GPII 1985 Insegnamenti - A vescovi colombiani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

A vescovi colombiani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ribadite il diritto della Chiesa a testimoniare la propria fede

Cari fratelli nell'episcopato.


1. E' per me motivo di grande gioia incontrarmi stamattina con voi, pastori delle circoscrizioni missionarie della Colombia, che avete desiderato testimoniare la vostra comunione nella fede e nella carità con la Cattedra di Pietro, compiendo questa visita "ad limina apostolorum". Nel darvi il mio più cordiale e fraterno benvenuto, vi ringrazio per le amabili parole che a nome di tutti sono state rivolte dal signor vescovo di Pasto, nella sua qualità di presidente della Commissione episcopale per le missioni.


2. I dialoghi che in questi giorni ho avuto con ciascuno di voi separatamente mi hanno permesso di conoscere più da vicino le vostre comunità e di comprendere l'infaticabile lavoro apostolico che realizzate con dedizione e zelo ammirevoli, in circostanze non sempre facili. Infatti, l'enorme estensione dei territori affidati alla vostra guida pastorale, che costituiscono più del 60 per cento della superficie totale della Colombia, le difficoltà climatologiche e di comunicazione, la varietà delle culture e perfino delle lingue, la problematica sociale ed economica che, non perché antica e già conosciuta e meno urgente e bisognosa di soluzioni che scaturiscano dal Vangelo, costituiscono altrettanti capitoli indicativi della complessità del vostro ministero e dell'urgenza che tutta la Chiesa in Colombia, insieme con la Chiesa universale, si senta solidale con quell'attività prioritaria che è l'annuncio della buona novella.

Un passo avanti nel lavoro della Chiesa nel vostro Paese, per quanto riguarda l'apostolato delle popolazioni indigene, è stata la creazione, due anni fa, della Commissione episcopale speciale che si occupa di queste attività, e i cui frutti sono incoraggianti. Questo incontro comunitario mi dà l'opportunità di manifestarvi la mia gioia e la mia gratitudine per tutta la vostra opera, così piena di abnegazione, per la costruzione del regno. Nello stesso tempo vi chiedo di recare il mio saluto cordiale ai vostri collaboratori sacerdoti, religiosi, religiose, laici impegnati nell'apostolato. Con san Paolo vi dico che essi sono degni di ogni considerazione, "soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento" (1Tm 5,17).


3. Nei territori affidati alla vostra sollecitudine voi realizzate l'importante missione di rendere presente la Chiesa, "sacramento universale di salvezza", obbedendo alle intime esigenze della sua cattolicità, come insegna il Concilio Vaticano II (AGD 1). Compite, in questo modo, in stretta connessione con questa Sede apostolica, il grato obbligo che a voi compete, come successori degli apostoli, di perpetuare l'opera dell'annuncio del Vangelo perché "la parola del Signore si diffonda e sia glorificata" (2Th 3,1), e si annunci e si instauri il regno di Dio in tutta la terra. In questo modo voi confermate, col vostro ministero, la verità che l'evangelizzazione di tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa. Infatti, in virtù della signoria di Cristo e per il mandato da lui ricevuto (cfr. Mt 28,18-19), essa ha il dovere di propagare la fede e la salvezza in Cristo. Perciò, fedele a questo mandato e mossa dalla grazia e dalla carità dello Spirito Santo, essa si rende presente a tutti gli uomini e ai popoli, per condurli alla fede, alla libertà e alla pace di Cristo, con l'esempio della vita e della predicazione, attraverso i sacramenti e gli altri mezzi della grazia.


4. Ho saputo che, accanto alla collaborazione generosa di molte persone e all'interessamento del governo, in alcune vostre missioni vi sono difficoltà e ostacoli che si oppongono al vostro compito di evangelizzatori. Talvolta questi problemi nascono dalla diffusione di ideologie contrarie alla fede, che promuovono il materialismo ateo e disconoscono il lavoro generoso e disinteressato che la Chiesa ha compiuto lungo i secoli nelle zone missionarie; altre volte questi problemi vengono sollevati da persone e da gruppi che a partire da false posizioni antropologiche pretendono di negare al Vangelo il suo diritto di penetrare in tutte le culture al fine di elevarle. Costoro dimenticano che "l'attività missionaria è anche intimamente congiunta con la natura umana e con le sue aspirazioni. Difatti, per il fatto stesso che annuncia loro il Cristo, la Chiesa rivela agli uomini in maniera genuina la verità intorno alla loro condizione e alla loro reale vocazione, poiché è Cristo il principio e l'esemplare dell'umanità nuova, cioè di quell'umanità permeata di amore fraterno, di sincerità, di spirito di pace, che tutti vivamente desiderano" (AGD 8).

Certamente, non si può confondere evangelizzazione con "inculturazione".

Entrambe le realtà sono distinte e indipendenti; ma, nello stesso tempo, non mancano elementi che le mettono strettamente in relazione, giacché il Vangelo è vissuto da persone vincolate a una determinata cultura e pertanto la buona novella deve permeare le culture degli uomini ai quali si annuncia il messaggio di salvezza. Come ho ricordato nell'esortazione apostolica "Familiaris Consortio" (FC 10): "E' conforme alla costante tradizione della Chiesa accogliere dalle culture dei popoli tutto ciò che è in grado di meglio esprimere le inesauribili ricchezze di Cristo".


5. Con il Concilio Vaticano II dobbiamo ricordare che la riflessione teologico-pastorale porterà i responsabili della comunità ecclesiale a scoprire "in quali modi le consuetudini, la concezione della vita e la struttura sociale possono essere conciliati con il costume espresso nella rivelazione divina. Ne risulteranno quindi chiari i criteri da seguire per un più accurato adattamento della vita cristiana nel suo complesso. così facendo sarà esclusa ogni forma di sincretismo e di particolarismo fittizio, la vita cristiana sarà commisurata al genio e all'indole di ciascuna civiltà, e le tradizioni particolari insieme con le qualità specifiche di ciascuna comunità nazionale, illuminate alla luce del Vangelo, saranno assorbite nell'unità della visione cattolica" (AGD 22).

Ciò richiede non poco sforzo e attenzione. Perché, inoltre, nello sforzo di evangelizzazione e promozione umana che la Chiesa realizza nei vostri territori di missione, non sono mancate nemmeno difficoltà provenienti da persone e gruppi che antepongono i loro interessi particolari ai diritti della comunità. Si sono create pericolose tensioni per quanto riguarda la proprietà e la distribuzione dei terreni; e la presenza di trafficanti di droga nelle regioni indigene perturba la vita di queste comunità, che desiderano arrestare il commercio immorale della droga.


6. Davanti alle incomprensioni di cui siete stati vittime in alcune occasioni, e che feriscono anche il mio cuore, desidero ripetervi con i nostri fratelli vescovi riuniti a Puebla de los Angeles durante la III Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano: "Non rivendichiamo nessun privilegio per la Chiesa: rispettiamo i diritti di tutti e la sincerità di tutte le convinzioni nel pieno rispetto verso l'autonomia delle realtà terrene. Ciononostante, esigiamo per la Chiesa il diritto di dare testimonianza del suo messaggio e di usare la sua parola profetica di annuncio e di denuncia in senso evangelico, nella correzione delle immagini false della società, incompatibili con la visione cristiana" (Puebla, 1212-1213).

Per ottenere tali obiettivi, sono numerosi i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici che nei centri educativi e assistenziali dei vostri territori missionari danno testimonianza del Vangelo con un servizio pieno di abnegazione ai fratelli più bisognosi. Tra di loro non sono mancati coloro che sono arrivati al punto di spargere il proprio sangue. La Chiesa soffre quando viene sparso il sangue di qualche essere umano; e particolarmente se la vittima è uno dei suoi figli o un suo ministro, che non cerca che di servire e tutelare i diritti dei più deboli.

Per parte mia desidero sostenervi e stimolarvi nell'opera di elevare e trasformare le culture e le persone con il lievito del Vangelo, nonostante le difficoltà, le incomprensioni e le false interpretazioni dei valori culturali.

Come non ricordare a questo proposito questo passo di sant'Ireneo: "Questa predicazione che essa ha ricevuto e questa fede che abbiamo esposto, la Chiesa, quantunque dispersa in tutto il mondo, custodisce scrupolosamente, come se vivesse in un solo luogo. Né le Chiese che sono state fondate in Germania, in Spagna o tra i celti, né quelle dell'Oriente, dell'Egitto o della Libia, né quelle che sono nel cuore del mondo (a Gerusalemme) si differenziano tra di loro in quanto a fede o tradizione" ("Adversus haereses": PG 550-554).


7. Quale dono inestimabile del vostro lavoro si deve considerare il seminario internazionale San Luis Beltran che raduna seminaristi dei vari istituti e delle diverse giurisdizioni. Esso è una prova della maturazione e della vitalità delle vostre comunità e un frutto delle vostre sollecitudini e dei vostri sforzi. A un'opera tanto elevata, come quella dell'annuncio del Vangelo, il futuro missionario deve prepararsi con una speciale formazione spirituale e morale. Con quale sapienza il Concilio dice che il missionario deve essere capace di iniziative, costante per continuare fino alla fine, perseverante nelle difficoltà, paziente e forte nel sopportare la solitudine, la stanchezza e il lavoro infruttuoso (cfr. AGD 25).

In questo campo, dovete prestare una particolare attenzione alla formazione catechetica dei futuri missionari perché siano, a loro volta, formatori di catechisti che collaborino al loro sforzo evangelizzatore. Infatti, "la catechesi non può essere dissociata dall'insieme delle iniziative pastorali e missionarie della Chiesa" (CTR 18), ma costituisce un elemento essenziale nel processo totale di evangelizzazione.


8. Infine, desidero esprimervi la mia soddisfazione, perché il vostro lavoro missionario vi chiama a servire i più poveri e umili tra i vostri fratelli, nelle zone più depresse, in mezzo all'amata popolazione indigena.

Cari fratelli, la vostra e quella dei vostri fratelli è veramente l'opzione preferenziale non escludente i poveri, ai quali dedicate il meglio della vostra vita e del vostro ministero. Avete il privilegio di vivere accanto a coloro che non hanno voce, accanto ai preferiti da Gesù, per annunciare loro la salvezza, "quel grande dono di Dio che è liberazione da tutto ciò che opprime l'uomo, ma che è soprattutto liberazione dal peccato e dal maligno" (EN 9).

In questo spirito, continuate nel vostro impegno. Scoprite sempre più la presenza di Gesù nei vostri figli più umili e serviteli con l'amore e la gioia di chi serve il Signore.


9. Alla protezione di Maria, la Madre del Signore, desidero affidare la vostra opera apostolica. Ella non fu uno strumento passivo, ma "coopero alla salvezza dell'uomo con libera fede e obbedienza" (LG 56). Ella vi incoraggi e vi sostenga sempre. E che Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, ispiri i vostri sforzi pastorali, perché le anime a voi affidate giungano, per azione della grazia, alla pienezza della vita cristiana.

A voi e alle vostre comunità in pegno di fedeltà a Cristo, do con affetto la mia benedizione apostolica

Data: 1985-03-09 Data estesa: Sabato 9 Marzo 1985





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La disciplina penitenziale è uno stimolo alla libertà

"Ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna".


1. così prega la Chiesa in questa terza domenica di Quaresima con un'affermazione che, rivolta a Dio misericordioso, traccia in realtà un itinerario di vita per il cristiano nella prospettiva della Pasqua. E' un itinerario che comprende il digiuno, termine col quale ben si possono intendere tutte le varie forme di privazione volontaria, a cui invita la prassi penitenziale della Chiesa. Il digiuno è conservato in qualche misura anche nella nuova disciplina canonica.

Infatti, come ho ribadito nell'esortazione apostolica "Reconciliatio et Paenitentia" (RP 26), "anche se mitigata da qualche tempo, la disciplina penitenziale della Chiesa non può essere abbandonata senza grave nocumento sia per la vita interiore dei cristiani e della comunità ecclesiale, sia per la loro capacità di irradiazione missionaria". Tale disciplina, infatti, costituisce un servizio e uno stimolo alla libertà, che è nobilissima prerogativa dell'uomo, ma prerogativa vulnerabile, che ha bisogno di essere custodita e, in certo senso, sempre conquistata. La fragilità della natura la espone a continui pericoli.

Occorre quindi proteggerla con tutti quei mezzi che contribuiscono a un sano e sereno autodominio.


2. Il vero e implacabile nemico della libertà è il peccato, che sconvolge l'ordine in cui l'uomo è stato creato, scatenando in lui istinti e pulsioni, da cui la volontà resta inevitabilmente influenzata. L'esercizio della penitenza contribuisce a rettificare l'orientamento della mente e del cuore e a rafforzare la capacità della volontà di aderire al bene. Inoltre, per l'azione della grazia, il fedele che s'impegna generosamente nella pratica della penitenza conosce una progressiva immedesimazione con Cristo, che è il vero liberatore dell'uomo. "Dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà" (2Co 3,17).

Oggi le pratiche penitenziali comandate dalla legge della Chiesa sono talmente limitate, da non esaurire affatto il dovere e il bisogno di ciascuno di fare penitenza. Il più è affidato alla generosa iniziativa di ciascuno. E' necessario perciò che la maturità di coscienza del singolo fedele lo spinga a cercare spontaneamente, anzi di creare nell'ambito della propria libertà le forme e i modi di penitenza conformi alle personali necessità di liberazione dal peccato di purificazione e di perfezionamento. Avvalori questi sforzi la Vergine Maria, essa che liberamente accetto il disegno divino, cui doveva partecipare anche con il cuore trafitto dalla spada del dolore.

Data: 1985-03-10 Data estesa: Domenica 10 Marzo 1985





Alla parrocchia Nostra Signora di Bonaria - Ostia Lido (Roma)

Titolo: Esaminare le coscienze per liberarle dal peccato



1. "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: Non pronunzierai invano il nome del Signore... Ricordati del giorno di sabato per santificarlo... Onora tuo padre e tua madre... Non uccidere. Non commettere adulterio. Non rubare. Non pronunziare falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo... né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo" (Ex 20,2-3 Ex 20,7-8 Ex 20,12-17).


2. Oggi, terza domenica di Quaresima, la Chiesa proclama ancora in questo brano del libro dell'Esodo, in cui è contenuto il "Decalogo": i dieci comandamenti proclamati e imposti ai figli e alle figlie d'Israele ai piedi del monte Sinai.

Questa è la Legge divina che determina i principi fondamentali del comportamento dell'uomo, le principali norme della morale, secondo le quali le opere umane acquistano il carattere di bene o di male morale. L'osservanza di queste norme, di questi comandamenti imprime sulle nostre opere il segno del bene, rende l'uomo buono. L'infrazione, la trasgressione di esse imprime sulle nostre opere il segno del male: rende l'uomo cattivo. Questo bene e questo male riguardano l'uomo nella sua stessa umanità. Mediante il bene morale l'uomo, come uomo, diventa ed è buono.

Mediante il male morale l'uomo, come uomo, diventa ed è cattivo.

Si tratta quindi del problema fondamentale dal punto di vista dello stesso valore essenziale dell'uomo. La legge morale rimane strettamente collegata appunto con questo valore. Collegata, si può dire, con la dignità dell'uomo, e insieme con la dignità di ogni convivenza degli uomini tra di loro. La legge morale ha un significato insieme personale e sociale. E' Dio che proclama questa Legge: il Decalogo manifesta in questo modo la sua Provvidenza, la sua sollecitudine paterna per il bene fondamentale dell'uomo. Egli è il Dio che ha fatto uscire i figli d'Israele dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù.


3. Ricordiamo il Decalogo nel corso della Quaresima, perché è questo il periodo in cui Gesù Cristo interpella in modo particolare la coscienza umana. Sin dall'inizio di questi giorni quaresimali abbiamo sentito la chiamata alla conversione, alla riconciliazione con Dio. Questa chiamata trova nel Decalogo il suo fondamento oggettivo. Convertirsi vuol dire rompere col male, rompere col peccato, rafforzarsi di nuovo nel bene e consolidare in esso il proprio comportamento.

Sappiamo che Gesù Cristo ha riconfermato pienamente i comandamenti divini del monte Sinai. Ha incaricato gli uomini di osservarli. Ha indicato che l'osservanza dei comandamenti è la condizione fondamentale della riconciliazione con Dio, la condizione fondamentale del raggiungimento della salvezza eterna.

Perciò l'odierna liturgia proclama: "Signore, tu hai parole di vita eterna!". "La legge del Signore è perfetta... / Gli ordini del Signore sono giusti, / fanno gioire il cuore... / i giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti / più preziosi dell'oro, di molto oro fino" (Ps 18,8-11).

Il periodo della Quaresima è il tempo in cui dobbiamo ritornare ai comandamenti di Dio. Alla loro luce dobbiamo esaminare le nostre coscienze, affinché non cresca su di esse uno strato di peccato e di iniquità.


4. Gesù Cristo riconferma la Legge divina dell'antica alleanza, proclamata sul Sinai. Ma, al tempo stesso, la missione con cui egli si rivolge all'umanità, va ancora più avanti. "Dio... ha tanto amato il mondo a dare il suo Figlio unigenito; chiunque crede in lui ha la vita eterna" (cfr. Jn 3,16).

La fede in Cristo è ancora qualche cosa di più che non una pura obbedienza alla Legge, anche se questa è dettata dal sincero "timore del Signore" di cui parla il salmo 11

1. Credere i


n Dio vuol dire mettersi di fronte all'amore stesso con il quale Dio ha amato il mondo. L'amore di Dio si esprime nel fatto che egli ha dato il suo Figlio unigenito. Per questo tutto l'ordine morale della nuova alleanza raggiunge il suo apice e il suo centro nel comandamento dell'amore.

Compiamo, si, la volontà di Dio, osservando tutti i comandamenti divini; ma a Dio che ha rivelato se stesso in Cristo come amore, possiamo rispondere soltanto mediante l'amore! Perciò il nostro esame quaresimale della coscienza deve concentrarsi sulle esigenze dell'amore di Dio e del prossimo. Questa è insieme la via principale della conversione, che Cristo aspetta da noi. Si tratta di una conversione costante e continua. Come bisogna continuamente pregare, così dobbiamo anche costantemente convertirci.


5. Perciò la Chiesa, nel periodo della Quaresima, non si limita a proclamare la Legge divina: il Decalogo del monte Sinai. Proclama per noi - insieme con san Paolo - Cristo crocifisso sul monte Calvario.

Una volta i giudei chiedevano i miracoli e i greci cercavano la sapienza (cfr. 1Co 1,22). I contemporanei si comportano come i giudei e i greci dei tempi apostolici. Anzi, le loro richieste vanno ancora molto più in là. Molto più aspra è qualche volta la critica e l'opposizione nei confronti dell'insegnamento di Dio, nei confronti dei comandamenti divini. Nello stesso tempo, pero, la Chiesa rimane fedele all'indicazione dell'apostolo: "Noi predichiamo Cristo crocifisso". In lui si trova la risposta a tutto! Ogni critica, ogni opposizione nei riguardi dell'insegnamento divino impallidisce dinanzi all'eloquenza del Cristo crocifisso.

La croce del Calvario "è più sapiente degli uomini" ed "è più forte degli uomini", come scrive san Paolo (cfr. 1Co 1,2 1Co 3 1Co 1,25).


6. Oggi, terza domenica di Quaresima, sono con voi, cari fratelli e sorelle della parrocchia di nostra Signora di Bonaria ad Ostia Lido. Visito la vostra comunità come Vescovo di Roma. Insieme "predichiamo Cristo crocifisso", e insieme lo professiamo, così come da quasi duemila anni predica e professa la Chiesa romana, erede della fede dei santi apostoli Pietro e Paolo.


7. La vostra parrocchia è dedicata a nostra Signora di Bonaria. Questo vi ricorda che i primi abitanti di questa zona provenivano, per lo più, dalla Sardegna, come pure dalla Sardegna erano i primi pastori, i quali con voi, dopo anni faticosi di lavoro, condividendo le condizioni disagiate in cui si comincio a vivere qui, riuscirono a dare esistenza a questa chiesa con l'aiuto vostro e delle vostre strutture pastorali diocesane.

Io ringrazio con voi tutti coloro che si fecero carico dello sviluppo di questa parrocchia, comunità che sente con responsabilità i problemi tipici delle situazioni nuove. E' lunga la strada da percorrere per superare il disambientamento delle famiglie recenti, per raccogliere e ricostruire le tradizioni religiose, per venire incontro al disadattamento giovanile quando le strutture e i servizi sono incipienti o appena avviati.

Desidero anzitutto ringraziare il cardinale vicario e il vescovo ausiliare per le attenzioni che hanno verso la vostra comunità. Ringrazio il vostro zelante parroco e le suore Salesiane, che insieme hanno dato vita a un'intensa serie di iniziative sociali e apostoliche, specialmente per i giovani e le ragazze: la preparazione dei catechisti, il centro professionale, l'oratorio (che già fa sentire la sua presenza nel complesso ambiente giovanile di questa zona), gli scout (tanto pressati dalle famiglie che numerose richiedono la partecipazione dei loro ragazzi a questo metodo di formazione ed educazione), i gruppi giovanili che danno continuità all'esperienza della Comunione e della Cresima, gli animatori della carità e della carità e della liturgia festiva.

La messa festiva, cari fratelli e sorelle: è questa la base di tutto, e io devo chiedervi di non trascurarla, di essere più assidui ad essa, di sentirvi, ogni domenica e festa, inviati dal Signore a incontrarlo insieme, attorno alla duplice mensa della parola e del corpo di Cristo. Senza questo riferimento costante alla mensa di Cristo non è possibile costruire una vita veramente cristiana. Tutta la forza missionaria di una parrocchia e tutta la sua capacità o la sua speranza per la formazione dei giovani nasce da questa fonte costante e ricca della presenza di Cristo nella messa festiva.

Desidero incoraggiare tutte le vostre opere, desidero sottolineare i significativi risultati della vostra presenza cristiana in una zona che comincio a formarsi con grandi disagi e sacrificio. Voi ricordate bene le prime baracche, la chiesa nello scantinato, l'affluire di gente in difficoltà per il lavoro, di famiglie e persone quasi cacciate dalla periferia della grande metropoli.

Si è fatta della strada da allora; continuiamo ora ogni nostro sforzo per costruire insieme la comunità spirituale della fede, la parrocchia del servizio interiore alle coscienze e alle anime, la comunità educante nello Spirito di Cristo, una comunità di fratelli che irradia il Vangelo, una famiglia di credenti e di testimoni, guidata e illuminata dalla presenza benedicente e dalla protezione della Madonna.


8. "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù".

Dio, che ha liberato Israele dall'Egitto, libera costantemente l'uomo: lo libera dal peccato. Verso questa liberazione conduce la via dei comandamenti divini: il Decalogo e il comandamento dell'amore. Su questa strada si è trovato Cristo che nell'odierno Vangelo dice: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo faro risorgere". E lo dice "del tempio del suo corpo" (Jn 2,1 Jn 9 Jn 2,21), lo dice della risurrezione.

Nel periodo di Quaresima scrutiamo le nostre coscienze alla luce dei comandamenti di Dio, per sollevarci dal peccato. E rinnoviamo in noi la speranza legata alla risurrezione di Cristo, nella quale è contenuto l'inizio della liberazione completa dal male, dal peccato e dalla morte. La liberazione dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù, fu infatti non lontano preannunzio della liberazione, che è da noi partecipata in Gesù Cristo.

[Incontro con i vari gruppi. Ai bambini:] Adesso sto camminando verso i sessantacinque anni. Riguardo poi ai miei viaggi, grazie a Dio non mi stanco tanto, ma qualche fatica c'è sempre. Non si può vivere senza stancarsi e allora anche il Papa deve faticare un po' per vivere.

Alessia ha detto che il vostro parroco, don Vincenzo, incontra volentieri i giovani e parla con loro dopo la messa. E' una bella cosa, anch'io lo faccio quando posso. Ma, essendo Vescovo di Roma, e viaggiando un po' per il mondo, posso essere parroco della vostra parrocchia, posso essere presente in questa parrocchia solamente per alcune ore. Questo mi dà pero una grande gioia.

Il vostro collega ha usato anche la parola Vicario di Cristo. Questo titolo viene attribuito al Papa, ma vorrei che ognuno di noi, ogni cristiano di questa zona, si attribuisca, in un altro senso queste parole: rappresentante di Cristo. Noi tutti cristiani siamo, dobbiamo essere rappresentanti di Cristo. Anzi, un vecchio scrittore cristiano, uno dei più grandi, scriveva in latino: "christianus alter Christus", vuol dire che il cristiano è un altro Cristo. Questo corrisponde pienamente all'insegnamento di Gesù Cristo stesso, corrisponde pienamente al Vangelo. Io voglio augurare a tutti i fedeli di questa parrocchia di riflettere su queste parole: il cristiano è un altro Cristo. Noi dobbiamo essere come Cristo; dobbiamo seguire Cristo; dobbiamo imitarlo; dobbiamo modellare la nostra vita umana secondo l'esempio, il modello che ci ha lasciato il Figlio di Dio, Gesù Cristo, nella sua persona, nei suoi comportamenti, nelle sue parole.

Questo è un vero ideale per i cristiani, la norma, il cammino, la strada. Gesù ha detto: io sono la via, la vita e la luce. Questo è Gesù per noi... [applauso].

Questo è un segno di adesione a Gesù. Ma dopo l'applauso bisogna accettare Gesù nella vita, nei comportamenti. E i ragazzi che imparano il catechismo, che si preparano ai sacramenti, alla prima Comunione, alla Cresima, devono imparare proprio come essere simili a Gesù Cristo. Questa è la consegna che faccio a voi in questo primo incontro della visita nella vostra parrocchia.

Sono qui anche i giovani Scout. Questi hanno un proprio metodo, molto buono, per diventare uomini maturi, responsabili, e anche per imitare Gesù Cristo.

Alla fine voglio rivolgermi a tutti parrocchiani che vivono in questi grandi Palazzi intorno alla chiesa e che sono quindicimila: ai molti presenti, e anche a coloro che non sono venuti, forse sono anche fuori Roma. Auguro a tutti di riflettere durante questa Quaresima su ciò che vuol dire essere cristiani e su come si deve vivere per essere cristiani, per realizzare nella propria vita quelle parole di un vecchio scrittore, padre della Chiesa: il cristiano è un altro Cristo. Con queste parole mi introduco nella vostra comunità esprimendo la gioia di poter visitare oggi questa parrocchia che tra le parrocchie di Roma è forse una tra le più lontane, ma essendo lontana nello spazio rimane sempre vicina al cuore del Papa.

[Ai gruppi parrocchiali:] Di solito, quando devo compiere la visita pastorale, il mercoledi incontro il cardinale, il vescovo del settore e il parroco o un gruppo di sacerdoti della parrocchia. Questa volta è venuto un solo sacerdote che mi ha detto che la parrocchia conta 1 5.000 fedeli. Allora, mi sono domandato come questo sacerdote, da solo, possa svolgere il compito pastorale in una così grande comunità. Oggi ho avuto la risposta.

Questa risposta teologica e pastorale è quella che troviamo nelle fonti della tradizione, negli Atti degli apostoli soprattutto, nel Vangelo, e recentemente negli insegnamenti del Vaticano II. La Chiesa era il tema principale di questo ultimo Concilio, che ci ha parlato del mistero della Chiesa, del popolo di Dio, della struttura gerarchica della Chiesa, della vocazione religiosa e anche dell'apostolato dei laici. Questa verità ecclesiologica tocca ogni Chiesa, tocca la dimensione universale, quella diocesana e, naturalmente, quella parrocchiale.

Tante volte ho sentito nelle relazioni dei vescovi, per esempio quelli dell'America Latina, che la proporzione media è di un sacerdote per diecimila fedeli. I sacerdoti che collaborano qui, non a tempo pieno, sono di grande aiuto per don Vincenzo.

Ma, poi, ci siete voi, carissimi fratelli e sorelle, che avete capito la vostra vocazione cristiana, perché comprendere la vocazione cristiana è comprendere quello che è una vocazione all'apostolato. Avete trovato il luogo per questo vostro apostolato in questa parrocchia, che aveva tanto bisogno di un grande apostolato, di un apostolato molto diversificato: apostolato della preghiera, apostolato della parola, catechesi, apostolato della carità, cosa fondamentale, apostolato dell'educazione e anche apostolato dell'economia. Ci sono tanti diversi campi dell'apostolato che si articolano nella vita della Chiesa e sono necessari nell'insieme della comunità. Allora vi ringrazio per aver trovato questo vostro campo e per aver introdotto la vostra vocazione cristiana come vocazione all'apostolato nella comunità della vostra parrocchia. Spero che questo che già è servito negli anni passati serva ancora di più per formare un lievito che trasforma la massa. Questa parabola evangelica mi sembra molto attuale in quest'ambiente, che, come ha detto più volte il cardinale, è un ambiente di gente povera, dove c'è molta miseria. Ma coloro che hanno buona volontà, i credenti, hanno bisogno di un lievito. Insieme con il vostro parroco, i sacerdoti, le suore, voi tutti siete questo lievito che trasforma la massa. Vi auguro di continuare, perché si deve essere sempre lievito nella massa e trasformare la massa nello spirito di Cristo crocifisso e risorto.

[Ai giovani:] Grazie per questo programma, che si è articolato già nel corso della celebrazione eucaristica, quando si sentiva il canto di voi giovani.

E' la prima cosa che voglio sottolineare, perché il canto è un elemento della costruzione della comunità. Infatti si costruisce la comunità attraverso il canto.

Naturalmente la comunità si costruisce soprattutto attraverso la partecipazione e la preghiera comune, ma è attraverso il canto che essa si esprime. Un grande saggio, sant'Agostino, diceva: "Chi canta, prega due volte". Ecco, io voglio ringraziarvi per questo incontro e per la relazione che ha fatto il vostro collega. Una relazione molto precisa, molto sistematica. Ho visto che voi affrontate i problemi dell'apostolato giovanile con un sistema e con un metodo, e ciò è certamente un bene. Ci sono infatti diversi metodi, come ci sono diversi gruppi: così, per esempio, gli Scout hanno un proprio metodo tradizionale. Ma ci sono tra voi anche altri gruppi che pure esprimono un proprio metodo di apostolato giovanile.

Voglio ringraziarvi per la consapevolezza con cui costruite la vostra Chiesa, voi giovani come del resto tutti, qui. La vostra è una parrocchia che muove ancora i primi passi e ha bisogno del contributo di tutti e in particolare del contributo di voi giovani.

Per quanto riguarda le vostre domande... Sulla differenza tra la Roma che ho conosciuto da giovane prete e quella d'oggi, ecco. Roma aveva allora appena un milione di abitanti, oggi ne contra tre milioni... Ma forse quella Roma di quarant'anni fa, la Roma del dopoguerra, sembrava esteriormente più sacra. Oggi lo sembra meno, esteriormente. Pero, visitando parrocchie (sono già una novantina), vedo quanto si opera per mutare il volto interiore della città. Quanto alla seconda domanda, sulle nuove responsabilità che mi sono state affidate nel corso della vita, voi mi chiedete se qualcosa è cambiato in me. Ecco, io trovo la risposta alla vostra domanda in quel canto che avete appena eseguito, la preghiera di San Damiano, dove dice: "Ogni giorno con il tuo sudore, una pietra dopo l'altra, alto arriverai". Vedo ancora tante altre risposte nei canti che avete appena eseguito, ma c'è in particolare una risposta sintetica che vorrei darvi.

"Quali consigli darebbe - voi chiedete - a noi giovani per vivere con autenticità il cristianesimo?".

Ho pensato che voi già lo sapete, perché avete cantato così: "Mondo nuovo che nascerà, noi lo costruiremo perché noi sappiamo come si fa". Avete dunque la certezza, perché - avete detto - "noi sappiamo". E allora, mi chiedo, perché questa domanda? Voi già sapete come si fa. Eppure la domanda è giusta: voi sapete come si fa, noi sappiamo come si fa, lo sappiamo dal Vangelo. Dio attraverso il suo Verbo, attraverso suo Figlio ci ha detto tutto, ci ha detto come costruire questo mondo nuovo. Ma pur sapendo, tante volte non sappiamo. E allora bisogna cercare. Ed ecco, voglio darvi un consiglio molto semplice per questa ricerca. Questo consiglio si può sintetizzare in una parola sola: la preghiera.

Per trovare risposte, consiglio, si deve pregare, perché la preghiera ci porta a contatto con lo Spirito Santo, che è Spirito del consiglio. E devo dirvi che tante volte le risposte, i consigli mi vengono durante la preghiera. Se avete bisogno di tante risposte, di tanti consigli, pregate. Bisogna imparare a pregare e a pregare s'impara con la pratica, con l'assiduità, con la perseveranza. Attraverso la preghiera si trovano i consigli più importanti e decisivi per la vita personale e quella di una comunità.

Ecco, questa è la consegna che voglio lasciarvi, anche se non ne avreste bisogno perché, come avete cantato, "noi lo costruiremo perché sappiamo come si fa". Vi auguro di continuare a fare di tutto ciò che state facendo e se qualche volta vi mancherà la sapienza sufficiente, allora, pregate.

Data: 1985-03-10 Data estesa: Domenica 10 Marzo 1985






GPII 1985 Insegnamenti - A vescovi colombiani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)