GPII 1985 Insegnamenti - Lettera apostolica in forma di "motu proprio" con cui è costituita la Pontificia Commissione per la Pastorale degli operatori sanitari

Lettera apostolica in forma di "motu proprio" con cui è costituita la Pontificia Commissione per la Pastorale degli operatori sanitari

Titolo: Dolentium Hominum



1. E' noto il vivo interesse che la Chiesa ha sempre mostrato per il mondo dei sofferenti. In ciò non ha fatto, del resto, che seguire l'esempio molto eloquente del suo Fondatore e Maestro. Nella Lettera Apostolica "Salvifici Doloris" dell'11 febbraio 1984, ho rilevato che "nella sua attività messianica in mezzo a Israele, Cristo si è avvicinato incessantemente al mondo dell'umana sofferenza. Passo "facendo del bene", e questo suo operato riguardava, prima di tutto, i sofferenti e coloro che attendevano aiuto" (Salvifici Doloris, 16).

Di fatto, la Chiesa nel corso dei secoli ha fortemente avvertito il servizio ai malati e sofferenti come parte integrante della sua missione e non solo ha favorito fra i cristiani il fiorire delle varie opere di misericordia, ma ha pure espresso dal suo seno molte istituzioni religiose con la specifica finalità di promuovere, organizzare, migliorare ed estendere l'assistenza agli infermi. I missionari, per parte loro, nel condurre l'opera dell'evangelizzazione, hanno costantemente associato la predicazione della Buona Novella con l'assistenza e la cura dei malati.


2. Nel suo approccio agli infermi e al mistero della sofferenza, la Chiesa è guidata da una precisa concezione della persona umana e del suo destino nel piano di Dio. Essa ritiene che la medicina e le cure terapeutiche abbiano di mira non solo il bene e la salute del corpo, ma la persona come tale che, nel corpo, è colpita dal male. La malattia e la sofferenza, infatti, non sono esperienze che riguardano soltanto il sostrato fisico dell'uomo, ma l'uomo nella sua interezza e nella sua unità somatico-spirituale. E' noto del resto come talora la malattia che si manifesta nel corpo abbia la sua origine e la sua vera causa nei recessi della psiche umana.

Malattia e sofferenza sono fenomeni che, se scrutati a fondo, pongono sempre interrogativi che vanno al di là della stessa medicina per toccare l'essenza della condizione umana in questo mondo (GS 10). Si comprende perciò facilmente quale importanza rivesta, nei servizi socio-sanitari, la presenza non solo di pastori di anime, ma anche di operatori, i quali siano guidati da una visione integralmente umana della malattia e sappiano attuare, di conseguenza, un approccio compiutamente umano al malato che soffre. Per il cristiano, la redenzione di Cristo e la sua grazia salvifica raggiungono tutto l'uomo nella sua condizione umana e quindi anche la malattia, la sofferenza e la morte.


3. Nella società civile il settore dei servizi socio-sanitari ha conosciuto, negli anni recenti, una importante e significativa evoluzione. Da un lato, l'accesso all'assistenza e alle cure sanitarie, riconosciuto come un diritto del cittadino, si è generalizzato, determinando di conseguenza l'ampliamento delle strutture e dei vari servizi sanitari. Dall'altro, gli Stati, per poter far fronte a queste esigenze, hanno costruito appositi ministeri, varato legislazioni "ad hoc" e adottato politiche con specifiche finalità di ordine sanitario. Le Nazioni Unite, dal canto loro, hanno dato vita alla Organizzazione Mondiale della Sanità.

Questo vasto e complesso settore concerne direttamente il bene della persona umana e della società. Proprio per questo esso pone anche delicate e non eludibili questioni, che investono non solo l'aspetto sociale ed organizzativo, ma anche quello squisitamente etico e religioso, perché vi sono implicati eventi "umani" fondamentali quali la sofferenza, la malattia, la morte con i connessi interrogativi circa la funzione della medicina e la missione del medico nei confronti dell'ammalato. Le nuove frontiere, poi, aperte dai progressi della scienza e dalle sue possibili applicazioni tecniche e terapeutiche, toccano gli ambiti più delicati della vita nelle sue stesse sorgenti e nel suo più profondo significato.


4. Da parte della Chiesa pare anzitutto importante un'opera di più organico approfondimento delle sempre più complesse problematiche che gli operatori sanitari debbono affrontare, nel contesto di un maggior impegno di collaborazione fra i gruppi e le attività corrispondenti. Esistono, oggi, molteplici organismi che impegnano direttamente i cristiani nel settore della sanità: oltre e accanto alle Congregazioni e Istituzioni religiose, con le loro strutture socio-sanitarie, vi sono organizzazioni di medici cattolici, associazioni di paramedici, di infermieri, di farmacisti, di volontari, organismi diocesani e interdiocesani, nazionali e internazionali sorti per seguire i problemi della medicina e della salute. Si impone un migliore coordinamento di tutti questi organismi. Nella mia Allocuzione ai medici cattolici, il 3 ottobre 1982, avevo delineato questa necessità: "Per far ciò non è sufficiente un'azione individuale. Si richiede un lavoro di insieme, intelligente, programmato, costante e generoso e questo non soltanto nell'ambito dei singoli paesi, ma anche su scala internazionale. Una coordinazione a livello mondiale potrebbe consentire infatti un migliore annuncio ed una più efficace difesa della vostra fede, della vostra cultura, del vostro impegno cristiano nella ricerca scientifica e nella professione.


5. Tale coordinamento deve, in primo luogo, essere inteso a favorire e a diffondere una sempre migliore formazione etico-religiosa degli operatori sanitari cristiani nel mondo, tenendo conto delle differenti situazioni e dei problemi specifici che essi debbono affrontare nello svolgimento della loro professione.

Esso sarà volto, poi, a meglio sostenere, promuovere e intensificare le necessarie attività di studio, di approfondimento e di proposta in rapporto ai menzionati problemi specifici del servizio sanitario, nel contesto della visione cristiana del vero bene dell'uomo. In questo campo sono oggi aperti delicati e gravi problemi di natura etica, circa i quali la Chiesa ed i cristiani devono coraggiosamente e lucidamente intervenire per salvaguardare valori e diritti essenziali connessi con la dignità ed il destino supremo della persona umana.


6. Alla luce di queste considerazioni, e sostenuto dal parere di esperti, sacerdoti, religiosi e laici, ho disposto di costituire una Pontificia Commissione per la Pastorale degli operatori sanitari, che funga da organismo di coordinamento di tutte le istituzioni cattoliche, religiose e laiche, impegnate nella pastorale degli infermi. Essa sarà collegata col Pontificio Consiglio per i Laici, del quale sarà parte organica, pur mantenendo una sua propria individualità organizzativa ed operativa.

I compiti della Commissione saranno i seguenti: - stimolare e promuovere l'opera di formazione, di studio e di azione svolta dalle diverse O.I.C. nel campo sanitario, nonché dagli altri gruppi, associazioni e forze che, a diversi livelli e in vari modi, operano in tale settore; - coordinare le attività svolte dai diversi Dicasteri della Curia Romana in relazione al mondo sanitario e ai suoi problemi; - diffondere, spiegare e difendere gli insegnamenti della Chiesa in materia di sanità, e favorirne la penetrazione nella pratica sanitaria; - tenere i contatti con le Chiese locali ed, in particolare, con le commissioni Episcopali per il mondo della sanità; - seguire con attenzione e studiare orientamenti programmatici ed iniziative concrete di politica sanitaria, a livello sia internazionale che nazionale, al fine di coglierne la rilevanza e le implicazioni per la pastorale della Chiesa.

La Pontificia Commissione sarà presieduta dal Cardinale Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici e sarà animata da un gruppo di coordinamento con a capo un Pro-Presidente (Arcivescovo) e un Segretario (senza carattere vescovile). Spetta al Presidente di dirigere le Assemblee plenarie dei Membri e Consultori. Il Presidente inoltre sarà preventivamente informato circa le decisioni di maggiore importanza e sarà tenuto al corrente dell'attività ordinaria della Commissione.

Sarà compito del Pro-Presidente promuovere, animare, presiedere e coordinare le attività organizzative e operative della Pontificia Commissione.

I Membri e Consultori, da me nominati, rappresenteranno: a) alcuni Dicasteri e Organismi della Curia Romana (Segreteria di Stato; Congregazioni per la Dottrina della Fede, per le Chiese Orientali, per i Religiosi e gli Istituti Secolari, per l'Evangelizzazione dei Popoli e per l'Educazione Cattolica; Pontifici Consigli Co Unum e per la Famiglia; Pontificia Accademia delle Scienze); b) l'Episcopato (Commissioni Episcopali per il mondo della sanità); c) gli Ordini religiosi ospedalieri; d) il laicato (rappresentanti delle O.I.C. ed altri gruppi e associazioni che operano nel campo sanitario e nel mondo della sofferenza).

Nell'adempimento della sua missione, la Pontificia Commissione potrà domandare la collaborazione di esperti e costituire gruppi di lavoro "ad hoc" su questioni determinate.

Data: 1985-02-11 Data estesa: Lunedi 11 Febbraio 1985





Messa per gli ammalati - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La beata Vergine di Lourdes santifichi il vostro dolore

"Come una madre consola il figlio, così io vi consolero" (Is 66,13).

Miei cari ammalati!

1. Con queste rassicurati parole del profeta Isaia, che abbiamo ascoltate nella prima lettura di questa celebrazione eucaristica in onore della beata Vergine Maria di Lourdes, vi esprimo il mio affettuoso saluto e la mia profonda gratitudine per il dono della vostra presenza, così preziosa per la Chiesa che è chiamata a continuare l'opera della salvezza in mezzo al mondo: voi infatti col vostro dolore purificate la Chiesa e le imprimete una forza specifica nella sua azione salvifica.

Saluto di cuore anche tutti gli assenti: i religiosi, le religiose, i medici, gli infermieri, i barellieri e tutti gli altri collaboratori e ausiliari che, guidati dai dirigenti dell'Unitalsi, ogni anno rinnovano qui in basilica questa testimonianza di carità e di solidarietà cristiana; saluto parimenti i dirigenti dell'Opera romana pellegrinaggi, i quali hanno il merito di aver dato inizio, anni orsono, a questo incontro annuale e oggi sono qui con un folto gruppo di aderenti all'Opera medesima.

A tutti voi dico: "Grazia e pace in abbondanza" (1P 1,2), augurando che questa celebrazione liturgica sia un momento forte di preghiera e di riflessione per comprendere sempre meglio l'importanza della delicata missione accanto ai fratelli ammalati, che sono le membra sofferenti del Cristo crocifisso.


2. Oggi ricordiamo la ricorrenza della prima apparizione della beata Vergine Maria a santa Bernadette Soubirous nella grotta di Massabielle, a Lourdes. Numerose altre apparizioni si susseguirono, nel corso delle quali santa Bernadette divenne la confidente, la collaboratrice e lo strumento della materna sollecitudine della Vergine per l'estensione della misericordiosa opera salvatrice del suo Figlio.

In ordine a questa salvezza è quanto mai significativo quello che la beata Vergine disse alla piccola veggente tra i tanti messaggi a lei affidati: "Io non ti prometto di farti felice in questo mondo, ma nell'altro". La Madonna l'associo così ai misteri dolorosi della passione del suo Figlio. E difatti tutta la vita della santa fu profondamente segnata dal dolore e dalla sofferenza. La croce di Cristo fu fonte della sua continua ispirazione durante la sua vita religiosa nella congregazione delle Suore della Carità e dell'Istruzione cristiana di Nevers; fu il segreto della sua riuscita nella via della perfezione cristiana.

Esclamava, nelle sue annotazioni spirituali: "Croce del mio Salvatore, croce santa, croce adorabile, in voi solo io pongo la mia forza, la mia speranza e la mia gioia. Voi siete l'albero della vita, la scala misteriosa che unisce la terra al cielo e l'altare al quale voglio sacrificarmi, morendo per Gesù" ("Note intime", p. 20).


3. Ma pur chiamandola alla sofferenza redentrice, il Signore non le fece mancare le consolazioni e le gioie purissime che egli riservava alle anime più generose.

Per cui anch'ella poteva ripetere con l'apostolo Paolo: "Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda la nostra consolazione" (2Co 1,5). Gesù eucaristico costituiva il suo sollievo, il suo riposo e il suo abbandono: "Gesù mi dona il suo cuore, io sono dunque cuore a cuore con Gesù, amica di Gesù cioè un altro Gesù" ("Note intime", p. 14).

E' questa la gioia promessa ai santi e alle anime fedeli! E' la gioia che abbiamo ascoltata nella prima lettura: "Sfavillate di gioia... voi tutti che avete partecipato al suo lutto" (Is 66,10). E' la gioia annunziata dalla Madonna nel Vangelo di oggi: "ll mio spirito esulta in Dio, mio salvatore" (Lc 1,47). Il cristianesimo è intessuto di dolore e di gioia, della passione e della risurrezione.


4. Cari ammalati, sappiate accogliere questo messaggio spirituale, che oggi viene a voi dalla festa della beata Vergine di Lourdes e che può essere riassunto nelle parole dell'apostolo Pietro: "Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare" (1P 4,13). La Vergine santissima che veneriamo nel mistero delle sue apparizioni a Lourdes, ci è in questo di magnifico esempio. Ella sta in piedi accanto alla croce, associata in modo eminente al sacrificio del suo Figlio, ella è madre dei dolori. Ma ella è anche aperta alla gioia della risurrezione; è assunta, corpo e anima, alla gloria del cielo. Prima creatura redenta, immacolata fin dalla concezione, ella è il tipo perfetto della Chiesa terrena e di quella glorificata. Ella perciò ci esorta al coraggio e alla fiducia, e ci ricorda che non si arriva alla gioia senza passare per il sentiero obbligato della sofferenza: "per crucem ad lucem". La vostra vita non è diversa da quella della Madonna e di santa Bernadette; guardatela con i loro stessi occhi. La malattia non è un'inutile fatalità; non è qualcosa che opprime senza lasciare nulla di positivo. Al contrario, se sopportata in comunione con Cristo, diventa sorgente di speranza, di salvezza e di risurrezione per voi e per l'umanità intera. Anche voi tutti, fratelli e sorelle qui presenti insieme con i cari ammalati, che avete avuto la fortuna di recarvi come pellegrini a Lourdes, in quella privilegiata cittadella di Maria, sapete bene come e quanto questo specifico messaggio della Madonna sia fecondo di grazie, di conversioni e di santi propositi. Cercate di assorbirne sempre più lo spirito e di interiorizzarne le esigenze; testimoniatelo con una condotta di vita che sia veramente degna della nostra Madre celeste.


5. Si compie oggi un anno dalla pubblicazione della mia lettera apostolica "Salvifici Doloris", sul dolore umano, avvenuta appunto l'11 febbraio 1984. In attuazione di alcune istanze colà espresse, ho istituito, in data odierna, una Pontificia commissione per la pastorale degli operatori sanitari, la quale ha il compito di coordinare tutte le istituzioni cattoliche impegnate nella cura dei malati. Questa nuova istituzione vuole essere viva espressione della sollecitudine della Chiesa per chi soffre.

I problemi, i bisogni, le aspettative, che emergono dal vasto continente della sofferenza umana, sono molteplici e urgenti. Occorre prendere atto con sempre più vigile coscienza, per farvi fronte con risposte tempestive ed efficaci.

Il mondo cristiano ha sempre mostrato viva sensibilità verso i malati, nei quali Cristo ha voluto identificarsi (cfr. Mt 25,36). Questa sensibilità chiede, oggi, di mostrarsi in un modo più organico e qualificato, in sintonia del resto con i nuovi assetti che la società è andata assumendo sia a livello nazionale che internazionale. Occorre stimolare e promuovere l'opera di formazione e di studio che le diverse istituzioni cattoliche svolgono in campo sanitario; occorre diffondere e difendere gli insegnamenti della Chiesa in questa materia; occorre soprattutto suscitare e coordinare le energie vive presenti nella Chiesa, perché si volgano con rinnovato spirito di servizio verso le sorelle e i fratelli colpiti dalla malattia, vedendo in essi le membra di Cristo sofferente. Con queste finalità nasce il nuovo organismo della Santa Sede, che muove proprio oggi i suoi primi passi, sotto la guida del cardinale Edoardo Pironio, presidente, e dell'arcivescovo Fiorenzo Angelini, propresidente. Vi invito a pregare perché la nuova Pontificia commissione possa raggiungere pienamente il suo scopo, quello cioè di migliorare ed estendere l'assistenza materiale e spirituale che la Chiesa da sempre promuove in favore dei malati.

Questi voti e queste speranze vogliamo ora deporre, sull'altare, dove rinnoviamo il sacrifico eucaristico, perché salgano al Signore come offerta a lui gradita, a gloria di lui e a nostra redenzione. Amen. Data: 1985-02-11 Data estesa: Lunedi 11 Febbraio 1985





Ai coltivatori diretti nel 40° della Confederazione - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La terra dono di Dio a beneficio di tutti gli uomini

Carissimi.


1. Sono lieto di questo incontro, che mi offre la possibilità di celebrare insieme con voi il 40° anniversario di fondazione della vostra grande famiglia, la Confederazione nazionale dei coltivatori diretti. Vi saluto tutti con grande affetto, rivolgendo uno speciale pensiero al vostro presidente dottor Lobianco che ringrazio per le parole rivoltemi, al suo predecessore, l'onorevole Bonomi e al consigliere ecclesiastico, monsignor Notarangelo.

Rendiamo anzitutto grazie a Dio per la significativa testimonianza di fedeltà alla dottrina della Chiesa e agli interessi del mondo rurale che voi avete dato in questi anni di vita della vostra associazione. Quando, nell'ottobre del 1944, ancor prima che il flagello della guerra terminasse, alcuni dirigenti dell'Azione cattolica italiana, con ispirata chiaroveggenza e con profondo spirito sociale, diedero vita all'associazione professionale e sindacale dei coltivatori diretti, essi si impegnarono a considerare la dottrina sociale cristiana come principale fonte di orientamento e di ispirazione per la loro attività.

E' giusto riconoscere che la vostra associazione tenne fede a questo programma e trovo sempre il conforto e l'incoraggiamento nella viva parola dei miei predecessori oltre che nelle encicliche sociali e nella solenne voce del Concilio. Conoscete bene l'ampio capitolo che l'enciclica "Mater et Magistra" dedica al lavoro agricolo, la costituzione "Gaudium et Spes", l'enciclica "Laborem Exercens".


2. La Coldiretti è nata in un momento difficile e drammatico per la vita delle campagne. Qualcuno di voi ricorda ancora l'arduo programma che vi attendeva.

Bisognava riportare in condizioni produttive normali la terra sconvolta dal passaggio della guerra, proprio quando si aggravava il fenomeno dell'"esodo" - come lo chiamo Pio XII - dalle campagne di molti giovani e di intere famiglie.

Voi avete dovuto invitare il lavoratore della terra a entrare nelle nuove forme di vita associata, necessarie per lo sviluppo della professione agricola, aiutando il contadino ad uscire dall'isolamento e dalla secolare sfiducia verso le istituzioni. Avete contribuito a superare l'opposizione tra città e campagna, causa frequente del disamore alla terra e al lavoro dei campi.

Urgeva, specialmente all'inizio, superare quelle condizioni umilianti di dipendenza in cui i lavoratori della terra sono ridotti o costretti a operare.

Soprattutto dovevate guadagnare la gioventù rurale, formando i giovani e preparandoli ai loro doveri di coltivatori mediante corsi speciali affrontando, con originali iniziative, la mancanza di istruzione professionale.

Voi avete accolto la sfida dei tempi e avete organizzato un'assistenza tecnica e sociale efficace perché il coltivatore conoscesse i propri diritti, amasse la terra in ordine alle nuove esigenze di produzione. Avete operato perché non prevalesse, per quanto possibile, nella nuova società, una mentalità di tipo classista e materialista, poco disposta a rispettare le peculiarità della cultura contadina.


3. E' giusto, allora, mettere in luce alcuni risultati e consensi che oggi vi confortano. Nonostante la diminuzione della popolazione agraria, la Coldiretti associa oggi un milione e centomila famiglie, e ottocentomila pensionati. Si tratta, perciò, della più grande associazione professionale agricola italiana ed europea. La vostra organizzazione per il patrocinio e l'assistenza dei lavoratori agricoli svolge un servizio fin nei più piccoli centri. Le Casse mutue dei Coltivatori diretti sono anch'esse un segno della viva presenza del lavoratore dei campi nella promozione democratica e pacifica dei propri interessi sociali.

Iniziative un tempo ritenute troppo ardue oggi sono, invece, una felice realtà.

Sia ringraziato Dio per tutto quello che si è operato di bene.

Se oggi si riscontra una ripresa della "passione" per la campagna anche da parte dei giovani, e la professione del contadino, grazie alla sua preparazione e all'impegno di tecniche di coltivazione e attrezzature avanzate, non è più considerata come una condizione di inferiorità rispetto al lavoro della fabbrica, ciò si deve, in gran parte, alla vostra assidua opera.


4. Il rapido sviluppo tecnico e il rapporto organico tra ricerca scientifica e sperimentazione produttiva hanno fatto scaturire nuove e più ampie possibilità di sviluppo nel mondo agricolo, con conseguente beneficio dell'economia agricola e di tutta la comunità civile, mediante la trasformazione delle colture.

Specialmente i nuovi strumenti di lavoro consentono all'agricoltore una riduzione della fatica fisica, una vita umanamente più agevole, maggiore disponibilità di tempo libero e di ore di riposo. Di conseguenza il lavoratore della terra ha modo di dedicarsi di più alla famiglia, alla cultura, al libero esercizio delle proprie iniziative; trova migliori occasioni per prendere parte attiva alla vita sociale e politica della comunità.

Io voglio sperare che il costante progresso della condizione culturale del lavoratore della terra realizzi un principio sociale importante, dichiarato nella "Mater et Magistra" (MM 130): "Che i protagonisti dello sviluppo economico, del progresso sociale e dell'evoluzione culturale degli ambienti agricolo-culturali devono essere gli stessi interessati, e cioè i lavoratori della terra".


5. Poiché i valori tecnici dello sviluppo rivelano sempre una possibile ambivalenza nei loro risultati e nelle possibilità d'impiego, spetta a voi condurre a buon fine ogni nuova impresa, affinché ne abbia vantaggio il bene comune e non venga umiliata la persona del lavoratore. Fate in modo, dunque, che tutte le iniziative, le scelte delle nuove colture, i metodi di lavoro siano decisi con libertà e oggettività di informazione. Procurate che il lavoratore della terra conosca le prospettive delle sue scelte, non sia lasciato solo nelle condizioni di rischio che queste comportano, sappia le motivazioni, il valore e il vantaggio delle novità che egli introduce nel programma d'impiego della terra.

Bisogna soprattutto garantirsi che le moderne tecnologie non assorbano il ruolo specifico e tipico del coltivatore diretto e la dimensione familiare nella struttura operativa del mondo contadino. Il lavoro dei campi, infatti, coinvolge il nucleo della famiglia in maniera del tutto particolare. Ricordiamo perciò che la famiglia costituisce sempre la base di tutti i valori umani che l'agricoltura è anche oggi capace di salvaguardare.


6. Dobbiamo pro ancora chiederci quali passi siano urgenti, nel momento presente, per raggiungere una promozione più ampia del mondo agrario. Colgo l'idea dal generoso dono di mille quintali di grano che voi oggi offrite per le necessità emergenti dell'Africa. Vi ringrazio anche a nome di tutti coloro che potranno essere sollevati dalla vostra generosa carità. Occorre dire che è necessario fare passi avanti per istituire un rapporto proficuo tra agricoltura e fame nel mondo, tra lavoro agricolo e scambi commerciali.

Avviene, voi lo sapete, che non sempre il coltivatore diretto sia giustamente remunerato delle proprie fatiche, ed è triste dover ammettere che interessi di mercato vanificano talvolta il frutto di un intenso lavoro, a svantaggio tanto dell'agricoltore quanto di altre comunità lavorative che hanno bisogno dei frutti della terra. Si ripete troppo spesso il fenomeno avvilente - reso più grave perché esiste un mondo di affamati che reclama aiuto - di grandi quantità di prodotti distrutti piuttosto che impiegati. Non possiamo accettare che, mentre da una parte la terra dona i suoi frutti e le iniziative scientifiche per le colture offrono prospettive insperate di produzione, si vedano poi distrutte derrate che potrebbero servire a sfamare i popoli; che, mentre da una parte si muore di fame, si annientino dall'altra i frutti eccedenti perché non si trova il modo di realizzare un'organica collaborazione tra la produzione agricola e i bisogni delle nazioni. Anche l'economia agricola, come quella industriale, ha oggi enormi dimensioni e possibilità. Perciò è urgente cercare collegamenti molteplici tra i singoli Stati, vie eque di soluzione dei problemi nel reciproco aiuto, così come sono reciproche le dipendenze tra Paesi ricchi e Paesi più poveri (cfr. LE 17). Troviamo dunque strade più aperte per lo scambio dei prodotti per non ridurre le speranze di un maggiore equilibrio tra gli Stati, e affinché le omissioni non riducano le speranze della giustizia e non si trasformino in "peccato sociale".

La terra è un dono di Dio a beneficio di tutti, e i benefici da essa prodotti non possono ridursi a un limitato numero di popoli o di categorie di persone, mentre altri sono esclusi dai suoi frutti (Discorso a Bacolod City, 20 febbraio 81).


7. L'altro interrogativo riguarda il frutto che la promozione agricola ha dato per lo spirito. Dietro la svolta culturale delle tecniche agrarie ci può essere il rischio di cadere in forme di edonismo e di consumismo, che in passato erano estranee alla mentalità della famiglia agricola.

Dobbiamo impegnativamente lavorare perché la nuova agricoltura si sviluppi sempre nel rispetto della dignità dell'uomo, perché si tenga fede al culto profondo e incorruttibile della moralità, del rispetto della coscienza. Il tradizionale sentimento religioso e cristiano della cultura delle campagne non dovrà venir meno; la civiltà dell'amore e della solidarietà non dovrà essere sconvolta ma confermata dalle nuove vie del progresso.

"Sappiate mantenere lo sguardo rivolto al cielo - ammoniva Giovanni XXIII -, il cuore pieno di santi propositi, di fedeltà, di amore di Dio. Solo così le applicazioni della tecnica saranno fonte di vero duraturo progresso, senza il quale non c'è che disordine e confusione" (cfr. "Discorsi", vol. II [1960], p.321).

8. Assecondate, dunque, la missione dei vostri generosi sacerdoti assistenti e consiglieri ecclesiastici, affinché possiate sempre rispondere di disegni della Provvidenza, la quale vi affida il grave impegno di una testimonianza ancora difficile per certi aspetti, ma tanto ricca di speranze e di grandi attese per tutta la Chiesa.

Perciò di gran cuore invoco su di voi, sul vostro lavoro, sulle vostre campagne, sulle vostre famiglie, sulle persone care, l'abbondanza della grazia divina. Amen!

Data: 1985-02-12 Data estesa: Martedi 12 Febbraio 1985











A un gruppo di ebrei americani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Pace e sicurezza per la Terra Santa

Cari amici, è un grande piacere per me ricevere questa importante delegazione del'"American Jewish Committee", guidata dal vostro presidente, e vi sono grato per questa visita. Siate i benvenuti in questa casa che, come sapete, è sempre aperta ai membri del popolo ebreo. Siete venuti per celebrare il ventesimo anniversario della dichiarazione conciliare "Nostra Aetate", sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, la quarta sezione della quale tratta a lungo delle relazioni della Chiesa con l'ebraismo.

Durante la mia recente visita pastorale in Venezuela, ho ricevuto alcuni rappresentanti della comunità ebraica di quel Paese, in un incontro che è diventato ora una costante di tante mie visite pastorali nel mondo. In quell'occasione, rispondendo all'indirizzo di saluto del rabbino Isaac Cohen, ha detto: "Desidero confermare con tutto il mio profondo convincimento che la dottrina della Chiesa enunciata durante il Concilio Vaticano II, nella dichiarazione "Nostra Aetate", rimane sempre per noi, per la Chiesa cattolica, per l'episcopato e per il Papa, una dottrina che deve essere seguita, una dottrina che obbliga non solo come convenienza ma, molto più, come un'espressione della fede, come un'ispirazione dello Spirito Santo, come una parola della divina sapienza".

Ripeto volentieri queste parole a voi che state commemorando il ventesimo anniversario della dichiarazione, poiché esse esprimono l'impegno della Santa Sede e di tutta la Chiesa cattolica per il contenuto di questa dichiarazione, sottolineando, per così dire, la sua importanza. Dopo vent'anni, i termini della dichiarazione non sono invecchiati. E' ancor più chiaro di allora quanto siano validi i fondamenti teologici della dichiarazione e che base solida essa fornisca ad un dialogo ebreo-cristiano realmente fruttuoso. Da una parte, essa pone la motivazione di un tale dialogo nel mistero stesso della Chiesa, e dall'altra afferma chiaramente l'identità di ogni religione, unendo strettamente l'una all'altra.

Durante questi vent'anni è stato fatto un enorme lavoro. Ne siete ben consapevoli, dal momento che la vostra organizzazione è profondamente impegnata nelle relazioni ebraico-cristiane, sulla base della dichiarazione, sia a livello nazionale che internazionale, e particolarmente in connessione con la Commissione della Santa Sede per le relazioni religiose con l'ebraismo.

Sono convinto, e sono lieto di affermarlo in questa occasione, che i rapporti tra ebrei e cristiani sono radicalmente migliorati in questi anni. Dove c'era diffidenza e forse paura, c'è ora fiducia. Dove c'era ignoranza e perciò pregiudizio e stereotipi, c'è ora crescente conoscenza, stima e rispetto reciproco. C'è, soprattutto, amore tra di noi, quel tipo di amore, intendo, che è per tutti noi un'esigenza fondamentale delle nostre tradizioni religiose e che il Nuovo Testamento ha ricevuto dall'Antico (cfr. Mc 12,28-34 Lv 19,18). L'amore implica comprensione. Implica anche franchezza e la libertà di dissentire in modo fraterno quando ci sono ragioni per farlo.

Non c'è dubbio che molto rimane ancora da fare. E' ancora necessaria una riflessione teologica, nonostante la mole di lavoro già compiuto e i risultati finora raggiunti. I nostri studiosi biblici e i nostri teologi sono costantemente sfidati dalla parola di Dio che abbiamo in comune. L'educazione dovrebbe più accuratamente tener conto delle nuove intuizioni e delle direttive aperte dal Concilio e significate nel successivo: "Orientamenti e tracce per l'implementazione del decreto "Nostra Aetate" NAE 4", che è ancora in vigore.

Educazione al dialogo, all'amore, al rispetto per gli altri e all'apertura verso tutti sono urgenti necessità nelle nostre società pluralistiche, dove ciascuno è il prossimo degli altri.

L'anti-semitismo, che purtroppo è ancora un problema in alcuni luoghi, è stato ripetutamente condannato dalla tradizione cattolica come incompatibile con la dottrina della Chiesa, e con il rispetto dovuto alla dignità degli uomini e delle donne creati a immagine e somiglianza di Dio.

Esprimo ancora una volta il rifiuto da parte della Chiesa cattolica di ogni oppressione e persecuzione, e soprattutto di ogni discriminazione dei popoli - da qualsiasi parte essa venga - "per legge o di fatto, a causa della loro razza, origine, colore, cultura, sesso o religione" ("Octogesima Adveniens", 23).

In stretta connessione con quanto abbiamo detto, c'è il vasto ambito di cooperazione che ci è aperto, come cristiani ed ebrei, a favore di tutta l'umanità dove l'immagine di Dio risplende in ogni uomo, donna e bambino, specialmente nei poveri e nei bisognosi.

So bene quanto strettamente l'"American Jewish Committee" abbia collaborato con alcune organizzazioni cattoliche per alleviare la fame in Etiopia e nel Sahel, cercando di richiamare l'attenzione delle autorità su questa terribile situazione, purtroppo non ancora risolta, e che è perciò una sfida costante a tutti coloro che credono nell'unico vero Dio, che è Signore della storia e Padre amorevole di tutti.

Conosco anche la vostra preoccupazione per la pace e la sicurezza della Terra Santa. Che il Signore dia a quella terra e a tutti i popoli e le nazioni di quella parte del mondo le benedizioni contenute nella parola "shalom", che cioè, secondo l'espressione del salmista, "giustizia e pace si bacino" (cfr. Ps 85,11).

Il Concilio Vaticano II e i successivi documenti hanno realmente questo fine: che i figli e le figlie di Abramo - ebrei, cristiani e musulmani (cfr. NAE 3) - vivano insieme e prosperino nella pace. E che tutti noi amiamo il Signore nostro Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le nostre forze (cfr. Dt 6,5).

Grazie ancora per la vostra visita. Shalom!

Data: 1985-02-15 Data estesa: Venerdi 15 Febbraio 1985





Giubileo dei santi Cirillo e Metodio - San Clemente (Roma)

Titolo: La loro eredità vive nel desiderio dell'unione dei cristiani

Carissimi fratelli e sorelle!

1. Oggi, festa liturgica dei santi Cirillo e Metodio, siamo qui riuniti, in questa antica basilica dedicata a san Clemente, papa e martire, per pregare e meditare presso la tomba nella quale sono custodite le venerate reliquie di san Cirillo, che, insieme con il fratello san Metodio e accanto a san Benedetto, ho proclamato patrono di tutta l'Europa. La Chiesa tutta, nel glorificare i due santi fratelli, esprime loro la propria grata ammirazione per la grandiosa opera evangelizzatrice da essi compiuta per la divulgazione del regno di Dio tra le genti slave.

Come ho ricordato il 1° gennaio scorso, sono trascorsi undici secoli dal momento in cui la grande missione di entrambi i fratelli termino con la morte di Metodio, nell'anno 885; il fratello Costantino-Cirillo era già morto sedici anni prima qui a Roma. A questi due grandi apostoli l'eterno Pastore ha affidato l'opera del Vangelo tra gli slavi. Essi sono diventati i primi evangelizzatori dei popoli che abitano la parte orientale e quella meridionale dell'Europa. Sono diventati i padri della loro fede e della loro cultura.

L'odierna celebrazione si inserisce pertanto come una delle manifestazioni che, in memoria e in onore dei due santi fratelli, durante il corso di quest'anno ad essi particolarmente dedicato, si svolgeranno in tutta la Chiesa, soprattutto in Europa e in special modo tra le nazioni che furono oggetto delle loro fatiche apostoliche.

Il loro arrivo a Roma era stato un grande avvenimento, che aveva mosso non solo il papa Adriano, ma anche i cittadini, i quali con ceri accesi erano andati incontro a Cirillo e Metodio, che portavano dall'Oriente le preziose reliquie di san Clemente. Furono accolti i libri sacri in lingua slava e nella basilica di Santa Maria Maggiore si canto in quella stessa lingua la santa messa.

Debilitato dalle fatiche, Costantino-Cirillo abbandonava questa terra a quarantadue anni, il 14 febbraio dell'anno 869, elevando a Dio una fervida e commossa preghiera e lasciando al fratello Metodio un impegnativo monito: "Ecco, fratello, condividevamo la stessa sorte, premendo (l'aratro) sullo stesso solco; io ora cado sul campo al concludersi della mia giornata. Tu ami molto, lo so, la tua montagna (cioè la zona sacra montagnosa dell'Olimpo dove i due fratelli avevano sperimentato la loro vita monastica in solitudine); tuttavia, per la montagna non abbandonare la tua azione di insegnamento. Dove in verità puoi meglio salvarti?" ("Vita di Metodio", VII, 2-3).

I sedici anni, nei quali Metodio sopravvisse al fratello, furono pieni di attività apostolica, ma anche di sofferenze. Egli morrà il 6 aprile dell'anno 88 5. "I suoi discepoli lo prepararono (per le esequie) e gli resero degni onori: celebrarono un servizio ecclesiastico in latino, greco e slavo e lo deposero nella cattedrale. E si aggiunse ai suoi padri, sia patriarchi che profeti, apostoli, dottori, martiri" ("Vita di Metodio", XVII, 11-12).


GPII 1985 Insegnamenti - Lettera apostolica in forma di "motu proprio" con cui è costituita la Pontificia Commissione per la Pastorale degli operatori sanitari