GPII 1984 Insegnamenti - Dopo l'"itinerario" al Sacro Monte - Varallo (Vercelli)

Dopo l'"itinerario" al Sacro Monte - Varallo (Vercelli)

Titolo: La passione di Cristo centro della spiritualità di san Carlo

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle di Varallo e dell'intera diocesi di Novara!


1. Con intensa commozione ho percorso alcune tappe dell'Itinerario della croce su questo Sacro Monte di Varallo. Nel mio pellegrinaggio sulle orme di san Carlo, questo che sto vivendo, insieme con voi, è un momento particolarmente denso di significato. Sento vibrare qui lo spirito del grande pastore della Chiesa ambrosiana in quello che fu e rimane l'aspetto centrale della sua spiritualità e del suo ministero: il culto per la passione e morte del Signore.

San Carlo era particolarmente attratto dai misteri della vita sofferente del Cristo. Ne attingeva sprone alle mortificazioni a cui assoggettava il proprio corpo, e insieme quel vigore di fede che sapeva inculcare negli altri. Ben possiamo dire di lui che ha applicato alla lettera la fondamentale parola del divino Maestro: "Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24).

In molti modi san Carlo ha dimostrato la sua profonda partecipazione alla vita dolorosa del Figlio di Dio. In Milano prediligeva la chiesa del Santo Sepolcro. Quando non si trovava lontano per le sue innumerevoli visite pastorali, vi si recava ogni mercoledi e venerdi pomeriggio, e là incantava i fedeli con i sermoni sulla Via Crucis. Nutriva inoltre grande devozione per la reliquia del Santo Chiodo, che porto processionalmente per le vie della città in un dimesso abito di penitenza nel drammatico travaglio della peste.

Ma è a questo Sacro Monte di Varallo che egli era particolarmente assiduo. Lo aveva denominato "Nuova Gerusalemme", e ogniqualvolta gli era possibile vi trascorreva giornate o nottate di raccoglimento. Meditava la passione del Signore rifacendone il cammino e fermandosi in pia meditazione dinanzi alle cappelle, ammirevoli testimonianze di pietà e d'arte. La permanenza più lunga e memorabile in questo mistico luogo precedette di pochi giorni il suo passaggio all'eternità.

Noi riviviamo, in certo senso, quelle giornate di ritiro spirituale, ch'egli trascorse qui nell'ottobre di quattro secoli fa, e che di fatto risultano una singolare preparazione alla morte. Siamo qui riuniti proprio nel giorno e presumibilmente nell'ora in cui san Carlo a Milano rese l'anima a Dio. Il Borromeo aveva allora quarantasei anni, compiuti da poco. Il suo episcopato milanese con le attività connesse fuori della diocesi, era nel pieno dell'operosità. Ma il suo fisico, logorato dalle fatiche e martoriato dalle penitenze corporali, dava segni di cedimento.


2. Rivivendo quell'eccezionale avvenimento spirituale qui, in questo scenario altamente artistico e religioso che il trascorrere del tempo ha lasciato intatto, le nostre riflessioni, carissimi fratelli e sorelle, si accentrano attorno al mistero della morte.

San Carlo mostra come può avere grandi riflessi sulla condotta questa forte affermazione dell'apostolo Paolo: "Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore" (Rm 17,7-8).

Questa illuminante certezza colloca l'evento naturale della morte nella visione di fede e insieme nella prospettiva della maturazione totale della personalità umana. Dio solo è padrone della vita e della morte. Ma la vita domanda di essere vissuta nella pienezza della libertà interiore. così la morte può e deve essere accettata dall'uomo come espressione della sua interiore libertà, nel distacco dalle cose e ancor più nel distacco da se stesso: un atto di suprema obbedienza; il volontario assoggettarsi ad una superiore volontà.

Pertanto il morire non riguarda semplicemente l'estinguersi della vita fisica. E' molto di più. E' un vero e proprio itinerario di purificazione e liberazione, che copre tutto l'arco dell'agire umano, per "deporre l'uomo vecchio e rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera" (Ep 4,22-24). L'intera esistenza cristiana va vista nella prospettiva di una preparazione alla futura vita eterna nella terra dei risorti.


3. Fratelli e sorelle carissimi, la vita di san Carlo ci è di esempio nella preparazione alla morte. Egli viveva in unione con Dio. Si nutriva di preghiera e di Eucaristia. Lavorava indefessamente a servizio pastorale delle comunità cristiane. Grande camminatore della catechesi, affrontava fatiche enormi per raggiungere anche le località più impervie. Ma teneva al vertice di tutto il pensiero della salvezza della propria anima. Si confessava quasi quotidianamente.

Durante le peregrinazioni voleva che nella sua piccola comitiva fosse sempre assicurata la presenza del suo confessore.

E' nell'ultimo istante della vita che si decide il destino eterno.

perciò Gesù ammonisce che occorre perseverare fino alla fine, per raggiungere la salvezza (cfr. Mt 10,22). L'impegno preminente della vita consiste nella preparazione a morire in grazia di Dio. Certo, la porta della salvezza può aprirsi anche dinanzi a chi soltanto nell'ultimo momento si pente sinceramente delle proprie colpe e domanda a Dio una totale purificazione. Come il buon ladrone, accanto a Gesù morente. La misericordia divina è infinita, e può compiere qualsiasi prodigio. Ma l'ammonimento di Gesù è perentorio e insistente: "Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli!...

Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate" (Lc 12,35 Lc 12,37). Obbediente a queste parole, il cristiano è sollecito ad arricchire di meriti la propria esistenza.

Con la sua testimonianza, san Carlo ci insegna l'importanza di saper tenere vivo il pensiero della morte e quindi le disposizioni di fede, di umiltà, di purezza interiore, di offerta e di speranza nella prospettiva del grande e tremendo passo. La buona morte, in senso cristiano, è essenzialmente la morte in grazia di Dio, un'offerta appunto, possiamo dire, che l'uomo fa di se stesso, come ostia pura e di soave profumo (cfr. Ex 6,10 Ep 5,2 Ph 4,18).


4. La morte di san Carlo, degna di quel grande sacerdote che egli è stato, rimane per noi anche un eloquente esempio di serenità. All'aggravarsi delle sue condizioni in quel pomeriggio del 3 novembre dopo l'affrettato rientro in sede a Milano, egli, impossibilitato a recitare i salmi, seguiva mentalmente la lettura del breviario fattagli da un familiare, senza distogliere lo sguardo dalle riproduzioni dell'agonia nel Getsemani e della sepoltura del Signore, che aveva fatto collocare dinanzi a sé.

Ricevuti piamente il Santo Viatico e l'Unzione degli infermi, entro in agonia. Allora, interpretando un suo desiderio, venne letto ad alta voce da uno degli astanti il racconto evangelico della passione. Emise l'ultimo respiro fissando dolcemente il crocifisso e abbozzando un sorriso. così muore il giusto.

Così desidera morire ogni seguace di Cristo.

Il cristiano si pone dinanzi al mistero della morte con serenità. Egli non ignora che può non essergli risparmiato il turbamento che il Cristo stesso sperimento, ma sa parimenti, come il divino Agonizzante, che la sua forza sta nella disponibilità a chinare umilmente il capo dinanzi alla volontà del Padre celeste.

Se vogliamo l'autentica serenità davanti alla morte, dobbiamo intensificare nella nostra vita la lotta al peccato, offesa di Dio. La liberazione dal peccato è il segreto per meritare il dono di un sereno trapasso, cui arrida la luce della beatitudine definitiva, nella visione di Dio. Facciamo nostro questo insegnamento, e la vita acquisterà ogni giorno più pienezza di significato.

Soprattutto voi, cari fratelli e sorelle di Varallo, della Valsesia e di tutta la diocesi di Novara, fate vostro questo insegnamento; voi che avete il privilegio di annoverare tra le ricchezze spirituali della vostra terra questo Sacro Monte, sorto grazie all'intuizione, all'iniziativa e all'impegno di fra Bernardino Caimi nel 1486 e subito divenuto, per tanti, luogo privilegiato di meditazione e di devozione mariana, punto di riferimento per molte anime generose e forti che qui hanno saputo e sanno trovare ispirazione e sostegno per riuscire ad essere, nel mondo, testimoni di Gesù redentore, morto e risorto per la salvezza dell'uomo: perché di questo mistero, qui, tutto ci parla con voce suggestiva e suadente.

Sull'esempio di san Carlo, figlio della vostra terra, fate che non risuoni invano per voi il richiamo di questa voce! Amen.

Data: 1984-11-03 Data estesa: Sabato 3 Novembre 1984




Ai sacerdoti e vescovi piemontesi - Varallo (Vercelli)

Titolo: Priorità alla formazione del clero e catechesi degli adulti

Testo:

Carissimi confratelli nell'episcopato e carissimi fratelli nel sacerdozio di Cristo.


1. Dà molta gioia al mio cuore incontrarmi con voi in questa nobile terra piemontese, nota al mondo come "patria dei santi". E la gioia si accresce al pensiero del motivo che oggi ci ha raccolti in questa città di Varallo, sulla quale domina il santuario del Sacro Monte, che da secoli svolge un ruolo tanto significativo nella vita religiosa di questa regione. Il motivo è, appunto, il ricordo di un santo che, quattro secoli or sono, quasi presago dell'imminente sua fine, a quel santuario volle salire per disporsi nel raccoglimento e nella preghiera al grande passo.

San Carlo Borromeo! Come non provare nell'animo un fremito di commozione al pensiero che in questi luoghi, nel verde silenzio di queste vallate, san Carlo visse gli ultimi giorni del suo pellegrinaggio terreno? In quelle ore decisive, al cuore del vescovo, preoccupato del gregge che stava per lasciare, s'affacciarono probabilmente anche persone e comunità della vostra terra, a lui note per precedenti contatti pastorali. Le giurisdizioni ecclesiastiche del tempo e le vostre pie tradizioni confermano i numerosi legami che intercorsero tra le vostre Chiese e il grande arcivescovo di Milano, animatore instancabile del rinnovamento pastorale promosso dal Concilio di Trento.

Ci è quindi facile meditare insieme sugli insegnamenti e gli esempi di san Carlo per trarne orientamenti validi per la Chiesa di oggi; validi in particolare per tutte le vostre carissime Chiese del Piemonte, impegnate con tanto amore a permeare con i semi della salvezza evangelica le faticose realtà esistenziali di questa terra dalle antiche tradizioni cristiane.


2. Carissimi fratelli, da molti indizi è possibile concludere che l'uomo contemporaneo avverte un particolare bisogno di dissetarsi alle fonti perenni della vita, che sgorgano dalla Chiesa, per riuscire a costruire una società migliore. Ebbene, oggi occorre ritrovare una fiducia rinnovata in quello che la Chiesa, in stretta comunione con i suoi pastori, può comunicare ai fratelli, per promuovere l'uomo e favorire nuovi progetti di riconciliazione sociale e di recupero dei valori eterni. Sono certo che a questa missione di presenza evangelica, profezia di cose nuove, non potete e non intendete rinunciare, anche se le condizioni culturali dell'ambiente rendono a volte questa testimonianza tutt'altro che facile.

Che cosa ci suggerisce san Carlo per un periodo come il nostro che, al pari del suo, viene dopo un Concilio e sembra dover concludere non solo un secolo, ma un'intera epoca storica? La prima indicazione che mi pare san Carlo ci offra per assicurare alla Chiesa una presenza pastorale incisiva nel mondo d'oggi è certamente da vedersi nell'impegno per la formazione del clero. Il seminario, vivaio insostituibile di vocazioni ecclesiastiche, e gli altri istituti per l'aggiornamento culturale e la formazione spirituale dei sacerdoti, appaiono anche oggi esigenze primarie di un progetto pastorale che voglia mantenersi aderente alla realtà ecclesiale. Ai sacerdoti, infatti, come a principali responsabili, spetta il compito di fondare sulla viva roccia che è Cristo le proprie comunità. E si rende sempre più evidente nella storia che dobbiamo essere preoccupati più della qualità che del numero dei sacerdoti. Quando san Carlo incomincio a farsi carico della cultura pastorale di Milano, non fu preso dal problema di quanti fossero i preti della diocesi, bensi da quello della loro formazione e della loro santità.

L'esempio di san Carlo, carissimi confratelli, mi porta ad incoraggiare le iniziative da voi intraprese per suscitare nuove vocazioni alla vita consacrata e per radicarle profondamente in tutti quei pii esercizi che l'esperienza cristiana dice necessari per una forte crescita spirituale. Parlo del ricorso alla direzione spirituale, della partecipazione fervorosa ai sacramenti e alla celebrazione dei misteri del Signore lungo l'anno liturgico, della pratica di una saggia austerità di vita in un mondo spesso succube del mito fallace del consumismo. Su questa via voi potete riportare la vita dei seminari a quelle nobili tradizioni spirituali che nel secolo XIX fecero del Piemonte una terra singolarmente fiorente di santità sacerdotale.

Carissimi fratelli, il Signore ci ha assunti per celebrare i suoi misteri tra gli uomini, fino a diventare il lievito di una nuova civiltà. Occorre formarci immergendoci, come san Carlo, nel mistero della croce e imparare dalla morte del Signore la scienza dell'amore, che sola può aiutare noi e i nostri fratelli a vivere della vita nuova che Cristo ci ha portato. Se ci lasciamo afferrare dal fascino dei divini misteri, impariamo la scienza necessaria per percorrere salvificamente anche i sentieri degli uomini.


3. Carissimi, la seconda indicazione che san Carlo ci offre per una presenza incisiva nel mondo contemporaneo è quella di un impegno prioritario nella catechesi degli adulti. La profonda esperienza della teologia della croce spinse san Carlo, fin dalla sua giovinezza, a scoprire nella predicazione della parola del Signore, il vero fondamento di ogni umana esperienza. Quanto più si tuffava nella meditazione della morte del Signore, tanto più avvertiva che a salvare l'uomo è l'amore; ma quanto più viveva con gli uomini, tanto più scopriva che ben pochi, a quel tempo, si curavano di portargli quella lieta notizia.

E' commovente, oltre che edificante, rilevare l'eroismo ascetico col quale san Carlo si impose di predicare il Vangelo al gregge che gli era stato affidato. Non alludo soltanto alle resistenze superate in Roma, per lasciare la prestigiosa carica di primo segretario di Stato nella storia della Chiesa; colpisce ancora di più la tenacia del suo carattere nel vincere alcune personali difficoltà psicologiche, che avrebbero potuto giustificarlo nell'adattarsi all'uso corrente di lasciare l'evangelizzazione ai grandi predicatori di cartello. Era molto timido, aveva un grave difetto di pronuncia, era spiccatamente labile di memoria. San Cario vinse ad una ad una tutte queste difficoltà. Il motto "Humilitas" non fu per lui un blasone di maniera. Pur di annunciare la parola, di evangelizzare, di fare catechesi, non bado a se stesso, sfido il rischio dell'insuccesso, si avventuro fra gli uomini, come l'apostolo Paolo, "in infirmitate et timore et tremore multo", fidando "non in persuasibilibus humanae sapientiae verbis, sed in ostensione Spiritus et virtutis" (1Co 2,3-4). E giunse alla fine a predicare il Vangelo con tale trasporto da avvincere le folle e portarle alla commozione e alle lacrime, specialmente quando parlava delle più grandi manifestazioni dell'amore del Signore.

Quale conforto viene anche a noi dalla testimonianza del Borromeo! Se si considera che l'ignoranza delle cose di Dio, oggi, non è minore che ai tempi suoi e che per annunciare il mistero di Cristo è necessario superare il muro culturale che ci divide dai nostri fratelli, possiamo ben confessare che neppure a noi manca la nostra croce. Come si può presentare l'intero mistero di Cristo all'uomo del nostro tempo, frastornato da mille proposte, promesse, minacce con cui i mass-media lo assediano da ogni parte?


4. Non posso certo presumere, in un breve incontro come questo, di rispondere a tutti i vostri interrogativi e di dare una soluzione adeguata al problema. Ma vi dico che sono con voi, che condivido le vostre trepidazioni e comprendo le vostre stanchezze. Vorrei, con la mia presenza e con la mia parola, innanzitutto, ridare lena ai vostri propositi, ravvivando in voi l'ottimismo e la speranza. Vorrei, poi, esortarvi a introdurre tutte quelle iniziative che possono servire a mettere in risalto la centralità della catechesi degli adulti in ciascuna delle vostre Chiese. Urge far comprendere, con i gesti e con le parole, la principalità dell'annuncio cristiano, principio impreteribile di una visione evangelica della vita e del mondo. "In principio erat Verbum"; l'affermazione dell'apostolo Giovanni vale anche per le vostre comunità: al principio della vita di ogni comunità cristiana sta la parola di Dio.

Annunciamola, dunque, questa parola nel mondo contemporaneo, nel quale la Provvidenza di Dio ci ha posto a vivere! Annunciamola a partire dai piccoli, dai fanciulli, dagli adolescenti: ogni inizio è importante perché, in qualche misura, decide le sorti di ciò che sarà. Oggi poi si esige uno sforzo particolare di tutta la comunità cristiana perché non venga a mancare ai giovani l'insegnamento religioso nella scuola, momento fondamentale dell'iter formativo delle nuove generazioni.

E' chiaro pero che tutto ciò non basta. Occorre annunciare la parola di Dio agli adulti, che sono i veri responsabili delle strutture sociali e della storia della nazione. Se nell'impatto con la cultura moderna essi lasciano spegnere i valori morali, umani e cristiani, che hanno la loro radice nel Vangelo, anche senza volerlo e talora senza saperlo essi si fanno deformatori della coscienza dei giovani. L'esperienza insegna che la stessa catechesi dei fanciulli e dei giovani non incide durevolmente, se la testimonianza degli adulti va in senso contrario all'educazione della fede cristiana. Carissimi fratelli, noi non possiamo darci pace, se non risolviamo il problema della catechesi degli adulti.

Occorre infatti riconoscere con franchezza che senza la partecipazione responsabile di una comunità cristiana adulta, cresciuta nella parola, nella celebrazione del memoriale di Cristo e nella testimonianza della carità, è un'utopia pensare di evangelizzare il mondo contemporaneo.


5. Di questo, sono certo, siete persuasi. Resta, tuttavia, la domanda sul come, in concreto, questo dialogo catechetico con gli adulti possa essere ripristinato. Pur nella diversità dei tempi e delle condizioni sociali, penso che l'esempio di san Carlo possa offrirci un orientamento sostanzialmente valido tuttora. Perché il Borromeo con tanta insistenza ha voluto portarsi a vivere con i suoi fedeli nella città di Milano? Perché debole di salute, ma ardente nell'amore pastorale, ha visitato tanti luoghi per condividere le sofferenze dei fedeli nei loro territori, facendosi a loro padre e fratello? La risposta mi pare molto chiara: perché aveva capito che un dialogo non è possibile se non avvicinando personalmente l'interlocutore. Non era stato questo, d'altra parte, lo "stile pastorale" di Gesù stesso, paradigma supremo di ogni annunciatore del Vangelo? Sull'esempio di Cristo anche noi, pastori della Chiesa alle soglie del Duemila, abbiamo il dovere di metterci generosamente in compagnia degli uomini. Avviciniamoli con amicizia, facciamo sentire loro il nostro amore, visitiamo le loro case, mettiamoci a mensa con loro nel quartiere, solidarizziamo con le loro responsabilità e con le loro tribolazioni. E' solo conoscendoli da vicino, è solo facendo vedere che la Chiesa è amica degli uomini, che noi ci rendiamo credibili e riusciamo ad intrecciare un dialogo tanto più comunicativo quanto più è comprensivo della loro realtà esistenziale. Specialmente quando la sofferenza li tocca, essi devono sentire questa nostra partecipazione: attraverso la sincerità della nostra condivisione essi potranno rendersi conto dell'autenticità del nostro amore.

E quando il dialogo è avviato, non temiamo di manifestare loro il mistero di Cristo nella sua verità integrale, in sintonia col magistero della Chiesa. L'amore di Cristo non ci consente attenuazioni in questa totalità. La cultura di oggi, talora ci contraddice in modo blasfemo, altre volte sorride in modo ironico; ma il cuore dell'uomo nel suo profondo attende: tutto l'uomo attende tutto il Cristo.


6. Nessuna manipolazione, dunque, nessuna ermeneutica accomodante per adattare il Cristo al gusto delle culture, ma trepidante fedeltà nel credere che è solo l'autentica parola di Cristo che può salvare l'uomo. Cristo conosce così profondamente gli uomini che nessun rimedio è più adatto alla natura dell'uomo ammalato di ogni tempo, dell'integrità del suo mistero.

Nella vita di san Carlo si legge che egli non fu sempre gratificato da un annuncio così coraggioso; il "memorandum" da lui scritto dopo la peste è venato di dolore, come se volesse confidare che nonostante tutto non avevano creduto alla sua parola. Ma il mistero dell'amore di Dio che salva l'uomo morendo su di una croce, è un mistero così grande che va proclamato per se stesso, gratuitamente, qualunque sia l'accoglienza che gli uomini gli riservano.

E' precisamente la conclusione a cui arriva san Carlo, parlando ai suoi sacerdoti al termine dell'ultimo Sinodo diocesano, il 21 aprile 1584, pochi mesi prima di morire. Con accenti infuocati egli esclama: "O si consideraremus et nos quis sit Deus, qui nos dignatur aspicere, cui tam gratum est quidquid pro animarum salute fit, quam avide et prompte curreremus omnes dicentes: Domine, ecce ego, mitte me in Rhetos, in montes, in loca pauperrima, in eremos et silvas, ubi nec panis, nec acqua sit, ubi non nisi barbari homines et impiissimi tyranni, corpus meum dilacerare parati, reperiantur. Ibo quocumque volueris, modo tibi gratum esse comperiam, nullum aliud praemium expetam, nisi teipsum et gratiam tuam" (Sancti Caroli Borromei "Orationes", XII, Romae 1963, p. 177).

Con queste parole, brucianti di zelo apostolico, mi piace concludere questo nostro incontro, carissimi fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio.

Nell'invocare dal Signore che, per intercessione di san Carlo, voglia ravvivare nei vostri animi quella fiamma che arse nel cuore del grande arcivescovo fino a consumarlo, imparto con fraterno trasporto a tutti voi la mia benedizione, affidandovi l'incarico di parteciparla, quale pegno dell'affetto del Papa, alle care popolazioni fra le quali svolgete, con generosa dedizione, il vostro ministero pastorale.

Data: 1984-11-03 Data estesa: Sabato 3 Novembre 1984





Alle suore claustrali - Varallo Sesia (Vercelli)

Titolo: la Chiesa ha bisogno della vostra vocazione

Testo:

Carissime sorelle, vi vedo con grande gioia radunate in questa cappella, davanti al santissimo Sacramento nell'adorazione perpetua. Vi vedo spiritualmente gioiose.

Vedo nei vostri volti questa gioia che penetra nello spirito di ciascuna di voi.

Gioisco per questo motivo.

Gioisco per la vostra presenza, per la vostra preghiera, per il fatto che siete numerose, che siete giovani, per il fatto che non mancano le vocazioni.

Ho potuto partecipare brevemente alla vostra preghiera, alla vostra adorazione, convinto che questa preghiera comprende anche la mia persona, ma soprattutto il mio ministero. E' importante questo ministero perché viene dallo Spirito Santo per il bene della Chiesa. Vi benedico di cuore. Con questa benedizione voglio lasciarvi quell'amore che apre a voi tutta la Chiesa. La Chiesa vi stima, la Chiesa vi ama, la Chiesa ha bisogno della vostra vocazione, della vostra clausura, della vostra preghiera, dei vostri sacrifici. Ha molto bisogno di questo. Allora per esprimere questo amore della Chiesa vi offro la mia benedizione.

Data: 1984-11-03 Data estesa: Sabato 3 Novembre 1984




Alla popolazione e alle autorità - Arona (Novara)

Titolo: Attualità di san Carlo: fede in Dio e amore verso i fratelli

Testo:

Signor sindaco!


1. Le sono profondamente grato per le cortesi espressioni che ella, facendosi fedele e qualificato interprete dei comuni sentimenti dei presenti, ha voluto così eloquentemente rivolgermi. Ringrazio egualmente tutte le altre autorità presenti, con un particolare pensiero al signor ministro degli Interni. Esprimo un cordiale e riconoscente saluto a tutti e a ciascuno di voi per la calorosa accoglienza, ben degna delle nobili tradizioni di questa terra.

Sono lieto di trovarmi qui ad Arona, in occasione del mio pellegrinaggio ai luoghi legati alla memoria di san Carlo Borromeo, nel quarto centenario della sua morte. Non poteva mancare questa mia visita alla vostra bella città posta a specchio sul lago Maggiore, perché è essa che ha dato i natali a san Carlo, la cui grandiosa statura umana e spirituale si esprime in qualche modo nella colossale statua che proprio voi aronesi avete voluto erigere a ricordo e a onore del vostro illustre concittadino.


2. La visita a questa città, dove san Carlo trascorse anche la sua infanzia e frequento le prime scuole, aiuta a comprendere il suo animo, nel quale restarono indelebilmente impressi i segni dell'austerità della Rocca dei Borromeo, e della mitezza del sereno paesaggio che circonda il lago. Effettivamente, il fascino che san Carlo non ha mai cessato di esercitare attraverso questi quattro secoli gli deriva soprattutto dalle sue straordinarie qualità di uomo austero e mite. A tutti è noto, infatti, come egli fosse fermo nelle sue decisioni, preciso nelle sue vedute e costante nell'esecuzione dei suoi programmi, ma anche dolce nel suo tratto e rispettoso degli altri. Con la pratica della mortificazione, dell'astinenza e dell'abnegazione riusci a mitigare il suo carattere piuttosto duro, e a sviluppare in sé quell'ingegno poderoso che lo avrebbe accreditato davanti alla storia come infaticabile uomo d'azione, vescovo illuminato, zelante riformatore dei costumi, mite pastore d'anime, rigido penitente ed eroe della santità. Sono, queste, magnifiche virtù umane e cristiane che egli sviluppo in questo luogo ricco di tradizioni religiose, umane e sociali.


3. Dalla Rocca dei Borromeo, da cui erano usciti prima di lui eccellenti uomini di Chiesa e di governo della cosa pubblica, egli trasse ispirazione nel mettere a servizio dei fedeli le sue doti di uomo di fede e di cultura, e nel dare espressione a quell'impulso di altruismo che gli faceva sentire ripugnanza per tutto ciò che potesse avere aspetto di egoismo e di interesse personale. Di qui trassero origine quelle virtù sociali che tanto rifulsero nel suo ministero episcopale, soprattutto durante la triste carestia del 1570, quando egli trasformo l'arcivescovado in luogo di ristoro per gli affamati; e, in particolar modo, durante la terribile peste del 1576, allorché, con intrepida carità pastorale, si fece infaticabile organizzatore dei soccorsi e promotore di una mirabile strategia spirituale, sociale e assistenziale per venire incontro alle desolate vittime di quel terribile flagello.


4. Questa mia visita vuole essere anche un invito a raccogliere e a far vostro questo messaggio di fede in Dio e di amore ai fratelli. Voi che avete la sorte di appartenere alla terra che diede alla Chiesa un così illustre testimone del Vangelo, siate fieri di imitarne le virtù e impegnatevi a progredire senza esitazioni e senza compromessi sulla via da lui così luminosamente tracciata.

Da parte mia vi assicuro della mia preghiera al Signore, perché, per intercessione di san Carlo, vi assista e vi conceda benessere spirituale e materiale; vi dia pace; esaudisca le aspirazioni più profonde e legittime del vostro cuore. A questo fine scenda, propiziatrice di celesti grazie, la mia speciale benedizione, che ora vi imparto con particolare pensiero per i piccoli, i malati e gli anziani.

Data: 1984-11-04 Data estesa: Domenica 4 Novembre 1984




Omelia dinanzi al collegio de' Filippi - Arona (Novara)

Titolo: Attuo la vera riforma con tenacia e instancabile dedizione

Testo:


1. "Uno solo è il nostro maestro, il Cristo" (Mt 23,10).

Il divin Maestro, inviato dal Padre per salvarci, svolse la sua missione camminando per le strade della Galilea, della Samaria e della Giudea. Percorse incessantemente le vie della Palestina per portare la letizia e il conforto della buona novella, non avendo dove posare il capo.

Alla sua sequela, e attuando il suo mandato, gli apostoli portarono il messaggio evangelico a tutte le genti e visitarono le incipienti comunità cristiane, sostenendole con l'aiuto della loro parola e della loro presenza (cfr. Ac 8,14). Questa modalità pastorale si mantenne lungo tutta la storia della Chiesa e il Concilio di Trento la riprese dandole conferma e vigore.

San Carlo attuo questa decisione conciliare con grande tenacia e instancabile dedizione. Oggi mi trovo con voi, sul percorso di san Carlo Borromeo, nel luogo che vide l'inizio del suo pellegrinaggio terreno. Qui, ad Arona, dove egli vide la luce del sole e nacque, col Battesimo, alla vita della grazia, vorrei con voi penetrare nell'intimo della vita interiore di questo grande discepolo e seguace del Salvatore.

In questa cittadina san Carlo ritorno varie volte quale pastore sollecito, qui celebro la sua ultima messa, il 1° novembre del 1584, mentre da Ascona e Cannobio era diretto a Milano, dove mori tre giorni dopo.

In questo luogo, che custodisce alcune delle sue venerate reliquie e ne ricorda con devozione l'insigne santità personale e l'incomparabile sollecitudine di pastore mediante una statua gigantesca, io, in unione fraterna con il vostro vescovo monsignor Aldo Del Monte, rivolgo il mio saluto alle autorità qui presenti, auspicando copiosi favori celesti per il loro prodigarsi in favore del bene comune. Saluto voi, cari fratelli e sorelle, concittadini di san Carlo. Un particolare pensiero va poi a voi, giovani, che con la vostra festosa presenza fate corona gioiosa a questa nostra assemblea e ricordate con il vostro entusiasmo come Cristo meriti la stessa incondizionata dedizione, di cui fu capace san Carlo.

Siate degni della vostra nobile e ricca tradizione che risale a san Carlo! Sforzatevi di essere cristiani autentici. Che la testimonianza data da così grande pastore non vada perduta, ma sia custodita come un bene prezioso, in tutta la Chiesa, e in special modo qui, nella terra di san Carlo.


2. Santo pieno di ardore per il bene, ricco di amore per Dio e per il prossimo, egli fu ed è modello di zelo e di carità. La religiosità e la cura di suo padre Gilberto verso i poveri incisero fin dalla fanciullezza su di lui. Tant'è vero che, appena dodicenne, quando ricevette in commenda l'abbazia dei santi Gratiniano e Felino di Arona, decise che avrebbe usato i duemila scudi della rendita in favore dei poveri.

Esempio di pietà soccorrevole, tenne sempre presente nella vita quanto scrive san Paolo nella prima Lettera ai Corinzi (14,4-5), al capitolo 13: "La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità; non si vanta... ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine". Vescovo sollecito, porto soccorso, soprattutto durante il periodo della peste, agli ammalati, ai mendicanti e agli altri poveri, procurando loro assistenza, cibo, vestiti e un luogo dove trovare rifugio. Per fare questo si privo di molte cose che aveva nel palazzo arcivescovile, tenendo per sé solo lo stretto necessario.


3. Noi, ora, ripensando a lui in questa città, che gli diede i natali, possiamo ben immaginare che nel silenzio e nella solitudine di questo luogo egli, padre della Chiesa milanese, cardinale legato al Concilio di Trento, certamente ha meditato più di una volta queste parole: "Non fatevi chiamare "rabbi", perché uno solo è il vostro maestro, e voi siete tutti fratelli... perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo" (Mt 23,8-10).

Carlo Borromeo più di una volta - e per vari motivi - fu chiamato "padre": padre del Concilio, padre dei suoi sacerdoti, padre dei poveri e dei sofferenti, padre di tutto il popolo della Chiesa milanese. Ma era consapevole che questa "molteplice paternità in cielo e in terra" prende il suo nome e contenuto da un solo Padre. Egli fisso il suo sguardo a Dio, ripetendo sempre Padre nostro e ponendosi dinanzi a questo Padre con la semplicità di un bambino, di un figlio della divina adozione.

Riconoscendo Dio, il Signore della vita, come creatore e Padre suo e degli uomini, fu pure fratello di tutti coloro che erano affidati alle sue cure pastorali. E come vescovo visse la missione e l'ufficio di essere il loro educatore nella fede, come vescovo santo fu maestro esemplare, che aspiro unicamente ad essere una cosa sola con Cristo, affinché, per mezzo di lui, vescovo e maestro, soltanto Cristo fosse Pastore e Maestro.


4. "Il più grande tra voi sia vostro servo" (Mt 23,11).

Carlo Borromeo, con tutte le sue forze, desiderava essere servo della Chiesa, servo del popolo, servo delle anime. E fu grato a coloro che serviva, per il fatto che poteva con umiltà servire in essi Cristo, memore dell'insegnamento del Salvatore che dice: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

Gli erano cari quei sentimenti di riconoscenza, che l'apostolo Paolo manifesta nella sua Lettera ai Tessalonicesi: "Ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete" (1Th 2,13). Fu grato. Fu grato a Dio perché poteva servire gli uomini con la verità della parola di Dio, Tale gratitudine è un segno di umiltà.


5. San Carlo Borromeo fu veramente umile davanti a Dio Padre, davanti a Gesù Cristo Maestro e davanti agli uomini, per i quali era stato mandato.

Questa umiltà del servo, dell'apostolo, del pastore è segno di amore: di quell'amore che una madre nutre verso i suoi figli: un amore che dona la vita e la impegna quindi come esistenza nella carità, che nulla trattiene, ma dona nella bellezza dell'offerta totale di sé. Lo esprime in modo veramente mirabile lo stesso apostolo Paolo nell'odierna seconda lettura: "Siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari" (1Th 2,7-8).

Discepolo e seguace di Cristo, anche Carlo imparo direttamente dal suo Maestro che bisogna "dare la vita". E come Cristo "diede la vita" fino alla fine, fino all'esaurimento di tutte le sue forze nella Chiesa milanese. Poté ripetere con l'apostolo: "Ricordate, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio.

Lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno, vi abbiamo annunziato il Vangelo di Dio" (1Th 2,9).


6. Abbiamo annunziato. Con la parola, si, ma non soltanto con la parola. Con la testimonianza di tutta la vita, che si è formata innanzitutto nel profondo del suo cuore, nel nascondimento della preghiera, nella concentrazione della comunicazione con il Padre e il Figlio nello Spirito Santo, nell'interiore obbedienza al Maestro.

Forse le parole del salmo della liturgia odierna racchiudono in sé qualche eco di questa preghiera, che qui - ad Arona - hanno pronunziato le labbra e il cuore di Carlo: "Signore non si inorgoglisce il mio cuore / e non si leva con superbia il mio sguardo; / non vado in cerca di cose grandi, / superiori alle mie forze" (Ps 130,1).

Eppure fu sempre chiamato a "cose grandi". Messo dinanzi a compiti notevoli, li poté intraprendere e adempiere secondo i bisogni della Chiesa del suo difficile tempo, perché guidato dalla speranza soprannaturale e dalla fiducia filiale, nata dalla contemplazione dei misteri di Cristo. "Io sono tranquillo e sereno / come bimbo svezzato in braccio a sua madre / come un bimbo svezzato è l'anima mia. / Speri Israele nel Signore, / ora e sempre" (Ps 130,2-3).


7. Tra le grandi vicissitudini della storia, che scossero le strutture stesse della Chiesa, Carlo Borromeo - uomo di Dio, uomo della speranza incrollabile, perché uomo della preghiera costante e tenace - è rimasto un baluardo e una luce non solo per i suoi contemporanei, ma anche per le molte generazioni che, venendo dopo di lui, dovevano salire nell'eternità, a cui è chiamato il popolo di Dio sulla terra.

Per questo motivo il mio predecessore Paolo VI, quando era arcivescovo di Milano, lo pregava dicendo: "Infonda san Carlo nei nostri cuori l'ansia del bene, ne allontani l'egoismo, scuota l'indifferenza, confonda il pessimismo, fughi la noia. Ci scopra la visione dei mali nostri e dei mali del nostro tempo, e la converta in stimolo a penitenza, ad azione, a carità. Ci dia san Carlo la fiducia che il mondo può essere salvato, da Cristo non da altri; e che la Chiesa può essere rinvigorita, da se stessa non da altri. Ci faccia san Carlo comprendere la riforma vera; quella che ama, e non odia; che soccorre, e non critica; che non abbatte, ma restaura; non inventa, ma sviluppa; non si ferma, ma continua. Ci renda san Carlo capaci di compierla, questa marciante riforma, per la santità e per il fulgore della vita cristiana, per la giustizia e per la pace delle classi sociali, per la difesa degli umili e la consolazione dei sofferenti" (G.B.

Montini, "Discorsi su san Carlo", Milano 1984, pp. 32-33).

E' questa anche la mia preghiera, il mio augurio e il mio ricordo per voi, cari concittadini di san Carlo.

Data: 1984-11-04 Data estesa: Domenica 4 Novembre 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Dopo l'"itinerario" al Sacro Monte - Varallo (Vercelli)