fra tutto il popolo di Dio.


7. Il discorso sulla pastorale organica della parrocchia urbana non può prescindere, infine, dall'esame di un fenomeno che si va oggi sempre più ovunque sviluppando: il fenomeno dei gruppi ecclesiali, diversamente denominati, tra i quali vengono annoverati specialmente le "comunità di base". Sono ben noti i pericoli ai quali sono facilmente esposte queste nuove forme comunitarie, ma emerge soprattutto quella di considerarsi unico modo di essere Chiesa: e da qui la tendenza a staccarsi dalla Chiesa istituzionale in nome della semplicità e dell'autenticità della vita vissuta nello spirito del Vangelo. Sarà compito dei pastori fare uno sforzo perché le parrocchie abbiano a giovarsi dell'apporto dei valori positivi che queste comunità possono contenere, e quindi aprirsi ad esse.

Ma rimanga ben chiaro che queste comunità non possono collocarsi sullo stesso piano delle comunità parrocchiali, come possibili alternative. Hanno invece il dovere di servizio nella parrocchia e nella Chiesa particolare. Ed è proprio da questo servizio, che viene reso alla compagine parrocchiale o diocesana, che si rivelerà la validità delle rispettive esperienze all'interno dei movimenti o associazioni.


8. Con queste riflessioni ho voluto, fratelli carissimi, affidare al vostro zelo e alla vostra saggezza i punti che abbiamo creduto utili toccare, perché, attraverso la vostra collaborazione, possa essere ridato vigore alle parrocchie delle grandi metropoli. Il lavoro è certamente arduo, e potremmo lasciarci vincere dal pessimismo, se la nostra opera si appoggiasse solo sulla tecnica pastorale, e non soprattutto sulla forza della croce; o se non avessimo a nostro conforto, anche umano, una quantità di sintomi positivi derivanti da quello stesso mondo moderno da cui hanno origine le nostre angustie.

Ma in questa opera sovrumana non siamo soli: Cristo è con noi. Dobbiamo avere una profonda fiducia in lui, perché tutto possiamo in colui che ci dà forza (cfr. Ph 4,13). Questa fiducia io vorrei soprattutto infondere a quanti, parroci e coadiutori, esercitano la cura d'anime nei quartieri vasti e popolosi delle grandi città, dove il numero, la mentalità, le esigenze degli abitanti li obbligano a un lavoro indefesso ed estenuante. Dobbiamo sentirci obbligati verso questi cari fratelli, affaticati operai del Vangelo. Sappiano essi che il Papa li pensa, li stima, li ama e perciò li segue con la sua preghiera.

Auspicando copiose grazie divine sulle vostre fatiche e sulle comuni attese, di cuore imparto a voi tutti l'apostolica benedizione.

Data: 1984-10-20 Data estesa: Sabato 20 Ottobre 1984





Ai vescovi della Guinea in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: I cristiani cooperino a ricostruire la Guinea

Testo:

A monsignor Robert Sarah, arcivescovo di Conakry, amministratore apostolico della prefettura di Kankan e a monsignor Philippe Kourouma, vescovo di N'Zérékoré.

E' con gioia particolare che vi ricevo oggi a Roma, in occasione della visita "ad limina" che vi è ora possibile compiere in tutta serenità. A dire il vero, anche quando le comunicazioni con la Sede apostolica erano difficili, la Chiesa in Guinea ha sempre mantenuto molto fermo il suo attaccamento al successore di Pietro e, attraverso di lui, alla Chiesa universale. Oggi partecipo con voi alla gioia di vedere che le vostre comunità ecclesiali vivono di una fede pura e forte, con accresciuto fervore, con un dinamismo che esprime la partecipazione attiva dei fedeli e il loro zelo evangelizzatore, e permette di nutrire grande speranza per l'avvenire. Dio sia lodato! Questa vitalità della Chiesa in Guinea è opera della grazia di Dio che si manifesta nella debolezza, nelle prove, nonostante la povertà dei mezzi umani e materiali, quando i credenti sono coscienti che la loro forza viene da Dio e quando si consacrano con maggiore disponibilità e generosità a rispondere ai suoi appelli. Penso che anche qui si possa riconoscere il merito dei diversi membri delle vostre comunità cristiane nei tempi difficili: di voi stessi che avete preso e prendete le opportune iniziative nei confronti del popolo che vi è affidato, nell'arcidiocesi di Conakry, nella diocesi di N'Zérékoré e nella prefettura apostolica di Kankan; dei missionari e in particolare dei vostri predecessori che avevano preparato il terreno a partire dall'inizio dell'evangelizzazione; di monsignor Raymond-Marie Tchidimbo e di molti altri che hanno preso parte, anima e corpo, alle prove della nazione; dei sacerdoti e dei religiosi autoctoni che, nonostante il loro piccolo numero, hanno fatto fronte alle molteplici necessità del ministero e dell'apostolato; dei laici e in particolare dei catechisti che sono diventati gli educatori e il sostegno dei loro fratelli nella loro vita di fede e di preghiera. Di tutto ciò oggi noi vediamo i frutti e ringraziamo Dio.

Per il presente e per l'avvenire della Chiesa in Guinea, incoraggio di tutto cuore la cura che voi dedicate al risveglio e alla formazione delle vocazioni sacerdotali, nei vostri seminari minori e nel seminario maggiore di Koumi e, ora, di Bamako. Durante il periodo più difficile, molti giovani sembravano aver meglio compreso che in altri Paesi l'appello del Signore e i bisogni religiosi dei loro fratelli; e questo movimento continua. Bisogna sperare che nella popolazione della Guinea si affermi anche la fioritura delle vocazioni religiose femminili, nel quadro delle congregazioni internazionali, come quella delle suore di san Giuseppe di Cluny, e delle congregazioni locali. Dio non può mancare di accordare questa grazia al popolo fervente che l'attende e prega per questa intenzione.

La vostra Chiesa ha compiuto ammirevoli sforzi per far fronte alla mancanza di ministri ordinati e di operai evangelici; desidero ripetere qui i miei vivi incoraggiamenti ai laici che hanno preso a cuore le loro responsabilità missionarie di battezzati e confermati. Penso in particolare ai catechisti permanenti, "pilastri" della vostra Chiesa: essi hanno accettato di formarsi al loro ruolo e vi hanno consacrato le loro forze, i loro talenti e il loro tempo, nonostante la modestia delle loro risorse e le loro responsabilità familiari.

Auspico insieme a voi che tutta la comunità cristiana si unisca nel sostenerli. Ma i vostri sforzi non sono limitati a mantenere e ad approfondire la fede attraverso la catechesi. Voi vi siete impegnati anche ad aiutare le famiglie e a fare in modo che rispondano alla loro vocazione, in particolare attraverso le vostre lettere pastorali; avete avuto a cuore la promozione della liturgia; vi siete preoccupati di rispondere alle legittime richieste dell'inculturazione del messaggio evangelico, per animare e trasformare dall'interno alcuni costumi; avete voluto formare i fedeli alle diverse responsabilità ecclesiali, con la preoccupazione di testimoniare la fede cristiana a coloro che non ne partecipano ancora ma che vi sono aperti. Tutti questi sforzi sono evidentemente da proseguire e da incoraggiare in modo responsabile.

Come per il passato, la vostra forza sarà nell'unità: l'unità delle vostre comunità parrocchiali, attorno al gruppo che anima la pastorale e al consiglio d'amministrazione: l'unità della vostra comunità diocesana, attorno al vescovo - ed essa sarà facilitata dalla costituzione degli organismi conciliari, il consiglio presbiterale e il consiglio pastorale -; ma anche l'unità e la collaborazione tra le vostre diocesi per affrontare insieme i grandi problemi e testimoniare la comunione che caratterizza la Chiesa.

Il vostro Paese, dalla testimonianza stessa dei dirigenti attuali, deve far fronte a un'opera di enorme ricostruzione in tutti gli ambiti, anche se mancano mezzi materiali e personale competente. Ci vorrà molta pazienza, coraggio, dedizione disinteressata, solidarietà. Benché i cattolici costituiscano una piccola minoranza, essi si sono acquistati la stima e la fiducia di molti loro compatrioti e di coloro che attualmente hanno la grave responsabilità del bene comune. Nel rispetto delle proprie competenze e dell'indipendenza che avete saputo conservare alla Chiesa di fronte al potere temporale, è certo che i cristiani hanno il dovere particolare di cooperare attivamente alla ricostruzione del Paese, secondo le loro forze, e in un dialogo rispettoso con gli altri credenti. I bisogni sono immensi, sul piano spirituale, ma anche sul piano della sussistenza, dell'educazione e della sanità.

Senza dubbio i mezzi di cui dispone attualmente la Chiesa in Guinea per partecipare a questo servizio non sono proporzionati ai bisogni. Ma la carità dei cristiani non può sottrarsi a tali appelli pressanti. E oso sperare che la vostra Chiesa, sotto la sua stessa responsabilità, potrà beneficiare della solidarietà delle altre Chiese: la Santa Sede è pronta a farsi vostra interprete presso di loro. Penso ai religiosi e alle religiose delle congregazioni internazionali che potranno così servire il vostro Paese e la vostra Chiesa. Penso anche all'aiuto materiale che le organizzazioni caritative potranno portarvi in questo difficile periodo: posso dirvi che questi bisogni non sfuggono alla Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, e tanto meno al Pontificio consiglio "Co Unum", e spero la Caritas sappia anch'essa manifestarvi la solidarietà della Chiesa. Nello stesso tempo, non portate voi stessi alla Chiesa intera l'esempio e lo slancio della vostra vitalità e della vostra fedeltà creativa? Che il Signore continui a prodigarvi le sue grazie di luce e di forza! Da parte mia, sono lieto di incoraggiarvi e di accordarvi di tutto cuore la mia benedizione apostolica, che voi porterete a tutti i sacerdoti, le religiose, i religiosi e i laici delle vostre comunità cristiane, con i miei calorosi auguri per la pace e lo sviluppo umano e spirituale della vostra patria.

Dal Vaticano, 20 ottobre 1984

Data: 1984-10-20 Data estesa: Sabato 20 Ottobre 1984




Canonizzazione di fratel Miguel - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nella sua santità il pieno valore dell'insegnamento cattolico

Testo:


1. "Prima ancora di formarti nel grembo materno, io ti conoscevo". Queste parole del divin Creatore al profeta Geremia, che la liturgia odierna ci invita a meditare, sono pienamente valide anche per ognuno di noi, che in questa giornata missionaria siamo qui riuniti per la solenne cerimonia di canonizzazione di un figlio dell'Ecuador, fratel Miguel Febres Cordero.

Dio conosce ciascuno di noi come nessun altro potrebbe. Egli ci conosce meglio anche di chi ci ha generato. Ci conosceva prima ancora che noi esistessimo, prima ancora che fossimo concepiti. Dio ci conosce ancor meglio di quanto noi stessi ci conosciamo. E conoscendoci così intimamente e così profondamente, Dio ci previene con le sue grazie, per consentirci di far valere i doni che la sua bontà ci ha fatto e continua a farci.

I doni di Dio sono infinitamente diversi. Tocca a noi riconoscere i doni che Dio ci fa e metterli in opera per rispondere alla vocazione alla santità che si rivolge a tutti e a ciascuno.


2. Non è raro che il dono di Dio assuma la forma di una chiamata a servirlo in uno o in un altro aspetto della vita consacrata. Questa chiamata è stata rivolta ad alcuni di voi, cari fratelli e sorelle, e Dio vi ha aggiunto la grazia per ascoltarlo e dargli una risposta.

La stessa chiamata si rivolge ancora oggi a tanti altri che forse esitano o tardano a rispondervi. Lo stesso profeta, come si vede nel brano appena letto, cerco di eluderla, adducendo come motivo la sua giovinezza e la sua incapacità: "Io non so parlare, sono appena un ragazzo". Avere un giusto sentimento della propria povertà e impotenza è certamente molto lodevole, purché esso non arrivi a misconoscere il dono di Dio e l'onnipotenza della grazia.

Se è Dio che chiama, sarà lui a non far mai mancare la sua grazia a chi ascolta la sua voce con cuore docile. Il nostro nuovo santo, fin dai primi suoi anni, fu prevenuto da una grazia particolare che lo attiro, quasi irresistibilmente, a condividere la vita dei suoi insegnanti religiosi, i Fratelli delle scuole cristiane, che pochi anni prima erano giunti in Ecuador.

Più di uno tra i membri della sua famiglia credette doveroso di opporsi a questo progetto. Il giovane Francesco dovette subire più di un rifiuto, poi, per diversi anni, fu costretto a sopportare un atteggiamento di estrema freddezza da parte di suo padre, che pure era un sincero cristiano.

Ma il giovane Miguel non dubito neanche un istante della chiamata divina. "Vi assicuro alla presenza di Dio e senza alcun rispetto umano - scriveva - che io mi credo chiamato nell'istituto dei Fratelli delle scuole cristiane e che in nessun altro stato io mi sentiro al mio vero posto come li. Vogliate comunicare questi sentimenti a mio padre. Se egli desidera davvero la mia felicità, cioè la mia felicità eterna, mi lasci seguire la strada che il buon Dio mi ha tracciato".


3. Fedele fin dal principio alla chiamata di Dio, san Miguel Febres Cordero lo sarà senza la minima esitazione durante i quarant'anni della sua vita religiosa e apostolica; e Dio, come aveva promesso al profeta, "mise le sue parole sulla sua bocca" aprendogli la strada del cuore di chi lo avvicinava.

I suoi confratelli ed ex alunni - tra i quali vari sacerdoti e alunni vescovi - hanno fatto a gara per testimoniare quanto quest'uomo umile e dolce si rivelo capace di commuoverli e di trascinarli al bene. Egli parlava dei principali misteri della nostra religione con l'accento di un cristiano profondamente convinto.

I più anziani, giunti al termine della loro vita, rievocavano commossi l'insegnamento che fratel Miguel aveva dato loro decine di anni prima. Egli non esito mai a presentare un cristianesimo impegnativo ed esigente ai giovani che andavano a lui. Come aveva già fatto san Paolo con i suoi cari Corinzi, egli "predicava Gesù crocifisso".

Il crocifisso presiedeva a tutta la sua esistenza e a tutte le sue occupazioni: in classe, al suo tavolo di scrittore, come anche in cappella e nei locali della comunità, i suoi sguardi si affiggevano spesso all'immagine del divino Crocifisso.

Ai ragazzi che, durante il loro ritiro spirituale, si preparavano alla confessione, egli faceva contemplare il Cristo in croce, mostrando loro le sue piaghe e sottolineando che esse erano state sofferte in espiazione dei peccati. E questi giovani, dall'animo profondamente sensibile, non resistevano mai all'unzione delle sue parole. Diversi testimoni assicurarono che molti giovani erano commossi fino alle lagrime e lasciavano la scuola senza dir parola, visibilmente addolorati al ricordo delle sofferenze del Salvatore.


4. Fratel Miguel - anima eletta che non risparmio sforzi nella sua consegna a Dio e ai fratelli - lascio un ricordo imperituro tra coloro che lo conobbero.

Ventisette anni dopo il suo passaggio da questo mondo alla casa del Padre i suoi resti mortali furono ricevuti con grande emozione e giubilo nel suo Paese natale, l'Ecuador. Là si mantengono sempre vivi l'ammirazione e l'affetto verso questo figlio della Chiesa, gloria anche della sua patria.

Oggi, giornata missionaria, la sua glorificazione è motivo di nuovo giubilo per la Chiesa universale. Essa, come la Chiesa in Ecuador, guarda a san Miguel Febres Cordero, apostolo della scuola, che fu anche un missionario esemplare, un evangelizzatore dell'America Latina, come ho ricordato alcuni giorni fa, inaugurando la novena preparatoria al V centenario dell'evangelizzazione dell'America (discorso al Celam, Santo Domingo, 12 ottobre 1984).

Con gioia rivolgo dunque il mio cordiale saluto alla delegazione ufficiale giunta dell'Ecuador, a tutti i Fratelli delle scuole cristiane e, in particolare, agli ecuadoriani venuti per assistere a questa solenne cerimonia.

Prego l'Altissimo che, per intercessione di san Miguel Febres Cordero, effonda l'abbondanza dei suoi doni su tutti gli amati figli della nazione ecuadoriana che, con l'aiuto di Dio, spero di visitare prossimamente. E che conceda a tutti i suoi fratelli religiosi nuovo impulso, gioia ed entusiasmo, per continuare fedelmente il cammino che, seguendo Cristo, è stato ammirevolmente tracciato da questo buon figlio di san Giovanni Battista de la Salle e della Chiesa. così sia.

Data: 1984-10-21 Data estesa: Domenica 21 Ottobre 1984




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Chiesa con gratitudine accanto ai suoi missionari

Testo:


1. "In mezzo ai popoli narrate la gloria del Signore" (cfr. Ps 95,3). così canta oggi la Chiesa nella liturgia di questa domenica. Con queste parole, in pari tempo - nell'odierna giornata missionaria - parla a tutti i suoi figli e figlie che collaborano al servizio missionario in tutti i luoghi della terra.

Ecco, mediante questo servizio, "in mezzo ai popoli narrano la gloria del Signore". La Chiesa pensa oggi con una particolare gratitudine a tutti i missionari e a tutte le missionarie, come a tutte le persone e istituzioni che aiutano le missioni in tutto il mondo. La Chiesa lo esprime con le parole dell'Apostolo delle genti: "Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo" (1Th 1,2-3).


2. Insieme col ringraziamento, voglio esprimere il mio più caldo incoraggiamento a tutti i missionari sacerdoti, religiosi, religiose e laici - a proseguire e allargare la loro opera, che è essenziale alla Chiesa poiché adempie a uno dei più espliciti e pressanti mandati del Signore. In tale loro azione generosa, essi quindi devono sentirsi più che mai garantiti dall'appoggio dell'autorità della Chiesa e guidati dalla forza dello Spirito Santo.

Nel mese del Rosario la Chiesa raccomanda il lavoro dei missionari a Maria, presente nel cenacolo della Pentecoste. E insieme chiede da colei che è beata per aver creduto (cfr. Lc 1,45) la benedizione e l'intercessione per l'opera universale della propagazione della fede, che ha il suo inizio nella discesa dello Spirito Santo.


3. "Date al Signore, o famiglie dei popoli, date al Signore gloria e potenza" (Ps 95,7). Oggi la Chiesa gioisce perché il beato Miguel Febres Cordero è stato portato alla gloria degli altari. Nella canonizzazione di questo santo, figlio dell'Ecuador nell'America Latina e membro della congregazione dei Fratelli delle scuole cristiane, la Sede di san Pietro "rende gloria a Dio" e confessa la potenza della redenzione di Cristo che genera i santi.

Quella di san Miguel è stata in modo particolare la santità del maestro di scuola; della scuola cattolica. Per questo, contemplando la sua figura, vediamo nuovi motivi per esaltare il valore della scuola cristiana, e lodare tutte le scuole cattoliche che sono impegnate nel formare cittadini onesti e preparati, nonché figli fedeli della Chiesa pronti e capaci di rendersi strumenti attivi della sua missione catechetica ed evangelizzatrice. A tutte le scuole cattoliche e a ogni catechista intendo proporre l'esempio luminoso del santo fratel Miguel.

Invochiamolo, perché la sua celeste intercessione possa guidare e sostenere le varie e multiformi opere scolastiche della Chiesa, sparse nel mondo, affinché esse, secondo il carisma proprio di ciascuna, sappiano annunciare con efficacia pastorale e culturale l'amore salvifico di Dio padre per il mondo.

[Recitato l'Angelus il Santo Padre ha detto:] Mi è gradito riferirmi oggi all'intesa raggiunta giovedi scorso tra le due care nazioni dell'Argentina e del Cile, con l'assistenza mediatrice della Santa Sede, nell'annosa controversia che esisteva fra di esse sulla Zona australe. Insieme alla saggezza dimostrata dalle autorità dei due Paesi per la soluzione della vertenza è bene rilevare anche l'opera efficace svolta dai loro delegati, i quali hanno saputo salvaguardare i veri interessi dei rispettivi popoli e, in pari tempo, sono stati sempre disponibili nella ricerca dell'accordo. Preghiamo il Signore affinché quest'opera di pace apra nuove prospettive all'amicizia e alla cooperazione tra le due nazioni sorelle, di profonda tradizione cattolica, che benedico di tutto cuore.

Rivolgo il mio saluto a tutti i pellegrini venuti per la canonizzazione di fra Miguel Febres Cordero. In particolare il mio saluto va al folto gruppo di genitori, docenti e alunni della scuola cattolica del Lazio, qui convenuti grazie all'opera organizzativa della Fidae - Federazione istituti di attività educative - una benemerita associazione che accoglie nel suo seno molte scuole e istituti di ispirazione cattolica. A tutti i miei voti augurali e la mia benedizione.

Motivo di profonda sofferenza sono i sequestri di persona, che purtroppo continuano a ripetersi. Penso con trepidazione alle tremende condizioni in cui si trovano i rapiti e all'angoscia dei loro familiari. Desidero assicurarli che li ricordo nella preghiera e invito tutti a supplicare il Signore perché cessino questi fatti di violenza, indegni dell'uomo. Oggi intendo elevare un appello a favore di Giorgio Molinari, il medico dentista di San Martino Spino di Mirandola, sequestrato nel marzo scorso senza che fino ad oggi siano giunte notizie a suo riguardo. Che Iddio induca finalmente i rapitori ad un gesto di umanità.

Saluto ora cordialmente tutti i pellegrini di lingua spagnola che sono presenti a questo atto di preghiera in onore della Vergine Santissima. Saluto in modo particolare coloro che sono venuti per la canonizzazione di fratel Miguel Febres Cordero. Tra di loro sono particolarmente numerosi gli ecuadoriani, giustamente orgogliosi di vedere innalzato un figlio della loro patria, gloria della Chiesa e dell'Ecuador. Che il suo esempio sia fecondo di frutti di vita cristiana. Vi benedico tutti di cuore.

Data: 1984-10-21 Data estesa: Domenica 21 Ottobre 1984




Ai vescovi dell'Ecuador in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Liberazione integrale dell'uomo premessa di giustizia e pace

Testo:

Signor cardinale, venerabili fratelli nell'episcopato.


1. E' per me motivo di gioia profonda avere questo incontro globale con voi, pastori della Chiesa che in Ecuador è in pellegrinaggio verso il Padre. Facendovi voi stessi pellegrini, siete qui convenuti per realizzare la visita "ad limina apostolorum". Siate dunque benvenuti a questo incontro a Roma che, con il suo significato ecclesiale, costituisce un esempio e una fonte di arricchimento spirituale per i vostri fedeli, che in questi luoghi santificati dalla testimonianza degli apostoli Pietro e Paolo vedono il centro dell'unità di tutti coloro che professano la medesima fede in Cristo, da essi predicata.

E' questo un incontro che soprattutto contribuisce a confermare il vostro sentimento di comunione con la Sede di Pietro "principio e fondamento visibile dell'unità" (LG 23), e con gli altri vescovi del mondo, affinché si incrementino sempre più la solidarietà e l'unione ecclesiale. In questo spirito, desidero analizzare con voi alcuni punti che, dalla vostra visita "ad limina" di cinque anni fa, costituiscono progressi degni di lode, altri che incarnano sforzi pastorali meritevoli di incoraggiamento e altri, infine, che implicano problemi e richiedono opportune riflessioni e iniziative.


2. Dalle informazioni sulla situazione delle vostre diocesi si può constatare che la Chiesa in Ecuador ha preso molto sul serio il tema dell'evangelizzazione trattato nella Conferenza di Puebla. Ha prestato particolare attenzione alla valorizzazione dottrinale e pastorale della religiosità popolare, come base per condurre il popolo a una migliore educazione nella fede mediante un'intensa azione evangelizzatrice e catechetica.

Le vostre diocesi stanno impegnando a fondo le loro energie in questo compito. E il documento sulle opzioni pastorali, elaborato come applicazione concreta delle direttive del documento di Puebla, è un deciso e unanime impegno d'azione in questa linea.

Evangelizzazione e catechesi sono la preoccupazione prioritaria vostra e dei vostri sacerdoti tra i quali vi sono ammirevoli esempi di dedizione e di zelo; lo sono anche per un numero crescente di comunità religiose che collaborano efficacemente a questo compito insieme ai parroci; lo sono per un numero maggiore di laici che si impegnano generosamente in questo apostolato, come catechisti e animatori di comunità cristiane, in luoghi distanti dai centri parrocchiali.

In tutte le diocesi e circoscrizioni missionarie si sono avuti in questo senso significativi progressi per i quali vi esprimo la mia profonda gioia e il mio incoraggiamento.


3. Per potenziare questo lavoro in tutti i settori e gli ambienti sociali, la Chiesa in Ecuador aveva bisogno dell'aiuto, oggi imprescindibile, dei mezzi di comunicazione sociale. Tra questi mezzi, quello che in Ecuador è preminente è la radiodiffusione. perciò la Conferenza episcopale ecuadoriana ha compiuto un grande sforzo per fare assegnamento su questo strumento di evangelizzazione, di cultura e di formazione della coscienza sociale a livello nazionale. Grazie a Dio è già in funzione la Radio cattolica nazionale che, per l'alta qualità tecnica dei suoi equipaggiamenti è considerata una delle migliori del Paese; nello stesso tempo, si sta facendo in modo che lo sia anche per il contenuto della sua programmazione. In questo modo la Conferenza episcopale ha colmato anche una pericolosa breccia che in questo campo era stata prodotta dall'attività di altri enti radiofonici. Sono certo che questa iniziativa tanto lodevole produrrà abbondantissimi frutti per la Chiesa e per la società ecuadoriana.


4. Fino a poco tempo fa, alcune correnti politiche che erano riuscite a far prevalere in Ecuador i principi laicisti della rivoluzione liberale del secolo scorso escludevano la Chiesa da alcuni campi e ambienti della vita sociale, la qual cosa le impediva, per esempio, di organizzare stabilmente l'assistenza religiosa per i servitori dell'ordine pubblico. La Chiesa è riuscita a superare ora la situazione passata che è durata quasi un secolo. Si è così arrivati all'erezione del vicariato castrense, con l'accordo tra la Santa Sede e il governo ecuadoriano, che è stato ratificato all'unanimità dalla Camera dei rappresentanti.

Sarà vostro compito ora attuare un'evangelizzazione anche di questo ambiente, in uno spirito di educazione alla pace, all'amore e al rispetto fraterno, così come alla coscienza della moralità e del servizio insegnati dal Vangelo.


5. Tra gli sforzi pastorali che desidero incoraggiare vi è in primo luogo la cura dei sacerdoti, della vita consacrata e delle vocazioni. So che la Conferenza episcopale non ha risparmiato energie per superare la situazione del passato.

Negli ultimi cinque anni si è verificato un progressivo risveglio delle vocazioni ecclesiali e si è dato l'avvio con ottimismo a una rinnovata pastorale vocazionale. E' soddisfacente constatare ora l'aumento non soltanto del numero dei candidati al sacerdozio ministeriale, ma anche del numero dei seminari maggiori, grazie all'impegno dei pastori per stabilire il loro centro di formazione sacerdotale. Questa sollecitudine pastorale è degna di ogni incoraggiamento, purché si compiano le condizioni per la creazione e il funzionamento dei seminari stabilite dalla "Ratio institutionis sacerdotalis" della Congregazione per l'educazione cattolica e del nuovo Codice di diritto canonico.

Sono lieto di constatare a questo proposito che avete raccolto accuratamente queste norme in un vostro documento di applicazione all'Ecuador.

Sarà ora necessario vigilare sul suo esatto adempimento in ogni nuovo seminario che si è istituito o che si vuole istituire. Senza dubbio è di decisiva importanza che si possa contare su superiori ben preparati e uniti fraternamente nel loro importantissimo compito di formazione spirituale, pastorale e umana dei seminaristi. Come è necessario anche che si possa contare su un corpo insegnante non improvvisato, ma debitamente qualificato a impartire in modo adeguato la formazione dottrinale, e sufficiente per il numero indispensabile di cattedre da istituire.


6. Voi sapete bene quanto arduo e doloroso è stato per la Chiesa ecuadoriana il cammino che lungo tutto questo secolo essa ha dovuto percorrere per salvaguardare il diritto delle famiglie e della Chiesa all'educazione cristiana a tutti i livelli, dalla scuola elementare fino all'università. Mi rallegra particolarmente che si sia posto tanto impegno nel fare in modo che la legge per l'educazione superiore non attenti contro il diritto dell'Università Cattolica a conservare la propria identità.

Rimane tuttavia molto da compiere in questo campo di importanza tanto vitale per l'avvenire dell'Ecuador. Si tratta di attuare un'educazione dei bambini e dei giovani che, basandosi sulla fede, sia in grado di realizzare la formazione integrale dell'uomo alla quale deve aspirare. Penso che il felice evento della recente canonizzazione del santo fratel Miguel Febres Cordero - vero esempio di cristiano e di cittadino - sia un richiamo che conferma la Chiesa in Ecuador in un compito realizzato finora con immenso sacrificio, e la invita a proseguirlo con rinnovata sollecitudine. E questo non soltanto a beneficio della Chiesa, ma della stessa comunità civile, che può ricevere solo benefici da una maggiore solidità culturale e morale delle sue giovani generazioni.


7. In Ecuador, come in altre nazioni dell'America Latina, è diventata più grave e conflittuale la questione sociale che nasce dall'allarmante contrasto tra la crescente ricchezza di alcuni e la crescente povertà di altri nella stessa società. So che la Conferenza episcopale ecuadoriana è stata ed è particolarmente sensibile all'andamento di questa gravissima questione, come confermano le direttive indicate nel suo documento sulle Opzioni pastorali.

Sono lieto di constatare che la Chiesa in Ecuador dedica al servizio dei gruppi umani più provati dalla miseria economica una parte scelta del suo personale, e che rende una fraterna testimonianza di carità apostolica e sociale nei sobborghi urbani, in numerose località rurali della costa e dell'interno, e nei territori missionari delle foreste. Il fenomeno delle inondazioni di intere popolazioni e di importanti settori agricoli, avvenuta nel 1983, ha dimostrato la capacità raggiunta dalla Chiesa in Ecuador di volgersi in aiuto dei poveri. E le campagne quaresimali intraprese con il tema "Munera" stanno facendo in modo che un autentico messaggio sociale, fondato sul Vangelo e il magistero della Chiesa, cominci a penetrare nella coscienza nazionale.

Tutto questo è motivo di profonda soddisfazione. Ma il problema ecuadoriano della giustizia sociale come fondamento della pace, raggiunge dimensioni tali che tutto può sembrare insufficiente a risolverlo. Senza dubbio, la vastità del problema non deve scoraggiare la Chiesa, ma deve stimolarla ad accumulare nuove energie e a creare forme rinnovate di azione pastorale sociale, per compiere anche in questo campo la sua specifica missione. Desidero sottolineare che si tratta di compiere la missione specifica della Chiesa, la quale non si identifica con la missione dello Stato, il cui fine è precisamente il bene comune temporale. Si tratta per la Chiesa della missione che le compete di essere in primo luogo sacramento di salvezza in Cristo, di annunciare la buona novella ai poveri e cercare per tutti gli uomini la liberazione integrale, innanzitutto dal peccato. Questo è il massimo servizio al fratello "che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente" (Puebla, 1145).


8. Il compito apostolico dell'evangelizzazione e della promozione umana, assunto con particolare impegno e fervore come attuazione concreta dell'opzione preferenziale per i poveri, trova uno spazio che sembra estendersi sempre più nelle comunità ecclesiali di base. I vescovi dell'Ecuador, per parte loro, dall'assemblea di Puebla, hanno optato per questo criterio pastorale, decidendo di promuovere la formazione di queste comunità nelle loro diocesi e parrocchie, in accordo con le direttive contenute nell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" (EN 58).

E' senza dubbio un punto che richiede sollecita attenzione e vigilanza.

Il movimento dottrinale e pastorale al quale si è riferita la Congregazione per la dottrina della fede nel suo documento su "Alcuni aspetti della "teologia della liberazione"", conferisce peculiare importanza alla formazione delle comunità ecclesiali di base; ma, anche, pone su di esse peculiari questioni di ordine cristologico, ecclesiologico e antropologico.

Da questo fatto può nascere una situazione delicata per i pastori e i fedeli. Vi sono senza dubbio comunità ecclesiali di base orientate verso obiettivi, che si possono raggiungere mantenendo una reale e sincera comunione con la gerarchia; in tal caso non esistono motivi di preoccupazione. Ma vi sono anche comunità orientate verso obiettivi che si possono forse raggiungere in un quadro globale di ispirazione e di fede o di buona volontà, ma senza tutta la debita comunione leale ed effettiva con la Chiesa istituzionale, giudicata talvolta come avversaria nella causa della liberazione delle masse oppresse.

A questo proposito bisogna ricordare con chiarezza che la promozione di comunità ecclesiali di base polarizzate su quest'ultima linea ecclesiologica, che accentuano unilateralmente la dimensione sociale dell'evangelizzazione o fomentano una "Chiesa del popolo povero" contrapposta alla Chiesa istituzionale, minano l'unità della Chiesa di Cristo e si collocano ai suoi margini. Contengono perciò un serio pericolo che bisogna evitare ad ogni costo.

La Chiesa in Ecuador, grazie a Dio, ha mantenuto in generale una linea di equilibrio nell'attuazione dell'opzione preferenziale per i poveri, accettando la legittima varietà delle iniziative e delle diverse forme di azione pastorale in questo campo, e conservando nello stesso tempo la sua unità profonda. Ma è necessario rimanere vigilanti, per non esporla a fermenti di divisione.

perciò la Conferenza episcopale deve gestire il coordinamento delle comunità ecclesiali di base, assumendo la responsabilità delle iniziative di evangelizzazione e di promozione umana che, in seno ad esse, si realizzano in favore dei poveri.


9. Il popolo ecuadoriano ha ereditato dai suoi antenati un bene spirituale di valore incomparabile: il bene della sua unità cattolica. Fino a pochi decenni fa si poteva avere una certa sicurezza che la conservazione di questo bene inestimabile non sarebbe stata intaccata sostanzialmente dall'attuale campagna proselitista di sette, intrapresa per separare i cattolici, se possibile, in massa, dalla Chiesa.

Oggi, purtroppo, il progressivo abbandono della fede ha già portato il dramma profondo della disunione nelle famiglie che non avevano altro battesimo che quello della Chiesa cattolica, e anche in alcune comunità indigene. Di fronte a ciò, è venuto il momento di una nuova creatività di iniziative pastorali per far fronte a questo grave pericolo. E' necessario esaminare seriamente le motivazioni di fondo di questo fenomeno, per vedere se nel modo di vivere la fede, di proporre l'apostolato, di aprire canali di fraternità e generosità verso i bisognosi, possiamo offrire nuovi obiettivi e metodi che soddisfino meglio i desideri e le aspirazioni dei fedeli.


10. Cari fratelli, prima di concludere questo incontro desidero incoraggiarvi nel vostro difficile compito. Cristo è con voi e accoglie il vostro sforzo. Che questo vi incoraggi sempre nel vostro impegno ecclesiale. E che così possiate ispirare speranza e ottimismo nei vostri sacerdoti, famiglie religiose, collaboratori nell'episcopato e fedeli.

Portate a tutti - specialmente ai membri delle vostre comunità indigene - il saluto e il ricordo del Papa che guarda già pieno di speranza alla prossima visita nel vostro Paese, che si unisce nella preghiera alla Madre santissima di Quinche e che di cuore vi benedice tutti.

Data: 1984-10-23 Data estesa: Martedi 23 Ottobre 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Ai funzionari di Pubblica sicurezza di Vienna - Città del Vaticano (Roma)