GPII 1985 Insegnamenti - Alla delegazione del Libano - Città del Vaticano (Roma)

Alla delegazione del Libano - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La speranza del Libano sta nei valori che uniscono

Signor presidente, signori deputati, provo una particolare soddisfazione nel poter incontrare lei, signor presidente dell'assemblea nazionale del Libano, e il gruppo di illustri deputati che l'accompagnano. Attraverso di voi, questa mattina, mi sembra di parlare, ancora una volta, a tutti i libanesi che voi rappresentate, in quanto siete investiti dell'incarico parlamentare.

Penso che il nostro incontro riveste un grande significato e, nello stesso tempo, esso può fornire materia di riflessione. Voi sapete bene con quale attenzione e quale sollecitudine la Santa Sede segue gli avvenimenti - purtroppo spesso dolorosi - del vostro Paese, cercando di incoraggiare il minimo segno che, rifiutando la logica delle opposizioni e degli antagonismi, potrebbe far intravedere una speranza di pace.

Degno d'essere sottolineato mi pare il fatto che il vostro gruppo è guidato dal presidente dell'assemblea nazionale ed è composto da rappresentanti di quasi tutte le forze politiche e delle famiglie spirituali del Libano. Il carattere pluralista di questa delegazione è per me, infatti, un motivo di speranza. Avete voluto venire tutti insieme ad esporre al Papa le attese della maggioranza della popolazione libanese. Dal più profondo del cuore, accogliendovi, desidero formulare il voto che, come voi vi esprimete qui in maniera unita e solidale, allo stesso modo tutte le comunità etniche e religiose alle quali appartenete e che voi rappresentate condividano i vostri sentimenti e siano risolutamente disposte a intendersi e a collaborare.

Come voi, signori, sono ben consapevole che, dopo tanti anni di guerra, non è facile aprire il cammino che conduce all'intesa e al rispetto reciproco. Non è facile reprimere tanti dolorosi ricordi sempre suscettibili, purtroppo, di generare e alimentare atteggiamenti intransigenti. Non è facile, ancora, accettare l'altro finché sussiste la paura del presente come del futuro riguardo alla propria vita e a quella della propria comunità. Sono anche consapevole che non è facile evitare la tentazione dello scoraggiamento.

Tutto questo è difficile, certamente, ma non impossibile! Niente è irreparabile se - come ho scritto nella lettera del 1° maggio 1984 a tutti i libanesi - ogni cittadino conserva una fiducia fondamentale nell'uomo e un amore sincero verso la sua patria. Tutti i libanesi, lo so, sono legati alla storia del loro Paese e, soprattutto, sanno volgersi con fede verso l'unico Creatore, Dio dell'amore e della pace.

In quanto rappresentanti delle diverse comunità e regioni libanesi e membri dell'assemblea nazionale, voi siete, signori, in qualche modo il simbolo stesso dell'unità del vostro Paese: garanti delle sue istituzioni, che hanno il compito di promuovere la giustizia e la concordia in favore di tutti. Si tratta di una grande responsabilità, specialmente quando gli avvenimenti e la violenza soffocano i sentimenti che dovrebbero ispirare la vita sociale e rischiano di minare i fondamenti stessi delle istituzioni della nazione.

Ma qui, ancora, lo ripeto, il compito non è irrealizzabile fin tanto che sussiste in voi e in coloro che voi rappresentate il desiderio comune di ricostruire una patria libera da ingerenze straniere, unita attorno alle legittime autorità e nella quale i diritti, le tradizioni e le caratteristiche di ogni comunità siano reciprocamente riconosciuti e rispettati.

Il rispetto di questi diritti, che deve costituire l'originalità dell'identità libanese, sta molto a cuore alla Santa Sede. Essa ha spesso ricordato, come sapete, a tutti i libanesi le esigenze di una fraternità autentica, invitando ciascuno a saper far prevalere i valori che uniscono e facendo in modo di vivere insieme in maniera pacifica e utile, acconsentendo alle necessarie rinunce. Gli estremismi, le rivendicazioni esagerate, l'uso della forza, l'insensibilità di fronte alla sofferenza, ai bisogni e ai diritti degli altri, non possono che generare nuove violenze che condurrebbero inevitabilmente all'oppressione fisica o psicologica dei concittadini che, nonostante le circostanze, rimangono sempre dei fratelli.

Sono certo che ogni libanese degno di questo nome non vuole questo. I libanesi d'oggi dovranno rispondere alle future generazioni, davanti alla storia, della loro effettiva volontà di intesa e dell'autenticità del loro amore verso la loro patria.

Signor presidente, signori deputati, è a voi che affido queste riflessioni ispirate dall'amore profondo che nutro per il vostro Paese e per le sofferenze dei vostri concittadini.

Sono persuaso che, coscienti come siete della vostra responsabilità di libanesi e di uomini politici, non risparmierete alcuno sforzo per promuovere, con l'appoggio di tutti coloro che detengono qualche potere di decisione, il bene del Libano.

Vi prego di portare ai vostri colleghi dell'assemblea nazionale, ai responsabili religiosi e politici delle vostre comunità e a tutti i vostri concittadini l'invito del Papa a non perdere mai la speranza, per essere sempre più capaci di edificare pazientemente un dialogo costruttivo, fondamento della mutua fiducia e della pace civile. Assicurate loro che in questo arduo cammino il Papa è con loro.

Con questi sentimenti, invoco sul Libano e su ogni libanese la benedizione di Dio onnipotente.

Data: 1985-03-29 Data estesa: Venerdi 29 Marzo 1985





Ad un gruppo di giovani croati - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dovete trasmettere la fede al mondo del terzo millennio

Eminentissimo signor cardinale, cari confratelli nell'episcopato, cari sacerdoti, suore e seminaristi, carissimi giovani croati! Vi saluto cordialmente e vi ringrazio per aver risposto in numero così grande all'invito del Papa e per essere venuti dalla Jugoslavia, dalla Repubblica federale di Germania, dal Canada e da altri Paesi nella città eterna al raduno dei giovani. E' grande la mia gioia nel vedervi così allegri e fedeli alla Chiesa e al Vicario di Cristo. Benvenuti a Roma, nella comune patria di tutti i cristiani! Ciò che il Papa desidera dirvi in quest'occasione, lo troverete nella mia lettera apostolica che proprio in questi giorni ho indirizzato ai giovani di tutto il mondo, dunque anche a voi, e che ha come idea guida le parole di san Pietro: "Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1P 3,15). Leggete e meditate questa lettera, unitamente al mio messaggio ai giovani per la Giornata mondiale della pace; attirate l'attenzione dei vostri coetanei su questi messaggi. Sono stati scritti per voi, per facilitare il vostro approccio a Gesù che è nostra via, verità e vita, onde possiate insieme a lui costruire voi stessi, il vostro futuro e un mondo migliore fondato sulla giustizia, la pace e i valori morali, sul rispetto della dignità umana e i diritti dell'uomo.

Sulla vostra generazione ricade la responsabilità di trasmettere al mondo la santa fede cattolica nel terzo millennio. La Chiesa e il Papa ripongono in voi grandi speranze. E voi siete tenuti a ciò anche a motivo della tredici volte secolare fedeltà del vostro popolo all'eredità cristiana, che avete celebrato l'anno scorso con il Congresso eucaristico nazionale a Marija Bistrica.

In quest'Anno internazionale dei giovani, attingete alla vostra ricca eredità cristiana, che ha dato migliaia di giovani cattolici, anche del vostro recente passato, impegnati nella vita ecclesiale o nell'apostolato laicale. La testimonianza delle loro esemplari vite cristiane ha molto da dire alla vostra generazione, vi dice come si può con successo realizzare la propria vita, se la si costruisce sul fondamento che è Cristo.

Qui è presente anche l'immagine archetipa della Madonna del Grande voto, che ci ricorda sia l'alleanza che i vostri antenati nel Battesimo fecero con Dio, sia la grande devozione che il vostro popolo nutre per la Madre di Dio che venerate in molti seminari. In uno di essi sul monte di Zagabria la venerate col titolo di Regina dei croati. L'immagine che si conservava in quel santuario è fatta sul modello della Madonna della Strada che si trova nella chiesa romana del Gesù. Possa la Madonna, Regina dei croati, la cui immagine vi collega con Roma, mostrare a ciascuno di voi la vera via nella vita e verso la patria eterna.

Rivolgetevi spesso alla Madonna con la recita del santo Rosario.

Nella speranza di potervi nuovamente incontrare nella vostra bella patria, saluto in quest'anno dei giovani tutti i giovani croati, come pure i giovani degli altri popoli e nazionalità che con voi vivono in Jugoslavia. Dite loro che il Papa pensa ad essi e prega per loro.

A tutti voi, qui presenti, a coloro che rappresentate, ai vostri genitori e parenti di cuore impartisco l'apostolica benedizione!

Data: 1985-03-30 Data estesa: Sabato 30 Marzo 1985





Lettera alla diocesi di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Gratitudine per il servizio del cardinale Poletti

Carissimi fedeli della diocesi di Roma.

Alla vigilia delle festività pasquali mi sollecita a rivolgermi direttamente a voi una particolare circostanza che è, ad un tempo, di presenza e di assenza. Oggi stesso, a Dio piacendo, avro la gioia di incontrare presso la basilica di San Giovanni in Laterano - la chiesa madre di tutte le chiese del mondo cattolico - un numero assai grande di giovani convenuti dai più diversi Paesi. E l'incontro si ripeterà domani in piazza San Pietro con la loro partecipazione diretta alla sacra liturgia della domenica delle Palme.

A questi appuntamenti, che non io solo, ma con me i miei fratelli nell'episcopato abbiamo tanto desiderato in ragione della loro rilevanza pastorale e della testimonianza che ne deriverà alla causa della fede cristiana, non potrà purtroppo prendere parte il signor cardinale Ugo Poletti, che, per essere mio vicario per la diocesi di Roma e distretto, è il primo dei collaboratori con i quali condivido le fatiche e le ansie per l'animazione spirituale e la vitalità religiosa di questa città. Come sapete, da alcuni giorni egli è degente presso il policlinico "Agostino Gemelli", ma io so bene come la forzata sua assenza, dovuta alle precarie condizioni di salute, non gli impedirà di essere accanto a voi e a me, come accanto ai vescovi ausiliari e a tutti i sacerdoti dell'Urbe, sia nel corso del Convegno internazionale della gioventù sia nei riti dell'imminente Settimana Santa. Penso che sia nostro comune dovere ricambiare questa relazione di comunione con lui, facendo in modo che in quest'ora di prova egli senta il calore della carità di tutti coloro, e sono tanti, che hanno un debito di gratitudine verso il caro cardinale. Anche la vicina ricorrenza del suo giorno onomastico, dovrà spingere a sentire più vivo tra noi questo spirito e vincolo di morale ed ecclesiale unità.

Da parte mia, desidero manifestare e attestare pubblicamente dinanzi a voi il mio apprezzamento per l'opera tanto premurosa, zelante e fedele che il "nostro" cardinal vicario ha prestato in questi anni alla Chiesa che è in Roma, sempre in stretta unione con la Sede apostolica, sempre in attento ascolto delle molteplici necessità spirituali e sociali della popolazione dell'Urbe nella varietà delle sue componenti. E' un servizio, il suo, per il quale io stesso ho specialissimi motivi di personale gratitudine, un servizio al cui riconoscimento so anche associati - e sento vicini a me in questo momento - i miei venerati predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo I.

Fedeli di Roma, oggi stesso e nei prossimi giorni, noi uniremo le nostre preghiere in un'invocazione concorde, chiedendo al Signore aiuto e assistenza per la persona del cardinale infermo, affinché presto si ristabilisca in salute e possa così riprendere il suo meritorio e solerte ministero. Interpretando - non ne dubito - i suoi stessi intendimenti e pensieri, desidero rivolgervi insieme con lui uno speciale augurio pasquale: è lo stesso augurio che ho inserito nella mia Lettera ai giovani e alle giovani del mondo, ma che vale sicuramente per tutti i cristiani di qualsiasi età e condizione, e conviene in maniera particolare ai cristiani dell'Urbe, perché l'ha formulato l'apostolo Pietro, il primo vescovo della "nostra" città. "Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1P 3,15).

Tutti i cristiani, ma in primo luogo quelli di Roma, hanno il dovere di esser pronti a dare ragione della propria speranza. E quale sia la speranza ce lo dice ancora san Pietro: è "la speranza viva, alla quale Dio ci ha rigenerati mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti"; è la speranza pasquale, che proprio in questi giorni insieme celebreremo; è la speranza che s'incontra e si collega con la fede, per la quale tutti noi dobbiamo vigilare, pregare e operare.

Le insidie, infatti, e i pericoli nel processo incalzante della cosiddetta secolarizzazione non mancano né risparmiano certo la nostra città. Fratelli e sorelle, ci dice ancora una volta il primo Papa, "siate temperanti e vigilate. Il vostro nemico, il diavolo... va in giro... Resistetegli saldi nella fede" (1P 5,9).

In unione col cardinale vicario, io riprendo ora e ripeto questi alti insegnamenti apostolici intorno alla speranza e alla fede, raccomandando di custodirli gelosamente come un'eredità preziosa, atta non soltanto a preservare e a mantenere, ma ad abbellire e ringiovanire il volto cristiano di Roma. Con la rinnovata mia benedizione a tutti io dico: buona Pasqua!

Data: 1985-03-30 Data estesa: Sabato 30 Marzo 1985





Ai giovani di tutto il mondo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Siete chiamati a costruire la pace"

Carissimi giovani!

1. Siate i benvenuti! A molti di voi penso di poter dire: bentornati! Ci incontriamo infatti così come un anno fa. Allora si celebrava il Giubileo straordinario della redenzione: e ci lasciammo con l'impegno di rivederci ancora.

Ora l'incontro si rinnova in occasione della celebrazione dell'Anno internazionale della gioventù, indetto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per questo 1985, nella consapevolezza del peso decisivo che i giovani hanno in ogni progetto che riguardi il futuro.

La Chiesa desidera apportare a tale iniziativa il suo contributo. Per questo ho indirizzato specificatamente a voi giovani il messaggio per la Giornata della pace, il 1° gennaio di quest'anno. E ora viviamo insieme questo incontro internazionale nel quale - lo vedo con immensa gioia - siete confluiti numerosi da ogni parte del mondo.

Mi è gradito rivolgere un deferente saluto alla delegazione delle Nazioni Unite, guidata dalla signora Leticia Ramos Shahani, assistente segretario generale del Centro per lo sviluppo sociale e gli affari umanitari e alla delegazione dell'Unesco, guidata dal signor Gérard Bolla e dal signor Pier Luigi Vagliani, attivamente impegnati nella preparazione del Congresso mondiale di Barcellona. Saluto, inoltre, il rappresentante del signor ministro degli Esteri d'Italia.

L'idea guida, che le Nazioni unite hanno consegnato a questo Anno, si articola in tre parole dense di contenuto: partecipazione, sviluppo, pace. Tre valori di fondo, tre traguardi verso i quali sono invitati a far convergere i loro sforzi tutti i giovani del mondo. Soprattutto sul primo, la partecipazione, fermeremo questa sera la nostra attenzione.


2. Carissimi giovani, lasciate che ripeta a voi il saluto così significativo che l'apostolo Paolo rivolgeva ai cristiani del suo tempo: "Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo" (Rm 1,7). Intendo raggiungere con questo saluto in particolare i giovani e le giovani che sono con noi per la prima volta. Mi auguro che possano trovarsi pienamente a loro agio e che la loro presenza rechi un'onda di freschezza nuova, da cui scaturisca maggior gioia per tutti.

[Nelle varie lingue:] Nel nome del Signore vi saluto cordialmente, cari giovani di lingua spagnola, che siete venuti a Roma in gran numero principalmente dalla Spagna e dai Paesi dell'America Latina: Argentina, Colombia, Cile, Venezuela, Uruguay, Ecuador, Perù, Bolivia, Paraguay, Messico, Guatemala, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica, Panama, Porto Rico. Siate i benvenuti! Giovani di lingua francese, vi saluto molto cordialmente. Voi venite dalla Francia, dal Belgio, dalla Svizzera, da numerosi Paesi africani come Algeria, Burkina-Faso, Burundi, Camerun, Costa d'Avorio, Gabon, Rwanda, Senegal, Togo, Tunisia, Zaire, e anche dal Canada, Haiti e dal Medio Oriente: Turchia, Siria, Libano.

Rivolgo il mio cordiale saluto a tutti i giovani di lingua inglese: Inghilterra, Irlanda, Scozia, Stati Uniti (persino dall'Alaska!), Canada, India, Pakistan, Bangladesh, Filippine, Kenya, Nigeria, Uganda, Sud Africa, Tanzania e Zambia. Cari giovani: vi abbraccio tutti nell'amore del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.

Di cuore vorrei salutare tutti voi, giovani di lingua tedesca. Voi venite dalla Germania, dall'Austria e dalla Svizzera.

Saluto cordialmente voi, giovani del Portogallo, del Brasile e di tutti i Paesi di lingua portoghese.

[Omissis: lingue slave e orientali].


3. Cari amici e amiche, quando mi sono rivolto a voi nelle diverse lingue, i gruppi appartenenti alle singole lingue, hanno reagito prontamente, testimoniando con grida e applausi la gioia suscitata in loro dal sentirsi direttamente interpellati. La lingua fa si che ci sentiamo legati alla comunità della nazione, popolo o etnia, a cui apparteniamo. Mediante la lingua noi sentiamo di partecipare a questa comunità. E non solo mediante la lingua. Vi sono anche altri fattori che contribuiscono a sviluppare in noi questo senso di partecipazione alle rispettive patrie: la storia, la cultura, le tradizioni, il costume. ln un certo senso lo è pure la religione.

Ma che cosa vuol dire esattamente: partecipazione? Vuol dire: essere insieme con gli altri, e allo stesso tempo: essere se stessi mediante quell'"essere insieme". Ciò che unisce gli uomini fra loro, ciò che li fa partecipare gli uni alla vita degli altri, è la condivisione dei beni, è la comune accettazione dei valori.


4. E' quanto appare con particolare evidenza nella comunità familiare. La famiglia, infatti, non è soltanto una comunità: essa è una "comunione di persone".

Il che significa che ciascuno dei membri della famiglia partecipa all'"umanità" degli altri: marito e moglie - genitori e figli - figli e genitori. E' grande, dunque, l'importanza della famiglia come scuola di partecipazione! Ed è perciò grande perdita quando manca questa scuola di partecipazione, quando la famiglia è distrutta.

Carissimi giovani, impegnatevi a costruire nel vostro futuro famiglie sane. Ho parlato di questo nella speciale lettera che vi ho indirizzato. Una famiglia sana è la garanzia più sicura di serenità per i coniugi ed è il dono più grande che essi possano fare ai loro figli.


5. Inoltre: la Chiesa è una scuola particolare di partecipazione, ce lo fa capire l'avvenimento più importante della vita ecclesiale: la partecipazione alla santa messa. Che cosa significa: "partecipare alla santa messa"? Notate bene: non solo "essere presenti alla messa", ma "partecipare alla messa". Per rispondere alla domanda occorre capire che cosa è la messa. Essa non è semplicemente un rito sacro, al quale si può assistere da spettatori, per così dire, "neutrali". La messa è il sacrificio di Cristo e il banchetto che egli stesso imbandisce e al quale invita tutti noi come commensali. Il cibo che egli offre sulla mensa eucaristica è la sua carne e il suo sangue, che egli distribuisce ai commensali sotto le apparenze del pane e del vino "in memoria" del corpo e del sangue versato sulla croce. "Prendete e mangiate... Prendete e bevete...": alla cena eucaristica tutti si è invitati a partecipare, perché in essa si rinnova misticamente ciò che tutti interessa, il mistero della morte e risurrezione del Signore, grazie a cui tutti siamo stati redenti.

Se in ogni gruppo di fedeli che si raccoglie nel nome di Cristo, già si attua una sua speciale presenza - non ha forse promesso lui stesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20)? - quanto maggiormente la sua presenza è viva e reale nella comunità stretta attorno al suo altare! Qui è lui nella realtà della sua carne e del suo sangue che sta al centro della comunità, e che, chiamando ciascuno a cibarsi di questo alimento divino, fa di tutti una cosa sola in se stesso: "Poiché c'è un solo pane - osserva con logica stringente san Paolo - noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane" (1Co 10,17).


6. La Chiesa ci educa, dunque, alla partecipazione, facendoci entrare in comunione col mistero di Cristo, e in particolare col mistero pasquale, cioè con la sua passione, morte e risurrezione. Questo è il mistero della redenzione; cioè dell'alleanza che Dio ha stabilito con l'uomo, con l'intera umanità, stipulandola "nel sangue", cioè nel sacrificio del Figlio suo, Gesù Cristo, nostro Signore.

Siamo chiamati anche noi a questa alleanza; e tale partecipazione riveste carattere continuo, abituale. L'uomo vi partecipa anzitutto mediante il Battesimo, sacramento nel quale Dio, a conferma della sua volontà di amicizia non soggetta a ripensamenti, imprime nell'anima del nuovo cristiano il proprio sigillo indelebile. Dio è fedele; la sua alleanza non ha un carattere provvisorio, ma stabile. I vari sacramenti successivi al Battesimo non sono, nel piano di Dio, che conferme e approfondimenti dell'iniziale e non mai smentita alleanza, che egli ha stabilito con ciascuno di noi.

L'uomo, pero, non sa purtroppo corrispondere con un'uguale fedeltà all'iniziativa di Dio. Nel peccato egli si ribella all'alleanza e giunge a infrangerla. Ma l'amore di Dio non si arresta neppure di fronte a questa ingratitudine: nel sacramento della Penitenza e della Riconciliazione si fa incontro al peccatore pentito per accoglierlo di nuovo in casa, e allacciare nuovamente con lui i vincoli dell'alleanza a cui non è mai venuto meno. Come fa il padre della parabola evangelica, che voi ben conoscete.


7. Ogni aspetto della vita cristiana è ontologicamente espressivo della partecipazione alla nuova alleanza che Dio ha stipulato in Cristo con l'umanità. A questo dato ontologico corrisponde un impegno esistenziale: il cristiano è tenuto a testimoniare dinamicamente nella vita la nuova realtà di cui l'amore di Dio lo ha reso partecipe. Egli, in altre parole, è chiamato a partecipare nella comunità della Chiesa, alla missione salvifica di Cristo.

Il Concilio Vaticano II ha illustrato con particolare vivezza questo aspetto della vita cristiana. Ad esempio, la "Lumen Gentium" (LG 33) ha detto: "L'apostolato dei laici è partecipazione alla stessa salvifica missione della Chiesa, e a questo apostolato sono tutti destinati dal Signore stesso per mezzo del Battesimo e della Confermazione. Dai sacramenti poi, e specialmente dalla sacra Eucaristia, viene comunicata e alimentata quella carità verso Dio e gli uomini, che è l'anima di tutto l'apostolato. Ma i laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo. così ogni laico, per ragione degli stessi doni ricevuti, è testimone e insieme vivo strumento della stessa missione della Chiesa "secondo la misura con cui Cristo gli ha dato il suo dono" (Ep 4,7)". Il Concilio accenna poi anche alla missione dei laici che sono chiamati "in diversi modi a collaborare più immediatamente con l'apostolato della gerarchia, a somiglianza di quegli uomini e donne che aiutavano l'apostolo Paolo nella evangelizzazione, faticando molto per il Signore".

Tutti siamo dunque chiamati ad essere testimoni di Cristo a somiglianza degli apostoli. E' una chiamata che ha la sua radice nel Battesimo, ma che trova la sua esplicitazione formale nel sacramento della maturità cristiana, la Cresima, che rende il cristiano partecipi in modo specifico della missione salvifica e profetica del Redentore, e lo conferma - "Confirmatio!" - negli impegni quotidiani di tale vocazione.

Carissimi giovani, penso in questo momento ai diversi gruppi, comunità, movimenti, dei quali molti di voi fanno parte. Non dimenticatelo! L'autenticità di codeste associazioni ha un criterio ben preciso sul quale misurarsi: il gruppo, la comunità, il movimento al quale appartenete è autentico nella misura in cui vi aiuta a partecipare alla missione salvifica della Chiesa, realizzando così la vostra vocazione cristiana nei diversi campi nei quali la Provvidenza vi ha posti ad oprare.


8. Quale ricchezza di significato ha, per il cristiano, questa parola: partecipazione! Eppure quello che ho detto finora non ha ancora mostrato in pieno quella partecipazione, alla quale ci chiama il Vangelo. Il nucleo centrale del messaggio di Cristo, prospettiva di incandescente luminosità a cui la ragione umana da sola neppure oserebbe pensare, vi è ben nota: in Gesù Cristo, noi siamo chiamati a partecipare alla vita stessa di Dio, alla santissima Trinità. Questo è il dono della grazia. E la grazia è reale "partecipazione alla natura divina".

Sono le parole della seconda Lettera di Pietro (1,4). E l'apostolo Giovanni ci ammonisce: "Fin d'ora noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora stabilito. Sappiamo pero che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1Jn 3,2). In ciò consiste la sostanza stessa del piano salvifico di Dio. Il nostro traguardo è perciò una "assimilazione" a Dio, in cui la capacità di partecipazione, che è propria della nostra natura, viene trascesa e sublimata fino ad aprirsi al palpito stesso della vita che è propria di Dio.

La Chiesa, che ci indirizza verso questa meta suprema, è il sacramento di tale partecipazione. Tutti gli aspetti della sua vita - la preghiera, i sacramenti, la liturgia - non hanno altro scopo che questo: aiutare i cristiani ad incarnare nella propria vita la realtà di tale partecipazione all'amore di Dio e delle esigenze che ne derivano.


9. Tra queste esigenze la prima e più fondamentale è l'amore. La vita divina, infatti, è comunione di amore. Se essa è l'apice e la pienezza della "partecipazione" a cui siamo chiamati, è logico che il comandamento più grande sia quello dell'amore di Dio e del prossimo. Dobbiamo "partecipare" alla divinità e maturare in questa partecipazione a misura dell'eternità, partecipando all'umanità dei nostri fratelli: vicini e lontani. Questo è pure il "midollo etico" della nostra vocazione: cristiana e umana. Il comandamento dell'amore si inserisce organicamente nella vocazione alla partecipazione.


10. così dunque voi giovani, nella scuola delle vostre famiglie, delle vostre comunità, delle vostre nazioni, nella scuola della Chiesa dovete educarvi a tutta la ricchezza della "partecipazione" nella dimensione inter-umana (sociale) e, contemporaneamente, religiosa e soprannaturale. Siete chiamati a partecipare al vero e autentico sviluppo, che, mediante il giusto equilibrio tra "essere" e "avere", deve diventare sempre di più progresso nella giustizia nei vari ambiti e sotto i diversi profili; deve diventare progresso nella civiltà dell'amore.

Voi giovani siete pure chiamati a partecipare a quel grande e indispensabile sforzo di tutta l'umanità, che ha come scopo di allontanare lo spettro della guerra e di costruire la pace. Voi dovete essere "operatori di pace" secondo la multiforme portata di questo termine, che abbraccia significati ben più ricchi della semplice assenza di guerra. Voi dovete essere "operatori di pace" e quindi sentirvi impegnati a costruire una società veramente fraterna.

Su questo argomento mi sono soffermato nel messaggio del 1° gennaio per la giornata mondiale della pace (n. 2). Non sarà inutile riprenderlo in mano, per tornare a soppesarne i contenuti. In esso, sottolineando che "la Pace e i giovani camminano insieme", annotavo tra l'altro: "Il futuro della pace e, quindi, il futuro dell'umanità sono affidati in modo speciale alle fondamentali scelte morali che una nuova generazione di uomini e di donne è chiamata a fare".


11. La nuova generazione siete voi. All'inizio della lettera che, in vista di questo incontro, ho indirizzato alla gioventù di tutto il mondo, ho posto, sulla scorta della prima Lettera di Pietro, il seguente augurio: "Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi".

Vi ripeto ora quest'augurio, terminando con esso il mio intervento. E insieme vi invito a "partecipare" alla liturgia di domani. Tutti insieme sulla via di Cristo! Tutti insieme sulle vie dell'amore! Nessuno si tiri indietro. Io vi sono vicino. Sempre! E con tutto il cuore vi benedico.

Arrivederci! [ripetuto in varie lingue, quindi ha concluso:] Ecco, vogliamo ringraziare questi nostri amici che ci hanno portato la croce dell'Anno Santo della redenzione dopo il suo itinerario nei diversi Paesi e che hanno consegnato anche le testimonianze nelle due lingue dei loro due popoli.

Noi in questa croce vediamo la nostra redenzione, vediamo la vittoria dell'amore sull'odio, la vittoria della pace sulla guerra e sulla violenza; vediamo la risurrezione. E con questa visione della fede vogliamo partecipare domani alla celebrazione liturgica della domenica delle Palme che inaugura la Settimana Santa, settimana della croce del mistero pasquale, della croce della morte e della risurrezione. Questa è la nostra fede, questa è la speranza di noi tutti.

Adesso, prima di concludere con una preghiera comune, con un canto del Pater Noster vogliamo unirci nello spirito a tutti i giovani che soffrono, a tutti gli ammalati, gli handicappati; alcuni di loro sono anche presenti qui fra noi.

Sono i rappresentanti di tutti quei giovani che soffrono e che con la sofferenza imparano la partecipazione attiva alla croce di Cristo, partecipazione alla salvezza del mondo attraverso la croce di Cristo. Ci uniamo in questo momento a tutti quei giovani che spiritualmente sono qui insieme con noi e che per diversi motivi non sono potuti essere presenti con noi fisicamente. Ci sentiamo uniti a quelli che hanno perso la fede. Tutti sono stati redenti da Cristo, abbracciati dalla sua croce e dal suo amore salvifico. Tramite Cristo redentore tutti sono spiritualmente legati con noi. Noi siamo legati a tutti e vogliamo pregare per tutti e con tutti. Ogni giovane deve essere presente in questa universale comunione, così come lo vuole il Cristo crocifisso, morto e risorto.

Data: 1985-03-30 Data estesa: Sabato 30 Marzo 1985





Omelia alla domenica delle Palme - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Testimoni di verità, messaggeri di speranza



1. "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!" (Mt 21,9).

Siamo venuti in questo luogo - in questa piazza di San Pietro - voi giovani di diverse nazioni e il Vescovo di Roma; siamo venuti ripetendo il grido che è risuonato, quasi duemila anni fa, per le strade di Gerusalemme. Questo grido si riferiva allora - e si riferisce anche oggi a - Gesù di Nazaret. E' lui che viene nel nome del Signore! E' a lui che cantano "Osanna"! E' lui che è benedetto: è lui il Messia! Nel giorno del suo ingresso a Gerusalemme proclamano questa gioiosa novella le labbra degli abitanti della città santa e dei numerosi pellegrini. La proclamano prima di tutto i giovani: "Pueri Hebraeorum". Vogliamo che il grido di quei giovani - oggi di nuovo ripetuto dai giovani - sia sentito. Che sia sentito particolarmente in quest'anno, proclamato in tutto il mondo Anno della gioventù.


2. Ecco, siamo venuti qui per celebrare la liturgia della domenica delle Palme. La descrizione della passione di nostro Signore Gesù Cristo, secondo Marco, ci introduce subito negli avvenimenti della settimana, che oggi inizia. E' la settimana della passione del Signore! Gesù di Nazaret, al quale cantiamo oggi "Osanna" e diciamo "benedetto" sarà condannato a morte. Il venerdi santo altre labbra - pure nella stessa Gerusalemme - grideranno "Crocifiggilo!... Crocifiggilo!" (Mc 15,13-14).

Grideranno: "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli" (Mt 27,25).

Perché? Cerchiamo la risposta nella descrizione degli evangelisti: Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Essa è la seguente: dinanzi al Sinedrio Gesù udi la domanda: "Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio". Egli rispose: "Tu l'hai detto". Allora il Sommo sacerdote si straccio le vesti e il tribunale emise la sentenza: "E' reo di morte!" (Mt 26,63-66). Il motivo della condanna fu religioso. Gesù è stato condannato come bestemmiatore.

Dinanzi a Pilato, procuratore romano, Gesù non è accusato della stessa cosa. Non di essersi detto Figlio di Dio (cfr. Jn 19,7). Ma di aver affermato di essere il Cristo re (cfr. Lc 23,2). Il motivo della sentenza è politico. Gesù viene condannato come usurpatore.


3. Tuttavia tra l'una e l'altra sentenza si è svolto un colloquio, nel quale l'accusato rispose a Pilato così: "Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità.

Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce" (Jn 18,37). Pilato ha capito? Sembra di no. Eppure quando condusse, di nuovo, Gesù con la corona di spine sul capo davanti agli accusatori, lo addito e disse: "Ecco l'uomo" (Jn 19,5).

Così dunque Gesù di Nazaret, condannato dal Sinedrio come bestemmiatore, è condannato da Pilato come usurpatore: viene condannato prima di tutto come uomo.

Viene condannato perché ha preso su di sé la causa all'uomo: la causa eterna e ultima: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo" (Jn 18,37).


4. Della causa dell'uomo, che Gesù Cristo ha preso su di sé e che ha portato sulla croce, parla Paolo apostolo nell'odierna liturgia. Il testo della Lettera ai Filippesi è conciso e al tempo stesso mirabilmente ricco, profondo. L'apostolo scrive: Cristo Gesù "pur essendo di natura divina, non considero un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spoglio se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini" (Ph 2,6-7). Chi è Gesù Cristo? E' "in uguaglianza con Dio" (cfr. Ph 2,6). E' della stessa sostanza del Padre. E' Dio da Dio, luce da luce. E' il figlio di Dio. E' vero Dio.

Contemporaneamente, questo Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, "si è fatto uomo". E' vero uomo.

Chi è l'uomo? E una creatura. "Dio creo l'uomo a sua immagine; maschio e femmina li creo" (Gn 2,27). L'uomo è creatura di Dio e, nello stesso tempo, è immagine e somiglianza ai Dio. Il problema dell'uomo, il problema eterno e definitivo è contenuto qui: l'uomo è, tra tutte le creature del mondo visibile, l'essere "simile a Dio" e contemporaneamente è creatura.

Cristo ha preso su di sé la causa dell'uomo, facendosi uomo. Dio-Figlio, della stessa sostanza del Padre, come uomo ha preso posto nell'ordine delle creature. In un certo senso "spoglio se stesso" della divinità, rimanendo Dio-Figlio. Come uomo-creatura è diventato servo: il servo del suo Creatore. Il Servo di Jahvè.


5. Si, Cristo è divenuto Servo di Jahvè secondo la profezia di Isaia, il cui brano leggiamo nell'odierna liturgia (50,6): "Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba: non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi".

Servo di Jahvè: il Servo sofferente di Jahvè, la più piena immagine profetica del Messia martoriato. La stessa immagine è presentata dal salmo 21, nel responsorio dell'odierna liturgia. Dio-Figlio, della stessa sostanza del Padre, "in uguaglianza con il Padre", come creatura, come uomo diventa servo di Dio e degli uomini! Proclama il programma di questo servizio nel Vangelo, particolarmente quando, mediante la cena pasquale, egli si prepara alla passione: quando lava i piedi ai suoi discepoli.

"Il Figlio dell'uomo... è venuto non per essere servito, ma per servire" (Mt 20,28). Per servire... gli uomini! ln questo modo prende su di sé la causa dell'uomo, per portarla a compimento. L'uomo infatti è immagine e somiglianza di Dio. Quest'immagine e somiglianza viene portata al vertice, quando il Figlio di Dio, lo stesso Verbo eterno, diviene uomo.

Contemporaneamente, l'uomo è creatura. Non può dimenticare il fatto di essere immagine di Dio. E non può dimenticare il fatto di essere creatura di Dio.

Come creatura è il servo del suo Creatore. L'uno e l'altro determinano, fondamentalmente, l'essere stesso dell'uomo e il suo posto nel cosmo. Essere uomo vuol dire mantenere la giusta proporzione tra la creatura e l'immagine di Dio.

Mantenere l'equilibrio.

L'uomo ha perso questo equilibrio. Se l'è lasciato togliere.

Consapevolmente e volontariamente ha seguito la voce del tentatore che diceva ad entrambi, alla donna e all'uomo, diventerete "come Dio, conoscendo il bene e il male" (Gn 3,5). L'uomo ha rifiutato in quel momento la volontà di Dio, ha distrutto la proporzione tra l'immagine di Dio e la creatura di Dio.




6. Gesù Cristo è venuto nel mondo per restaurare, per così dire, alla radice questa proporzione: l'equilibrio perso. Perciò egli è il nuovo inizio! Il nuovo inizio della storia dell'uomo in Dio.

Proprio per questo egli, Figlio, "in uguaglianza con Dio", della stessa sostanza del Padre, come uomo, assume "la condizione di servo". Anzi: come uomo / "apparso in forma umana, / umilio se stesso / facendosi obbediente fino alla morte / e alla morte di croce" (Ph 2,7-8).

In questo modo raggiunse l'inizio stesso dell'equilibrio perso. Sulla bilancia della disubbidienza originale ha messo la sua obbedienza fino alla morte e alla morte di croce. Quando agonizzava sulla croce con le braccia inchiodate al legno, così da non poter sottrarre "la faccia agli insulti e agli sputi...", allora si compirono le parole che Cristo disse a Pilato: "Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità".

Rende testimonianza alla verità: alla verità su Dio e sull'uomo; a questa verità che, all'inizio della storia dell'uomo sulla terra, è stata falsificata. L'ha falsificata colui che la Scrittura chiama "padre della menzogna" (Jn 8,44). Proprio costui disse: diventerete "come Dio".

Mentre l'uomo è una creatura e in pari tempo è immagine e somiglianza di Dio. Non attraverso la ribellione e l'opposizione, ma mediante la grazia e l'amore deve divenire - in Cristo figlio - il figlio di Dio.

Ecco il Figlio dell'uomo, agonizzante sul Golgota, il Verbo che si è fatto carne dà agli uomini il "potere di diventare figli di Dio" (Jn 1,12). Questo potere si contrappone alla menzogna dell'eterna tentazione.


7. così dunque Gesù di Nazaret ha preso su di sé la causa dell'uomo, la causa eterna e ultima, la causa dell'uomo: ieri e oggi e fino alla fine! Voi, giovani, che vi siete qui riuniti - da Roma, dall'Italia, dai diversi Paesi, nazioni, continenti - siete venuti per la domenica delle Palme, per ripetere: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore". Siete venuti per ascoltare, nel prossimo venerdi santo: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità" (Jn 18,37). Ciascuno di noi - ogni uomo - non viene forse nel mondo per rendere prima di tutto testimonianza alla verità? Vi penetri profondamente questa testimonianza, che Gesù di Nazaret rende alla verità! In lui è contenuta la causa dell'uomo: la causa eterna e insieme ultima! Gesù Cristo è: ieri, oggi e in eterno. E la causa dell'uomo è in lui: ieri, e oggi e in eterno.


8. Voi, giovani, conoscete la causa dell'uomo oggi, sul finire del seconda millennio dopo Cristo.

Oggi l'uomo è orgoglioso dei suoi successi. Mai siamo stati testimoni di progressi così giganteschi nel campo della scienza e della tecnica! Le parole "diventerete come Dio" non trovano qui la loro conferma? E, contemporaneamente, l'uomo odierno si sente minacciato... minacciato in diversi modi. Mai, prima d'ora, l'uomo si è sentito così minacciato come oggi... Le parole "diventerete come Dio" non trovano qui la negazione più radicale? I giovani si domandano: quale sarà il nostro futuro in questo "nuovo, magnifico mondo"? Quale sarà in questo mondo dell'elettronica e dei ritrovati stupendi, splendidi e insieme minacciosi, il futuro dell'uomo? Il futuro della persona? In questo mondo, in cui alcuni uomini sembrano dominare così largamente, mentre altri uomini - sono milioni e tra essi bambini indifesi - muoiono di fame! Si trovano nei campi dei rifugiati. Sono anche perseguitati per la fede, per la voce della loro coscienza. Se potessero riunirsi qui tutti i giovani da tutti i confini e gli angoli della terra, la domanda circa la causa dell'uomo oggi, si ingrandirebbe di molte domande. E in queste domande si troverebbero molte paure e preoccupazioni. Molti lamenti e accuse.

Non avvertiamo forse che in questo mondo manca sempre di più l'equilibrio tra l'uomo-immagine di Dio e l'uomo-creatura? Non avvertiamo forse che in questo mondo è stata manipolata e falsificata la causa dell'uomo: quella eterna e definitiva? Non avvertiamo che in questo mondo si fanno continuamente sentire le scosse cosmiche e apocalittiche della disubbidienza originaria? 9. Perciò a questo mondo - al mondo del secondo millennio che volge alla fine - è necessario continuamente e sempre di più colui che si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Al mondo è indispensabile Cristo.

E questo, voi giovani, lo desiderate professare oggi insieme con me, Vescovo di Roma e successore di Pietro, con i cardinali, i vescovi, i sacerdoti, le persone consacrate qui presenti. E lo desiderate dire ad alta voce a tutti gli uomini e particolarmente a tutti i vostri coetanei nel contesto dell'Anno internazionale della gioventù.

"Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna al figlio di Davide!".


10. Dio eterno: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ha assunto la causa dell'uomo - l'eterna e ultima causa dell'uomo - in Cristo che ha reso testimonianza alla verità in Cristo, condannato come bestemmiatore e come usurpatore in Cristo, flagellato e incoronato di spine; in Cristo crocifisso Dio ha preso la causa dell'uomo: ieri, oggi e in eterno. E in questo Cristo le dà un "nuovo inizio". In questo modo la domanda circa la causa dell'uomo è piena di speranza.! E' piena di fiducia...! Ecco le parole dello stesso apostolo Paolo: "Per questo Dio l'ha esaltato / e egli ha dato il nome / che è al di sopra di ogni altro nome; / perché nel nome di Gesù / ogni ginocchio si pieghi / nei cieli, sulla terra e sotto terra; / e ogni lingua proclami / che Gesù Cristo è il Signore, / a gloria di Dio Padre" (Ph 2,9-11).

Si. Gesù Cristo è il Signore! E' il Signore del secolo venturo. In lui la causa dell'uomo si riempie di speranza. La nostra "speranza in lui è piena di immortalità" (Sg 3,4).

Benedetto, benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna, Osanna. Amen!

Data: 1985-03-31 Data estesa: Domenica 31 Marzo 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Alla delegazione del Libano - Città del Vaticano (Roma)