GPII 1984 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)


1. "Udii il numero ai coloro che furono segnati con il sigillo" (Ap 7,4). Queste parole del libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo si trovano nell'odierna liturgia.

Nella solennità di Tutti i santi la Chiesa su tutta la terra venera coloro nei quali la salvezza si è compiuta in modo definitivo. Sono quelli che - secondo l'Apocalisse di san Giovanni - "gridavano a gran voce: la salvezza appartiene al nostro Dio... e all'Agnello" (Ap 7,10). Sono, infatti, segnati col sangue dell'Agnello. Portano in sé il sigillo della redenzione, che è la sorgente della vita e della santità.

"Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro" (1Jn 3,3). Dio è santo: tre volte santo, infinitamente santo. E chiama gli uomini alla santità.

Oggi la Chiesa gioisce di tutti coloro che hanno portato a pienezza questa vocazione, di coloro che partecipano per sempre alla santità di Dio.


2. Sgorga perciò ancora, dal profondo del cuore, la preghiera che oggi si leva al cielo in questa solennità: "O Dio onnipotente ed eterno, che doni alla tua Chiesa la gioia di celebrare in un'unica festa i meriti e la gloria di Tutti i santi, concedi al tuo popolo, per la comune intercessione di tanti nostri fratelli, l'abbondanza della tua misericordia".


3. Recitando l'Angelus ci rivolgiamo in modo particolare a colei che la Chiesa venera come Regina di Tutti i santi: "Benedetta tu sei fra le donne! Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo (Lc 1,42 Lc 1,35).

In te desideriamo adorare, nel grado più alto, Dio, per il dono della santità offerto agli uomini in Gesù Cristo. Anche tu degnati di presiedere alla nostra preghiera per i defunti, con la quale la Chiesa completa, in un certo senso, la gioia della solennità di Tutti i santi.

[Al termine dell'Angelus:] Il pensiero si porta fino da oggi ai defunti, che ci prepariamo a ricordare con preghiere e suffragi nel giorno a loro specialmente dedicato. Il pomeriggio mi rechero a celebrare la messa per essi al cimitero del Verano. Chiediamo al Signore che si degni di accogliere le loro anime fra quella "moltitudine immensa" (Ap 7,9), a cui la liturgia odierna ci invita a sollevare lo sguardo.

Una particolare, accorata preghiera vi esorto a rivolgere al Signore per tutti i morti a causa della violenza. Sono molti purtroppo, e in molte regioni del mondo! Il cuore è oppresso al pensiero di tanto sangue umano versato, di tante sofferenze, di tante lacrime. Anche questi ultimi giorni sono stati funestati da alcune notizie luttuose: penso alla signora Indira Gandhi, primo ministro dell'India, assassinata ieri a Nuova Delhi; penso al sacerdote polacco Jerzy Popieluszko, la cui tragica fine ha commosso il mondo; penso alle persone che hanno trovato la morte nelle recenti agitazioni in Cile, alle vittime della repressione nel Sud Africa e a tutte le numerose vittime della violenza in tanti altri Paesi del mondo. Iddio grande e misericordioso dia pace alle loro anime immortali, e conceda ai vivi di comprendere che, non con la violenza ma con l'amore, si costruisce un futuro degno dell'uomo.

Data: 1984-11-01 Data estesa: Giovedi 1 Novembre 1984




Omelia al cimitero del Verano - Roma

Titolo: La morte apre all'uomo la dimensione della vita eterna

Testo:


1. "Del Signore è la terra e quanto contiene" (Ps 23,1). Del Signore è l'universo. Egli è il suo creatore. In mezzo a questo universo è la nostra terra e in essa l'uomo creato a immagine di Dio. Creato come maschio e femmina.

All'uomo disse il Creatore: "Riempite la terra; soggiogatela" (Gn 1,28).

Lungo la sua storia, l'uomo riempie la terra e la soggioga. Tuttavia l'uomo, al tempo stesso, soccombe alla terra. Le soccombe mediante la morte. Ne testimoniano tutti i cimiteri del mondo. Ne testimonia anche questo cimitero romano, Campo Verano. L'uomo torna alla terra dalla quale è stato tratto (cfr. Gn 3,19).

Oggi, e ancor più domani, la Chiesa medita il mistero della morte che è la comune sorte dell'uomo sulla terra.


2. Eppure: la terra appartiene al Signore! "Del Signore è la terra e quanto contiene". può colui che è stato creato a immagine di Dio stesso, appartenere in modo definitivo alla terra? Soltanto ed esclusivamente alla terra? può essa sola rimanere il suo destino? Tutto deve terminare col fatto che l'uomo torna in polvere? Questo cimitero nel quale ci troviamo - tutti i cimiteri del mondo - nascondono in sé questa grande, eterna domanda. Se la terra è di Dio, può non essere di Dio, a maggior ragione, colui che è stato creato sulla terra come l'immagine di Dio e la sua somiglianza?


3. Nell'odierna liturgia parla l'apostolo Giovanni, che nella sua prima Lettera scrive: "Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui" (1Jn 3,1).

L'uomo: realmente figlio di Dio. Adottato come figlio nell'eterno Figlio unigenito, Verbo incarnato. Quest'uomo, al quale la terra sembra togliere definitivamente, mediante la morte, la sua umanità, rendendolo "polvere", questo stesso uomo, se morto nella grazia di Cristo, porta in sé contemporaneamente la realtà della vita indistruttibile: della vita divina! Il nostro cimitero romano - tutti i cimiteri del mondo - nascondono al tempo stesso questo mistero: ecco i figli di Dio, i figli e le figlie nell'eterno unigenito Figlio, che nel tempo divenne uomo: uno di noi. Per opera dello Spirito Santo nacque dalla Vergine, mori sulla croce e risuscito da morte.

Questo cimitero - tutti i cimiteri del mondo - partecipano alla croce e alla risurrezione di Cristo. La terra è stata visitata dal mistero del Figlio di Dio. La terra è stata visitata dal mistero della redenzione. La morte non ci toglie l'umanità per farla "polvere della terra". La morte ci restituisce a Dio in Gesù Cristo.


4. "Noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo pero che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1Jn 3,2).

Viviamo nell'economia della divina rivelazione. Dio ha parlato a noi nel suo Figlio unigenito. Dio, per mezzo di questo Figlio, compie in noi il mistero della figliolanza che è una vita nuova. La vita eterna.

La morte chiude e termina irrevocabilmente la vita di ciascuno di noi.

Qui finisce tutta la conoscenza che ricaviamo dal mondo. Ma la rivelazione continua. "ciò che saremo non è stato ancora rivelato". Con la morte si apre per l'esistenza umana la dimensione dell'eternità. ciò che l'uomo porta nell'immagine e nella somiglianza di Dio, ritrova il suo "prototipo": "Lo vedranno così come egli è".


5. Noi guardiamo quindi questo cimitero romano - tutti i cimiteri del mondo - come il luogo della morte dell'uomo: "è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta" (He 9,27). Al tempo stesso, questo è un luogo dove gli uomini, nostri fratelli e sorelle, salgono davanti al cospetto del Signore. Il luogo in cui parla la giustizia e la misericordia, il luogo del giudizio.

"Chi salirà il monte del Signore / chi starà nel suo luogo santo? / Chi ha mani innocenti e cuore puro... / Egli otterrà benedizione dal Signore, / giustizia da Dio sua salvezza" (Ps 23,4-5).

"E' stabilito che gli uomini muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio" (He 9,27).


6. Ed ecco - in questo giorno dedicato in tutta la Chiesa in modo particolare alla preghiera per i morti - noi che siamo ancora pellegrini in questo mondo, ci uniamo a tutti coloro che già se ne sono andati, che riposano in questo cimitero romano - e in tutti i cimiteri del mondo - "Ecco la generazione che lo cerca, / che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe" (Ps 23,6). Che sia dato loro di vedere questo volto. Che lo vedano "così come egli è"! Che si compia in loro, in tutta la sua pienezza, la rivelazione iscritta nell'immagine e nella somiglianza di Dio!


7. Tale è la nostra preghiera nel giorno di Tutti i santi, la nostra preghiera nel giorno dei morti. Preghiera di intercessione. E, insieme, preghiera di lode.

Benedetto sii, Signore, perché tua è la terra e quanto contiene.

Benedetto sii, perché l'uomo non appartiene, in definitiva, alla terra, perché non è sottomesso ad essa, perché in te ha l'eternità!

Data: 1984-11-01 Data estesa: Giovedi 1 Novembre 1984




Saluto alla comunità, al Sacro Monte - Varese

Titolo: San Carlo maestro e ispiratore per i cristiani d'oggi

Testo:

Signor cardinale, autorità tutte e cari cittadini qui convenuti!


1. Sono lieto di iniziare il mio pellegrinaggio ai luoghi legati alla memoria di san Carlo Borromeo, nel quarto centenario della sua morte, da questo Sacro Monte, che è il luogo più significativo per natura, arte, storia e religione di Varese, e che col suo santuario e con le sue cappelle, dedicate ai misteri del santo Rosario, è meta di numerosi pellegrini.

Porgo il mio saluto cordiale all'arcivescovo di Milano, cardinale Carlo Maria Martini, al signor sindaco e al rappresentante del governo e li ringrazio per le loro parole di benvenuto; saluto con speciale pensiero anche l'arciprete di Santa Maria del Monte, monsignor Pasquale Macchi, le autorità presenti, il clero, i religiosi e le religiose della città di Varese e dei luoghi circonvicini, e rivolgo il mio saluto riconoscente a tutti voi che siete qui convenuti e all'intera popolazione di Varese e del Varesotto.

Ho sentito la necessità di compiere questo pellegrinaggio straordinario, sia per onorare san Carlo, vero gigante nella storia della Chiesa, sia per ritornare alle fonti della sua vita e del suo insegnamento, termine di confronto valido per la vita cristiana di oggi. Infatti la personalità di san Carlo è incancellabile dalla Chiesa: già durante la breve esistenza - una vita di appena 46 anni, di cui una ventina trascorsi come arcivescovo di Milano - ma soprattutto dopo la scomparsa, l'influsso del suo esempio e del suo metodo pastorale si sparse con profonda efficacia per tutta la Chiesa, orientando nell'applicazione dei decreti del Concilio di Trento in un periodo particolarmente difficile e contrastato, tanto che egli fu ritenuto la figura più eminente della Riforma cattolica.

Egli ci è tuttora maestro, guida, ispiratore. Giustamente è stato detto che "sono più vantaggiosi per il mondo quelli che pregano che quelli che combattono" (Juan Donoso Cortes) e che "la Chiesa non ha bisogno di riformatori, ma di santi" (Georges Bernanos)! Ebbene, san Carlo proprio ai cristiani di oggi ricorda le verità supreme ed eterne, che Cristo è venuto a rivelarci e che la Chiesa insegna; anche alla società moderna egli ribadisce che, se si cancella la fede in Dio, viene a spegnersi fatalmente anche la speranza.

San Carlo esorta e insegna a pregare e ad impegnarsi seriamente nell'opera della santificazione personale.


2. Iniziando il mio itinerario spirituale con la recita del Rosario lungo il pendio di questo monte in cui tutto ci parla della Vergine santissima, voglio sottolineare una delle caratteristiche principali di san Carlo, e cioè la sua devozione mariana. Come sapete, la tradizione dice che sant'Ambrogio si recava spesso su questo monte per pregare, all'epoca delle lotte contro gli Ariani, e che qui avrebbe fatto edificare un altare dedicato a Maria. Il santuario di Santa Maria del Monte è molto posteriore: i documenti circa i pellegrinaggi risalgono al secolo XII, e l'epoca aurea si ebbe nel 1500 con la fondazione del monastero annesso, per opera delle beate Caterina e Giuliana.

San Carlo vide in questo luogo benedetto un segno speciale della protezione di Maria su queste terre e una difesa contro le eresie del tempo; promosse l'antica pratica dei pellegrinaggi, purificandoli da alcuni disordini e abusi; volle che all'ora del vespro si recitasse ogni sera la "Salutazione angelica" e si cantasse la "Salve Regina"; venne qui più volte pellegrino, e con la visita pastorale compiuta nel 1574 porto un radicale mutamento nella situazione del clero e nella legislazione del monastero delle Romite ambrosiane, affinché sempre più e sempre meglio il santuario fosse per i fedeli fonte di grazie divine e stimolo alla perfezione.

Dopo la sua morte, sorse questo complesso mirabile: infatti nel 1605, a opera del padre cappuccino Gian Battista Aguggiari, della badessa Tecla Maria Cid e dell'architetto Giuseppe Bernasconi, e con l'approvazione e la promozione del cardinale Federico Borromeo si diede inizio alla costruzione delle quattordici cappelle del santo Rosario, che, intervallate da tre archi, uno dei quali è dedicato a san Carlo, portano dolcemente lungo il viale al santuario, permettendo così la preghiera e la meditazione dei misteri della vita di Cristo. La costruzione del Sacro Monte sopra Varese fu certamente ispirata dalla devozione a Maria di san Carlo: essa richiese praticamente quasi un secolo di lavoro (1605-1690) e fu opera di tutto il popolo; mirabile monumento di architettura, di scultura, di pittura, esso è espressione di viva e profonda religiosità cristiana e mariana.


3. Da questo luogo così suggestivo e così mistico, dobbiamo ricavare il prezioso insegnamento di san Carlo circa la devozione a Maria. Egli che - come scrive il suo primo biografo Carlo Bascapè - ogni giorno recitava in ginocchio l'Ufficio divino e quello della beatissima Vergine e che in qualsiasi posto si trovasse, anche fangoso, si inginocchiava per terra, quando sentiva il suono dell'Angelus, esorta pressantemente alla devozione e all'imitazione di Maria, per essere cristiani autentici e coerenti, in una prospettiva soprannaturale e ultraterrena della vita. Meditando sull'annuncio dell'angelo, egli diceva: "Rallegrati anche tu, o anima, rallegrati del mistero, rallegrati con le parole della Madre, che è regina e maestra del genere umano: "Magnificat anima mea Dominum". Anche la nostra anima magnifichi il Signore; lo anteponga ad ogni cosa; non tenga in alcun conto onori, ricchezze, vantaggi del mondo, piaceri; esulti in Dio nostro Salvatore.

Ogni altro godimento non vale nulla. Riflettiamo che Dio ama l'umiltà, che gli umili sono innalzati, che nulla è più alto dell'umiltà".

Veramente Maria è regina e maestra del genere umano e ci insegna la fiducia in Cristo e nella Chiesa, l'impegno nella carità, lo zelo apostolico, lo spirito di mortificazione, l'attesa del paradiso. Certamente - come scrisse nella "Marialis Cultus" (n. 57) Paolo VI, che fu molte volte pellegrino a questo santuario come arcivescovo di Milano - "Cristo è la sola via al Padre; Cristo è il modello supremo, al quale il discepolo deve conformare la propria condotta, fino ad avere gli stessi suoi sentimenti, vivere della sua vita e possedere il suo spirito... Ma la Chiesa riconosce che anche la pietà verso la beata Vergine, subordinatamente alla pietà verso il divin Salvatore e in connessione con essa, ha una grande efficacia pastorale e costituisce una forza rinnovatrice nel costume cristiano".

Eliminando la speranza cristiana, si cade fatalmente nella confusione e nella contraddizione, perché si cerca il senso della vita in modi diversi e contrastanti; non volendo accogliere la luce di Cristo, molti si condannano a camminare nel buio delle tenebre. San Carlo ci esorta a confidare in Maria, a pregarla, specialmente con la recita del Rosario, per far fronte all'impeto degli errori e delle tentazioni, per essere - come vuole il divin Maestro - luce del mondo e sale della terra.


4. San Carlo ci aiuti, in questi propositi! San Carlo ci infervori nella vita di sequela a Cristo per Maria! Quanto sono eloquenti ancor oggi le sue parole: "Regina degli angeli, ottieni per noi dal tuo Figlio, dispensatore di ogni bene, che noi imitiamo la natura degli angeli nella purità della vita, nella lode continua e perseverante, nel continuo rendimento di grazie. Che noi possiamo, infiammati di carità, essere luminosi, risplendendo davanti agli uomini; che ci sia concesso di ardere di amore celeste; di disprezzare, con gli occhi fissi al cielo, le cose terrene; di elevare in alto i nostri cuori; di avere il gusto delle cose di lassù. Che noi possiamo, aspirando alla patria eterna, giungere nella tua beatissima dimora col Dio uno e trino, insieme a te, Vergine e Madre santissima, e possiamo godere delle innumerevoli schiere degli angeli e dei santi. Aiutaci, aiutaci con le tue preghiere!".

Data: 1984-11-02 Data estesa: Venerdi 2 Novembre 1984




Con il popolo dinanzi alla Madonna nera - Varese

Titolo: Preghiera alla Vergine del Sacro Monte

Testo:

Sono lieto di questo incontro riservato a voi parrocchiani, che vivete all'ombra di questo celebre santuario di Santa Maria del Monte; e sono lieto che esso avvenga nella ricorrenza del quarto centenario della morte di san Carlo Borromeo.

Saluto con grande affetto i sacerdoti, le religiose, i membri del consiglio pastorale e del consiglio di amministrazione del santuario, coloro che collaborano nei vari servizi ecclesiali e tutti i componenti della comunità parrocchiale.

Carissimi, sappiate che il Papa è vicino alle vostre gioie e ai vostri dolori, alle vostre attese e alle vostre speranze. Vi sono grato per le preghiere che avete elevato al Signore per me durante il periodo di preparazione della visita e, in particolare, per il Rosario che avete recitato in ogni sabato dello scorso mese di ottobre. Esprimo l'auspicio che la mia venuta fra voi sia stimolo per un rinnovato proposito di condurre una vita cristiana sempre più rispondente alle esigenze del Vangelo e sempre più contrassegnata da una particolare devozione alla Vergine santissima, da voi venerata in questo mirabile santuario, posto in vetta a questa montagna diventata sacra, perché sui suoi arditi fianchi furono erette, nel corso del Seicento, le cappelle a voi tanto care, per esprimervi i misteri del Rosario.

Estendo il mio saluto anche agli amici di questo santuario, che hanno voluto unirsi a voi parrocchiani in questa circostanza tanto significativa.

Un saluto speciale e un ringraziamento per le gentili espressioni ora indirizzatemi desidero riservare al vostro arciprete, monsignor Pasquale Macchi, che mi è caro, perché egli è stato per lunghi anni vicino al mio predecessore, Paolo VI, la cui memoria resta in benedizione non solo come pastore della Chiesa universale, ma anche come arcivescovo della Chiesa ambrosiana.

Anche per questo mi è gradito soffermarmi qui un poco insieme con voi: Paolo VI ebbe a cuore questo santuario che considero privilegiato punto di riferimento della pietà mariana delle popolazioni della zona. E' noto infatti che egli stesso per ben dodici volte si fece pellegrino in questo santuario per esprimere alla santissima Vergine il suo amore filiale.

Con gli stessi fervidi accenti di pietà mariana sgorgati dal cuore di Paolo VI, vogliamo ora elevare alla Madonna, la cui immagine sovrasta questo altare, una preghiera di lode e di implorazione.

O Maria, / piena di grazia, immacolata, sempre vergine / Madre del Cristo, / Madre di Dio e nostra, / assunta in cielo, / regina beata, / modello della Chiesa e nostra speranza, / noi ti offriamo / la nostra umile e filiale volontà / di onorarti e di celebrarti sempre / con un culto speciale / che riconosca le meraviglie di Dio / operate in te, / con una devozione particolare / che esprima i nostri sentimenti più pii, / più puri, più umani, più personali, / più confidenti, / e che faccia risplendere alto sul mondo / l'esempio attraente della perfezione umana.

O Maria, ti preghiamo: / facci comprendere, desiderare, / possedere in tranquillità / la purezza dell'anima e del corpo. Insegnaci il raccoglimento, l'interiorità; / dacci la disposizione ad ascoltare / le buone ispirazioni e la parola di Dio; / insegnaci la necessità della meditazione, / della vita interiore personale, / della preghiera che Dio solo vede nel segreto.

Maria, insegna a noi l'amore. / L'amore chiediamo, Maria, l'amore a Cristo, / l'amore unico, l'amore sommo, / l'amore totale, l'amore dono, / l'amore sacrificio per i fratelli. / Aiutaci ad amare così.

Ottieni a noi, o Maria, la fede, / la fede soprannaturale, / la fede semplice, piena e forte, / la fede sincera, / attinta alla sua fonte verace, la parola di Dio, / e al suo canale indefettibile, / il magistero istituito e garantito da Cristo, / la fede viva! O tu, "beata che hai creduto", / confortaci con il tuo esempio, / ottienici questo carisma. / E poi, o Maria, chiediamo al tuo esempio / e alla tua intercessione la speranza. / Speranza nostra, salve! / Anche di speranza abbiamo bisogno, / e quanta! Tu sei, Maria, / immagine e inizio della Chiesa; / risplendi ora innanzi al popolo di Dio / quale segno di certa speranza / e di consolazione, / o Maria, Madre della Chiesa.

Data: 1984-11-02 Data estesa: Venerdi 2 Novembre 1984




Alle comunità delle Romite ambrosiane, Sacro Monte - Varese

Titolo: Vi auguro di provare molte grazie per voi e per noi

Testo:

Dio, Padre buono, ti prego, volgi ogni giorno lo sguardo sopra questa tua casa, sopra questo altare, sopra queste pietre spirituali, in ciascuna delle quali ti è consacrato un tempio vivente.

Accogli con la tua misericordia la preghiera che le tue serve qui effondono e come guardi all'Ostia di salvezza, per la quale è cancellato il peccato in questo mondo, così guarda a loro e proteggile col tuo continuo aiuto, perché siano sacrificio di soave odore a te gradito. Per Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore e nostro Dio, che vive e regna con te in unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.

Carissime sorelle, siete inserite in questa mia visita al Sacro Monte di Varese, così come la vostra vita, la vostra vocazione, la vostra tradizione, è inquadrata in questo sacro luogo, luogo pieno di grazia, come piena di grazia è colei che qui, in questo luogo, ha la sua casa spirituale, la sua mistica dimora: la Vergine Maria. Vi auguro di provare nel sacrario di questo santuario molte grazie per voi e insieme molte grazie per noi; per la Chiesa di Cristo, per la Chiesa ambrosiana, per la Chiesa in tutto il mondo, per la sua missione, per il suo apostolato, per questa opera di salvezza di cui il mondo di oggi ha tanto bisogno e alla quale molte volte si oppone.

Voi dovete tracciare la strada. Questo è il vostro compito. Vi auguro di svolgerlo con gioia e con speranza e con profonda gratitudine per questa vostra vocazione.

Data: 1984-11-02 Data estesa: Venerdi 2 Novembre 1984




Al cimitero di Musocco - Milano

Titolo: Non si pensa alla morte per non turbare il sogno di benessere

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Non sembri strano che il Papa incontri una città attiva e operosa come Milano presso il cimitero. Poiché oggi tutti i milanesi visitano il cimitero, anch'io ho voluto unirmi a voi in questo pellegrinaggio alle tombe. Trovo qui espressa un'intuizione preziosa: la vita non può risolversi tutta nel fare, nel lavorare, nel godere, nel soffrire dentro un orizzonte terreno.

Nella doverosa memoria di chi non è più tra noi, la vita ci appare nella dimensione fondamentale: considerazione dei fini ultimi, interrogazione su ciò che viene dopo la morte, sguardo rivolto all'aldilà, al nostro destino eterno.


2. Purtroppo due atteggiamenti svigoriscono questa intuizione validissima, che si esprime nella visita al cimitero. Il pensiero della morte, che coltiviamo specialmente in questo giorno, dedicato al ricordo dei defunti, viene accantonato negli altri giorni dell'anno. La nostra civiltà tende a depistare il pensiero della morte, perché non vuole essere disturbata nel suo sogno di benessere terreno come valore esclusivo per l'uomo, inteso quale soggetto assoluto. L'uomo tende a eliminare dalla propria mente il pensiero che tutto, specie quanto da lui costruito col proprio ingegno e lavoro, debba finire.

La memoria dei defunti, inoltre, tende a volte a generare una devozione solo intimistica, che non è in continuità con la pietà autenticamente cristiana, con la preghiera della Chiesa, con la celebrazione eucaristica, con l'intensa partecipazione alla vita di fede e di carità di tutta la comunità cristiana.


3. Carissimi fedeli, perché non chiedere al nostro patrono san Carlo di illuminarci sul significato della morte? Nonostante i quattro secoli che ci separano da lui, egli ha forse la risposta capace di orientare i nostri passi sulle strade del mondo contemporaneo.

ciò che balza all'occhio, leggendo la sua biografia, è che san Carlo seppe trarre dal pensiero della morte un messaggio per la vita. E' noto che egli prese la decisione definitiva di dedicarsi al servizio di Dio e della Chiesa proprio in occasione della morte del fratello Federico. Essendo rimasto l'unico figlio maschio della famiglia, molti insistevano perché si sposasse e assicurasse una continuità nella discendenza dei Borromeo. Invece proprio la morte del fratello gli apri gli occhi sulla povertà delle cose umane. Carlo chiese al Papa di essere ordinato presbitero, fece un corso di esercizi spirituali e comincio risolutamente nel cammino della santità, in cui persevero per tutta la vita.

Anche dopo la peste, che si abbatté su Milano nel 1576 mietendo migliaia di vittime, san Carlo si rivolse ai milanesi con un "memoriale" in cui chiedeva loro di ricordare il flagello della recente epidemia, apportatrice di sofferenza e di morte, per impegnarsi a cambiare vita. Questa era, infatti, la sua convinzione: la morte deve essere maestra di vita per tutti.


4. Ma come ciò può avvenire? Come è possibile fare della morte il principio vero e profondo di una vita nuova? Qui è necessario ricordare quell'atteggiamento di san Carlo, che a tal punto ha caratterizzato la sua figura spirituale e ha impressionato i suoi contemporanei, da diventare l'atteggiamento in cui più spesso egli è ritratto, cioè la preghiera davanti a Gesù crocifisso. La morte di Cristo in croce è quella che ha aiutato san Carlo a capire il senso della morte e la possibilità di vita nuova, che dalla morte scaturisce. La morte di Cristo è il segno supremo dell'amore di Dio per noi peccatori ed è il modello dell'affidamento dell'uomo alle mani del Padre. Per questo è fonte di vita, vittoria sul male e sul peccato, principio di una vita vissuta nell'obbedienza, nella fedeltà, nella dedizione a Dio e ai fratelli. "Dio è colui per il quale ci affatichiamo - diceva il santo arcivescovo in un discorso pronunciato pochi mesi prima di morire -; Dio è colui al quale serviamo... O fratelli, o figli, il Figlio di Dio ha fatto e ha sofferto per noi cose molto più grandi... Che cosa, se non l'amore per noi, ha condotto lui, il più bello tra i figli degli uomini, a un tale stato, da non avere né bellezza, né splendore? Ripaghiamo dunque l'amore, con l'amore".


5. Carissimi milanesi, se vogliamo che il pensiero della morte, che ci ha condotti quest'oggi al cimitero, dove riposano persone che hanno avuto un significato e un'importanza nella nostra vita, non venga dimenticato negli altri giorni della nostra esistenza o non generi solo una pietà sentimentale e privata, dobbiamo illuminarlo e purificarlo con la luce che ci viene dalla morte di Cristo. Questa ci dice che la nostra morte è vinta e redenta. Come Cristo attraverso la morte è giunto alla vita, così anche i credenti in Cristo attraverso la morte sono chiamati alla gioia della risurrezione e della vita immortale. La morte per l'uomo è il momento dell'incontro con Dio: è l'inizio della vita che non avrà fine.

La morte di Cristo, vista come gesto supremo di amore, diventa sorgente di vita non solo oltre la morte, ma già in ordine all'esistenza che conduciamo su questa terra.

Essa ci insegna paradossalmente a non volere e insieme a volere la morte. Ci insegna a non volere quella morte che è frutto di odio, di ingiustizia, di peccato. Anche a Milano si muore per la solitudine, per l'abbandono, per il disprezzo della vita che inizia o finisce, per l'aggressione ingiusta, per l'egoismo di chi non pensa ai gravi bisogni degli altri, per l'inosservanza o la carenza delle leggi. La morte di Cristo ci insegna a non volere con tutte le nostre forze queste morti.

E insieme ci insegna a volere la morte nel senso di prepararci, giorno per giorno, alla morte, nel senso di essere pronti a servire i fratelli fino al dono della vita, fino a spendere giorno per giorno tutte le energie della nostra vita non nella ricerca del nostro interesse egoistico, ma nella dedizione incondizionata al bene dei fratelli.


6. Milanesi, io sono qui con voi a pregare per i vostri morti, per tutti coloro che in questa città, nel corso dei secoli, vissero, faticarono, amarono, gioirono, piansero, morirono, e ora sono nella pace di Dio. Per loro elevo con voi la preghiera del cristiano suffragio.

Il loro ricordo sia per voi di sprone a impegnarvi in una vita degna degli esempi migliori da essi lasciati. Che dal cielo il vostro san Carlo e, con lui, sant'Ambrogio e gli altri vescovi santi, i quali spesero le loro energie al servizio del gregge di Cristo in questa città; che i vostri antenati, i quali credettero, sperarono, amarono in questi stessi luoghi in cui voi oggi abitate, possano essere fieri di voi per la nobiltà dei vostri sentimenti, per la limpidezza della vostra fede, per la coerenza della vostra condotta in ogni circostanza della vita. Che la Milano di oggi, in spirituale sintonia con la Milano cristiana di ieri, passi la fiaccola della fede alla generazione che popolerà la Milano di domani. E' la fede, infatti, che alimenta in noi la beata speranza di poterci ritrovare tutti uniti, un giorno, nella gioia senza ombre del cielo. così sia!

Data: 1984-11-02 Data estesa: Venerdi 2 Novembre 1984




Agli abitanti del centro politico-culturale-religioso - Pavia

Titolo: Fede cristiana e progresso per superare le tensioni sociali

Testo:

Fratelli e sorelle.


1. Porgo il più cordiale saluto a tutti voi, cittadini di Pavia, accorsi così numerosi a dimostrarmi la vostra affettuosa e festante accoglienza. Ve ne ringrazio di cuore! Ringrazio in particolar modo il ministro Luigi Granelli, che ha parlato a nome del governo, e il signor sindaco, per le espressioni così sentite a me rivolte a nome dell'intera cittadinanza.

Per l'occasione della mia venuta nella diocesi a ricordare il quarto centenario della morte di san Carlo Borromeo, non poteva mancare una visita a questa alma città, che è stata uno dei poli dell'azione pastorale e del programma evangelicamente innovatore del grande santo.


2. Sono lieto, perciò, di trovarmi oggi a Pavia che, tra i molti suoi titoli di merito, ne possiede uno che voglio sottolineare nel presente incontro come una costante della storia del suo popolo: lo stretto vincolo, cioè, tra fede cristiana e progresso civile.

Pur trovandosi a pochi chilometri di distanza da una metropoli come Milano, Pavia è riuscita a svolgere un vigoroso ruolo di protagonista. Nei lunghi secoli del suo glorioso passato, infatti, la vostra città è stata sempre, sotto vari aspetti, centro di attrazione a largo raggio. Centro politico, prima di tutto, fin dai secoli lontani del basso Medioevo, quale capitale di un nuovo regno, a più riprese, quando, crollata l'unità dell'impero romano, dai valichi delle Alpi scese il popolo che ha dato nome a tutta la regione.

Dopo alterne vicende di eclissi e di rinascita, come avviene nel cammino di ogni popolo, Pavia rifulse di nuovo splendore nel periodo comunale, quale centro di straordinaria prosperità agricola e commerciale, di cui restano a testimonianza i monumenti civici, e poi con i più moderni insediamenti industriali.

Centro culturale di eccezionale livello, noto nel mondo fin dal primo millennio e illustrato da una lunga serie di docenti antichi e moderni. Le vostre piazze e le vostre vie cittadine sono ancora ricordo e risonanza di nomi famosi nel campo delle lettere, delle scienze, della filosofia, della medicina, della legge, delle arti liberali. Attività culturale ininterrotta, che esprime la sua vitalità anche con la fioritura dei suoi collegi universitari.


3. Ma la vostra è anche una straordinaria storia religiosa, che ha scandito la vostra storia civica e sociale con ritmo propulsore. Ne sono viva testimonianza le bellissime e numerose chiese romaniche. Già nel 1300, per una popolazione di ventimila anime, se ne contavano fino a centotrentacinque, segno della convinzione che, senza Dio, non si costruisce la città terrena a servizio dell'uomo.

Una di queste chiese ha il privilegio di custodire, oltre il vostro grande filosofo e martire del Medioevo, san Severino Boezio, i resti mortali di un genio religioso che risponde al nome di sant'Agostino: colui che, dopo aver attraversato e analizzato il gran mare di tutte le inquietudini del cuore umano, indica l'approdo della pace nell'amore di Dio.

E poi c'è la Certosa, monumento insigne con una storia a parte, luogo di preghiera e di pura contemplazione, che ancora oggi, nel nostro mondo secolarizzato, esercita una straordinaria forza di attrazione.

Fratelli della città di Pavia, voi avete ricevuto la fede nel Vangelo dal vostro primo vescovo san Siro, venuto dalla Palestina insieme con gli apostoli. Questo dono immenso, da voi gelosamente custodito e sviluppato, sia il vostro alimento nel futuro per accompagnarvi verso nuove e più alte tappe del progresso umano e civile.


4. La vostra è storia illustre in campi diversi. Tuttavia, anche i capolavori hanno le loro ombre.

Il nostro cuore di cristiani, portati alla solidarietà verso i bisognosi e i più deboli, si sente colpito dalla constatazione che anche nella vostra città si registra penuria di alloggi, caduta dei posti di lavoro, crescente disoccupazione giovanile.

Quest'ultimo fenomeno fa di Pavia la più provata delle province lombarde. Si potrebbe minimizzare quest'aspetto della vostra realtà considerandolo il riflesso di una situazione generalizzata, tipica delle società più industrializzate dell'Europa e del mondo. Ma non deve essere così. Fate appello fiduciosamente alle vostre capacità inventive e alla vostra sana apertura cristiana, perché simili fenomeni, che impegnano la corresponsabilità di tutti, si riducano e scompaiano. Se riuscirete a eliminarli, come vi auguro, darete un esempio ad altre città, ponendo le basi concrete di un'adeguata soluzione.

In nome di quel rapporto fede-progresso che vi ha sempre caratterizzato, vi incoraggio di cuore nel vostro generoso impegno.

Data: 1984-11-03 Data estesa: Sabato 3 Novembre 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)