GPII 1985 Insegnamenti - Alla mostra sui sigilli - Città del Vaticano (Roma)

Alla mostra sui sigilli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La premura della Chiesa per la cultura e la scienza



1. Sono venuto volentieri a inaugurare questa mostra di sigilli, che è un'altra degna iniziativa per commemorare il centenario della fondazione della Scuola vaticana di paleografia, eretta presso l'Archivio vaticano dal mio predecessore Leone XIII col motu proprio: "Fin dal principio" del 1° maggio 188 4.

Porgo il mio cordiale saluto ai venerati fratelli cardinali e vescovi, alle autorità e ai rappresentanti del mondo della cultura e a tutti i convenuti che onorano con la loro presenza questa manifestazione. Un grato saluto ai superiori e al personale dell'Archivio segreto vaticano e particolarmente alla direzione e al corpo insegnante della scuola. E' stata infatti una loro idea quella di scegliere il sigillo come oggetto della mostra. Si sa che la sigillografia è una disciplina che si insegna nella Scuola vaticana; e, come scienza, può servire a mettere in luce un patrimonio culturale di prim'ordine (purtroppo poco conosciuto), conservato nell'Archivio vaticano. Il sigillo, infatti, chiamato giustamente un "microcosmo di cultura", è una fonte importante di informazione per la scienza storica, per la scienza giuridica e per l'arte. La mostra ha per finalità la "lettura" del sigillo e tende appunto a insegnare come si debba "leggerlo" nell'ambito culturale, storico, giuridico e artistico.


2. La conservazione di tanti sigilli, coi relativi documenti che essi convalidano, e la loro messa a disposizione degli studiosi sono un aspetto del servizio che l'Archivio segreto vaticano rende alla cultura. E' doveroso riconoscere quanto viene fatto anche in questo campo per la scienza: lo conferma quotidianamente la numerosa presenza dei frequentatori. Di fatto, l'Archivio conserva anche l'importante e vasta raccolta del mondo di sigilli d'oro: sono sigilli di imperatori, re, principi, eccetera (un solo sigillo, e uno dei più piccoli, è di un papa).

Mi piace anche il fatto che in questa mostra sono esposti e spiegati non soltanto i sigilli dell'ambito della cultura europea, ma anche di quella cinese e di quella araba. Questo fatto illustra bene e mette in rilievo l'universalità della Chiesa. Del sigillo cinese ha già parlato e scritto il celebre viaggiatore italiano Marco Polo nel suo famoso libro "Il Milione", dove dice tra l'altro: "...e tutte queste carte, o vero monete, sono fatte con tant'autorità e solennità, come se elle fossero d'oro, o d'argento puro, perché in ciascuna moneta molti officiali, che a questo sono deputati, vi scrivono il loro nome, ponendovi ciascuno il suo segno. E quando del tutto è fatta, come la deve essere, il capo di quelli per il signor deputato, imbratta di cinaprio la bolla concessagli e improntala sopra la moneta, si che la forma della bolla tinta nel cinaprio, vi rimane impressa: e allora quella moneta è autentica. E se alcuno la falsificasse sarebbe punito dell'ultimo supplizio" ("Il Milione", LXXXI).

Per la sua importanza storica, giuridica, artistica e culturale, il sigillo è dunque un vero e proprio tesoro archivistico che bisogna tutelare con la massima cura: va pertanto messo in condizioni ambientali buone e custodito con mezzi idonei onde prevenire e ripararne i danni che possono presentarsi. Ciò viene fatto nell'Archivio vaticano da persone specializzate alle quali auguro ottimi risultati.


3. Un'altra lodevole iniziativa dell'Archivio è la riproduzione plastica dei sigilli, e questo costituisce un modo efficace, e spesso unico, per conservare ai posteri il prezioso patrimonio sigillografico che permette agli studiosi di consultarlo e di studiarlo.

Come i documenti dell'Archivio vaticano in genere, così anche i sigilli testimoniano l'universalità della Chiesa, e al tempo stesso la preoccupazione della Chiesa per la conservazione e lo sviluppo delle culture dei popoli. Di questo si parla molto ai nostri giorni. La Chiesa comunque è stata sempre sensibile a questo tema anche se non tutti hanno sempre compreso questa premura.

Basta qui riportare l'atteggiamento di papa Gregorio Magno di fronte ai costumi e alla cultura dei popoli britannici, nonché le parole della Sacra congregazione "de propaganda fide", che si trovano in una famosa istruzione dell'anno 1659: "Non compite nessuno sforzo, non usate alcun mezzo di persuasione per indurre quei popoli a mutare i loro riti, le loro consuetudini e i loro costumi, a meno che non siano apertissimamente contrari alla religione e ai buoni costumi. Che cosa c'è infatti di più assurdo che trapiantare in Cina la Francia, la Spagna, l'Italia o qualche Paese d'Europa? Non è questo che voi dovete introdurre, ma la fede, che non respinge né lede i riti e le consuetudini di alcun popolo, purché non siano cattivi, ma vuole piuttosto salvaguardarli e consolidarli (...). Non fate dunque mai paragoni tra gli usi locali e gli usi europei; cercate piuttosto con tutto il vostro impegno di abituarvi ad essi". così la Sacra congregazione diceva ai suoi missionari in Cina e Indocina.

Auspico pertanto che questa mostra contribuisca non solo a far conoscere ancor meglio il prezioso patrimonio dei sigilli, conservato nell'Archivio vaticano, ma anche a far comprendere e stimare la premura della Chiesa per la cultura e per la scienza. Nel congratularmi nuovamente con i promotori, con quanti hanno collaborato per la realizzazione della mostra e con tutto il personale dell'Archivio, auguro che una manifestazione così significativa trovi pieno successo, e imparto di cuore a tutti i presenti l'apostolica benedizione.

Data: 1985-02-19 Data estesa: Martedi 19 Febbraio 1985





Messaggio quaresimale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Non si può restare inerti di fronte al dramma della fame

Anche quest'anno desidero parlarvi, in occasione della Quaresima, dell'angosciosa situazione creatasi nel mondo a causa della fame. Quando centinaia di milioni di uomini mancano di cibo, quando milioni di bambini ne vengono irrimediabilmente segnati per il resto della vita, mentre migliaia di essi muoiono, io non posso tacere, noi non possiamo restare silenziosi o inerti.

Sappiamo che molti aiuti vengono inviati alle vittime di questa penuria alimentare da parte di governi, di organismi internazionali e di associazioni; disgraziatamente, pero, senza che tutti possano ricevere quanto potrebbe recare loro salvezza. Ma non potrebbe esser fatto uno sforzo deciso quanto basti per essere determinante, al fine di combattere con maggior risolutezza le cause di questo flagello che infierisce su scala mondiale? Certo, le cause naturali, quali le intemperie e i lunghi periodi di siccità, sono oggi come oggi inevitabili, ma le loro conseguenze sarebbero spesso meno gravi, se gli uomini non vi aggiungessero i loro errori e, talvolta, le loro ingiustizie. Viene realmente fatto tutto il possibile per prevenire, almeno in parte, gli effetti nefasti delle intemperie, come pure per assicurare a tutti una giusta e rapida ripartizione dei generi alimentari e dei soccorsi? Ci sono, d'altra parte, alcune situazioni non accettabili: penso a quei coltivatori che non ricevono la giusta retribuzione del loro faticoso lavoro; oppure a quei contadini espropriati delle loro fertili terre da parte di uomini o di gruppi già abbondantemente provvisti, che accumulano fortune a prezzo della fame e della sofferenze degli altri. E quante altre cause e situazioni di fame potrebbero essere citate! In una stessa casa, possono alcuni mangiare a sazietà mentre i loro fratelli e sorelle sono esclusi dalla mensa? Pensare a chi soffre non basta. In questo tempo quaresimale, la conversione del cuore ci impegna a congiungere il digiuno alla preghiera, vivificando con la carità di Dio quei gesti che le esigenze della giustizia verso il prossimo ci ispirano.

"Sento compassione di questa folla" (Mc 8,2) diceva Gesù prima di moltiplicare i pani al fine di sfamare coloro che da più di tre giorni lo seguivano per ascoltare la sua parola. La fame del corpo non è la sola di cui soffre l'umanità: molti nostri fratelli e sorelle hanno anche fame e sete di dignità, di libertà, di giustizia, di nutrimento per la propria intelligenza e per la propria anima; ci sono deserti per lo spirito e per il cuore! Come manifestare in maniera concreta la nostra conversione e il nostro atteggiamento di penitenza in questo tempo che ci prepara alla Pasqua? Prima di tutto, a seconda delle nostre responsabilità talora grandi, non collaborare per nulla a ciò che potrebbe procurare fame ad uno solo dei nostri fratelli e sorelle in umanità, siano essi vicini o distanti da noi migliaia di chilometri; e, qualora l'avessimo fatto, porvi rimedio.

Nei Paesi che soffrono per la fame e per la sete, i cristiani partecipano ai soccorsi più urgenti e alla lotta contro le cause di tale catastrofe, di cui sono vittime con i loro conterranei. Aiutiamoli condividendo il nostro superfluo e perfino il nostro necessario: questa è, in verità, la pratica del digiuno. Partecipiamo con generosità agli aiuti decisi dalle nostre Chiese locali. Ricordiamo sempre che condividere è consegnare agli altri ciò che Dio destina loro e che a noi è solo affidato. Donare fraternamente lasciandoci ispirare dall'amore che viene da Dio, è contribuire a soddisfare la fame del corpo, a nutrire gli animi e allietare i cuori.

"Tutto si faccia tra voi nella carità... La grazia del Signore Gesù sia con voi!" (1Co 16,1 1Co 4 1Co 16,23).

Data: 1985-02-20 Data estesa: Mercoledi 20 Febbraio 1985




Omelia mercoledi delle Ceneri - Quaresima tempo di carità, di conversione e di salvezza



1. "Laceratevi il cuore e non le vesti" (Jl 2,13). La Chiesa pronuncia oggi le parole del profeta Gioele, annunciando al tempo stesso l'inizio della Quaresima.

Un tempo l'invito al digiuno doveva essere unito all'avvertimento: non laceratevi le vesti, ma il cuore! Quello fu il tempo di Gioele.

E, simile ad esso, fu il tempo di Gesù di Nazaret: "Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati...

Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti... Quando preghi, non stare negli angoli delle piazze, per essere visto dagli uomini... E quando digiuni, non assumere un'aria malinconica, per far vedere agli uomini che digiuni (cfr. 21 6,1.2.5.16).

2. Ci fu un tempo in cui la Chiesa, annunziando la Quaresima, doveva mettere in guardia dall'ostentazione: dall'ipocrisia del digiuno, della preghiera, dell'elemosina. Oggi questo non sembra costituire un pericolo. Il rischio sta altrove: nel fatto cioè che la proclamazione della Quaresima diventa per molti "voce di uno che grida nel deserto" (Mc 1,3).

Si. Oggi è respinta l'ostentazione, è respinto quello che all'esterno manifesta (o simula) il digiuno, ma spesso gli uomini non ritrovano in sé, né cercano di ritrovare che cosa è "dall'interno" il digiuno; che cosa è nel suo stesso evangelico contenuto e sostanza la Quaresima. E' venuta a mancare quella "cella" interiore, nella quale bisogna entrare, per rimanere da soli a soli con Dio, che è la santità, che è l'amore e la misericordia. Con Dio che è la realtà penetrante! "Il Signore si mostri geloso per la sua terra e si muova a compassione del suo popolo" (Jl 2,18).


3. La Quaresima è una chiamata alle opere: preghiera, elemosina e digiuno, ma ancor di più, una chiamata alla scoperta di quell'"amore geloso" di Dio, che è unito alla misericordia. L'amore di Dio è geloso della creatura, dell'uomo a causa del peccato che è tradimento dell'amore e di colui che ama. Tuttavia al tempo stesso l'amore è misericordioso a causa del peccato...

Iniziare la Quaresima, accogliere la chiamata delle Ceneri vuol dire ritrovare in sé la sensibilità a tutto ciò che è peccato. Ritrovare questa sensibilità vuol dire esattamente "lacerare il cuore", secondo le parole del profeta. Negazione della Quaresima è il cuore umano rinchiuso in se stesso, saturo; la coscienza insensibile, falsa. 4. Questo "lacerare il cuore" - la sensibilità della coscienza - deve essere esemplato sulla confessione di Davide: "Riconosco la mia colpa, / il mio peccato mi sta sempre dinanzi. / Contro di te, contro te solo ho peccato (tibi soli peccavi!), / quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto" (Ps 50,5-6).

L'amore di Dio è "geloso" a causa del peccato travisato, non chiamato per nome, nascosto nei meandri della coscienza, per non trovarsi con esso davanti a Dio. L'amore di Dio vuole soltanto quella sincerità - quella verità interiore della confessione di Davide - perché essa è capace di "creare nell'uomo (nel peccatore) un cuore puro" e di "rinnovare uno spirito saldo... rendere un animo generoso" (Ps 50,1 Ps 2 Ps 50,14).


5. E' forte questo amore, è onnipotente dinanzi al peccato, perché proprio esso, questo amore, fa si che "colui che non aveva conosciuto peccato (cioè Cristo, Figlio della stessa sostanza del Padre), Dio lo tratto da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Co 5,21).

Questa onnipotenza dell'amore, in Dio si chiama redenzione. All'inizio della Quaresima la Chiesa ricorda tutto il mistero della redenzione. Esprime l'immensità della grazia che in essa racchiude. Ha cura di una sola cosa, per una sola cosa trema come un amministratore premuroso per il suo compito, come una madre amorosa attenta "a non accogliere invano la grazia di Dio" (2Co 6,1). A non sprecarla.


6. Di qui nasce quell'odierno segno liturgico - precristiano, veterotestamentario, perenne - "le ceneri", che la Chiesa impone sul capo di tutti i suoi figli e figlie. Questo segno racchiude in sé tutto quel profondo, penetrante invito: "Laceratevi il cuore, non le vesti...", affinché in ognuno di voi si sveli sino alla fine, sino in fondo la realtà della redenzione. La verità dell'amore geloso di Dio, che accoglie la croce e la morte, per vincere la morte e il peccato, per far fiorire la vita.

Che anche la croce debba rimanere voce di uno che grida nel deserto? Mediante la liturgia delle Ceneri, la Chiesa desidera proporre di nuovo la sua esortazione apostolica "Riconciliazione e Penitenza", che è germinata dai lavori dell'ultimo Sinodo dei vescovi. Mediante la liturgia delle Ceneri, la Chiesa implora che "il deserto" diventi una terra fertile, che i figli e le figlie di questa terra scoprano sempre di nuovo la Quaresima quale "tempo della salvezza".

Data: 1985-02-20 Data estesa: Mercoledi 20 Febbraio 1985





Incontro con il clero romano - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Facciamo insieme la Chiesa di Roma"



1. Non


voglio fare un discorso, perché da un certo tempo abbiamo dato al nostro incontro una forma diversa che mi sembra molto più appropriata. All'inizio si trattava di un incontro con i missionari della Quaresima e il Papa rivolgeva ad essi un discorso. Successivamente, sembra che questi missionari siano divenuti meno attivi o, forse, la richiesta delle missioni nelle parrocchie sia diminuita.

Così si è passati a un incontro con il clero in cui parlava il Papa e i sacerdoti dovevano ascoltare. Ma ho capito abbastanza presto che si doveva cambiare indirizzo: bisognava lasciar parlare i sacerdoti, i parroci, e lasciar ascoltare il Papa.

Così ripetiamo questi nostri incontri all'inizio della Quaresima con questo sistema, che mi sembra molto giusto e molto fruttuoso. In un'adunanza come quella di oggi, lasciando parlare coloro che sono impegnati in prima persona nel lavoro pastorale, si può vedere meglio la Chiesa di Roma. Questo non vuol dire che il Papa, il cardinale e i vescovi non siano impegnati in prima persona; il loro è un altro impegno; come in genere è l'impegno dei vescovi che, essendo molto pastorale, è diverso dall'impegno dei loro collaboratori. Questi fanno il lavoro pastorale sempre in una porzione determinata. Hanno contatti diretti con la comunità. Sono dentro questa comunità. Naturalmente, si può dire che qui la Chiesa è presente in un senso molto particolare; ma proprio questo senso è ancora più costitutivo per la Chiesa.

La Chiesa non può essere universale senza essere particolare. Questo tocca anche la specificità della missione del Vescovo di Roma che congiunge le due dimensioni: da una parte quella della Chiesa universale della quale deve occuparsi anche di più se si considerano le dimensioni del tempo e delle occupazioni, e dall'altra quella della Chiesa particolare, appunto quella di Roma che dà il titolo proprio alla sua missione universale.


2. Per me è stato un incontro interessantissimo, perché ho potuto sentire tante voci con caratteristiche diverse. Ci sono state osservazioni, problemi, sintesi, testimonianze, domande diverse. E' bene che sia stato così, perché si è avuta una visione globale, anche diversificata e, per questo, più completa. Insieme abbiamo contemplato questa realtà che è la Chiesa di Roma. L'abbiamo contemplata sotto l'angolatura della parrocchia e, sembra, questa è l'angolatura più specifica e più adeguata. Ogni Chiesa particolare attinge le sue particolarità attraverso le parrocchie e vive in tutte le parrocchie di cui è composta.

Qual è la situazione di Roma? Abbiamo a Roma oltre trecento parrocchie per oltre tre milioni di abitanti. Questo vuol dire che la media sarebbe di diecimila persone per ogni parrocchia. Ma, naturalmente, questo rapporto non si verifica ovunque. Ci sono grandi differenze tra il centro e le periferie.

Giudicando con i criteri della sociologia pastorale, questa media non è troppo favorevole. Naturalmente nel mondo ci sono medie molto meno favorevoli: incontrando i vescovi durante le visite "ad limina", vedo come le parrocchie nei diversi continenti e nei diversi Paesi si trovino in situazioni notevolmente ancora più sfavorevoli.

Ma non è una situazione molto favorevole se si considera la differenza tra le parrocchie del centro, che sono piccole, al di sotto della media, e quelle grandi della periferia che sono molto al di sopra di quella che dovrebbe essere una media più opportuna, almeno, secondo la pratica pastorale di un vecchio vescovo, siamo vescovi già con una certa anzianità. Secondo le considerazioni della sociologia pastorale, questa media dovrebbe essere piuttosto intorno a tre, quattro, cinquemila. Questa sarebbe la media più opportuna per una parrocchia a misura d'uomo. E' questo il mio grande desiderio: che la diocesi di Roma possa avere parrocchie a misura d'uomo, ovunque.


3. Naturalmente, questo desiderio deve essere sempre confrontato con la realtà in cui viviamo. Sappiamo quali siano queste realtà, di tipo anche sociologico, nella situazione urbanistica in cui viviamo. Ma non si devono abbandonare i desideri.

Ancor più ci si deve sforzare di rendere la parrocchia romana una parrocchia a misura d'uomo, dove cioè sia possibile costruire la comunità e la comunione, dove il parroco possa avere un contatto, una comunione con i parrocchiani, dove i parrocchiani possano avere un contatto con il parroco. Ciò si esprime anche con le cifre.

Poi c'è, naturalmente, il problema del numero dei sacerdoti. Anche questo è diverso a seconda delle parrocchie. Lo vedo durante le mie visite nelle parrocchie: a volte ci sono parrocchie popolose con pochi sacerdoti, altre volte ci sono parrocchie meno popolose con più sacerdoti, specialmente se guidate da comunità religiose dove il numero dei sacerdoti sembra di solito maggiore. Ma questi sono gli aspetti "quantitativi". Poi, pero bisogna tenere presente anche gli aspetti qualitativi, quelli che si riferiscono alla densità, possiamo dire, della vita cristiana di quella parrocchia. Questa densità non è facilmente misurabile.

Di solito ai parroci che incontro prima della visita e durante la vista nella loro parrocchia chiedo se si recano a visitare le famiglie nelle loro case.

Dalle loro risposte emerge un dato che sembra piuttosto ottimistico, direi migliore di quello che conoscevo a Cracovia. Sono ricevuti dappertutto, quasi il cento per cento dei parrocchiani - mi dicono - accolgono i sacerdoti che vanno a visitare e benedire le loro case. Naturalmente anche qui si deve fare qualche considerazione, anche critica: quali sono le motivazioni? chi riceve il sacerdote? qual è la caratteristica di quell'incontro? Tuttavia è un criterio che non si deve dimenticare. Io ero abituato a riproporre sempre questo criterio ai miei sacerdoti, ai miei parroci, in passato.

Prendiamo, poi, un altro aspetto, per esempio quello della catechesi. A Roma la catechesi va abbastanza bene con i piccoli, con i ragazzi della prima Comunione. Poi è forse un po' più difficile con la Cresima. Si notano pero gli sforzi compiuti nel campo della catechesi, e a Roma sono notevoli. Si nota anche la presenza attiva, apostolica dei laici che è abbastanza bene sviluppata. Questo, si può dire, è un punto forte della Chiesa e delle parrocchie di Roma.

Naturalmente altra cosa è come si possa riuscire, con questo stesso sistema, a mantenere viva la vita cristiana dei giovani e, poi, degli adulti.

Se ci si ferma a considerare la percentuale dei "dominicantes", secondo le risposte che ricevo dai diversi parroci durante la visita, non si hanno dati tanto ottimistici. Naturalmente, anche qui si devono adottare alcuni criteri critici di valutazione: perché è così? Ci sono molte chiese in Roma, non solo parrocchiali. Poi, fra i parrocchiani, tra gli abitanti di Roma ci sono molti che provengono dalla provincia e che hanno l'usanza di trascorrere la domenica nelle loro famiglie. Poi c'è la consuetudine propria di chi abita in città di trascorrere il week-end fuori dalla città. Un problema non solo di Roma, ma di tante altre città e di tanti altri Paese del mondo.


4. Prendendo in considerazione tutti questi aspetti, che non sono solamente quantitativi, ma anche qualitativi, si deve constatare che la parrocchia rimane sempre l'ambiente, la comunità in cui la vita cristiana di ognuno si forma e si sviluppa in modo sostanziale. In parrocchia, ogni cristiano viene battezzato, riceve la prima Comunione, in qualche caso, in misura minore, riceve la Cresima e si prepara al matrimonio. Poi, penso che alla parrocchia si ritorni negli ultimi momenti della vita. Anche nel momento in cui si passa da questa vita alla casa del Padre la parrocchia è presente. In questo senso la parrocchia è presente nella formazione e nell'identità della vita cristiana, di tutti i cristiani, anche in Roma, di tutti coloro che sono cristiani anche se con diverse sfumature. La vita cristiana, dunque, passa per la parrocchia. Questa è la forza della parrocchia, pur con tutte le sue debolezze e i suoi limiti. Questa è la sua forza e la si deve sempre confermare. Io voglio farlo in questa circostanza.

Ci sono, poi, altre forme di vita che devono quasi completare quello che la parrocchia ci dà. Ci sono le scuole cattoliche, l'apostolato delle famiglie religiose, i movimenti e le organizzazioni che non sempre entrano perfettamente, non sempre si inquadrano del tutto bene nella parrocchia, ma danno certamente una vitalità cristiana all'insieme dei cattolici di Roma, come anche delle altre Chiese.


5. Penso che la nostra analisi, senza esaurire la tematica, abbia dato un quadro, una visione di quella realtà che è la parrocchia di Roma. Ci ha dato almeno la possibilità di riflettere comunitariamente, tra noi che siamo responsabili della pastorale di Roma. Penso che la discussione e le diverse voci debbano essere analizzate, registrate.

Dobbiamo anche proseguire questo dibattito. Specialmente sulle questioni sollevate dalle ultime quattro domande, molto sostanziali o su alcune proposte avanzate, come per esempio le proposte di utilizzare meglio i mezzi della comunicazione sociale: nella pastorale di Roma e specialmente nel contatto fra il vescovo, il corpo episcopale di Roma, e i sacerdoti, forse non solamente i sacerdoti, ma soprattutto i sacerdoti. A me fa sempre meraviglia ascoltare alcuni vescovi che vengono dalla Selva amazzonica, dove la pastorale almeno dal punto di vista tecnico sembrerebbe quasi impossibile da realizzare. Resto meravigliato nell'ascoltare come sanno superare le difficoltà dovute alla situazione climatica, geografica, servendosi proprio dei mezzi della comunicazione sociale, specialmente della radio. Per un vescovo è una cosa stupenda, per esempio - e per il Vescovo di Roma irrealizzabile - sapere che tutti i suoi diocesani, naturalmente non tre milioni ma forse trentamila, dispersi sul territorio, partecipano, tramite la radio, alla messa che lui celebra nella sua Sede ogni domenica, o quasi. forse lo presento come un quadro troppo ideale, ma forse è proprio così. Forse ci vorrebbe una maggiore creatività nel nostro modo di fare la Chiesa.

Vorrei terminare con alcune parole che considero molto significative. Ci sono molti - e penso che non manchino a Roma o forse sono molti - che si mettono fuori dalla Chiesa pur essendo battezzati, essendo della Chiesa. Dicono "la Chiesa fa", "la Chiesa dice", come se non appartenessero alla Chiesa. Essendo della Chiesa si trovano fuori o dicono di esserne fuori. Ci sono altri che dicono "noi siamo la Chiesa". Grazie a Dio questa consapevolezza di essere la Chiesa è cresciuta molto grazie al Concilio Vaticano Il, che ha dato un'ecclesiologia molto più adeguata. Ha fatto conoscere questa ecclesiologia a tutti, almeno a coloro che si interessano di ciò che ha insegnato il Vaticano II.


6. Ma c'è ancora un'altra parola che sento molte volte ripetere da giovani impegnati nei movimenti apostolici, anche durante le visite pastorali: "Facciamo la Chiesa". Queste parole esprimono veramente ciò che si trova negli insegnamenti del Vaticano II. La Chiesa si deve fare. Certamente è Gesù Cristo che la fa sempre e dappertutto, dove noi nemmeno sappiamo. Egli la fa con la sua redenzione, con la sua grazia, la fa nello Spirito Santo, ma dobbiamo fare la Chiesa anche noi, insieme con lui nello Spirito Santo. Questa consapevolezza e volontà di fare la Chiesa si diffonde sempre più.

Dobbiamo fare la Chiesa noi e non esclusivamente noi. Forse in passato si considerava che la Chiesa era fatta dal sacerdote. Questa volontà e questa espressione "facciamo la Chiesa" si fanno sentire sempre più da parte anche dei laici. In ogni parrocchia e in tutta la Chiesa di Roma si deve diffondere quello che le parole "facciamo la Chiesa" vogliono significare: facciamo insieme: il Papa, il Vescovo di Roma, il corpo episcopale, i sacerdoti, i laici, facciamo insieme la Chiesa di Roma. Si deve fare questa Chiesa. Naturalmente questa Chiesa è già fatta da duemila anni, ha la sua storia, le sue grandi tradizioni, i suoi santi, tanti santi, ma è sempre da fare. Allora facciamo questa Chiesa di Roma.

Data: 1985-02-21 Data estesa: Giovedi 21 Febbraio 1985


Al Congresso "Portare Cristo all'uomo" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Coscienza dell'identità cristiana base di vera testimonianza

Carissimi fratelli e sorelle.

La gioia dell'odierno incontro è offuscata dal doloroso evento della subitanea scomparsa del pro-prefetto della Congregazione di Propaganda Fide, il caro fratello nell'episcopato monsignor Dermot Ryan, rapito ieri improvvisamente alla stima e all'affetto di tutti noi. La morte lo ha colto nel pieno svolgimento delle sue non lievi mansioni quale responsabile di un importante dicastero della Curia romana. Il pensiero va in questo momento al generoso servizio da lui reso alla Chiesa. Nell'esprimere il commosso omaggio della mia gratitudine verso monsignor Ryan per la disponibilità e dedizione con cui egli si era accinto al nuovo impegno ecclesiale a cui lo avevo chiamato, elevo a Dio la mia preghiera perché voglia accogliere nella pace del premio eterno questo suo servo generoso e fedele. Aggiungo una particolare preghiera di suffragio per l'anima della mamma di monsignor Simon Lourdusamy, che si è piamente spenta stamane nella pace del Signore.

Una delle ultime iniziative di monsignor Dermot Ryan era stata la promozione di questo Congresso internazionale, voluto come opportuna occasione per approfondire, a vent'anni dalla celebrazione del Concilio Vaticano II, un'ulteriore riflessione su due suoi importanti documenti: il decreto "Ad Gentes" e la dichiarazione "Nostra Aetate".

Nel rivolgere a voi tutti qui presenti un cordiale saluto, desidero esprimere il mio vivo compiacimento a quanti hanno lavorato alla realizzazione dell'iniziativa: alla Sacra congregazione per l'evangelizzazione dei popoli che, per il tramite della Pontificia università urbaniana, ha curato la realizzazione del Congresso; ai membri dei tre Segretariati - per l'unione dei cristiani, per i non cristiani e per i non credenti - che hanno offerto la loro piena e generosa collaborazione; alle numerose pontificie commissioni e al Pontificio istituto d'islamologia, per gli apprezzati contributi; ai numerosissimi docenti che, in rappresentanza delle pontificie università e facoltà romane, in spirito di profonda comunione, sono intervenuti con particolari comunicazioni; ai partecipanti provenienti da fuori Roma e, in particolare, ai rappresentanti degli istituti affiliati alla Pontificia università urbaniana, che con i loro interventi hanno portato arricchimento alle tematiche congressuali.

Unità nella diversità Mi piace vedere in questo vostro incontro, che ha veramente le caratteristiche della cattolicità, una testimonianza di quell'unità nella diversità che sant'Agostino, commentando il salmo 44, scorgeva significata nella veste preziosa della Chiesa-regina, presentata al re-Cristo. E il motivo che vi ha riunito è pure cattolico: riflettere sui documenti di un Concilio ecumenico, al quale la Chiesa sparsa nel mondo guarda come a luminoso punto di riferimento, da cui trarre gli orientamenti per il suo cammino nella storia. In attesa del prossimo Sinodo straordinario dei vescovi che, a vent'anni da quello storico evento, ne farà rivivere lo spirito, chiarendo le nuove problematiche alla luce degli insegnamenti in esso maturati, è giusto e opportuno che, a diversi livelli e in diverse maniere, se ne curi un'adeguata preparazione. Il vostro Congresso sta in questa linea.

Il tema generale in esso affrontato prende lo spunto e il motivo ispiratore dalle parole con cui esordivo nell'enciclica "Redemptor Hominis": "Il Redentore dell'uomo, Gesù Cristo, è il centro dell'universo e della storia".

Questa realtà, trascendente e incarnata a un tempo, si impone infatti alla Chiesa stessa e a tutti i cristiani, interpella ogni credente di animo onesto, è metro di giudizio per rapporto alla storia dell'intera umanità, è il principio della creazione e della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. Compito della Chiesa di oggi è recare il lieto annuncio di questo mistero all'uomo moderno.

Oggi l'uomo è percorso da un'inquietudine esistenziale che manifesta, in forme e tonalità diverse, il suo bisogno di salvezza, di liberazione, di pace.

Egli, attraverso gli incontri significativi della sua vita, impara a conoscere il valore delle dimensioni costitutive del proprio essere, prime fra tutte quelle della religione, della famiglia e del popolo a cui appartiene. Di tali incontri, tuttavia, prima o poi egli si accorge, in termini drammatici, di non possedere ancora il significato ultimo, capace di renderli definitivamente buoni, veri, belli. E sperimenta allora la strutturale incapacità di placare la sua esigenza di infinito.

Egli è posto così di fronte ad un tremendo aut-aut: domandare a un Altro che s'affacci all'orizzonte della sua esistenza per svelarne e renderne possibile il pieno avveramento, o ritrarsi in sé, in una solitudine esistenziale in cui è negata la positività stessa dell'essere. Il grido di domanda, o la bestemmia: ecco ciò che gli resta! Cristo è la via per ogni uomo Ed ecco perché fin dall'inizio del mio pontificato ho levato l'appello: "Aprite le porte a Cristo". Il Verbo del Padre s'è unito in certo modo ad ogni uomo, penetrando in maniera unica nel mistero del suo cuore. Cristo è diventato così la via per ciascun uomo. Su questa via che conduce da Cristo all'uomo, la Chiesa non può essere fermata da nessuno. E, in realtà, mai come nel periodo post-conciliare la Chiesa è andata prendendo sempre più chiara coscienza della propria missione evangelizzatrice: s'è scoperta per sua natura "missionaria".

La Pontificia università urbaniana è sorta, ha operato e opera al servizio di tale missione. Nella visita che feci all'ateneo il 19 ottobre 1980, dissi fra l'altro che la missionarietà ne costituiva appunto una "nota caratterizzante", assieme all'"ecclesialità" e "romanità", e ricordo di aver lasciato allora la consegna di "vivere in una continua tensione missionaria".

Orbene, il Congresso or ora celebrato, si presenta come una fedele risposta a tale mandato. L'università s'è posta ancora una volta in ascolto del grido di implorazione che dall'angoscia esistenziale dell'uomo sale verso l'Unico che può darvi risposta risolutiva, e ha voluto questo incontro internazionale, nel quale esplorare le strade migliori per "portare Cristo all'uomo". Tra le strade possibili, quelle più adatte alle esigenze dell'uomo moderno sono apparse la strada del dialogo, quella della testimonianza e, infine, quella della solidarietà.

Impegnati in un dialogo salvifico con tutti coloro che credono La situazione concreta, in cui l'uomo contemporaneo si trova a vivere, immerso com'è in un mondo segnato, da una parte, dal pluralismo ideologico e, dall'altra, dal fenomeno dell'ateismo di massa, esige innanzitutto l'adozione coraggiosa e leale della metodologia del dialogo. Quanti portano il nome di Cristo devono sentirsi, oggi, impegnati in un dialogo salvifico con tutti coloro, che, in un modo o nell'altro, sono sensibili al richiamo della coscienza religiosa e, tra questi, soprattutto - come il Concilio già ha raccomandato - con i seguaci della religione ebraica e quelli della religione islamica, i quali credono in un unico Dio.

Questo impegno deve indurre i cristiani a prendere coscienza della loro identità, a convergere generosamente verso l'unità, a rinnovarsi nel cuore e nelle strutture, perché la testimonianza, ad essi richiesta, sia ogni giorno più autentica. Da questo compito di testimonianza i cristiani tutti e la Chiesa non possono ritrarsi, per quanto numerose e dolorose possano essere le forme di indifferenza e anche di violenza ad essi contrapposte, giacché ad ogni uomo, creatura di Dio, li vincola un'insopprimibile solidarietà. Non ha forse detto il Concilio che "nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel cuore" dei discepoli di Cristo giacché la Chiesa "si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia" (cfr. GS 1)? Numerosi spunti sono emersi dal Congresso, che non mancheranno di suscitare feconde riflessioni fra gli studiosi e utili applicazioni sul piano pratico dell'impegno pastorale. Penso, ad esempio, al tema del rapporto tra la "specificità" cristiana e l'illuminazione universale del Verbo, o tra l'urgenza missionaria della Chiesa e l'accoglienza dei valori positivi delle culture. Penso, in particolare, al tema fondamentale della traduzione dell'annuncio in termini di cultura, con i connessi aspetti di ordine teologico e filosofico, oltre che di ordine pratico.

Nell'incoraggiare ciascuno a proseguire, secondo la propria specifica competenza, nell'esame dei nodi ancora irrisolti in questi e simili problemi, mi preme ricordare che quest'ampia tematica non può essere adeguatamente affrontata, senza tener conto, alla luce delle permanenti indicazioni del magistero, della stessa rivelazione, contenuta sia nella Sacra Scrittura che nella tradizione. La rivelazione, infatti, è il permanente e autorevole documento della "traduzione" della parola divina in termini di linguaggio umano; e l'intera tradizione della Chiesa è l'attestato e la guida illuminante di come l'annuncio salvifico si sia via via "incarnato" nelle diverse culture.

Il vostro Congresso dunque si chiude, carissimi, lasciando a ciascuno l'impegno di un ulteriore cammino. Sono lieto di rivolgervi una parola di plauso per il lavoro che avete svolto e per il modo in cui l'avete svolto. Mi è caro sottolineare l'esemplare "dialogicità", con cui ciascuno ha posto in comune pensieri ed esperienze; la generosa "testimonianza" di fraternità, che ha visto cooperare fra loro rappresentanti delle più diverse culture; la "solidarietà" carica d'avvenire, che ha stimolato maestri e discepoli nell'ascolto e nell'impegno per l'evangelizzazione del mondo. La spontaneità, con cui tutto ciò è avvenuto in questi giorni sul Gianicolo, è come una risposta ai "segni dei tempi" che la Chiesa scruta in quest'ora della sua storia.

Nell'accomiatarmi da voi, desidero affidare il vostro lavoro alla Vergine santissima, la prima missionaria che, in maniera esemplare ed efficace, "ha portato Cristo all'uomo" nella pienezza dei tempi. Voglia ella rimanervi accanto sempre e guidarvi con la sua materna protezione. Nel suo nome vi benedico tutti di cuore.

Data: 1985-02-22 Data estesa: Venerdi 22 Febbraio 1985





A vescovi colombiani visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Solo un ordine sociale più giusto può riflettere la pace

Cari fratelli nell'episcopato.


GPII 1985 Insegnamenti - Alla mostra sui sigilli - Città del Vaticano (Roma)