GPII 1985 Insegnamenti - Omelia nella parrocchia Santa Maria della Visitazione - Roma


2. La liturgia odierna vuole insegnarci - e lo fa in modo molto approfondito - che dobbiamo rispondere sempre a Dio: "eccomi"; che dobbiamo essere pronti alla sua chiamata. Ce lo insegna prima di tutto Gesù Cristo.

I nostri cuori sono ancora pieni della luce e del calore della sua nascita nella notte di Betlemme. Proprio in quella notte, Gesù manifesta con la sua presenza tra gli uomini ciò che aveva detto di lui, con spirito profetico, il salmista: "Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: "Ecco, io vengo". Sul rotolo del libro, di me è scritto che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore" (Ps 39,7-9).

Data: 1985-01-20 Data estesa: Domenica 20 Gennaio 1985





All'Ispettorato di Polizia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Fedeltà all'autorità civile e alla comunione ecclesiale

Signor ispettore capo, e voi tutti, funzionari, graduati e dipendenti dell'Ispettorato di Pubblica sicurezza presso il Vaticano.

1. Sono lieto di questo incontro con voi, come avviene ormai tradizionalmente, per un reciproco scambio di auguri in occasione dell'anno nuovo. Devo esprimervi ancora una volta la mia gratitudine e il mio apprezzamento per il servizio da voi reso, con coscienzioso impegno, nelle vicinanze del Vaticano, per la salvaguardia del buon ordine nelle manifestazioni pubbliche dei fedeli, dei pellegrini e dei visitatori che continuamente, da ogni parte del mondo, giungono alla Sede di Pietro. Grazie anche per l'opera che svolgete in occasione delle mie visite pastorali in Roma e in Italia.

Prezioso servizio è dunque il vostro; anche se faticoso e poco appariscente esso richiede attenzione, vigilanza, spirito di sacrificio e - a volte - coraggio e tempestività. La vostra presenza è servizio al bene comune ed è omaggio alla Sede apostolica; è una delle testimonianze dei buoni e sereni rapporti che legano lo Stato italiano alla Città del Vaticano. E' il segno della sintesi che ciascuno di voi sa operare tra la fedeltà all'autorità civile e la comunione ecclesiale.


2. Ho apprezzato le parole del vostro ispettore capo, con le quali, a nome di tutti, egli ha inteso esprimere gli ideali che vi ispirano e il senso del dovere che vi anima. Formo per ciascuno di voi l'auspicio che possiate con fedeltà ed impegno, nel corso della vostra quotidiana fatica, mettere in atto i propositi che vi siete prefissi e che corrispondono ai vostri obblighi professionali.

Sia la vostra presenza una garanzia sempre più valida di quel buon ordine e di quella tranquillità, che sono prova non ultima dello stile di vita pacifico e composto, che, oltre a esserci insegnati dal Vangelo, sono segno di autentica civiltà.

La Provvidenza, per intercessione della Vergine santissima, Madre di Dio, vi assista sempre nell'espletamento dei vostri compiti, vi renda costruttori e difensori di pace, e vi protegga da ogni pericolo. Sia con voi tutti e con i vostri cari la mia benedizione, pegno delle grazie e dei conforti celesti.

Data: 1985-01-21 Data estesa: Lunedi 21 Gennaio 1985





Alla Giunta della regione Lazio - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Problemi che preoccupano quanti sono pensosi del bene comune

Onorevoli presidenti e illustri membri del Consiglio e della Giunta regionale del Lazio.


1. Ringrazio vivamente per questa cortese visita e per le nobili parole che mi sono state rivolte a nome di tutti voi, componenti rispettivamente del Consiglio e della Giunta della regione. Esse mi hanno recato i voti e le speranze delle care e nobili popolazioni laziali, eredi di una storia e di una tradizione di civiltà, nella quale si fuse la comunità ecclesiale, fin dagli albori del cristianesimo: fin da quando cioè l'umile pescatore di Betsaida approdo sulle rive del Tevere, e l'Apostolo delle genti ricevette l'incoraggiante benvenuto al foro di Appio e alle Tre Taverne, sulla celebre via consolare, dalla primitiva comunità cristiana di Roma (cfr. Ac 28,15).

Da allora la storia civile dell'antico Lazio si congiunse strettamente con quella religiosa, come è dimostrato dalla magnifica fioritura di santi e di sante che in questi duemila anni hanno popolato la regione, lasciando chiare testimonianze di opere e di monumenti che non cessano di essere ideali punti di irradiazione di quella buona novella. Come non ricordare, per limitarmi solo ad esse, le stupende abbazie che costellano questa regione, e i cui nomi già di per sé suscitano tanto fascino: Montecassino, Farfa, Casamari, Fossanova e Grottaferrata, nelle cui pietre secolari e nelle cui alte testimonianze d'arte sono incise e depositate le alterne vicende della storia religiosa delle genti del Lazio? Accanto a questi aspetti così significativi dell'anima di questo popolo, mi piace accennare anche ad alcune caratteristiche paesaggistiche che hanno attirato il mio sguardo durante le mie visite pastorali fuori Roma nei centri di provincia. Anche nell'anno testé trascorso, recandomi a Viterbo, ad Alatri e a Grottaferrata, ho potuto ammirare i tipici monti laziali che si presentano severi e solitari, pur così dolcemente modulati; i laghi tondeggianti di origine vulcanica; le colline coperte di oliveti e di vigneti, di ville e di castelli; e poi i colori che nella giusta stagione non finiscono di stupire. Tutto ciò attesta quanto sia proprio l'aggettivo "pittoresco" al territorio del Lazio.


2. Ma dietro a queste bellezze naturali e alle qualità delle ospitali popolazioni, non mancano, purtroppo, vari e vasti problemi che preoccupano le menti di quanti sono pensosi del bene comune. Non sfuggono infatti le difficoltà nelle quali versano tanti cittadini per certe situazioni negli ospedali, nelle case di riposo, nei centri di recupero per handicappati; c'è poi il fenomeno della disoccupazione che affligge molte famiglie; quello dei profughi e dei rifugiati clandestini, che non usufruiscono di alcuna garanzia giuridica; e quello dei poveri in generale che affluiscono a Roma e ne popolano le borgate, formando una generazione spontanea in lotta con la miseria più nera. Non posso non rendermi interprete di queste tristi condizioni di vita e farmi avvocato di questi cittadini che vivono ai margini della società e di esprimervi il mio apprezzamento per quello che fate per rendere meno disumana la loro esistenza. A questo proposito desidero assicurarvi il mio compiacimento e il mio plauso per l'attenzione e l'opera che gli amministratori regionali hanno prestato a favore di alcune iniziative assistenziali della diocesi di Roma, come, ad esempio, il Centro per l'accoglienza e l'ospitalità temporanea degli stranieri poveri, promosso dalla Caritas.

Anche il problema della casa, sia a Roma che nelle altre province del Lazio, resta sempre drammatico e carico di conseguenze: esso nuoce non solo al buon andamento del vivere civile, ma anche alla stessa istituzione familiare.

Tante giovani coppie, che attendono invano un'abitazione dignitosa e a prezzi accessibili, a lungo andare si scoraggiano, si demoralizzano ed entrano in crisi col rischio di incrinare o, peggio, deteriorare la necessaria armonia e unità del nucleo familiare. E' un grave dovere dei responsabili della cosa pubblica esaminare accuratamente questa realtà per porvi un rimedio adeguato e tempestivo.

Anche in questo campo occorre intervenire per restituire al cittadino quelle necessarie condizioni di vita degne dell'uomo moderno alle soglie del terzo millennio. E' vero, sono problemi, questi, che toccano un po' tutte le regioni d'Italia, ma nel Lazio essi acquistano un aspetto particolare per il carattere unico che Roma e la regione hanno in faccia al mondo intero. Certe diseguaglianze sociali, certe licenze nei costumi non solo avviliscono e degradano la dignità umana, ma offendono anche la particolare fisionomia dell'Urbe, come centro del cristianesimo e punto di confluenza di molti pellegrini che vengono ad essa con chiaro intento spirituale.


3. Un altro problema che mi sta molto a cuore è quello dei giovani. Essi sono le speranze della società e della Chiesa; ad essi devono guardare con trepido affetto e con lungimirante attenzione non solo i genitori e gli educatori, ma anche gli amministratori, a cui spetta il dovere di aprire le vie del futuro. L'Anno internazionale della gioventù, promosso dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, mi sembra un'occasione quanto mai propizia per prendere sempre più avvertita consapevolezza della grave e delicata problematica sollevata oggi dai giovani.

Genitori, educatori e amministratori devono sentirsi stimolati e concorrere, nell'ambito delle proprie competenze e responsabilità, per dare il proprio contributo specifico di saggezza, di esperienza e di aiuto. Come ho detto nel recente messaggio per la Giornata della pace: "I valori e i modelli che essi presentano ai giovani devono essere chiaramente ravvisati nella loro propria vita; diversamente, le loro parole non sarebbero convincenti la loro vita sarebbe una contraddizione che i giovani giustamente rifiuterebbero".

Come ho notato pure altrove, anche i giovani di questa regione si sentono oggi turbati dalle ingiustizie che li circondano; avvertono il grave pericolo costituito dall'accumulo di armi; soffrono nel vedere il fenomeno, così tristemente diffuso nel mondo, della fame e della denutrizione; e sono preoccupati per l'avvenire, nell'incerta prospettiva di un adeguato impiego. Alcuni di essi sono tentati di cercare un rifugio nel mondo illusorio e talvolta fatale dell'alcool e della droga o in quello non meno dannoso del cinismo, della indifferenza irresponsabile e della violenza. Purtroppo, in queste prime settimane del 1985 qualche giovane è già rimasto vittima del flagello della droga e della violenza terroristica.


4. Onorevoli signori! Vi esprimo l'auspicio che possiate rispondere con sempre maggiore impegno e con alacre saggezza alle attese e alle speranze che i giovani ripongono nelle vostre qualità di amministratori, quali voi siete, consapevoli degli immensi problemi sopra accennati, e risoluti a risolverli. Il vostro concorde sforzo non fallirà, se ispirato al vero bene sociale; esso farà crescere, lo spero ardentemente, la qualità della vita secondo quella linea di civiltà umana e insieme cristiana che tanto distingue la gente dell'antico Lazio.

Su tutti voi e su quanti voi rappresentate, invoco eletti favori celesti di prosperità spirituale e materiale.

Data: 1985-01-21 Data estesa: Lunedi 21 Gennaio 1985






Messaggio al popolo ecuadoriano - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Testimoniare la fede come risposta alle sfide del mondo

Signor cardinale, cari fratelli nell'episcopato, amatissimi fratelli e sorelle dell'Ecuador.

Mentre mancano solo pochi giorni alla mia visita nel vostro Paese, desidero rivolgervi questo messaggio televisivo, per far giungere con esso da Roma un cordiale e affettuoso saluto a tutti gli ecuadoriani, quelli delle città e quelli dei piccoli villaggi della costa, della cordigliera o della foresta.

Con l'aiuto di Dio, il giorno 29 prossimo saro nella vostra patria, culla di grandi valori storici, culturali, umani e cristiani che meritano la mia profonda stima, e "focolare" di figure tanto notevoli che hanno arricchito la vostra società e la Chiesa. Giungero a Quito, mentre si commemorano i 450 anni della prima predicazione del Vangelo.

Il seme della fede, seminato nella terra fertile dell'anima ecuadoriana, ha dato frutti abbondanti. In questo storico crocevia, giunti quasi alla conclusione del V centenario della scoperta e dell'evangelizzazione dell'America, il successore di Pietro, accettando di buon grado l'invito che a suo tempo gli fecero l'episcopato e le autorità ecuadoriane, verrà a farvi visita per adempiere così il mandato di Cristo di confermarvi nella fede.

Le città di Quito, Latacunga, Cuenca e Guayaquil saranno i centri in cui si concentrerà geograficamente la mia visita apostolica. Avrei voluto visitare anche le altre città e villaggi, ma poiché questo non è possibile e il mio viaggio è rivolto parimenti a tutti i membri di quelle Chiese locali, desidero che tutti sentano fin da ora la voce della mia presenza.

E' la voce che abbraccia nel Signore la Chiesa di Quito col suo cardinale arcivescovo, i vescovi ausiliari e i sacerdoti diocesani di Ambato, Guaranda, Ibarra, Latacunga, Riombamba e Tulcan, con i loro pastori. Voce di amore fraterno in Cristo per la Chiesa metropolitana di Cuenca e il suo arcivescovo, insieme con le diocesi di Azogues, Loja, Machala e i loro vescovi. Voce di pace nel Signore rivolta alle arcidiocesi di Guayaquil, ai loro pastori e ausiliari, alle diocesi di Portoviejo e della prelatura di Los Rios, con i loro prelati. Voce di affettuosa comunione nella fede in Cristo con i fedeli dei vicariati e delle prefetture di Esmeraldas, Méndez, Napo, Puyo, Zaniora, Aguarico, Galapagos, San Miguel de Susumbios e del Vicariato castrense, con i loro rispettivi ordinari.

Sono a conoscenza dell'entusiasmo con cui vi state preparando spiritualmente alla visita del Papa. Per questo vi esprimo il mio più vivo apprezzamento e la mia speranza. Desidero e chiedo a Dio che le giornate che trascorrero in mezzo a voi rappresentino una gioiosa celebrazione della nostra fede e un rinnovato impegno per consolidarla, in prospettiva delle sfide che l'approssimarsi del terzo millennio presenta.

Nelle mani della Vergine santissima, nostra Madre, pongo le intenzioni di questo viaggio, e vi raccomando alla sua protezione. Che il Signore effonda abbondantemente le sue grazie sul fedele popolo ecuadoriano. Benedico tutti voi, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1985-01-23 Data estesa: Mercoledi 23 Gennaio 1985





A Conclusione dell'Ottavario per l'unità - San Paolo (Roma)

Titolo: La misericordia di Dio potrà concederci la grazia dell'unione

"Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme" (Ps 132,1).


1. Con questi sentimenti di ammirazione e di letizia, espressi dal salmista, mi rivolgo a tutti voi, qui riuniti per incontrare il Signore nella sua parola e nel suo corpo. Ci incontriamo con lui, nostro unico Salvatore, nostro unico Maestro, ma ci incontriamo anche fra di noi, in questa celebrazione conclusiva della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.

La gioia di questo incontro con il Signore e fra i fratelli è reso più vivo dalla presenza dei pastori e di numerosi fedeli delle altre Chiese e comunità ecclesiali presenti a Roma. A loro tutti il mio speciale saluto e il mio ringraziamento per avere voluto prendere parte a questo intenso momento di unione spirituale.

Uniti quindi spiritualmente con tutte le Chiese locali del mondo, nelle quali in questo Ottavario è stata intensificata la preghiera e la riflessione fraterna tra i fedeli di diverse confessioni, e uniti come membri della diocesi di Roma, concludiamo insieme questo itinerario di diverse iniziative di preghiera e di incontri fraterni qui, nella basilica dell'apostolo Paolo, dopo opportune iniziative alle quali in modo particolare hanno preso parte i giovani, impegnandosi anche in concreti gesti di carità a favore dei fratelli bisognosi, specialmente di quelli privi di un tetto e di una famiglia, che hanno sofferto per il freddo e la neve degli scorsi giorni.

Queste iniziative sono state sostenute dalla quotidiana preghiera, resa più intensa in questa basilica dall'adorazione Eucaristica quotidiana, che ha avuto inizio con questa Settimana di preghiere e che continuerà per il futuro, grazie alla partecipazione di monaci, religiosi, famiglie, gruppi parrocchiali del settore Sud di Roma; iniziative, alle quali esprimo oggi tutto il mio più vivo compiacimento ed incoraggiamento.


2. Per felice consuetudine, la conclusione della Settimana di preghiere per l'unità dei cristiani viene celebrata in questa basilica nella festa della conversione di san Paolo, evento centrale non solo per l'apostolo, ma per tutta la Chiesa delle origini. Siamo perciò sollecitati a fissare il nostro sguardo sulla figura di Paolo di Tarso, sulla Settimana di preghiera e, infine, sulla relazione dell'uno e dell'altra con l'impegno solenne assunto dalla Chiesa cattolica di lavorare instancabilmente alla ricomposizione dell'unità di tutti i cristiani.

Nella prima lettura (Ac 22,3-16) abbiamo ascoltato Paolo narrare, nel tempio di Gerusalemme, ai suoi fratelli ebrei, la vicenda sconvolgente della sua conversione. Come affermano gli altri due racconti dell'evento, contenuti nel libro degli Atti (Ac 9,1-8 Ac 26,2-18) Saulo-Paolo attribuisce la propria radicale trasformazione alla visione di Gesù Nazareno, che egli si accaniva a perseguitare e che gli si para davanti, sulla strada verso Damasco.

Se ogni conversione, o metànoia, è opera della grazia divina, cioè dell'intervento immediato e radicale di Dio nel cuore dell'uomo, quella di Paolo lo è in sommo grado. Il Signore Gesù si è mostrato a Paolo e ha preso a dialogare con lui, che, già convinto fariseo, impreparato a questa manifestazione e ad essa ostile, non ha potuto opporvi resistenza. Abbiamo ascoltato nella lettura la voce stessa di Paolo, che avvia lo straordinario dialogo: "Che devo fare, o Signore?".

La risposta di Gesù, non ancora esplicita ma già risolutiva, lo incita a dirigere i suoi passi verso la Chiesa di Damasco: "Là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia" (Ac 22,10).

Questa esperienza, che trasforma Saulo in Paolo apostolo, ci insegna, ancora una volta, come i grandi eventi, determinanti per la vita della Chiesa, scaturiscano dalla grazia del Signore, il quale interviene nella nostra vita personale, nei nostri cuori, plasma la storia della Chiesa, come e quando egli vuole. così, contrariamente ad ogni aspettativa e a quelle dello stesso Paolo, la vicenda della sua conversione è celebrata da secoli, nella liturgia della Chiesa, come avvenimento miracoloso.


3. Durante questa Settimana e dappertutto nel mondo, si è pregato per la piena unità e la perfetta comunione di tutti i credenti in Cristo. Si è pregato traendo ispirazione dalle stesse parole dell'apostolo, con il testo scelto dal Segretariato per l'unione dei cristiani e dal Consiglio ecumenico delle Chiese, quale tema della Settimana di quest'anno: "Dalla morte alla vita con Cristo" (cfr. Ep 2,4-10). Dal brano, sopra citato, che ha guidato la nostra riflessione durante la Settimana, sorgono verità fondamentali, come il passaggio dalla morte alla vita, che Dio solo può operare in noi.

Solo la misericordia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo potrà concedere l'ineffabile grazia della piena comunione ai cristiani, che, rinati per il tramite del Battesimo, dalla morte alla vita, professano Cristo figlio di Dio e Salvatore, anche se non vivono ancora in piena comunione di fede e di vita cristiana. Questa comunione perfetta è dono divino: per essa Gesù ha pregato, come abbiamo ascoltato dal Vangelo (Jn 17,20-26) appena proclamato.


4. Il fatto che l'unità sia esclusivamente dono divino non vanifica il nostro slancio, anzi lo fonda, lo giustifica e gli conferisce vero significato. Le nostre azioni per il ristabilimento dell'unità possono sembrare non adeguate e i nostri sforzi impari per raggiungerla; i mezzi possono apparire inadeguati, e deboli i risultati raggiunti. così può sembrare lento il ritmo impresso all'opera a favore dell'unità, specie se paragonato al tempo di rapidi cambiamenti in cui siamo chiamati a vivere, in questo scorcio del XX secolo.

Impressione non del tutto falsa. Infatti, le iniziative varie, i dialoghi intrapresi, le relazioni nuovamente instaurate, un certo modo di crescere insieme come Chiesa, e persino la comune testimonianza data al nome dell'unico Cristo per la salvezza dell'umanità, per fronteggiare i problemi e le necessità del mondo di oggi, pur essendo indispensabili e forieri dell'unità futura, e pur derivando da una comunione già esistente, sono di per sé insufficienti a raggiungere tale unità.

Lo stupendo "edificio", la "casa" evocata dal salmista e nella quale sarà "dolce" e "gioioso" per "i fratelli essere insieme" (Ps 132,1), sarà "edificata" solo dal Signore (Ps 126,1). La liturgia di oggi ci sollecita, pertanto, in modo del tutto speciale, a elevare la nostra umile e fervida supplica per ottenere questa grazia suprema dell'unità per mezzo di Cristo, nostro unico mediatore, che offre il suo unico sacrificio nella celebrazione eucaristica.


5. Se il significato della Settimana di preghiere è esattamente compreso e vissuto, la preghiera quotidiana per l'unità deve occupare il primo posto non solo durante la Settimana ad essa dedicata, ma ogni giorno della nostra vita. Ogni cristiano, convinto che l'impegno per l'unità è primario nel suo cammino verso Cristo, e volendo restare fedele a questo impegno, sa bene che qualsiasi azione intrapresa, individualmente o assieme agli altri, ha di per sé bisogno della preghiera al comune Signore, affinché fecondi ogni parola e ogni gesto, in modo che questi ricevano da lui il loro vero valore e possano farci progredire verso l'unità.

La Settimana di preghiere deve costituire il culmine di una preghiera ininterrotta. Poiché è preghiera comune, fatta dai cristiani ancora divisi, ma già uniti dallo stesso Battesimo e dalla comune fede in Cristo, unico Salvatore, essa è, ogni anno, un passo avanti nel cammino dell'unità, una felice anticipazione di quel traguardo supremo; è, infine, testimonianza della comune convinzione che l'unità è dono gratuito del Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo.


6. A conclusione di questa Settimana di preghiere, durante la quale abbiamo voluto rivivificare e ritemprare il nostro impegno ecumenico di fronte al Signore, non è inutile ribadire tale principio.

L'unità a cui aspiriamo, per la quale operiamo e soffriamo e soprattutto preghiamo, rivolgendoci con umile supplica alla santissima Trinità, è l'unità perfetta, improntata all'esempio e al modello della suprema unità divina, nella distinzione delle tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. E' unità nella fede, unità nei sacramenti, unità di magistero, unità di guida pastorale.

Unità delle menti e dei cuori, ma anche unità visibile. Unità tra i cristiani, ma anche tra le Chiese e comunità ecclesiali. L'unità più radicale e più profonda che ci sia mai concessa nell'opacità e tra le debolezze di questa nostra storia.

Questa unità, che abbiamo connotato, non deve essere confusa con l'uniformità, con l'appiattimento dell'individualità e dell'identità di ciascuna legittima tradizione cristiana. L'unità che ricerchiamo non consiste nell'identificazione di una tradizione con un'altra; nell'accomodamento di una tradizione all'altra. Essa è tensione verso il raggiungimento, per dono di Dio, di quella totale fedeltà a tutto il suo disegno, così come è espresso nei Vangeli, come ci parla attraverso la grande tradizione ecclesiale, come si professa nell'unica fede, nella celebrazione degli stessi sacramenti, nella comunione con tutti i vescovi stabiliti per pascere il popolo di Dio (cfr. Ac 20,28) e uniti tra loro intorno al successore di Pietro. E tutto ciò nel rispetto dei valori e delle ricchezze di ogni tradizione particolare e di ogni cultura, secondo l'insegnamento del Concilio Vaticano II nel decreto sull'ecumenismo, di cui ricordiamo il ventennale della promulgazione.


7. Cari fratelli e care sorelle, ho voluto ricercare con voi, in questa circostanza, il volto dell'unità per cui oggi preghiamo, rievocando l'esperienza e meditando l'esempio dell'apostolo Paolo, del quale celebriamo oggi l'ingresso nella Chiesa.

In questo giorno conclusivo della Settimana di preghiere per l'unità, la celebrazione dell'Eucaristia ci riconduce al cuore stesso del mistero della nostra riconciliazione con il Padre e della riconciliazione degli uni con gli altri.

Sentiamo ancora più dolorosamente gli ostacoli, che non ci permettono di partecipare insieme a questa Eucaristia e rinnoviamo la nostra volontà di fare tutto quanto è in nostro potere perché si avvicini il giorno benedetto in cui tutti i credenti in Cristo potranno trarre nutrimento dalla stessa sorgente d'unità. Facciamo nostra la preghiera di Gesù, che è stata appena proclamata e che egli ci ha lasciato nel Vangelo dell'apostolo Giovanni: "Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola.

Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,20-21). Amen. [Al termine della celebrazione:] Al termine di questa celebrazione eucaristica nella festività della conversione di san Paolo, che ci vede riuniti presso il trofeo glorioso dell'apostolo, a conclusione dell'Ottavario di preghiere per l'unione dei cristiani, un ricordo si affaccia impellente alla coscienza di tutti noi.

Quest'anno cade il ventesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, il cui primo annuncio, come ben ricordiamo, fu dato dal mio predecessore Giovanni XXIII di venerata memoria proprio da questa basilica e in questo stesso giorno, il 25 gennaio 195 9. Il Vaticano II resta l'avvenimento fondamentale nella vita della Chiesa contemporanea: fondamentale per l'approfondimento delle ricchezze affidatele da Cristo, il quale in essa e per mezzo di essa prolunga e partecipa agli uomini il "mysterium salutis", l'opera della redenzione; fondamentale per il contatto fecondo col mondo contemporaneo al fine dell'evangelizzazione e del dialogo a tutti i livelli e con tutti gli uomini di retta coscienza. Per me, poi - che ho avuto la grazia speciale di parteciparvi e di collaborare attivamente al suo svolgimento - il Vaticano II è stato sempre, ed è in modo particolare in questi anni del mio pontificato, il costante punto di riferimento di ogni mia azione pastorale, nell'impegno consapevole di tradurre le direttive in applicazione concreta e fedele, a livello di ogni Chiesa e di tutta la Chiesa.

Occorre incessantemente rifarsi a quella sorgente. E tanto più quando date tanto significative, come quella di quest'anno, si avvicinano e riaccendono ricordi ed emozioni di quell'evento veramente storico. Pertanto oggi, festività della conversione di san Paolo, con intima gioia e commozione indico un'assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, che si celebrerà dal 25 novembre all'8 dicembre del corrente anno, e alla quale parteciperanno i patriarchi e alcuni arcivescovi delle Chiese orientali e i presidenti di tutte le Conferenze episcopali dei cinque continenti.

Lo scopo dell'iniziativa è non solo quello di commemorare il Concilio Vaticano II a vent'anni di distanza dalla sua chiusura, ma anche e soprattutto: rivivere in qualche modo quell'atmosfera straordinaria di comunione ecclesiale, che caratterizzo l'assise ecumenica, nella vicendevole partecipazione delle sofferenze e delle gioie, delle lotte e delle speranze, che son proprie del corpo di Cristo nelle varie parti della terra; scambiarsi e approfondire esperienze e notizie circa l'applicazione del Concilio a livello di Chiesa universale e di Chiese particolari; favorire l'ulteriore approfondimento e il costante inserimento del Vaticano II nella vita della Chiesa, alla luce anche delle nuove esigenze.

Attribuisco a questa assemblea straordinaria del Sinodo un'importanza particolare. Per tale motivo ne ho voluto dare oggi pubblica notizia da questa basilica, ove risono per la prima volta l'annuncio del Concilio ecumenico del nostro secolo. L'intento che mi muove si colloca nella scia di quello dei miei venerati predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI: contribuire a quel "rinnovamento di pensieri, di attività, di costumi e di forza morale, di gaudio e di speranza, ch'è stato lo scopo stesso del Concilio" (Insegnamenti di Paolo VI, III [1965], p. 746).

Affido fin d'ora la realizzazione del Sinodo straordinario dei vescovi alle preghiere della Chiesa e alla potente intercessione dei santi Pietro e Paolo; e con voi soprattutto imploro la Vergine Immacolata, Madre della Chiesa, affinché ci assista in quest'ora e ci ottenga quella fedeltà a Cristo, della quale ella è modello incomparabile per la sua disponibilità di "serva del Signore", per la sua costante apertura alla parola di Dio (cfr. Lc 1,38 Lc 2,1 Lc 9 Lc 2,51). ln questa fedeltà totale e perseverante la Chiesa di oggi vuol proseguire il suo cammino verso il terzo millennio della storia, in mezzo agli uomini e insieme come partecipe delle loro stesse speranze e attese, seguendo la via tracciata dal Vaticano II, e sempre in ascolto di "quanto lo Spirito dice alle chiese" (Ap 2,7 Ap 2,11 Ap 2,1 Ap 7 Ap 2,26 Ap 3,5 Ap 3,13).

Data: 1985-01-25 Data estesa: Venerdi 25 Gennaio 1985





Messaggio al popolo del Perù - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Vengo per offrire la riconciliazione"

Signor cardinale, amati fratelli nell'episcopato, cari fratelli e sorelle.

Nell'approssimarsi del giorno in cui, a Dio piacendo, avro la gioia di posare per la prima volta il piede in terra peruviana, desidero far giungere a tutti voi, attraverso la televisione, il mio più cordiale e affettuoso saluto di pace e bene. Desidero ringraziare pubblicamente fin d'ora le autorità e l'episcopato del Perù per l'amabile invito rivoltomi di visitare il vostro Paese, in cui spero di giungere il 1° febbraio prossimo, per trascorrere con tutti voi alcune giornate che chiedo a Dio siano utili a consolidare la vostra fede e a rinnovare il vostro deciso impegno di vita cristiana.

Mi è particolarmente gradito recarmi nei luoghi benedetti da Dio con la presenza di santi e sante che onorano tutta la Chiesa e che sono motivo di orgoglio per il popolo peruviano. Un popolo dalle radici e dalla storia tanto ricche, cui il successore di Pietro vuole venire come animatore della fede, della dignità di ciascun figlio di Dio e della riconciliazione degli spiriti in un viaggio dagli obiettivi nettamente apostolici.

Durante le quattro giornate che trascorrero tra di voi, e che desidero ardentemente siano una gioiosa manifestazione della nostra fede, dell'amore e della speranza in Cristo, avro l'opportunità di percorrere una parte importante dell'estesa geografia dell'antico impero inca. A Lima-Callao, Arequipa, Cuzco, Ayacucho, Piura, Truijllo e Iquitos desidero incontrare gli amati figli del Perù ai quali già da gran tempo il Papa desiderava fare visita. Anche se purtroppo non potro andare in altri luoghi nei quali mi hanno insistentemente invitato le autorità ecclesiastiche e civili e i fedeli, vorrei dire loro che sono riconoscente per tutti questi inviti e che intraprendo questo viaggio pensando a tutti e con l'intenzione di rivolgermi a tutte le persone, senza distinzione di origine etnica, culturale, professionale, di condizione economica e sociale.

Ho saputo dell'entusiasmo e della serietà con cui vi state preparando spiritualmente a questa visita apostolica. Fin da ora desidero esprimervi il mio profondo apprezzamento per lo sforzo generoso che tanti sacerdoti, religiosi, religiose e laici stanno realizzando, sotto la guida dei loro vescovi.

Mi unisco a voi nella preghiera a Dio, perché questa visita costituisca un impulso nel cammino della nuova evangelizzazione del vostro Paese e dell'America Latina, obiettivi, questi, che ho segnalato per il continente, nel mio recente viaggio nella Repubblica Dominicana, nel dare inizio alla preparazione del V centenario dell'evangelizzazione in America.

Chiedo inoltre con insistenza che la pace del Signore e la sua grazia si uniscano nei cuori, nelle famiglie, nella società peruviana e che si instaurino, come frutti della conversione dei cuori e dell'opera della giustizia, la concordia, l'armonia e la fraternità fra tutti i figli del Perù.

Che la Vergine santissima, che voi venerate tanto profondamente come Madre e protettrice, vi faccia incontrare riconciliati presso la croce di suo Figlio. Nella speranza di salutarvi personalmente, vi benedico tutti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1985-01-25 Data estesa: Venerdi 25 Gennaio 1985


GPII 1985 Insegnamenti - Omelia nella parrocchia Santa Maria della Visitazione - Roma