GPII 1984 Insegnamenti - Ad un convegno - Città del Vaticano (Roma)


1. Meno di un anno fa i membri di organizzazioni governative e non governative di Africa, Asia, America Latina, Nord America ed Europa si trovarono a Dakar per la prima riunione congiunta sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo tecnologico in Africa, promossa dall'organizzazione delle Nazioni Unite per il finanziamento della scienza e della tecnologia e dal Centro regionale africano di tecnologia. E ora, con la collaborazione dell'Enea, vi siete riuniti a Roma per un secondo incontro, promosso dal dipartimento per la cooperazione e lo sviluppo del ministero degli Affari esteri, dal ministero per la Ricerca scientifica e tecnologica e dall'Istituto nazionale per l'alimentazione. In quest'occasione avete desiderato incontrarvi con il Papa. E' un piacere per me darvi il benvenuto oggi. E desidero che voi sappiate quanto sono felice di avere questa opportunità di offrirvi il mio appoggio e il mio incoraggiamento per il raggiungimento dei vostri importanti traguardi. I vostri sforzi di collaborazione per lo sviluppo dei popoli africani è un'autentica espressione di solidarietà fraterna a livello mondiale e di preoccupazione per la giustizia e la pace.


2. Nel corso del vostro convegno voi state focalizzando la vostra attenzione sui sistemi per sviluppare e migliorare le tecnologie alimentari ed energetiche in Africa, e specialmente sul modo di promuovere un'effettiva cooperazione internazionale per il raggiungimento di questi scopi. In questi stessi giorni, mentre voi siete impegnati nella discussione e nella pianificazione, milioni di nostri fratelli e sorelle in Africa, e in Etiopia in particolare, sono minacciati di morte a causa della siccità e della carestia. Chi può non riconoscere l'immenso valore, anzi l'urgenza vitale, di sforzi unitari per venire in loro aiuto? E' per questa ragione che ho recentemente lanciato un appello pressante a favore di coloro che soffrono a causa di questo terribile flagello di proporzioni catastrofiche. In voi e nelle organizzazioni che voi rappresentate vedo una concreta risposta ai profondi bisogni umani. Per questo ringrazio Dio onnipotente e, nello stesso tempo, prego perché i vostri sforzi possano ispirare molti altri a dare una simile risposta di fraterna solidarietà.


3. Contribuire a procurare cibo, assistenza sanitaria, protezione e altri aiuti è un'autentica espressione di solidarietà umana universale e di rispetto per la dignità di ogni persona umana. Per chi è cristiano, si tratta di una risposta alla chiamata di Dio a imitare l'amore del nostro salvatore Gesù Cristo. Le situazioni di emergenza come quelle che attualmente toccano numerosi Paesi dell'Africa esigono una risposta urgente. Richiedono un'assistenza internazionale immediata e prolungata. Ma, con essi, c'è bisogno di programmi di collaborazione internazionale a più vasto raggio, di programmi che promuovano la ricerca scientifica di base e la sua applicazione tecnologica e che includano i mezzi economici per attuarla. E' in questo ambito, più in particolare, che il vostro convegno può dare il suo più alto contributo.

Quasi vent'anni fa, i vescovi della Chiesa cattolica, riuniti nel Concilio Vaticano II, affermarono che "è dovere gravissimo delle nazioni evolute di aiutare i popoli in via di sviluppo" (GS 86). Riferendosi a questa affermazione in modo più specifico essi spiegarono, più avanti, che la cooperazione internazionale è necessaria nell'ambito della produzione alimentare: "Alcuni popoli potrebbero migliorare le loro condizioni di vita se, debitamente istruiti, passassero dai vecchi metodi di agricoltura ai nuovi procedimenti tecnici di produzione, applicandoli con prudenza alla situazione propria, instaurando pure un migliore ordine sociale e attuando una più giusta distribuzione nel possesso delle terre" (GS 87). La cooperazione nei campi della scienza e della tecnologia è uno dei mezzi più efficaci non solo per contribuire al benessere fisico dei popoli, ma anche alla promozione della dignità e del valore di ogni persona.


4. Impegnati come siete nella scienza e nella tecnologia, voi apprezzate il grande dono che è l'intelligenza umana per tutti i popoli. Proprio per questa sua importanza, essa dev'essere coltivata con cura ed è necessario che siano rese disponibili opportunità educative alle persone dotate di ogni nazione, specialmente ai giovani. E' inoltre importante che si faccia ogni sforzo per fare in modo che l'intelligenza e lo studio non divengano oggetto di esportazione permanente dai Paesi poveri a quelli ricchi poiché i Paesi poveri mancano di adeguati ambiti culturali, scientifici e tecnici e di istituzioni per il loro utilizzo. Un Paese povero rimarrà in uno stato di inferiorità e di soggezione finché non sarà in grado di compiere una ricerca scientifica di base e di rendere le tecnologie adatte al proprio sistema culturale, politico ed economico. In vista di ciò, è necessario che la comunità scientifica internazionale non limiti la sua partecipazione a coloro che provengono da Paesi ad alto sviluppo tecnologico, ma che comprenda membri da tutti i Paesi del mondo, uniti in uno spirito di mutua cooperazione.


5. La cooperazione tecnologica può rappresentare un serio pericolo per la cultura dei Paesi in via di sviluppo, ma non deve essere così. E, al fine di evitare questo pericolo, essa dev'essere compiuta in uno spirito di fruttuoso dialogo, un dialogo che apprezzi le preziose tradizioni dei popoli interessati e i numerosi e diversi valori di ogni cultura. Non dimentichiamo che le nazioni meno sviluppate in campo scientifico hanno spesso molto da dare, attingendo al ricco patrimonio della loro cultura, ai popoli delle nazioni più avanzate. Tale scambio fraterno arricchisce tutti coloro che sono impegnati in questi sforzi di collaborazione.


6. E in uno spirito di ammirazione e di apprezzamento, dunque, che vi rivolgo oggi queste parole. Vi assicuro dell'incoraggiamento e del sostegno della Chiesa cattolica nei vostri encomiabili sforzi di collaborazione internazionale. Dalla cooperazione e dall'assistenza che voi siete in grado di promuovere sono certo che si verificherà una crescita nella conoscenza e nello sviluppo integrale, un nuovo spirito di fraternità e di pace. Dio vi benedica e vi rafforzi nel vostro lavoro.

Vorrei salutare cordialmente tutti coloro che si dedicano con competenza ai complessi compiti dello sviluppo tecnologico in Africa o che vi partecipano in altri continenti. Indirizzo i miei auguri a voi, alle vostre famiglie, ai vostri collaboratori e alle persone che voi rappresentate. E prego Dio di benedire i vostri sforzi perché portino tutti i loro frutti.

Data: 1984-11-22 Data estesa: Giovedi 22 Novembre 1984




Omelia nella basilica di Santa Cecilia in Trastevere - Roma

Titolo: Santa Cecilia testimone per le nuove generazioni

Testo:

"Ti faro mia sposa per sempre / ti faro mia sposa nella giustizia e nel diritto / nella benevolenza e nell'amore!".


1. Con queste parole, il profeta Osea esprime l'amore che Dio porta verso Israele, il popolo della promessa; giustamente la liturgia le applica a santa Cecilia, per indicare in sintesi la sua vita di vergine e martire di Cristo.

Sono lieto di poter celebrare la santa messa in questa insigne basilica dedicata alla celebre martire romana, onorata in tutta la Chiesa, e colgo volentieri l'occasione per rivolgere dall'altare un saluto particolarmente affettuoso a tutti gli abitanti di Trastevere, questo luogo tanto rinomato fin dai tempi antichi, per la sua schietta romanità, per i tanti e prestigiosi ricordi storici e letterari, e soprattutto per i diversi ambienti religiosi e assistenziali che lo rendono tipico e suggestivo. Desidero pure esprimere il mio apprezzamento per le varie iniziative di preghiera e di formazione che qui si svolgono.

Ci troviamo in un luogo denso di memorie sante e di intensa spiritualità. Sappiamo infatti che, sulla casa della martire, fin dal terzo secolo sorse un luogo di culto, che venne poi rinnovato da papa Pasquale I nell'anno 821 per custodire il corpo di santa Cecilia, ritrovato nelle catacombe. Fin dai primi tempi, pertanto, questo tempio è stato luogo di adorazione, di preghiera, di pellegrinaggi. Infatti, il nome della martire Cecilia è glorioso e venerato fin dal periodo delle persecuzioni, è stato incluso nel Canone romano della santa messa, è ricordato in molteplici documenti e repertori che riguardano la storia, l'arte, l'architettura, la liturgia, la leggenda, tra cui il poetico e commovente racconto di Jacopo da Varagine nella "Leggenda aurea". Cecilia è dunque una santa tutta romana e nello stesso tempo anche universale e noi, in questo secolo ventesimo, vogliamo continuare a venerarla, pregarla, ascoltando il suo messaggio di fede e di amore, e trasmettendolo alle generazioni venture.


2. Nei tempi burrascosi della persecuzione Cecilia, consacratasi totalmente a Cristo, fu "testimone" della fede, tanto da convertire - come narra la "Passio" primitiva - anche il giovane pagano Valeriano e il fratello di questi, Massimo.

"Testimonianza in greco si dice "martirio" - affermava sant'Agostino - parola che noi usiamo ordinariamente in vece del corrispondente termine latino. Tanto è vero che, volendo designare coloro che affrontarono umiliazioni e tormenti per rendere testimonianza a Cristo e lottarono fino alla morte in difesa della verità, noi li chiamiamo "martiri"" ("Enarr. in Ps 118", sermo 9,2). Tale fu infatti santa Cecilia, che affronto con coraggio e serenità la morte, perché profondamente convinta della verità in cui credeva, partecipe così dell'opera redentrice del primo martire, Gesù. così sant'Agostino continuava il suo commento: "I principi si assidono e decretano di sbarazzarsi dei martiri di Cristo; i martiri con il loro soffrire decretano di riscattare i nemici ormai perduti. Gli uni rendono il male per il bene; gli altri il bene per il male" ("Enarr. in Ps 118", sermo 9,3). Gesù mori in croce per la verità ma anche per salvare l'umanità dal male; egli fu vittima di espiazione: "In questo sta l'amore - scrive l'apostolo Giovanni -: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1Jn 4,10). Essere martire significa accettare di morire con Cristo e per Cristo, per testimoniare l'autenticità della sua morte redentrice e per partecipare alla sua opera di salvezza. Il martire accetta con coraggio la prova che si abbatte misteriosamente su di lui e si abbandona fiducioso all'amore dell'Altissimo, per il bene dei fratelli. "I martiri - diceva il cardinale Newman - non sono vittime accidentali, prese a caso; ma prescelti, eletti come un sacrificio bene accetto a Dio, un dono prezioso, il fior fiore della Chiesa. Persone che ben sapevano che cosa dovessero attendersi dalla loro professione di fede, che avevano a portata di mano l'apostasia, ma che hanno sopportato e per amore di Cristo hanno lottato e non sono venuti meno... Il martirio è, all'occhio della fede, una manifestazione del potere speciale di Dio, un miracolo tanto grande quanto quelli visibilmente operati" ("Sermoni di Oxford", 1843). Anche Cecilia fu un miracolo di Dio, da lui scelta per confermare nella fede i fratelli.


3. Cecilia - come racconta la parabola del Vangelo odierno - fu una di quelle vergini prudenti, che hanno atteso lo Sposo celeste con la lampada accesa e con l'olio di scorta: la lampada della fede, che essa alimentava ogni giorno leggendo la Sacra Scrittura e ascoltando i ministri di Dio.

Narra la "Passio" che essa custodiva il Vangelo nel suo cuore e che, colpita a morte, giacque sul fianco destro, le ginocchia piegate, le braccia tese in avanti, il capo reclinato, con tre dita della mano destra e uno della sinistra distese per indicare la sua fede nell'unità e nella Trinità di Dio. così fu pure ritratta nella bella statua del Maderno, custodita in questa basilica.

E' questo l'insegnamento fondamentale che santa Cecilia lascia a noi: dobbiamo tenere accesa la lampada della fede; dobbiamo rimanere in vigilante attesa del banchetto celeste, perché il tempo non ci appartiene e per ognuno di noi da un momento all'altro può echeggiare il grido del Vangelo: "Ecco lo sposo! Andategli incontro!".

E' una lampada che ci dà la forza di accettare le vicende della vita, anche dolorose e contrastanti, nella prosperità della felicità eterna con Dio, che ci attende al termine dell'esistenza. La testimonianza della verità, talvolta, urta, crea contrasti, può suscitare odi e persecuzioni. Il divin Maestro l'aveva già predetto: "Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi" (Jn 15,20); "Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno... per causa mia" (Mt 5,11).

La fede ci dice che Cristo ha vinto il mondo: egli è sempre con noi, ogni giorno, fino alla fine della storia. Sulla tomba della martire romana Cecilia, e di tanti altri testimoni di Cristo, eleviamo pertanto un pensiero colmo di affetto e di ammirazione per tanti nostri fratelli che soffrono attualmente per la loro fede. Noi li ricordiamo! Preghiamo per loro! Li ringraziamo perché il loro esempio coopera anche a tenere accesa la nostra fiamma.

E' una lampada che deve essere costantemente alimentata dalla preghiera e dalla meditazione, perché solo da profonde convinzioni personali e dall'aiuto soprannaturale della grazia trae vigore in noi la luce della verità. Per affrontare come Cecilia le difficoltà e le avversità del mondo, è necessario che la lampada della fede sia ben accesa e la luce ben splendente, così da poter dare tutto, anche la vita!


4. Come è noto, nel Medioevo una curiosa interpretazione della "Passio" ha fatto ritenere santa Cecilia patrona degli artisti del canto e della musica.

"Cantantibus organis - scrive il documento - Caecilia in corde suo soli Domino decantabat dicens: "Fiat cor et corpus meum immaculatum ut non confundar!"". Dal secolo XV in poi l'iconografia trovo grande ispirazione nel rappresentare santa Cecilia con uno strumento musicale. Ma nel 1516 Raffaello, con il suo genio creativo, in un celebre dipinto sintetizzo mirabilmente la "passione" antica e l'interpretazione tardiva, rappresentando Cecilia con gli strumenti della musica terrena abbandonati ai suoi piedi e tutta tesa all'ascolto delle celesti armonie.

Con il vivo auspicio che, per l'intercessione di santa Cecilia, anche la musica strumentale e il canto corale continuino a dar gloria a Dio, elevando gli animi e ispirando sentimenti di fraternità e di devozione, chiediamo alla martire romana la grazia di percepire e di gustare sempre l'armonia divina della verità rivelata da Cristo. Amen!

Data: 1984-11-22 Data estesa: Giovedi 22 Novembre 1984




Ad un gruppo di studenti esteri - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Serio impegno morale per una vera crescita

Testo:

Cari giovani.


1. Sono lieto di incontrarvi in occasione del convegno, al quale siete stati invitati dall'Ufficio centrale studenti esteri, che ricorda quest'anno il XXV anniversario della sua fondazione.

Conoscevo già questa benemerita istituzione, perché anche in passato, in occasione di una circostanza simile, ebbi il piacere di incontrarmi con altri studenti come voi, per cui posso dire di essere al corrente del lavoro, degli scopi e dei problemi di questa organizzazione e quindi anche, della vostra situazione.

Io stesso, tanti anni fa, sono stato uno "studente estero" qui a Roma, per cui posso dire di sentirmi veramente vicino a voi e di conoscere la vostra condizione non solo "per sentito dire". Ho sperimentato anch'io la difficoltà di una lingua straniera, le incognite di un ambiente nuovo, la lontananza dagli affetti familiari, dalla patria e dalle amicizie che si sono lasciate. Si tratta di situazioni nelle quali occorre un forte impegno morale, per portare a compimento le scelte precedentemente fatte, per un'autentica crescita umana e spirituale.


2. Questo obiettivo potrete ottenerlo solo se, al di là della doverosa formazione in campo tecnico-culturale, voi avrete sempre dinanzi agli occhi anche la piena formazione della vostra personalità, tenendo quindi conto di quell'aspetto morale della vita umana, riguardo al quale la Chiesa ha avuto da Cristo la missione di trasmettere al mondo insegnamenti decisivi, che soli rendono possibile la salvezza dell'uomo e la vera dignità della persona.

Ovviamente, il raggiungimento di tale obiettivo richiede anche la presenza di opportune condizioni ambientali, che sappiano accogliervi con fiducia e col dovuto rispetto delle vostre legittime esigenze civili, umane e culturali.

Per questo voi giustamente e con fiducioso rispetto intendete richiamare l'attenzione degli organismi competenti civili ed ecclesiali su quelle che possono essere le lacune ancora da colmare, al fine di rendere sempre meglio possibile la realizzazione delle vostre legittime aspirazioni, e mitigare gli inevitabili disagi.

E' un incontro reciproco che si tratta di realizzare: chi vi accoglie, deve saper accettare la vostra cultura, la vostra mentalità, i vostri legittimi usi di vita; e così nasce un vero scambio, una vera e fruttuosa comunione, un autentico arricchimento reciproco.


3. Non perdete mai di vista lo scopo di fondo del vostro rimanere in Italia: acquisire quella preparazione tecnica, umana e culturale che vi consenta di mettervi domani al servizio dei vostri rispettivi Paesi. Certamente, la determinazione con la quale dovete perseguire tale nobile scopo suppone che ciascuno di voi sia sempre pronto ad accogliere le indicazioni che la Provvidenza suggerirà ai vostri piani umani attraverso imprevedibili circostanze, tanto più che la vostra età è l'età delle grandi svolte. Il tutto pero sia condotto con la serietà che si addice a circostanze o situazioni del genere. Quello che conta, nella vita, non è tanto essere qui o là o fare questo o quello, ciò che conta è ascoltare la volontà di Dio - come il patriarca Abramo - e metterla in pratica, giorno per giorno.

Serietà di impegno umano e abbandono fiducioso alla Provvidenza: ecco i capisaldi del vostro programma di vita, in questi anni, come sempre; ecco le luci del vostro cammino; ecco i criteri di valore della vostra attuale esperienza. Solo così il vostro vivere sarà veramente fruttuoso e soddisfacente.

Impegno umano significa poi, soprattutto, impegno costante nell'acquisto di solide virtù personali e sociali, rifuggendo da ogni forma di rilassatezza, scoraggiamento o scarico di responsabilità. Fate pure sentire la vostra voce, ma sempre con fiducia e collaborando attivamente alla soluzione dei problemi.

Abbandono alla Provvidenza non significa un inerte fideismo, ma sapere che il Signore ci è accanto nei nostri sforzi per la giustizia e nel raggiungimento laborioso e attivo di livelli sempre più alti di crescita umana e spirituale; vuol dire illuminare gli eventi felici o dolorosi delle nostre giornate con la luce di quella fede che li riscatta dalla finitezza dell'umano e li innalza alla dignità della vita in grazia di Dio.


4. così facendo, vi preparerete, come credenti, non solo a contribuire alla crescita delle vostre società civili e al progresso della loro cultura, ma anche allo sviluppo delle vostre comunità ecclesiali. I modi precisi in cui ciò si potrà realizzare sono probabilmente, per molti di voi, ancora ignoti. Solo Dio li conosce. ciò tuttavia non toglie il vostro dovere di pensare e di operare fin da ora per la costruzione del vostro avvenire umano, sociale e religioso.

Questi, cari giovani, sono i miei auspici; questi, i miei voti. La vostra non è un'esperienza facile, ma non vi perdete d'animo: fate la vostra parte e il Signore farà la sua. Impegnatevi seriamente, ed egli non vi farà mai mancare nulla.

Questa è stata la mia esperienza di "studente straniero". E questa - ve lo auguro e per questo prego - sarà anche la vostra. Vi accompagna la mia affettuosa benedizione.

Data: 1984-11-23 Data estesa: Venerdi 23 Novembre 1984




Ad atleti olimpionici - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lo sport come occasione di elevazione per l'uomo

Testo:

Carissimi atleti olimpionici.


1. Vi sono grato per questa visita che avete voluto rendermi, in occasione del vostro incontro a Roma, promosso dagli amministratori della Regione Lazio. Saluto tutti e ciascuno: dirigenti e atleti! Ringrazio monsignor Emanuele Clarizio per le cordiali parole che, interpretando i sentimenti dei presenti, ha voluto testé rivolgermi.

A pochi mesi dagli splendidi primati che voi avete conseguito nei Giochi olimpici di Los Angeles, suscitando il giusto orgoglio non solo degli ambienti sportivi, ma dell'intera nazione italiana, che ha seguito con entusiasmo i vostri successi, mi offrite la bella occasione di esprimervi le mie congratulazioni e i miei rallegramenti per la valentia da voi dimostrata in quelle competizioni e per il numero delle medaglie, con le quali sono state coronate le vostre prestazioni agonistiche. Aggiungo inoltre fervidi auguri per ulteriori affermazioni nella vostra esaltante attività sportiva.


2. Mentre vi esprimo il mio sincero ringraziamento per questo gesto di cortesia, permettetemi di rivolgervi, in questo breve incontro, alcune considerazioni che vi aiutino a vivere in profondità il vostro impegno così entusiasmante, ma anche così arduo. Voi ben sapete che lo sport, in tutte le sue espressioni, prima ancora di essere manifestazione agonistica, è tensione morale. Esige una carica ideale. Lo sport rischia di degradare l'uomo, se non è basato e sorretto dalle virtù umane della lealtà, della generosità e del rispetto delle leggi del gioco, oltre che del giocatore. Virtù, queste, che ben si armonizzano con lo spirito cristiano, perché esigono capacità di dominio di se stessi, abnegazione, sacrificio, umiltà e quindi atteggiamento di gratitudine verso Dio, che è datore di ogni bene, e quindi anche delle necessarie doti fisiche e intellettuali.

Lo sport non è semplice esercizio di muscoli, ma scuola di valori morali e di educazione al coraggio, alla tenacia e al superamento della pigrizia e della trascuratezza; è inoltre antidoto alla mollezza, allo scoraggiamento e avvilimento nella sconfitta. Non c'è dubbio che questi valori siano in sommo interesse per la formazione di una personalità, che considera lo sport non fine a se stesso, ma come mezzo di totale e armonico sviluppo fisico, morale e sociale.


3. La vostra professione di atleti vi offre, tra le altre, anche la possibilità di migliorare le condizioni spirituali della vostra persona. Chiamati, come siete, ad esercitare spesso le vostre competizioni in mezzo alla natura, tra le meraviglie dei monti, dei mari, dei campi e dei nevai, voi siete posti nelle condizioni migliori per avvertire il valore delle cose semplici e immediate, il richiamo alla bontà, l'insoddisfazione della propria pochezza e per meditare sui valori autentici, che sono al fondo della vita umana.

Anche la disciplina, necessaria per condurre le prestazioni sportive, può considerarsi un presupposto per l'elevazione spirituale; infatti essa crea un certo tipo di controllo personale, di cui ogni passo verso la perfezione ha assoluto bisogno. Dice l'apostolo Paolo a questo riguardo: "Ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza meta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l'aria" (1Co 9,25-26). Con queste parole san Paolo inculca la necessità non solo di una ginnastica dei muscoli, ma anche di una ginnastica dello spirito mediante l'esercizio delle virtù cardinali, cioè prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, e di quelle teologali, cioè fede, speranza e carità.

Carissimi giovani, se farete tutto questo, non solo sarete eccellenti atleti, ma anche buoni cristiani e cittadini esemplari, che sanno testimoniare un certo stile di vita sia sui campi da gioco, sia negli ambienti, ancor più impegnativi, della propria famiglia e della società.

A questo scopo, invoco su di voi copiosi favori celesti, mentre di tutto cuore vi imparto la benedizione apostolica che estendo ai vostri cari.

Data: 1984-11-24 Data estesa: Sabato 24 Novembre 1984




A Radiotelepace di Verona - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Diritto ed etica dell'informazione sono inseparabili

Testo:

Carissimi animatori e amici di Radiotelepace di Verona.


1. Sono felice di trovarmi in mezzo a voi per dirvi il mio grazie per la generosa sensibilità che avete dimostrato verso le opere di carità che la Chiesa è chiamata a svolgere nel mondo. Voi sapete bene quanto sia vera anche oggi la parola del Signore: "I poveri li avrete sempre con voi" (Jn 12,8). Noi, corpo di Cristo, dobbiamo sempre ricordarci di dover incarnare nel mondo l'espressione viva del cuore di Cristo.

Nel porgere a tutti il mio saluto cordiale, desidero rivolgervi qualche breve considerazione su alcune esigenze che si attendono da chi, come voi, opera in un'emittente cristiana. Si tratta di un mezzo di comunicazione profondamente influente e incisivo sull'opinione pubblica. La radio e la televisione, infatti, costituiscono oggi lo strumento abituale per l'apprendimento e l'assimilazione delle idee. Come ben sapete, i mezzi audiovisivi sono presenti in tutto l'arco della didattica, dall'inizio dell'età scolare alle iniziative più comuni della formazione permanente. Voi conoscete anche che si possono esercitare peculiari tecniche espressive per coinvolgere la mente dell'ascoltatore verso i punti di vista o le personali opinioni di chi dà una notizia o induce a riflettere su avvenimenti o su valori.

Un'emittente cristiana deve, ovviamente, considerare questi problemi e deve testimoniare di avere compreso e apprezzato i suggerimenti dati dal Concilio su questa materia (cfr. IM 4). Il diritto e l'etica dell'informazione non sono valori separabili.


2. Un primo principio etico è senza dubbio la correttezza dell'informazione. Non cedete mai alla tentazione di informazioni manipolate per ottenere, suggestionando in qualsiasi modo, un risultato immediato sulla sensibilità o sul sentimento di chi vi segue. La dignità umana dell'ascoltatore esige sempre lo sforzo dell'oggettività. Su di essa può avere sempre buon fondamento il messaggio che maggiormente vi preme, quello della verità che converge su Dio.


3. Il secondo principio ispirativo, per voi, è la missione. Tenete sempre presente la missione che vi compete: si tratta della stessa missione della Chiesa.

Nell'esortazione "Catechesi Tradendae" (CTR 46) ho scritto che "la catechesi non ha mai cessato di ricercare le vie e i mezzi più adatti per svolgere la sua missione, con l'attiva partecipazione delle comunità e sotto l'impulso dei pastori". E' prevalentemente questo il ruolo che giustifica ed esalta la vostra opera. Voi potete contribuire a una disposizione previa della mente dell'ascoltatore verso la considerazione dovuta al messaggio cristiano, oltre che compiere un'informazione diretta sul contenuto della catechesi. Voi dovete, per questo, congiungere un'espressione estetica qualificata a una rigorosa fedeltà al magistero.

Abbiate cura che il vostro servizio sia qualificato dal punto di vista tecnico ed estetico, perché sia accettato e gradito; e fate in modo che esso sia sempre rigorosamente fedele al magistero della Chiesa. La vostra emittente costituirà, in tal modo, come una continua e qualificata fonte di conoscenza della voce della Chiesa.

Con questi voti cordiali vi accompagna la mia benedizione.

Data: 1984-11-24 Data estesa: Sabato 24 Novembre 1984




Al Convegno sul magistero del Papa - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La preghiera è l'opera essenziale di ogni credente

Testo:

"Resta con noi Signore perché si fa sera" (Lc 24,29).


1. E' questa l'invocazione che sale spontanea dall'animo davanti a Cristo, presente nel sacramento dell'Eucaristia, mentre siamo qui raccolti davanti a lui, al termine di una giornata da voi dedicata al grande e meraviglioso tema della preghiera.

E' con animo lieto e riconoscente che ho voluto unirmi a voi per questo momento di adorazione davanti all'Eucaristia, per pregare e per essere ancora una volta illuminati dalla grazia di Cristo e dalla luce dello Spirito Santo sulla preghiera stessa, respiro della vita cristiana, quotidiano conforto in questo terreno pellegrinaggio, vitale dono di partecipazione, mediante Gesù, alla vita di grazia della Trinità.


2. Agli inizi del mio pontificato ho detto che la preghiera è per me il primo compito e quasi il primo annuncio, così come è la prima condizione del mio servizio nella Chiesa e nel mondo. Occorre riaffermare che ogni persona consacrata al ministero sacerdotale o alla vita religiosa, come pure ogni credente, dovrà sempre ritenere la preghiera come l'opera essenziale e insostituibile della propria vocazione, l'"opus divinum" che antecede - quasi al vertice di tutto il suo vivere e operare - qualsiasi altro suo impegno. Sappiamo bene che la fedeltà alla preghiera o il suo abbandono sono la prova della vitalità o della decadenza della vita religiosa, dell'apostolato, della fedeltà cristiana.

Chi conosce la gioia del pregare, sa pure che v'è in questa esperienza qualcosa di ineffabile e che il solo modo per capirne l'intima ricchezza è quello di viverla: che cosa sia la preghiera lo si comprende pregando. A parole si può solo tentare di balbettare qualcosa: pregare significa entrare nel mistero della comunione con Dio, che si rivela all'anima nella ricchezza del suo amore infinito; significa entrare nel cuore di Gesù per comprendere i suoi sentimenti; pregare significa anche anticipare in qualche misura su questa terra, nel mistero, la contemplazione trasfigurante di Dio, che si renderà visibile al di là del tempo, nell'eternità.

La preghiera è, dunque, un tema infinito nella sua sostanza, ed è altrettanto infinito nella nostra esperienza, poiché il dono dell'orazione si moltiplica in chi prega, secondo la multiforme, irripetibile e imprevedibile ricchezza della grazia divina che ci raggiunge nell'atto del nostro pregare.


3. Nella preghiera è lo Spirito di Dio che ci conduce verso la conoscenza della nostra più profonda verità interiore e ci rivela la nostra appartenenza al corpo di Cristo che è la Chiesa. E la Chiesa sa che uno dei suoi compiti fondamentali sta nel comunicare al mondo la sua esperienza di preghiera: comunicarla all'uomo semplice come al dotto, all'uomo meditativo come a colui che si sente quasi travolto dall'attivismo.

La Chiesa vive nella preghiera la sua vocazione a farsi guida di ogni persona umana la quale, di fronte al mistero di Dio, riscontra di essere bisognosa di illuminazione e di sostegno, scoprendosi povera e umile, ma anche sinceramente affascinata dal desiderio di incontrare Dio per parlargli.


4. Gesù è la nostra preghiera. Questo sia il primo pensiero di fede quando vogliamo pregare. Facendosi uomo, il Verbo di Dio ha assunto la nostra umanità per portarla a Dio Padre come creatura nuova, capace di dialogare con lui, di contemplarlo, di vivere con Dio una comunione soprannaturale di vita mediante la grazia.

L'unione con il Padre, che Gesù rivela nella sua preghiera, è un segno per noi. Gesù ci associa alla sua preghiera, egli è il modello fondamentale e la sorgente del dono dell'adorazione nella quale egli coinvolge come capo tutta la sua Chiesa. Gesù continua in noi il dono della sua preghiera, quasi chiedendo a noi in prestito la nostra mente, il nostro cuore e le nostre labbra, perché nel tempo degli uomini continui sulla terra l'orazione che egli inizio incarnandosi ed eternamente prosegue, con la sua stessa umanità, nel cielo.


5. Noi sappiamo, pero, che nelle condizioni terrene in cui ci troviamo c'è sempre qualche fatica da compiere per pregare bene, qualche ostacolo da superare. Nasce spontaneo l'interrogativo sulle condizioni della preghiera. Al riguardo i classici della spiritualità offrono alcuni utili suggerimenti, che tengono conto della concretezza della nostra condizione umana. Prima di tutto la preghiera richiede da noi l'esercizio della presenza di Dio. così i maestri di spirito chiamavano quel profondo atto di fede che ci rende consapevoli che quando preghiamo, Dio è con noi, ci ispira e ci ascolta, prende sul serio le nostre parole. Senza questo atto di fede previo la nostra preghiera potrebbe rimanere più facilmente distratta dal suo fine precipuo, quello di essere un momento di vero dialogo col Signore.

Per pregare occorre inoltre realizzare in noi un profondo silenzio interiore. La preghiera è vera se noi non cerchiamo noi stessi nell'orazione, ma solo il Signore. Occorre immedesimarsi nella volontà di Dio con animo spoglio, disposto a una totale dedizione a Dio. Ci accorgeremo allora che ogni nostra preghiera converge, per natura sua, verso la preghiera che Gesù ci ha insegnato e che divenne la sua unica preghiera nel Getsemani: "Non la mia, ma la tua volontà si compia" (cfr. Mt 6,10 Lc 22,42).

Infine, teniamo presente che nella preghiera siamo, con Gesù, ambasciatori del mondo presso il Padre. L'intera umanità ha bisogno di trovare nella nostra preghiera la propria voce: si tratta di un'umanità bisognosa di redenzione, di perdono, di purificazione. Nella nostra preghiera inoltre deve entrare anche quello che ci aggrava, ciò di cui ci vergogniamo; ciò che per sua natura ci separa da Dio, ma che appartiene alla nostra fragilità o alla povertà delle nostre singole persone.

Così ha pregato Pietro dopo la pesca miracolosa, dicendo a Gesù: "Allontanati da me, Signore, perché io sono un uomo peccatore" (Lc 5,8). Questa preghiera, che nasce dall'umiltà dell'esperienza del peccato e che si sente solidale con la povertà morale di tutta l'umanità, tocca il cuore misericordioso di Dio e rinnova nella coscienza di chi prega l'atteggiamento del figlio prodigo, che scosse il cuore del Padre.


6. Cari fratelli e sorelle, raccolti dinanzi al sacramento della presenza reale di Cristo, noi chiniamo la fronte, consapevoli della nostra pochezza, ma fieri al tempo stesso per l'immensa dignità che questa presenza ci reca: "Quale grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?" (Dt 4,7). Noi possiamo stringerci intorno a lui, possiamo parlargli confidenzialmente, soprattutto possiamo ascoltarlo, restando in silenzio davanti a lui, col cuore vigile, pronti a cogliere il misterioso sussurro della sua parola.

Pregare non è un'imposizione, è un dono; non è una costrizione, è una possibilità; non è un peso, è una gioia. Ma per gustare questa gioia, occorre creare nel proprio spirito le giuste disposizioni.

Per questo anche stasera, noi ci ritroviamo sulle labbra l'invocazione degli apostoli: "Signore, insegnaci a pregare!" (Lc 11,1). Si, Signore Gesù, ammaestraci in questa scienza singolare, l'unica necessaria (cfr. Lc 10,42), l'unica alla portata di tutti, l'unica che valicherà i confini del tempo per seguirti nella casa del Padre tuo, quando anche noi "saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1Jn 3,2).

Insegnaci, Signore, questa scienza divina; essa ci basta!

Data: 1984-11-24 Data estesa: Sabato 24 Novembre 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Ad un convegno - Città del Vaticano (Roma)