GPII 1985 Insegnamenti - Ai lavoratori - Ciudad Guayana (Venezuela)

Ai lavoratori - Ciudad Guayana (Venezuela)

Titolo: Dio ha dato il mondo all'uomo come compito del suo lavoro




1. Soggiogate la terra (Gn 1,28). Con queste parole della liturgia di oggi, prese dal libro della Genesi, do il benvenuto e saluto cordialmente nel Signore tutta l'assemblea eucaristica del popolo di Dio del Venezuela riunito in questa Ciudad Guayana, che cresce con impressionante rapidità. Saluto con affetto il pastore di questa diocesi, i fratelli vescovi, i sacerdoti, religiosi e religiose e i fedeli giunti anche da altre diocesi e zone del Paese. Siate tutti benvenuti.

Saluto specialmente tutto il mondo del lavoro venuto non soltanto dal Venezuela, ma anche da altri Paesi dell'America Latina, poiché lo sviluppo dell'industria del ferro e dell'acciaio, dell'alluminio e dell'industria idroelettrica, ha fatto di questa città uno dei nuclei industriali più importanti del Venezuela. Per questo motivo, il problema del lavoro, del lavoro umano, occupa il centro di questa liturgia eucaristica.


2. Parlare di questo problema obbliga a risalire fino all'origine della creazione dell'uomo, così come abbiamo ascoltato nel libro della Genesi. Dio è il creatore di tutte le cose e dell'uomo. Ecco il fondamento per chiamare persona l'uomo: perché è immagine e somiglianza di Dio, creato con intelligenza, volontà e potere di dominare la terra. Ciò lo distingue dal resto della creazione, giacché inoltre è chiamato alla comunione con Dio mediante la grazia di Gesù Cristo.

L'uomo lavora perché è somigliante a Dio. Fra tutte le creature del mondo solo l'uomo lavora coscientemente. Gli animali sono molto attivi, ma nessuno lavora nel senso del lavoro umano. Difatti, lavorare significa soggiogare o dominare la terra come abbiamo letto nel libro della Genesi. Ogni lavoro, indipendentemente dalle sue caratteristiche, ha questa finalità. Si può dire che nel piano di Dio il lavoro è un dominio con potere e autorità ricevuta da Dio, anche quando nel suo aspetto umano abbia il carattere più servile. Il lavoro, ogni lavoro, anche quando l'uomo amministra e dirige il lavoro degli altri; in una parola, ogni attività dell'uomo ha questa prerogativa: l'attività fisica come quella vostra nell'industria, nella campagna e nei servizi, quella intellettuale, artistica, quella della ricerca pura e applicata, eccetera.


3. Il libro della Genesi dice che il Creatore ha dato tutta la terra, in certo senso tutto il mondo visibile, all'uomo e l'ha messo sotto il suo dominio. Come immagine e somiglianza di Dio, l'uomo addomestica la terra, la fa sua umanizzandola in modo responsabile. Al tempo stesso, ha dato questo mondo all'uomo come compito per il suo lavoro. Le creature inferiori sono state sottomesse all'uomo, e al tempo stesso gli sono state date le risorse contenute nel mondo creato, cominciando dalle ricchezze visibili che si trovano, per così dire, sulla superficie, fino a quelle nascoste profondamente nella struttura della materia che il genio umano gradualmente scopre.

Il libro della Genesi ci parla del dominio su tutta la terra, vale a dire, delle sue ricchezze visibili e di quelle che essa nasconde: "E Dio disse: facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame e su tutta la terra" (Gn 1,26).

L'uomo sottomette o domina la terra mediante il lavoro, vocazione che Dio gli ha dato per collaborare nell'opera della creazione. Per questo, per ottenere la realizzazione personale nel lavoro, l'uomo si serve della tecnica.

Oggi siamo testimoni delle trasformazioni causate dalle scienze e dalle tecnologie applicate dall'intelligenza dell'uomo. Pero, insieme al fatto che lo strumento tecnico ha un valore positivo perché aiuta ad esercitare il dominio intelligente e responsabile dell'uomo sulla terra, sorgono anche seri dubbi e interrogativi: la tecnica infatti può giungere - ed è giunta - ad essere alienante e manipolatrice, fino al punto di dover respingere moralmente la presenza di una certa ideologia della tecnica, perché ha imposto il primato della materia sullo spirito, delle cose sulla persona, della tecnica sulla morale.

Questa tendenza disumanizzante e spersonalizzante spiega perché la Chiesa non si stanca di chiedere una revisione radicale delle nozioni di progresso e sviluppo: lo fece il Papa Paolo VI nella sua enciclica "Populorum Progressio" già quasi vent'anni fa, e l'ho fatto io dalla sede di Pietro e nelle mie peregrinazioni pastorali. Fino a quando l'uomo dovrà sopportare ingiustamente, e lo dovranno gli uomini del terzo mondo, il primato dei processi economicistici sugli inviolabili diritti umani e, in particolare, sui diritti dei lavoratori e delle loro famiglie? E' qui, nei valori e diritti umani inviolabili e sacri della persona, che bisogna pensare e definire di nuovo le nozioni di sviluppo e di progresso.


4. Il libro della Genesi dice che il Creatore ha unito il lavoro umano con la necessità del riposo e della festa: "Allora Dio, nel settimo giorno, porto a termine il lavoro che aveva fatto... e Dio benedisse il settimo giorno e lo consacro" (Gn 2,2-3). Si vede chiaramente nell'intenzione di Dio che il lavoro è per l'uomo, e non l'uomo per il lavoro; che il lavoro è per la realizzazione della sua umanità, della sua vocazione di persona e figlio di Dio.

Questo principio della dignità della persona del lavoratore è quello che deve determinare le strutture possibili dei sistemi industriali di produzione e di ogni processo economico, politico e sociale; se non si vuole continuare con lo spaventoso squilibrio di una minima percentuale che gode dei beni, dinanzi a un'alta percentuale che ne è priva, soprattutto nei Paesi del Terzo mondo. Sono sproporzionate le grandi differenze di posizione sociale e di privilegio salariale tra gli uni e gli altri. Il lavoro è un bene dell'uomo, ma un bene per tutti, nonostante la fatica che comporta, e non solo per alcuni. Questo diventa più chiaro quando consideriamo il fatto che "Dio creo l'uomo... maschio e femmina li creo" (Gn 1,27), dando così inizio alla famiglia.

"Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gn 1,28). Il lavoro è subordinato ai fini propri dell'uomo e dell'umanità, restando in primo piano la famiglia come comunità interpersonale di un uomo e di una donna, chiamati a trasmettere la vita ai figli: alle persone nuove, create anch'esse a immagine e somiglianza di Dio.

Perciò la Chiesa non si stanca di affermare: il lavoro è per la famiglia, e non la famiglia per il lavoro.


5. Desidero che si imprima questa immagine fondamentale ed eterna del lavoro umano nella coscienza di tutti coloro che in questa regione del Venezuela formano o creano l'ambiente nuovo, in continuo sviluppo e prospero, del lavoro.

Nelle condizioni attuali di Ciudad Guayana, sviluppatasi fondamentalmente intorno e in funzione del lavoro industriale, con individui provenienti da tutte le categorie sociali - operai, tecnici e professionisti -, permettetemi di ricordare alcune idee centrali della mia enciclica "Laborem Exercens" sul lavoro umano.


6. L'idea chiave di tutta l'enciclica è la "problematica fondamentale del lavoro", che conduce all'affermazione che "all'inizio stesso del lavoro umano si trova il mistero della creazione". In questa prospettiva, e tenendo conto delle "diverse esperienze della storia", il problema del lavoro appare come "una grande realtà... strettamente legata all'uomo come al proprio soggetto e alla sua opera razionale".

Nonostante la fatica e lo sforzo che esige "il lavoro non cessa di essere un bene". Questo carattere del lavoro umano, totalmente positivo e creativo, educativo e meritorio, deve costituire il fondamento delle valutazioni e delle decisioni che oggi si prendono al riguardo, incluse quelle riferite ai diritti soggettivi dell'uomo". Pertanto, è necessario mettere costantemente in primo piano "il principio della priorità del lavoro dinanzi al capitale".

Alla luce di questo principio bisogna studiare il "grande conflitto" che si è manifestato, e continua a manifestarsi da due secoli, tra il "mondo del capitale" e il "mondo del lavoro". Ammettendo che il lavoro e il capitale siano componenti inseparabili del processo di produzione, per superare l'antagonismo tra l'uno e l'altro si impone la necessità di una permanente concertazione di legittimi interessi e aspirazioni, concertazione tra coloro che dispongono dei mezzi di produzione e i lavoratori. Ma "i giusti sforzi per assicurare i diritti dei lavoratori... devono sempre tener conto dei limiti che impone la situazione economica generale del Paese. Le esigenze sindacali non possono trasformarsi in una specie di "egoismo" di gruppo o di classe, per quanto possono e devono anche tendere a correggere con lo scopo del bene comune di tutta la società tutto ciò che è difettoso nel sistema di proprietà dei mezzi di produzione o nel modo di amministrarli o di disporre di essi".

Nell'epoca del lavoro meccanizzato, come quello che si fa in questa Ciudad Guayana, l'uomo non può perdere il suo posto di privilegio dato dal Creatore: essere il soggetto del lavoro e non lo schiavo della macchina, della tecnica. Intesa questa "come l'insieme di strumenti di cui l'uomo si vale nel suo lavoro, è senza dubbio un'alleata dell'uomo", perché "gli facilita il lavoro, lo perfeziona, lo accelera e lo moltiplica". Ma la tecnica può trasformarsi da alleata in avversaria dell'uomo, come quando la meccanizzazione del lavoro "soppianta l'uomo, levandogli ogni soddisfazione personale e lo stimolo alla creatività e responsabilità: quando toglie il posto di lavoro a molti lavoratori prima occupati, o quando mediante l'esaltazione della macchina riduce l'uomo ad essere suo schiavo". Perciò il "vangelo del lavoro" deve essere portato nell'opera concreta di ogni giorno, vivendo il messaggio di Gesù nel lavoro e sapendo che Cristo sta vicino al lavoratore nella sua vita concreta, che egli appartiene al mondo del lavoro e che il lavoro porta anche il segno della sua croce: sofferenza, fatica, frustrazione e dolore. Questo è pure il cammino della Chiesa: essere molto vicina al mondo del lavoro oggi. 7. Questa immagine del lavoro che la dottrina sociale della Chiesa riceve in eredità nella parola del Dio vivo, contando con le sempre vive esperienze del mondo del lavoro umano, ha tuttavia un altro punto centrale di riferimento. Nel Vangelo di oggi abbiamo ascoltato le parole riguardanti "il figlio del falegname" (Mt 13,55). Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, della stessa sostanza del Padre, si fece uomo come Verbo eterno. E come uomo, per molti anni della sua vita nascosta a Nazaret, ha lavorato accanto a san Giuseppe, che per gli uomini era suo "padre".

Per questo fu chiamato "il figlio del falegname", poiché Giuseppe era artigiano, falegname. Gesù di Nazaret in tanti anni della sua vita, che fu tutta missione messianica, svolse lavoro manuale.

In questo modo ha unito il lavoro umano all'opera della redenzione del mondo, e insieme ha confermato la dignità dello stesso lavoro che ha il suo inizio in Dio. Gli uomini del lavoro, pertanto, e in particolare quelli del lavoro manuale, guardano giustamente a san Giuseppe e al "figlio del falegname", cercando in essi la conferma dei valori essenziali del lavoro e di questa dignità che spetta all'uomo che lavora.




8. Parlando ai lavoratori del settore industriale in questa regione del Venezuela, desidero anche abbracciare con la nostra comunità eucaristica, e con questa omelia, le vaste moltitudini di uomini che lavorano in qualunque modo, ma soprattutto coloro che lavorano nei campi: i contadini.

Si, i contadini, perché: "Voi siete forza dinamicizzante nella costruzione di una società più partecipata" (Puebla, 1245); pur tuttavia non avete, molti di voi, "la facoltà di partecipare alle opzioni decisorie corrispondenti alle prestazioni sociali", o non disponete dei vantaggi pratici "del diritto alla libera associazione in vista di una giusta promozione sociale, culturale ed economica"; e, ciononostante, continuate ad offrire "alla società i beni necessari al suo quotidiano sostentamento". Per questo desidero riaffermare la grande dignità della vostra missione e delle vostre persone, non inferiore a quella di qualsiasi altra categoria sociale. Vivete, quindi, la vostra condizione di contadini con dignità, con desiderio di superamento, con senso di solidarietà fra voi stessi, e non dimenticate di levare, dalle vostre campagne, lo sguardo e il cuore verso Dio. Levatelo con la preghiera.


9. Ecco ciò che proclama il salmo della liturgia di oggi: "Prima che nascessero i monti / e la terra e il mondo fossero generati / da sempre e per sempre tu sei Dio. / Tu fai ritornare l'uomo in polvere, / e dici: "ritornate, figli dell'uomo".

/ Ai tuoi occhi mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, / come un turno di veglia nella notte" (Ps 89,2-4).

Belle parole! Profonde parole! Racchiudono la lode al Creatore che è eterno e onnipotente. Racchiudono la verità sull'uomo che passa per questa terra: sono contati i suoi anni e i suoi giorni. Perciò la fervente preghiera del salmista: "Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore" (Ps 89,12). E' questa la prima cosa.

E la seconda: "Saziaci al mattino con la tua grazia: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni" (v. 14).

E finalmente ciò che è più importante: "Si manifesti ai tuoi servi la tua opera / e la tua gloria ai loro figli" (v. 16).

Insieme a tutti i lavoratori di questa Ciudad Guayana e di tutto il Venezuela, chiedo a Dio, come pastore della Chiesa, ciò che secoli fa chiedeva il salmista: che il lavoro giunga ad essere per voi, cari fratelli e sorelle, una partecipazione all'opera divina della creazione e redenzione; che giunga ad essere per voi e per i vostri figli la garanzia della gloria di Dio.

Dio benedica voi e il vostro lavoro! E la Vergine santa, nostra Signora del Valle, vi accompagni sempre!

Data: 1985-01-29 Data estesa: Martedi 29 Gennaio 1985





Congedo all'aeroporto - Caracas (Venezuela)

Titolo: "Popolo del Venezuela, rinnova la tua fede"

Signor presidente, fratelli nell'episcopato, venezuelani tutti.

Dopo tre giorni d'intensi contatti con questo fedele popolo del Venezuela, è giunto il momento di prendere congedo. Devo farmi violenza, perché l'impulso del cuore mi spingerebbe a prolungare la mia permanenza fra voi. Ma devo proseguire il mio viaggio apostolico, per far visita ad altri fratelli che attendono il nostro incontro.

In questo momento tornano alla mia mente tutte le persone che ho potuto avvicinare nelle vostre strade e nelle vostre piazze, con cui ho condiviso momenti di grazia, qui a Caracas, a Maracaibo, Mérida e Ciudad Guayana. Queste città sono state un compendio dell'intero Venezuela, di tutti i suoi abitanti, ai quali mi sono sempre unito mediante la radio e la televisione.

Vi lascio un messaggio, che è seme seminato con amore e con fiducia. Il ricordo di momenti vissuti nel mutuo affetto facciano germinare frutti di rinnovata fede in ogni cuore cristiano. Il Papa, nell'andare via, vi ribadisce la grande consegna della vostra Missione nazionale: venezuelano, rinnova la tua fede.

E portala nella tua vita personale, nella famiglia, nell'impegno per la giustizia, nella solidarietà con il povero e con colui che soffre.

Parto nella speranza che così sarà. E che i diversi gruppi ecclesiali che ho incontrato nei giorni scorsi: persone specialmente consacrate, famiglie, laici impegnati, giovani, lavoratori e fedeli tutti, mediante un intensificato sforzo di educazione e di catechesi vadano crescendo - uniti ai vescovi - nella fedeltà alla fede, in una fede vissuta e rinnovata. così la Chiesa in Venezuela darà vera testimonianza della presenza di Gesù Cristo e potrà affrontare con coraggio le sfide del millennio che si avvicina.

Desidero anche ringraziarvi sentitamente della vostra cordialità, della vostra affettuosa vicinanza, della vostra collaborazione e dell'efficacia nella preparazione di questa visita. La mia gratitudine va, in primo luogo, al signor presidente, per i tanti e così deferenti gesti che mi ha dispensato in questi giorni. Anche alle autorità, al signor cardinale, ai miei fratelli vescovi, a tanti sacerdoti, persone consacrate e laici, i quali con generosità e con sacrificio si sono prodigati per il felice esito della visita.

Che Iddio ve ne renda merito in misura sovrabbondante, e che la Madre di Coromoto accompagni sempre tutti i figli di queste amate terre, che benedico di cuore, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1985-01-29 Data estesa: Martedi 29 Gennaio 1985





Arrivo all'aeroporto - Quito (Ecuador)

Titolo: Nel momento cruciale necessario l'impegno dei cristiani

Signor presidente, fratelli nell'episcopato, autorità, cari fratelli e sorelle.

Le mie prime parole, in questa terra dell'Ecuador, desidero che siano di rendimento di grazie a Dio per avermi concesso di effettuare questo viaggio apostolico, che mi permette di trovarmi con i figli di questa nobile nazione, così ricca di tradizioni e di storia.

Ringrazio il signor presidente delle amabili parole di saluto e di benvenuto che ha voluto rivolgermi, e anche dell'invito fattomi, assieme ai miei fratelli nell'episcopato, di visitare il Paese. Ricambio con profondi sentimenti di apprezzamento e di gratitudine la calorosa accoglienza che mi avete dispensato in questo aeroporto Mariscal Sucre. Giunga a tutti il mio cordiale saluto.

Innanzitutto al signor cardinale Pablo Munoz Vega, arcivescovo di questa città di Quito, al presidente della Conferenza episcopale, monsignor Bernardino Echeverria, agli altri vescovi, ai sacerdoti religiosi e religiose, ai laici dei movimenti apostolici e al popolo fedele.

Mi riempie di gioia il fatto di trovarmi in questo centro geografico del mondo, patria di Atahualpa, culla di illustri figli della Chiesa come Mariana de Jesus, il santo fratello Miguel, Mercedes de Jesus Molina, e tanti altri che dalla gloria degli altari o nell'anonimato di una vita di servizio al prossimo hanno forgiato giorno dopo giorno l'anima generosa, nobile e cristiana dell'uomo ecuadoriano. La mia visita coincide con l'inizio della novena di anni che predisporrà la solenne celebrazione, con animo grato a Dio, per i 500 anni dell'evangelizzazione dell'America Latina. Stiamo vivendo momenti cruciali per il futuro di questa nazione e di questo continente, e perciò è necessario che il cristiano, il cattolico, prenda maggiormente coscienza delle proprie responsabilità e, di fronte a Dio e ai doveri dei cittadini, s'impegni, con rinnovato entusiasmo, nella costruzione di una società più giusta, fraterna e accogliente.

Questi sono i motivi che mi hanno spinto a venire da voi, per conoscervi meglio, per confermarvi nella fede, per dare slancio e ispirazione evangelica a tutte le ansie e le aspirazioni orientate a promuovere una maggiore giustizia sociale, un maggior rispetto per la dignità dell'essere umano e dei suoi diritti, una più decisa volontà da parte di tutti di servire, di aiutare, di amare, per arricchire gli animi e far progredire le persone.

Sono certo che i figli di questa terra, favorita dal Creatore con tante bellezze naturali, continueranno ad essere fedeli - secondo le esigenze dei nuovi tempi - alla propria identità storica, culturale e religiosa, fedeli sempre alla propria fede cristiana, alla propria coscienza di popolo e alla propria vocazione di libertà e giustizia, che allontani ogni tentazione che possa minacciare i superiori valori dell'individuo e della società. così come pure so che diventeranno artefici di fratellanza, di dialogo e di intesa fra la grande comunità delle nazioni di questo continente che a ragione può essere chiamato il continente della speranza.

Nelle mani della Vergine santissima, nostra Madre, metto gli intendimenti del mio viaggio apostolico, mentre già sin d'ora, a tutti gli ecuadoriani, della campagna e della città, della montagna, della foresta e della costa, dal Carchi a Macara, delle isole Galapagos, impartisco di cuore la mia affettuosa benedizione apostolica.

Data: 1985-01-29 Data estesa: Martedi 29 Gennaio 1985





Al clero e ai religiosi nella cattedrale - Quito (Ecuador)

Titolo: Un presbiterio come famiglia e fraternità sacramentale

Signor cardinale, amati fratelli nell'episcopato, cari sacerdoti diocesani o religiosi, seminaristi e aspiranti al sacerdozio.


1. In un clima di visibile amore filiale, di entusiasmo e di gioia, sono stato ricevuto in questa "molto nobile e molto leale" città di San Francisco de Quito, culla della nazionalità ecuadoriana e sede dell'antica capitale dei Quitus e dell'inca Atahualpa. E' la prima volta che il Papa visita questo bel Paese dell'America Latina, l'Ecuador.

La Provvidenza ha disposto che la mia visita coincidesse con la commemorazione dei quattro secoli e mezzo dalla fondazione di questa città e dall'inizio dell'opera evangelizzatrice nella terra dell'Ecuador. Questa azione evangelizzatrice è stata di promozione umana e nello stesso tempo di civiltà cristiana, come dimostrano le istituzioni educative, le magnifiche opere d'arte e i monumenti, principalmente religiosi, che ornano questa città, la quale meritatamente è stata dichiarata "patrimonio culturale dell'umanità".

E' per me motivo d'intensa gioia avere - come primo atto della mia visita - un incontro con i pastori delle Chiese locali, i quali hanno voluto vedersi circondati, in questa occasione, dai presbiteri sia diocesani sia religiosi, dai seminaristi e dagli studenti di scienze ecclesiastiche che si preparano al sacerdozio. Come successore di Pietro, che ha la responsabilità di confermare i fratelli nella fede (cfr. Lc 22,32), desidero riflettere brevemente assieme a voi, per incoraggiarvi e irrobustirvi nell'adempimento della vostra missione pastorale.


2. Questo incontro con voi, vescovi della Chiesa nell'Ecuador, mi sembra una naturale continuazione della recente visita "ad limina", in coincidenza con la canonizzazione del santo fratel Miguel. In tale circostanza ebbi la possibilità di analizzare insieme a voi i punti principali che si riferiscono al vostro lavoro apostolico. Fra essi desidero oggi sottolineare di nuovo l'attenzione che meritano la religiosità popolare, le scelte pastorali per l'applicazione del Documento di Puebla, l'evangelizzazione e la catechesi, il potenziamento dei mezzi di comunicazione sociale della Chiesa, l'educazione cristiana a ogni livello, la formazione della coscienza sociale dei fedeli, in vista di un'opzione preferenziale, anche se non esclusiva, per i poveri, e di una liberazione cristiana integrale, come viene precisata in documenti ecclesiali quali la "Evangelii Nuntiandi", il Documento di Puebla e la Istruzione della Congregazione per la dottrina della fede su "Alcuni aspetti della teologia della liberazione".

Questo pomeriggio, in modo particolare, desidero ringraziarvi, proprio in questo incontro, per la vostra peculiare attenzione alla vita sacerdotale e religiosa, così come per l'accurata pastorale delle vocazioni sacerdotali e religiose, e per l'adeguata formazione delle stesse. Ben sapete che questo è un aspetto essenziale e assolutamente prioritario del vostro ministero di pastori.

Mi rallegra la viva coscienza che avete del vostro dovere di costruire nell'Ecuador comunità ricche di fede e dinamiche nel proprio impegno per la giustizia. Una fede che deve essere illuminata, guidata e sostenuta con ogni mezzo. Perciò mi è stato di soddisfazione constatare che, per preparare spiritualmente il popolo ecuadoriano alla visita del Papa, avete intensificato l'evangelizzazione, diffondendo molte migliaia di esemplari della Bibbia. A ciò si sono aggiunte le missioni e le assemblee cristiane, nelle quali sono stati sviluppati i temi riguardanti la "verità su Gesù Cristo", la "verità sulla Chiesa" e la "verità sull'uomo".

Impegnatevi in modo che tale evangelizzazione dia ai fedeli una risposta di conversione e di fede viva. A tale scopo occorre presentare il messaggio di salvezza, tenendo bene in conto le concrete realtà nelle quali vive il vostro popolo, affinché il Vangelo influisca efficacemente, mediante la conversione personale degli evangelizzati, nei cambiamenti che richiede la società latinoamericana. Dedicate grande attenzione all'insegnamento sociale della Chiesa, che può recare valide risposte alla sete di giustizia così profondamente sentita, per favorire una maggiore uguaglianza fraterna che sia solido fondamento della pace, e che elimini nei vostri fedeli il dualismo tra religione e vita, tra la fede e il senso di ciò che è morale e di ciò che è giusto.

In questo esigente impegno, desidero incoraggiarvi ad essere i degni continuatori di una lunga serie di vescovi che, con grande senso pastorale, hanno curato il gregge cristiano di questa terra sin dall'erezione del vescovado di Quito nel 1545.

Fra i vostri predecessori ci sono stati dei prelati dall'ardente zelo missionario, come fra Pedro de la Pena, il quale percorse, in una estenuante visita pastorale, un immenso territorio, o monsignor César Antonio Mosquera, il quale avvicinava ogni casa, giungendo fino ai più umili dei suoi fedeli; prelati di vita santa e austera come fra José Maria Yerovi, l'illustrissimo José Ignazio Checa y Barba, oppure il vescovo Juan Maria Riera; prelati che dedicarono il proprio zelo pastorale alla causa della educazione cattolica, come fra Luis Lopez de Solis, fondatore del primo collego di Quito, il seminario di "San Luis", o come il cardinal Carlos Maria de la Torre, fondatore della Pontificia università cattolica dell'Ecuador; prelati saggi che contribuirono con i loro scritti al progresso delle scienze ecclesiastiche e umane, come l'illustrissimo Alonso de la Pena y Montenegro, autore dell'opra pastorale "Itinerario para parrocos de indios", o come l'arcivescovo Federico Gonzalez Suarez, autore della "Historia general de la Republica del Ecuador".

Illuminati da questi esempi della storia e fortificati dallo Spirito Santo, che vi ha posti a capo del gregge per pascere la Chiesa di Dio, che Cristo ha acquistato col proprio sangue (cfr. Ac 20,28), continuate il vostro lavoro pastorale e procurate di trovare una risposta alle necessità e ai problemi che la Chiesa sperimenta oggi in Ecuador.


3. Mi rivolgo ora a voi, cari presbiteri qui presenti, e a tutti i sacerdoti dell'Ecuador rappresentati da delegazioni delle rispettive diocesi o comunità. Vi esorto a meditare sulla vostra identità sacerdotale e sulla missione che vi spetta nella Chiesa, alla luce del sacerdozio di Cristo. così assumerete con gioia, con entusiasmo e con ottimismo il vostro essere e il vostro agire specifico.

Ogni sacerdote delinea la propria fisionomia come seguace imitatore del Buon Pastore. La sua opzione fondamentale per Cristo è stata corroborata da una consacrazione permanente: il "carattere", che è stato ricevuto nel sacramento dell'Ordine, come dono o carisma dello Spirito Santo, e fa partecipare all'unzione e alla missione sacerdotale di Cristo. Quale necessario collaboratore del vescovo, è stato messo al servizio qualificato della comunità ecclesiale, per "agire in nome di Cristo, capo" (PO 2).

La fisionomia e spiritualità sacerdotale rimane costituita principalmente dalla carità pastorale o dall'ascesi propria del pastore di anime, che raggiunge la propria santità esercitando il suo ministero nello Spirito di Cristo. Questa carità pastorale equivale a seguire radicalmente il Buon Pastore, mediante le virtù di umiltà ministeriale, obbedienza, castità e povertà, che sono come il segno e lo stimolo della carità e il segnale di una amicizia profonda col supremo sacerdote.

Per conseguire un equilibrio o una unità di vita ed evitare gli estremi di uno spiritualismo disincarnato o di un atteggiamento temporalista, occorre abituarsi al dialogo intimo con Cristo, per imparare da lui la sintonia con i piani salvifici di Dio e la vicinanza all'uomo nelle sue concrete situazioni. La celebrazione eucaristica, preparata, gustata e vissuta, specie nella celebrazione comunitaria, sarà sempre il vero punto di equilibrio, dato che nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa e "si presenta come fonte e culmine di tutta la predicazione evangelica" (PO 5).

Desidero farvi presente, miei cari sacerdoti, che non potete vivere né agire in forma isolata. Con l'aiuto di tutti, diocesani e religiosi, dovete costruire il presbiterio come famiglia e come fraternità sacramentale, come luogo in cui il sacerdote trova tutti i mezzi specifici di santificazione e di evangelizzazione. Il vostro presbiterio giungerà ad essere segno efficace di santificazione e di evangelizzazione quando si potranno constatare in esso le caratteristiche del cenacolo, e cioè la preghiera e la fratellanza apostolica con Maria, la Madre di Gesù (cfr. Ac 1,14). Questa stessa cattedrale in cui ci troviamo, dedicata all'Assunzione della Vergine Maria, è un simbolo - con le sue meravigliose espressioni artistiche - della vostra realtà sacerdotale fraterna, che attende attivamente una nuova venuta dello Spirito Santo.


4. Desidero invitare i sacerdoti diocesani in particolare a rivolgere lo sguardo a tanti vostri fratelli che si sono dati alla Chiesa nei compiti più gravosi o nelle parrocchie più povere e remote. Li hanno saputo coltivare la fede cristiana ed essere di aiuto alla promozione umana dei propri fedeli, rendendoli più consapevoli della propria dignità come uomini e come figli di Dio. così hanno consolidato il substrato cattolico della cultura dei vostri popoli.

Il loro servizio è stato una testimonianza reale dell'opzione preferenziale per i poveri e un'efficace prova della valida formazione ricevuta, fra l'altro, al seminario maggiore di "San José" di Quito.

Ai sacerdoti religiosi desidero sottolineare l'importanza della vita consacrata attraverso la professione dei consigli evangelici. Sono consapevole del valido servizio che gli istituti religiosi hanno reso lungo la storia, e rendono attualmente, alla vita della Chiesa nell'Ecuador. Quante vite sacrificate per il Vangelo e per la promozione dell'uomo! Ne offre un buon esempio la celebre "escuela quitena" di scultura e di pittura, che ci ricorda nomi aborigeni come il Pampite o Caspicara.

Il vostro seguire radicalmente Cristo vi renda segno evidente del sermone della montagna. E che questo cammino, entro la cornice del vostro carisma specifico, vi faccia scoprire la speciale appartenenza alla Chiesa locale o al presbiterio, il cui capo è il vescovo (cfr. CD 28), sempre al servizio della comunione ecclesiale locale e universale.

A tutti, diocesani e religiosi, chiedo che siate fedeli al vero rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II, seguendo gli indirizzi sottolineati nelle conferenze di Medellin e di Puebla. Mettete anche in pratica le linee direttive dei vostri vescovi contenute nella Dichiarazione programmatica e nelle opzioni pastorali.

Le vostre parrocchie si rivitalizzino col valido contributo delle religiose, come anche con quello delle piccole comunità, come le "comunità di base" e altri movimenti apostolici di laici, sempre in cordiale unione con i propri vescovi. Coltivate anche nella comunità cristiana i diversi ministeri e servizi dei laici impegnati, guidandoli verso il cammino della perfezione, della dedizione all'apostolato, dell'improrogabile impegno in favore della giustizia e della moralizzazione di tutta la vita pubblica. A tal fine date loro una solida formazione etica ed esortateli a seguire l'insegnamento sociale della Chiesa.


5. Cari seminaristi e aspiranti al sacerdozio, sappiate che il Papa ha riposto in voi la speranza di un avvenire migliore per la vita e l'attività della Chiesa.

Provo una particolare gioia nel sapere che, grazie alla rinnovata spinta data alla pastorale vocazionale, in questi anni è aumentato il numero dei seminaristi, degli aspiranti al sacerdozio e alla vita consacrata. Sono stati istituiti nuovi seminari e ha avuto un notevole sviluppo la facoltà di Scienze filosofico-teologiche della Pontificia università cattolica dell'Ecuador, che è il centro comune degli studi ecclesiastici per gli aspiranti al sacerdozio.

Vivete, giovani, con gioia e responsabilità questo importante periodo della vostra vita. Siate simili a Cristo mediante la preghiera e la pratica della virtù. Dovete acquisire una solida formazione spirituale, pastorale, umana e intellettuale, in modo che, assieme alla cultura generale adeguata alle necessità del tempo e del luogo, possiate acquisire principalmente un'ampia e solida conoscenza delle discipline sacre, in fedeltà al magistero della Chiesa. Dovete anche imparare le lingue necessarie, non soltanto per la vostra formazione, ma anche per il ministero pastorale, come la lingua degli indigeni. Tutte queste linee direttive conciliari le troverete applicate per voi nella "Ratio institutions sacerdotalis", elaborata dalla Conferenza episcopale dell'Ecuador.


6. Cari fratelli, uniti nello stesso amore a Dio e alla sua Chiesa, concludiamo aprendo il cuore alle parole dell'apostolo Pietro. Esse esprimono il mio più grande desiderio di una intensa preparazione al quinto centenario dell'evangelizzazione dell'America Latina. Siano urgente appello alla vostra disponibilità missionaria, in Ecuador e altrove: "Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri, secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il supremo pastore riceverete la corona della gloria che non appassisce" (1P 5,1-4).

Maria, nostra Madre, ci guidi in questo cammino. così sia.

Data: 1985-01-29 Data estesa: Martedi 29 Gennaio 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Ai lavoratori - Ciudad Guayana (Venezuela)