GPII 1985 Insegnamenti - Al Pontificio collegio portoghese - Via Nicolo V (Roma)

Al Pontificio collegio portoghese - Via Nicolo V (Roma)

Titolo: Integri e coraggiosi per servire la Chiesa e l'uomo

Miei amati fratelli e sorelle, sia lodato nostro Signore Gesù Cristo!

1. Siamo qui riuniti, questa sera, nella comunione d'amore e di lode a Dio e nella carità che ci rende fratelli nello Spirito Santo. Sono felice di trovarmi oggi in mezzo a voi, in questa sede relativamente nuova del Pontificio collegio portoghese di Roma. Vi ringrazio per la vostra festosa accoglienza, per la vostra presenza, e vi saluto tutti cordialmente: saluto i rappresentanti dei vescovi portoghesi, il signor ambasciatore, gli amici di questa casa, le religiose e soprattutto voi, cari sacerdoti e alunni che, con i vostri superiori, vi state preparando in questo luogo, con amore e serietà, per servire la Chiesa di Dio.

L'atto liturgico che celebriamo alla vigilia della festa del Battesimo del Signore, ci ricorda che la vita pubblica del divin Salvatore è racchiusa tra due battesimi: il battesimo di penitenza, sulle sponde del fiume Giordano, che segna l'inizio dell'itinerario dell'evangelizzazione che il Servo di Jahvè percorrerà, annunciando il regno di Dio e passando beneficando; e l'altro battesimo - quello del Calvario - in cui il Redentore, come vittima di espiazione, diventerà pietra angolare del mondo nuovo, "perché Dio era con lui" (Ac 10,38).

Dopo il battesimo di Gesù Cristo, si aprirono i cieli e si senti una voce dire: "Tu sei il Figlio mio prediletto: in te mi sono compiaciuto" (Mc 1,11). E la "pietra angolare, scelta e preziosa" che i costruttori increduli hanno scartato, attraverso lo Spirito Santo, manifestatosi sotto forma di colomba, diventa la grande certezza per coloro che credono: "Chi crede in essa non resterà confuso" (1P 2,6).


2. Noi, per grazia dell'Altissimo, siamo coloro che confidano in questa "pietra angolare". Anche noi un giorno siamo stati battezzati nella morte e risurrezione di Cristo; a sua somiglianza, abbiamo ricevuto l'unzione dello Spirito; in lui siamo diventati figli di Dio e pietre vive, chiamati ad entrare "nella costruzione di un edificio spirituale, per mezzo di un sacerdozio santo, il cui fine è offrire sacrifici spirituali che siano graditi a Dio".

Come sulle sponde del Giordano, lo Spirito Santo fu presente anche nel bel giorno del nostro Battesimo, poiché è lui che, in seno al fonte battesimale, genera a nuova vita coloro che credono in Cristo, unendoli in un solo popolo di Dio (cfr. AGD 15). E per quasi tutti noi, qui presenti, il Signore ha riservato un'unzione speciale, che racchiudeva in embrione la vocazione di "ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio" (1Co 4,1), al servizio del Signore e del prossimo, nella grande famiglia umana.

Il primo sentimento che ci deve dominare in questa breve meditazione è l'adorazione e il ringraziamento al Signore, per aver fatto in noi "grandi cose": benedetto sia Dio e Padre di nostro Signore Gesù Cristo, per l'efficacia della nostra fede, per il dono della carità, insieme al suo Spirito, e per il coraggio della speranza che ci ha concesso, perché "siamo stati eletti" (cfr. 1Th 1,4).

Infatti nessuno può attribuire a se stesso questo onore, ma lo riceve soltanto chi è chiamato da Dio. Lo stesso Gesù Cristo, sommo sacerdote, non glorifico se stesso, ma venne glorificato da colui che gli disse: "Mio Figlio sei tu, oggi ti ho generato" (He 5,4). Una parola analoga ci venne detta quando fummo battezzati: "Io, il Signore, ti ho chiamato per la salvezza"; e voglio prenderti per mano e formarti, per usare l'espressione della profezia di Isaia (Is 42,6).


3. Figli di Dio, pietre vive, ben salde nella "pietra angolare", creati per aiutare gli uomini a comprendere le cose divine, "per offrire doni e sacrifici" (He 8,3), dobbiamo necessariamente aver qualcosa di noi stessi da offrire. Questa sera, vorrei parlarvi della fiducia, quanto di meglio possiamo offrire di noi stessi nella nostra sublime funzione sacerdotale: "Fa bene attenzione a me, Figlio mio, e tieni fisso lo sguardo ai miei consigli" (Pr 23,26). Il Signore, lo stesso ieri, oggi e sempre, come risposta, continua a ripeterci: guardate: "Avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!" (Jn 16,33).

Abbiate fiducia: è per voi questa parola, carissimi responsabili della direzione e dell'animazione spirituale di questa casa; è per voi, carissimi alunni, sacerdoti e seminaristi che qui svolgete e completate la vostra formazione; è per voi, amate sorelle religiose, che qui prestate il vostro dedito servizio, con il cuore e lo sguardo sicuramente rivolti alla Serva del Signore, impegnata nella vita domestica della casa di Nazaret, per offrire un buon ambiente e un clima familiare; è per voi, che assicurate il sostentamento e il mantenimento di questa casa: dall'anonimo benefattore, agli amici conosciuti, oggi qui rappresentati, e ai signori vescovi qui rappresentati dal presidente della Conferenza episcopale portoghese e dai metropoliti del Portogallo, tra i quali l'ex allievo il cardinal patriarca di Lisbona, e dom Custodio Alvim e dom Teodoro de Faria, già rettori di questo istituto.


4. In voi vedo rispecchiata nella città di Roma la "Casa Lusitana"; e rivivo, con grata emozione, le immagini dell'indimenticabile visita al vostro Paese che ebbi la gioia di compiere due anni e mezzo fa. Fu sotto il segno della fiducia nel Signore nella storia che feci quel pellegrinaggio alla vostra terra, desideroso di portare al Portogallo di oggi una parola di conforto, che allo stesso tempo riaffermasse la stima per un popolo con una gloriosa storia e un ricco patrimonio spirituale, fonte di responsabilità. Fu sotto il segno della fiducia in Dio e nella Madre della Chiesa che mi inginocchiai a Fatima, con il mondo e con il popolo portoghese, per affidare alla protezione della Vergine, Madre di misericordia e speranza nostra, i destini degli uomini e delle nazioni. E con lo stesso sentimento di fiducia ho invitato il mondo, e con esso il Portogallo, a venire a Roma - con l'immagine della Vergine di Fatima - per poter qui, nel cuore della cristianità, alla fine dell'Anno Santo della redenzione, rinnovare lo stesso atto di consacrazione.

E' motivo di fiducia il passato di questo collegio: tutti coloro che hanno abitato in questa casa di formazione sin dall'inizio - e sarebbe il caso di ricordarne i nomi, se avessimo più tempo a disposizione - hanno dimostrato quella fiducia che, possiamo dire, è stata premiata. Infatti, la storia della Chiesa in Portogallo e negli altri territori e nazioni di espressione portoghese, in questo secolo, non potrà essere scritta senza riferire la partecipazione che in essa hanno avuto gli ex allievi del Pontificio collegio portoghese, che annovera nel suo libro d'onore tre cardinali e quarantotto vescovi, senza dimenticare gli altri quasi seicento servitori del popolo di Dio, impegnati in attività di grande responsabilità e, grazie a Dio, con frutti e risultati che durano nel tempo.

E questa fiducia continua, nonostante le circostanze nelle quali vivono e lottano gli uomini di oggi. Favoriti dai vantaggi del progresso, ma, non raramente, afflitti da un certo malessere, proveniente da vari e gravi motivi di ordine sociale, politico, economico, ideologico e culturale, essi possono sembrare non interessati; ma, al fondo, hanno bisogno di sacerdoti integri e coraggiosi, di uomini totalmente "al servizio degli uomini" e sensibili alle loro problematiche e sofferenze, ma diversi, in quanto testimoni, araldi e servitori, liberi e disponibili all'assoluto di Dio, che ciascuno, nonostante tutto, cerca.


5. E' giunto il momento di concretizzare e rispondere alla domanda: come rispondere a questa fiducia e aspettativa? O, che cosa si attende dagli allievi di questo collegio, come casa di formazione, di perfezionamento, in cui si compie l'evangelico "sedersi" e "calcolare" ciò di cui si dispone per "edificare" e per "difendere" il regno di Dio.

Vi lascio alcuni temi, per una vostra riflessione personale, sul tipo di sacerdote che si desidera vedere sempre in voi.

- Sacerdoti imbevuti dei sentimenti di Cristo, persuasi che più che professione l'"essere sacerdoti" è una vocazione divina, da vivere seguendo lo stesso Cristo e in sintonia con la sua parola, meditata e assimilata nell'intimità della preghiera. Nulla può sostituire la preghiera personale; non si improvvisa l'abitudine della preghiera comunitaria; e non si può costruire la comunione ecclesiale senza la preghiera liturgica. Vivete in un tempo e in una situazione favorevoli per prepararvi ad approfondire ciò che vi aspetterà sempre, qualsiasi sia la vostra specializzazione: maestri della preghiera e guide delle anime lungo le strade dell'unione di Dio.

- Sacerdoti di vita santa, perché è santo colui al quale vi consegnate: con la grazia divina sempre splendente; "evangelizzati", per poter evangelizzare, che è qualcosa di più dell'accostamento ai contenuti dell'Evangelo: è condurre gli uomini a incontrarsi con Cristo e a lasciarsi incontrare da lui.

- Sacerdoti personalmente convinti, contenti della loro missione e felici della loro scelta, senza scoraggiamenti o stanchezze, nonostante le difficoltà del cammino evangelico. In un Paese tradizionalmente cristiano, come il vostro, ed è un bene che lo sia, esiste, più che in altri, la sfida costante e il desiderio di vedere rispecchiata in voi la ragione per la quale adorate Cristo nel vostro cuore e della speranza che vi sostiene (cfr. 1P 3,15).

- Sacerdoti con una solida dottrina: il privilegio di studiare a Roma deve creare in voi l'abitudine e la serietà del lavoro intellettuale, come mezzo di attualizzazione, come capacità di comprensione, di dialogo rispettoso, di discernimento; in altre parole, creare in voi la sicurezza di "unire sempre tutto a Cristo" e di non discernere (cfr. Lc 11,23), nell'annunciare la parola e nel condurre la riflessione del laicato cattolico, sempre più assetato di sicurezza e certezza, nel labirinto delle correnti di pensiero e delle ideologie. Il sentire con la Chiesa e il vivere sinceramente e coerentemente la sua cattolicità e la sua promessa di eternità incontra in questa città di Roma un insieme di stimoli unici, che abitualmente chiamo grazia: la grazia di stare in contatto con le memorie del passato che ancora ci parla e con la vita che si esprime attraverso il servizio, presso il successore di Pietro, nella Sede apostolica che presiede alla carità universale.

- Sacerdoti capaci di vivere e creare comunione nella vita ecclesiale e aperti alla riconciliazione con i dispersi e i lontani, e capaci di portare avanti, con tutti gli uomini di buona volontà, il "dialogo della salvezza". Ciò, come ben sapete, presuppone un'attitudine ad accettare persone differenti e legittime opzioni personali e a formare gruppi al servizio della missione della Chiesa, situata nel tempo e nello spazio; e presuppone anche l'esperienza della fedeltà, interamente ed esternamente: fedeltà alla propria chiara coscienza, al magistero e alle norme disciplinari della Chiesa. La genuinità dello zelo apostolico deve sgorgare sempre da questa fedeltà alla comunione con la Chiesa, madre e maestra, con il vostro vescovo e con il presbiterio diocesano. Solamente così sarete buoni educatori alla fede degli altri cristiani.

- Sacerdoti vicini a tutti, per semplicità e bontà, prudenti e sempre guidati da grande lucidità di spirito, che sappia distinguere le autentiche esigenze dell'ingiustizia e proporre gli imperativi della carità, senza lasciarsi compromettere da ciò che può ridurre l'integrità del messaggio evangelico.

Sacerdoti, dunque, che siano "sacerdoti e soltanto sacerdoti", come si dice nel vostro Paese. E che gli uomini vedano sempre in voi solamente ciò: è quanto desidero per ciascuno di voi e quanto desidero per il caro e fedele popolo del Portogallo.

Abbiate fiducia: "Tutto ciò che il Signore vuole, lo porta a compimento" (Ps 134,4), come abbiamo pregato poco fa con il salmista, sicuri di "prolungare Cristo", che passava beneficando, "perché Dio stava con lui" (Ac 10,38). E che vi protegga sempre la Madre della nostra fiducia, Maria! Ringrazio il Signore, con voi, e ringrazio voi stessi per quest'esperienza spirituale di comunione; e chiedo a Dio che questo collegio, che ha il titolo di "Pontificio" e che conta sull'affetto dall'attuale successore di Pietro, sia sempre fedele alle sue origini e finalità, vivaio di autentici discepoli di Cristo, che confidano e sanno in cosa confidare, pronti a dimostrare la propria fiducia nell'amore del Padre, nella grazia di Cristo e nella comunione dello Spirito Santo. Amen!

Data: 1985-01-12 Data estesa: Sabato 12 Gennaio 1985





Conferimento del Battesimo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La famiglia, prima scuola per la formazione religiosa



1. "Dal


cielo hai fatto udire la tua voce". Queste parole, che il prefazio dell'odierna liturgia rivolge a Dio Padre, riassumono, in certo modo, la manifestazione della misericordia divina verso gli uomini, che si è attuata nei misteri della vita di Gesù, tra i quali ricordiamo oggi il suo Battesimo nel fiume Giordano.

Le arcane parole del Padre celeste, che si odono subito dopo che Gesù esce dall'acqua, costituiscono uno dei primi "segni prodigiosi" - come dice ancora il prefazio - con cui il Padre ha voluto garantirci la missione divina del Figlio diletto per la nostra salvezza.

Facendosi battezzare da Giovanni, Gesù, sebbene mondo da ogni peccato, ha voluto condividere la nostra condizione di creature ferite e umiliate dal peccato e bisognose di purificazione. Con questo gesto, Gesù, Verbo incarnato, ha voluto mostrarci la potenza della sua azione redentiva e "battesimale", proprio servendosi di una carne debole, affinché potesse compiersi, in lui e per lui, la nostra salvezza.


2. I bambini e le bambine, che oggi riceveranno il Battesimo, costituiscono la testimonianza di questa azione purificatrice di Gesù nella potenza dello Spirito Santo. Essi sono raggiunti da un torrente di grazia che, uscendo dalle piaghe di Gesù crocifisso, si espande benefico a irrigare il deserto di questo mondo, a sanare le ferite e le miserie, a lavare i peccati dell'uomo.

Anche queste piccole creature, tra poco, saranno raggiunte da quest'acqua salutare, saranno liberate dal peccato originale e dalla schiavitù del demonio, saranno santificate e rese "figli di Dio", a immagine del Figlio divino, mosse dallo Spirito Santo, ed eredi della vita eterna.


3. "Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio. Ho posto il mio Spirito su di lui". Queste parole della prima lettura, che profetizzano il mistero di Gesù salvatore, si potranno applicare, sia pure solo per partecipazione, anche a queste creature che saranno battezzate. Anch'esse, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito, sono assunte a una speciale intimità con Dio, che fa loro superare la stessa condizione di creature, per essere elevate all'ordine soprannaturale della figliolanza divina. Esse sono così "generate" dal Padre per una nuova nascita, quella che Gesù chiama: "nascita dall'alto" (cfr. Jn 3,7).

E voi, cari genitori, che avete generato fisicamente questi vostri figlioli, siate sempre consapevoli, insieme con i padrini e le madrine, di questa generazione spirituale e soprannaturale delle vostre creature. Il nascere fisico è di carattere temporale: il nascere alla vita della grazia si avvera per tutto il corso dell'esistenza terrena, e si compie solo nella vita eterna.

Ricordatevi dunque sempre, cari genitori, cari padrini e madrine, di questa vostra responsabilità: "generare" queste creature alla vita dei figli di Dio. Lo dovrete, lo potrete fare come membri della comunità ecclesiale. La maternità della Chiesa deve passare attraverso di voi. Certamente, tale maternità si esprimerà anche, a un certo punto, per il tramite della presenza del sacerdote, del religioso e della religiosa. Ma non dimenticate mai la funzione insostituibile, esercitata da un sano ambiente familiare, quella che giustamente e ripetutamente è chiamata la Chiesa domestica. La famiglia è la prima scuola per la formazione morale e religiosa e per la trasmissione dei valori più cari.

Questo, cari fratelli e sorelle, è il mio voto; questo il mio auspicio.

La luce e la forza dello Spirito, l'assistenza della beata Vergine Madre di Dio e della Chiesa vi aiutino nel condurre i figli - questi nuovi cristiani - alla pienezza della grazia battesimale e alla santità.

Data: 1985-01-13 Data estesa: Domenica 13 Gennaio 1985





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Preghiera perché la Chiesa raggiunga la sua piena unità



1. "Si aprirono i cieli e la voce del Padre disse: Questi è il mio Figlio diletto: ascoltatelo!" (cfr. Mt 9,7).

Oggi la Chiesa ascolta quella voce nella sacra liturgia, che ricorda il Battesimo di Gesù nel Giordano. Anche se tale Battesimo dista 30 anni dalla nascita di Gesù a Betlemme e dall'adorazione dei Magi d'Oriente, nella tradizione liturgica della Chiesa esso costituisce una componente della santa Epifania, il cui motivo centrale è stato ricordato domenica scorsa.

L'Epifania del giorno odierno è come un sigillo impresso su tutto il periodo del Natale del Signore: "Questi è il mio Figlio diletto: ascoltatelo".


2. Egli è Figlio, e si è fatto "servo"! Ne parla esplicitamente l'odierna liturgia con le parole del libro di Isaia: "Ecco il mio servo che io sostengo, / il mio eletto in cui mi compiaccio. / Ho posto il mio spirito su di lui; / egli porterà il diritto alle nazioni" (Is 42,1).

Gesù Cristo: Figlio che si è fatto servo. Il Battesimo nel Giordano lo riconferma pienamente: Gesù si presenta a Giovanni per farsi battezzare; ma questi cerca di impedirglielo dicendo: "Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?" (Mt 3,14). Come se volesse dire: "Proprio tu che sei il fautore della grazia salvifica e signore della nostra salvezza". Gesù tuttavia risponde: "Lascia fare per ora poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia" (Mt 3,15).

Gesù riceve il Battesimo da Giovanni: il Battesimo di penitenza. In questo modo manifesta se stesso come servo della nostra redenzione. Viene come Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo (cfr. Jn 1,29 Jn 1,36). Porta in sé la volontà dell'obbedienza al Padre fino alla morte. Viene come colui che "non spezzerà una canna incrinata, / non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta" (Is 42,3).


3. Nella preghiera dell'Angelus Domini ripetiamo le parole della Genitrice di Dio: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).

Il Figlio di Dio, nascendo dalla serva del Signore, è diventato servo: servo di Dio, servo della nostra redenzione. Ecco che cosa ci dice l'Epifania del Battesimo nel Giordano.


4. Oggi vorrei richiamare la vostra attenzione sull'imminente Settimana di preghiere per l'unità dei cristiani. Il tema proposto: "Dalla morte alla vita con Cristo" (Ep 2,4-7), ci richiama alla fede comune di tutti i credenti in Gesù Cristo, salvatore, e quindi alla radice della nostra unità. Siamo stati redenti tutti da un solo Signore, per la ricchezza della sua misericordia.

Nell'enciclica "Dives in Misericordia" ho proposto una meditazione sull'amore di Dio per l'umanità intera; come risposta a questo beneplacito di Dio per noi, tutti i battezzati, cattolici ortodossi, anglicani e protestanti, sono chiamati a collaborare perché sia ristabilita la piena unità in una concorde professione di fede.

Invito pertanto voi qui presenti, e, attraverso voi, tutti i figli della Chiesa cattolica, a pregare più intensamente in questa settimana, e ad unirsi in questa preghiera con gli altri cristiani per invocare insieme il dono della riconciliazione e dell'unità.

Nella nostra città di Roma, la commissione ecumenica diocesana ha organizzato una veglia interconfessionale di preghiera comune, che si terrà il 21 gennaio prossimo nella chiesa di San Francesco Saverio alla Garbatella. A conclusione della settimana di preghiera, il 25 gennaio, io stesso presiedero alla solenne celebrazione eucaristica nella basilica di San Paolo fuori le Mura. Che la nostra speranza, come auspicava il decreto conciliare sull'ecumenismo, sia riposta tutta "nella preghiera di Cristo per la Chiesa, nell'amore del Padre per noi e nella potenza dello Spirito Santo" (UR 24).

Oggi ricorre la Giornata del seminario di Roma, annualmente promossa dalla diocesi per ricordare ai fedeli l'importanza della formazione sacerdotale e la loro responsabilità nel contribuire, ognuno secondo le proprie possibilità, morali e materiali, ad aiutare e sostenere quest'opera essenziale e fondamentale della comunità ecclesiale.

Gli organizzatori della Giornata propongono, come tema della medesima, la seguente domanda: "Conosci il seminario della tua diocesi?". E, difatti, non si può amare ciò che non si conosce. Vi invito dunque a conoscere sempre meglio la grande e bella realtà del seminario di Roma, che si articola nelle tre entità, del Seminario maggiore al Laterano per gli studi filosofici e teologici, del Seminario minore al Viale Vaticano per gli studi medi e liceali, e dell'Almo Collegio Capranica, destinato in particolare alle vocazioni adulte. Invito soprattutto i giovani, coloro che, davanti a Dio, si stanno interrogando sul senso profondo della loro vita. E voglio ricordare le loro parole di Gesù: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi" (Mt 9,37). Se il Signore parla e chiama, ascoltiamo la sua voce e seguiamolo. Apriamogli le porte del cuore. Facciamoci strumenti del suo amore.

Voglio in questa circostanza ringraziare il Signore dello sviluppo dei nostri seminari e specialmente del seminario romano per le vocazioni che si presentano, per la formazione sacerdotale che viene ricevuta per la preparazione al futuro compito sacerdotale della Chiesa di Roma. In questa occasione saluto anche tutti i presenti, romani e forestieri, specialmente un gruppo di miei connazionali.

Debbo ancora aggiungere: la scorsa domenica, quando ho recitato l'Angelus, non si poteva prevedere che ancora dopo una settimana avremmo avuto la stessa neve e lo stesso panorama d'inverno qui a Roma. E' una cosa poco consueta.

Vorrei esprimere, per tutti coloro che in Italia soffrono a causa di questa neve, di quest'inverno, di questo freddo, la solidarietà e gli auguri di sopportare bene questo periodo un po' difficile.

Ripeto ancora una volta gli auguri del nuovo anno, a tutti gli ascoltatori partecipanti a questa preghiera dell'Angelus, a tutti i romani, pellegrini e italiani. Sia lodato Gesù Cristo.

Data: 1985-01-13 Data estesa: Domenica 13 Gennaio 1985





Ai laici dell'Azione cattolica - San Carlo al Corso (Roma)

Titolo: "E' l'epoca dell'azione!"

"Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto" (Mc 1,11).


1. Questa solenne proclamazione proveniente dal cielo, carissimi fratelli e sorelle, trova echi vibranti nelle profondità del nostro intimo. "Tu sei il Figlio mio prediletto". E' la testimonianza che suggello il Battesimo di Gesù nelle acque del Giordano all'inizio della sua vita pubblica, mentre lo Spirito Santo scendeva su di lui in forma di colomba. E' l'affermazione della prerogativa suprema che contrassegna l'itinerario terreno del Cristo. E' la garanzia della sua presenza nella storia umana da un secolo all'altro, da un millennio all'altro, fino a quando egli ritornerà, al concludersi del tempo.

"Tu sei il Figlio mio prediletto". E' la verità che sta alla fonte delle nostre certezze e a fondamento delle nostre speranze. E' il cuore del patrimonio dottrinale della Chiesa, la quale, in sintonia col primo Pietro, continua a fare propria quella attestazione celeste, professando al suo Signore: si, "tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).


2. Sotto le volte di questa grande basilica, nella quale - insieme con gli aderenti all'arciconfraternita dei santi Ambrogio e Carlo - è oggi confluita una numerosa rappresentanza dell'Azione cattolica diocesana, le citate parole del Vangelo odierno risuonano con particolare accento nell'imperitura memoria di san Carlo Borromeo.

Nel novembre scorso, ricorrendo il quarto centenario della sua morte, ho percorso alcuni tratti del suo incessante pellegrinare, soffermandomi su talune delle orme ch'egli ha impresso alla geografia religiosa e civile della terra ambrosiana. Oggi, in ideale collegamento con quel viaggio e quasi a naturale compendio di esso, mi è caro sostare nella chiesa che, tra quelle sacre al grande pastore nel centro della cristianità, ha il privilegio di custodire da secoli, quale preziosa e singolare reliquia, il cuore di lui. A quel cuore, che conobbe i palpiti della carità dolce e austera e della pastoralità sollecita e intrepida, io rendo il mio fervente, devoto e commosso omaggio.

Lo faccio immedesimandomi nella preghiera con la quale egli concluse il sermone pronunziato nel duomo di Milano il 27 maggio 1584, a pochi mesi dalla morte: "Signore, noi riconosciamo che è cosa brutta e mostruosa che uomini di carne abbiano cuori di ferro. Ma se i nostri cuori diventano tanto duri, come potremmo renderli più teneri?... Tu, Signore, puoi anche dalle pietre suscitare figli di Abramo. Questo è proprio il tuo compito. Ecco, noi ti presentiamo e ti offriamo i nostri cuori così come sono. Tu ricorda la tua divina parola, con la quale hai promesso, per mezzo del profeta Ezechiele, che avresti tolto da noi il cuore duro di pietra per sostituirlo con uno di carne. Toglici dunque i nostri cuori e donaci quelli che piacciono a te".


3. Questa appassionata invocazione avvalori i saluti, che porgo con grande affetto a quanti compongono la presente assemblea liturgica.

Saluto con speciale pensiero il cardinale vicario Ugo Poletti, che è anche titolare di questa basilica; saluto con lui il vescovo ausiliare monsignor Clemente Riva e la comunità dei padri Rosminiani, ai quali sono affidati il culto liturgico e la cura pastorale di questa chiesa.

Saluto voi, carissimi dirigenti, confratelli e consorelle dell'arciconfraternita dei santi Ambrogio e Carlo della terra lombarda, l'antichissima istituzione strettamente legata alla memoria delle Chiese di Lombardia, particolarmente di quella milanese, nell'Urbe.

La storia di questo glorioso sacro edificio si intreccia, fin dai suoi primordi, con la storia del vostro sodalizio, nato inizialmente nel nome di sant'Ambrogio, al quale anche Carlo Borromeo appartenne. Fu la confraternita, infatti, insieme a eminenti ecclesiastici, a volere, poco dopo la canonizzazione di san Carlo, che, accanto all'oratorio eretto in onore di Ambrogio, sorgesse un tempio monumentale consacrato all'altro astro della cattedra mediolanense.

Le genti lombarde inseritesi nel tessuto ecclesiale e civile di Roma espressero in queste pietre la loro concezione della vita, la testimonianza della loro fede e laboriosità, e fecero di san Carlo al Corso il centro motore della pratica religiosa, delle opere di apostolato e di carità, che fiorirono all'ombra dell'agile cupola.

Una basilica lombarda e insieme romana, dunque, carica di memorie.

Achille Ratti, il futuro Pio XI, celebro la prima messa all'altare di san Carlo.

Giovanni XXIII, che aveva ricevuto tra queste mura l'ordinazione episcopale, venne qui in pio pellegrinaggio il 4 novembre 196 2. Paolo VI, a pochi giorni dall'elezione alla cattedra romana, il 29 giugno 1963, accolse qui, in un convegno orante che ebbe il carattere di commiato, i pellegrini della diocesi di Milano e di Brescia, venuti a Roma per la sua incoronazione. Non sono che alcuni dei molti ricordi di cui è intessuta la storia secolare, che voi tramandate alle nuove generazioni.

Sono certo che la fedeltà a si profondo solco è per voi stimolo impellente a impegnarvi per corrispondere all'urgenza dell'evangelizzazione, secondo la linea che indicai alle confraternite in occasione della loro celebrazione giubilare il 1° aprile dell'anno scorso. Un'urgenza destinata a esprimersi in "opportune iniziative sia per la formazione religiosa, ecclesiale e pastorale dei membri, sia in favore dei vari ceti nei quali è possibile introdurre il lievito del Vangelo" C'è molto lavoro da compiere in questa direzione. Auguro che il vostro sodalizio, al quale otto anni fa, nella solennità dell'Epifania, si sono aggregati nuovi membri, prosperi sempre più, in modo da assolvere i propri compiti con l'ardore che distinse la vita e l'opera di Ambrogio e di Carlo, e che è parte cospicua della loro eredità spirituale.


4. Mi rivolgo ora a voi, carissimi dirigenti e membri dell'Azione cattolica romana, che avete scelto questa festa liturgica e questo luogo per rinfrancare i vostri propositi e ravvivare i vostri programmi. La vostra presenza mi reca grandissima gioia. Il mio cuore di vescovo di Roma esulta intensamente per la vostra determinazione. Godo di sapere che a questa celebrazione l'Azione cattolica romana ha attribuito il significato di una tappa fondamentale e decisiva del promettente incremento in atto nelle associazioni, specialmente in quelle dei giovani e dei ragazzi.

Spero che l'odierna ricorrenza del Battesimo di Gesù, celebrata col Papa sotto il patrocinio di san Carlo, segni davvero un serio rilancio spirituale e organizzativo. Sia fonte di nuovo slancio e di nuovo entusiasmo. Sia la spinta efficace e irreversibile a un rinvigorimento degli ideali e della formula dell'Azione cattolica, in piena armonia con le direttive ecclesiali e in generosa risposta alla necessità della società odierna.

Desidero che le mie parole, semplici e cordiali, forti e fiduciose, vi siano di sprone alla robustezza della fede, allo zelo dell'azione, al coraggio del sacrificio. Gli impegni assunti aderendo all'Azione cattolica sono un'emanazione peculiare della realtà battesimale. Per la coincidenza diretta con il fine apostolico della Chiesa; per lo speciale vincolo con la gerarchia; per la specifica responsabilità riconosciuta al laicato in quanto tale (cfr. AA 20).


5. Negli ultimi decenni i romani pontefici hanno più volte affermato che la nostra è l'epoca dell'azione. Io lo ripeto a voi, oggi, con identica energia e persuasione. E' l'ora dell'azione! Incertezze, smarrimenti, titubanze, attese passive non devono più tornare. La vocazione cristiana non ammette pause di assopimento né tantomeno di sonno. Nella vigna del Signore bisogna lavorare con alacrità, zelo e tenacia. Nella compagine sociale bisogna diffondere i fermenti della buona novella del Vangelo. Roma ne ha un bisogno immenso, nel nostro tempo.

E l'Azione cattolica deve dare il proprio contributo con coerenza, ardore, generosità.

San Carlo, intramontabile genio del rinnovamento post-tridentino, egli che fu tra i primi ad associare i laici all'apostolato, parla con l'esempio della sua vita, votata alla preghiera, all'azione, alla penitenza. E', si può dire, la triplice dimensione dei battiti del suo grande cuore. E' il trinomio a cui attinge fin dalle origini lo spirito dell'Azione cattolica. Il segreto della sua vitalità.

Sulla strada della preghiera, dell'azione, del sacrificio l'insigne riformatore vi sia di guida e di sostegno.

Carissimi, celebrando l'inizio della vita pubblica di Gesù, i nostri cuori si infiammino degli ardori che animarono il cuore di san Carlo, affinché possiamo costantemente vivere e operare in sincera coerenza con la dignità di figli di Dio, che ci è stata conferita nel Battesimo. così sia per tutti.

Data: 1985-01-13 Data estesa: Domenica 13 Gennaio 1985





Al Seminario Lombardo - Piazza S. Maria Maggiore (Roma)

Titolo: Mortificazine evangelica condizione della libertà interiore



1. Dopo il mio pellegrinaggio ai luoghi sacri alla memoria di san Carlo nel quarto centenario della morte, non potevo, carissimi alunni del Seminario lombardo, non venire a fare una visita anche a questo vostro istituto, che al nome di lui, oltre che a quello di sant'Ambrogio, s'intitola. Sono lieto di ritrovarmi qui con voi, in questa cappella, nella quale ebbi la gioia di entrare agli inizi del mio servizio pastorale quale successore di Pietro. Qui ritorno in una data anche per altro motivo significativa: questo nuovo edificio, ricostruito dalle fondamenta sul luogo ove sorgeva quello eretto sotto il pontificato di Pio XI, sta per compiere i vent'anni dalla sua inaugurazione. Mi è caro sottolineare con la mia visita questa fausta ricorrenza.

Insieme con i due cardinali e vescovi qui presenti, rivolgo un cordiale saluto al rettore, monsignor Luigi Belloli, al padre spirituale e a voi tutti, carissimi alunni, che qui vi trovate per completare gli studi filosofici e teologici presso le università ecclesiastiche dell'Urbe. La vostra permanenza in Roma vi rende in qualche misura partecipi della vita che si svolge nella diocesi del Papa e vi conferisce quindi uno speciale diritto alla sua sollecitudine.


GPII 1985 Insegnamenti - Al Pontificio collegio portoghese - Via Nicolo V (Roma)